20 luglio 2012

Giugno/luglio 2012 - Scandinavia e Capo Nord

Lunedì, 28 maggio 2012 - km 36904
- da casa a Schwaz                  
Mesi e mesi a pianificare gli spostamenti, cercare le mappe di paesi e città e organizzare le traversate. Derrate alimentari degne di un eventuale colpo di stato, con tanto di inventario dettagliatissimo, ogni angolo del camper riempito con cavi, vestiti, asciugamani, ciabatte e quant’altro. Cornetti rossi e gobbi anti invidia nascosti in punti strategici e finalmente, luce staccata e gas chiuso, nonostante la giornata non si prospetti la migliore del mondo, oggi l’avventura inizia.
Il cielo è grigiastro, la temperatura si aggira intorno ai 14°. Freschino, direi.
E meno male che il nostro itinerario prevede tutta l’Europa Settentrionale fino a Capo Nord.
Riusciranno i nostri eroi a non morire assiderati in Lapponia o attraverso i fiordi norvegesi?
Mah, io non ne sarei così sicura.
Parlo per me eh.

Martedì, 29 maggio 2012 - km 37645
- Scwhaz, Jenbach, Maurach
Schwaz, ridente paesino austriaco appena passato il confine italiano. Dopo aver viaggiato tutto il giorno, è qui che abbiamo trascorso la prima notte, peraltro abbastanza piovosa, del nostro tour, in una piazzola di sosta occupata anche da altri camper (perlopiù francesi).
Ci svegliamo con la nebbiolina che avvolge le montagne attorno, e anche il cielo non promette niente di buono. Infatti, dopo la tregua della colazione (con i croissants acquistati al Billa poco distante), riprende a piovere. Dovute bestemmie e poi via per un itinerante giro turistico. Ovviamente a bordo del camper. Guardo fuori dal finestrino, gustando il mio originalissimo pretzel austriaco, e mi rendo conto di come il paesaggio sia diverso da quello di casa mia, con queste montagne altissime che svettano tutto intorno, le nuvole leggerissime che fluttuano a mezz’aria ed un magnifico verde dei boschi abbarbicati lungo i pendii che contrastano con il legno con cui sono costruite le casette a valle. Passiamo davanti al Planetario di Schwaz, di fronte alla vecchia miniera di argento ormai diventata attrazione turistica da 16€ a persona, ma non ci fermiamo e optiamo per proseguire verso Jenbach, 563 metri sul livello del mare (avrei detto duemila metri, data l’arietta frizzantina!).
Tra parentesi, qui il prezzo del gasolio si aggira intorno a 1,35€: è un affare. Ci arrampichiamo sulla strada verso il lago di Achen, nel frattempo ha smesso di piovere ma il cielo rimane coperto, con un raggio di sole che spunta eroicamente di tanto in tanto tra le nuvole. Costeggiamo il lago lungo la strada panoramica fino a che non riusciamo a fermarci in prossimità di un mini spiazzale per scattare qualche foto. Il verde dell’acqua sembra un tutt’uno con i pini, le lingue di neve incastrate nelle rocce ci guardano dall’alto delle vette. Bisogna ammettere che le montagne hanno un fascino diverso con il lago.
Poi, sarà che a me basta una pozzanghera d’acqua per essere felice.
Cinque minuti sulle rive del lago e poco più tardi raggiungiamo Maurach, una delle stazioni dove passa la ferrovia con il trenino panoramico a vapore che porta al lago di Achen, e aspettiamo il suo arrivo.

Pochi minuti dopo, l’inconfondibile fischio, seguito dal fumo denso, accoglie il costosissimo trenino a due vagoni colorati più locomotiva, ed il sole che si è fatto largo tra le nuvole rende il paesaggio ancora più bello. Il babbo è entusiasta. Il tempo cambia in fretta e ricomincia a piovere, quindi, con le dovute solite bestemmie (in sei ore appena il tempo è già cambiato all’incirca venti volte) ci dirigiamo verso il Castello di Tratzberg, a due passi da Jenbach. Sfortuna vuole che sia già troppo tardi per le visite (ma… sono appena le quattro di pomeriggio!), così decidiamo di tornare domani in mattinata e torniamo indietro fino alla stazione di Jenbach, dove il babbo opta per un’occhiata alla graziosa piccola ferrovia a scartamento ridotto. Nel frattempo è uscito il sole, sono le sei ed è ancora così giorno da farci credere che la notte non arriverà mai, e decide di fare un giro sulla Zillertalbahn. Il tempo dell’acquisto di un biglietto all’automatico e lo vedo correre, da atletico ventenne qual è, lungo il binario per salire al volo sul treno.
Io e la mamma, nel parcheggio adiacente, smanettiamo un po’ con connessioni internet, chiavetta-pacco della 3 e mele. Rivedremo il babbo solo un paio d’ore più tardi. Torniamo poi all’area sosta di Schwaz e si fa buio in fretta. Guarda caso, ricomincia a piovere.
Insomma, che ci abbiamo capito di questa giornata?
Niente.

Martedì, 30 maggio 2012 - km 37728
- da Schwaz a Monaco di Baviera
Che bello essere svegliata al’alba dalle chiacchiere dei vecchi. Non solo: alla fine il babbo ha affermato che per il bene comune è meglio che io sia la prima ad alzarmi, così mentre io sono in bagno lui può sistemare il letto basculante e richiuderlo e rendere già più vivibile lo spazio. Sì, però… le sette del mattino mi pare un po’ presto! Dopo la colazione con i soliti cornetti di Billa (stamattina hanno spedito me a fare la “spesa”) è il momento della manutenzione, con cambio delle acque grigie e riempimento serbatoio dell’acqua.
Alle dieci siamo già davanti al Castello di Tratzberg, dove ci attende un’oretta di visita guidata (per la ragionevole cifra di 10€ compresa l’audio guida in italiano).
A mezzogiorno, dopo idiozie varie nell’adiacente parco giochi dei bambini) ci dirigiamo verso Monaco, con sosta per il pranzo a Kufstein, giusto al confine con la Germania. Scendiamo per fare due passi proprio mentre decide di ricominciare a piovere, tanto per cambiare. Il paesino sembra graziosissimo ed è sovrastato dall’omonima fortezza, raggiungibile attraverso Römerhofgasse, una tipica viuzza turistica con hotel, negozi di souvenir e ristorantini dall’inconfondibile stile tirolese, con fiori ad ogni angolo, insegne colorate e tetti in legno. Purtroppo, appena spiove e raggiungiamo l’accesso della funicolare per la fortezza scopriamo che è aperta fino alle 17, e nel mondo manca un quarto alle sei. Insomma, sembrerebbe che questo viaggio non sia proprio partito nel migliore dei modi, ma noi di certo non demordiamo!
Risaliamo a bordo mentre il sole, fetente, ci saluta di nuovo tra le nuvole, e raggiungiamo Monaco di Baviera. Dopo un’ora di giri in tondo tra navigatore, immancabile pioggia e baustellen (cantieri), finalmente troviamo il gigantesco Castello di Nymphemburg, a pochi chilometri a nord del centro storico, e ci accampiamo per la notte in un parcheggio poco distante.
Nel frattempo, guarda caso, ricomincia a piovere.

Giovedì, 31 maggio 2012 - km 37900

- da Monaco a Ingolstadt
Di buon’ora ci si sveglia per andare alla scoperta di Monaco. Il cielo è nuvoloso ma non ci lasciamo scoraggiare e raggiungiamo la fermata del tram e facciamo un biglietto giornaliero cumulativo che ci permette di prendere qualunque mezzo urbano, bus, tram, u-bahn e s-bahn. Ci dirigiamo così, a bordo del n.17, verso il centro ed arriviamo alla Hauptbanhof, la Stazione Centrale, dove all’Ufficio informazioni ci “cartiniamo” con appena 40 cent. Io e i “vecchi” ci dividiamo.

Musica nelle orecchie e cartina alla mano, inizio a vagare per le strade, da Karlsplats fino alla Sendlinger Tor, una delle tre porte della vecchia fortificazione medievale ormai demolita, attraversando l’immensa Sonnenstrasse, e da lì Neuhauserstrasse e Kaufingerstrasse, due bellissime vie esclusivamente pedonali unite l’una all’altra da file di negozi su entrambi i lati e coloratissime fioriere in cemento bianco.
Arrivando da lì su Marienplatz, l’enorme piazza principale, sorprende vedere il Rathaus, il municipio, che occupa l’intero lato sinistro. E’ un’imponente edificio in pietra chiara, finemente lavorato e scolpito, quasi fiabesco, al cui centro svetta la torre dell’orologio, ornata da deliziosi pupazzetti che a mezzogiorno, con una musica da carillon, si muovono in tondo immobilizzando, dall’alto, centinaia di turisti affascinati. Ritrovo i vecchi dopo aver scattato centinaia di foto tutto intorno, alla Frauenkirche (la Cattedrale di Nostra Signora, con le inconfondibili torri sovrastate da cupole verdi a forma di cipolla – e non mi sorprende che una delle due sia “incartata” per lavori. Che tristezza), la Michaelskirche e la chiesa gotica dello Spirito Santo, in tedesco Heiliggeistkirche. Ritrovo i vecchi ed optiamo per un’economica ed indolore (2,50€ e in ascensore!) escursione ala cima della torre dell’orologio, dalla quale si ammira praticamente tutta la città.
Anzi, tutti i tetti della città, dato che i severi limiti edili stabiliti nel 2004 non permettono la costruzione, nel centro storico, edifici che si sviluppino in altezza più di un centinaio di metri (altezza raggiunta dalle torri della Frauenkirche). Un altro pretzel sulla piazza e un breve giro al Viktulienmarkt, il mercato delle vettovaglie, dove non perdo occasione di fotografare le bancarelle di frutta, verdura, fiori  e lavori artigianali. Veramente carino. Ci infiliamo poi nella metro verso Odeonsplatz, dove mi fermo pochi minuti, giusto il tempo di un paio di foto alla Residenz, sede di concerti e raduni di intellettuali, e all’Hofgarten, giardino adiacente, brulicante di universitari seduti sull’erba che ricordano i gruppi di studi dei grandi filosofi greci. Fuori, su Ludwigstrasse c’è una piazzetta con stand di libri, poltroncine morbide, tappeti ed amache e gente intenta nella lettura. Affascinante, considerando che il bel tempo ha finalmente deciso di graziare la mia prima giornata ufficiale di visite, quindi il sole rende tutto ancora più bello. Mi infilo di nuovo in metro e raggiungo la fermata seguente, dove decido di impelagarmi nella ricerca della Chinesischer Turm dell’Englischer Garten, un grosso spazio verde che si estende per quasi quattro chilometri quadrati, superando così l’area del famosissimo Central Park di New York (chi l’avrebbe mai detto).
Dopo un’ora nel verde incontrando gente di ogni tipo, e un paio di foto alla Torre Cinese con l’adiacente birreria, esco dal parco e riprendo i miei, con cui ci dirigiamo in metro alla zona dell’Olympiapark, che ospita, oltre ai vari stadi e palazzetti sedi delle Olimpiadi nel 1972, lo stabilimento della BMW.
E’ ormai tardo pomeriggio quando le nuvole coprono di nuovo gli spazi azzurri in cielo e qualche goccia di pioggia annuncia la fine della giornata tiepida: ero quasi in pensiero, dopo la giornata a maniche corte: un po’ d’acqua ci voleva. Rientriamo al Castello di Nymphenburg, dove il camper ci attende, e nel frattempo i nostri compagni di viaggio Adele e Raniero, partiti da Como dopo pranzo, ci avvertono che sono arrivati ad Ingolstadt, 50 chilometri a nord di Monaco, dove dovremmo incontrarci domattina. Ci mettiamo quindi in viaggio e li raggiungiamo al parcheggio in serata, accompagnati da una pioggia incessante.
Abbastanza stanchi, dopo i saluti e poche parole con quelli che saranno i nostri compagni di viaggio da adesso fino alla fine, rimandiamo tutto a domani.

Venerdì, 01 giugno 2012 - km 37982
- da Ingolstadt a Fulda
Anche oggi ci svegliamo di buon’ora, nel parcheggio di Ingolstadt.
Tra le altre cose, va sottolineato che sono stata declassata: ho soppiantato il babbo nel ruolo di filippino: ormai ho imparato a rifare il letto dei vecchi e a chiudere, dopo aver sistemato le coperte, quello basculante dove dormo io. Ormai è standard: il babbo si sveglia e sveglia me, durante il suo turno bagno io capisco chi sono e dove sono e rifaccio il letto basculante, poi svegliamo mamma, che mentre occupa il bagno mi lascia lo spazio per rifare il letto in cui dormono loro. Alla fine arriva il mio momento mentre la mamma è alle colazioni. Tutto un perfetto incastro.
Insomma, dopo la colazione e la visita di Adele e Raniero con le dovute chiacchiere, ci dilunghiamo in varie operazioni, tipo carico/scarico acque, cambio lampadina fulminata, pulizia “casa”, smalto e sopracciglia, e finalmente, attorno alle undici, lasciamo Ingolstadt.

Dopo un breve consulto, decidiamo last-minute per un minuscolo cambio programma: fare il giro al contrario e, anziché dirigerci verso nord-est e passare dalla Germania alla Svezia, tagliamo verso nord-ovest e, probabilmente, passeremo prima per la Danimarca e su in Norvegia. La tappa pomeridiana, dopo aver viaggiato un po’, prevede la bellissima cittadina di Würzburg, con  visita gratuita alla Fortezza di Marienberg. Parcheggiamo proprio all'ingresso, nel comodo piazzale asfaltato, e saliamo fin oltre la grossa porta in pietra. Per la sua posizione sopraelevata, già in età celtica sull'altura erano stati costruiti una rocca di rifugio e un luogo di culto pagano. Al posto di quest'ultimo venne eretta (in epoca franca), la "Marienkirche", la chiesa più antica di Würzburg.
Le progressive mutazioni nel corso degli anni portarono la fortezza (verso la fine del Cinquecento) ad assumere un aspetto rinascimentale. Le parti più antiche che si sono conservate fino ad ora hanno più di mille anni. Questa imponente costruzione medievale domina dall’alto, il Danubio, che non sarà “blu” come il walzer omonimo ma di certo ha il suo fascino, soprattutto adornato com’è da chiese e cattedrali gotiche e barocche su entrambe le sponde.

Nel tardo pomeriggio decidiamo di proseguire la nostra rotta, dato che oggi non abbiamo concluso poi molto, ed arriviamo nei pressi di Fulda. Ci imbuchiamo nel parcheggio di un immenso Centro commerciale che ahimé al nostro arrivo ha appena chiuso. Io e il babbo pianifichiamo che domattina, prima di ripartire, saremo i primi ad infilarci e dare un’occhiata. Lui al ferramenta Obi, ed io al Müller e Deichmann!

Sabato, 02 giugno 2012 - km 38333
- da Fulda ad Amburgo
Il freddo pungente del primo mattino mi ha costretta ad infilarmi la giacca pesante per uscire di “casa” attorno alle otto, già colazionata. Siccome i negozi di mio interesse aprivano tutti più tardi, io e la mamma ne approfittiamo per un salto al supermercato. Inutile dire quanto mi diverta tra gli scaffali, ogni volta mi sento nel paese dei balocchi, tra cioccolate e yogurt. Prima delle nove siamo già in viaggio verso Amburgo, con il cielo che cambia continuamente ed il freddo che si acuisce man mano che si sale verso il nord. Breve sosta pranzo lungo l’autostrada e alle tre di pomeriggio arriviamo nell’area camping attrezzata dove resteremo la notte. Fuori non ci sono più di tredici gradi ma noi, piantine della città alla mano, ci avventuriamo verso il centro, dopo aver sbagliato la metro. Ma che ci importa, tanto abbiamo un biglietto comitiva giornaliero da 10€ con cui possiamo andare ovunque.
Salendo dalla fermata metro di Stadthausbrücke ci troviamo giusto a pochi passi dal Rathaus, la sede del municipio, che si presenta come un enorme edificio dai tetti quasi turchesi, affacciato su una piazza altrettanto grande sul canale dell’Alster. Pur non camminando moltissimo, in centro troviamo diverse chiese importanti, come St. Petri e St. Jacobi, e costeggiamo il Rathaus fino a St. Nicolai, con un’unica bellissima torre gotica rimasta sola dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. La prima sommaria visita pomeridiana alla città di Amburgo è disturbata dal vento freddo, che non migliora la situazione nonostante il sole cerchi di riscaldare attraverso le nuvole. Il pezzo più interessante è St. Michaelis, chiesa consacrata edificata all’inizio del diciassettesimo secolo, con la meravigliosa torre dell’orologio, su cui è possibile salire attraverso un ascensore ed ammirare la città. E noi, figuriamoci se ci lasciamo sfuggire l’occasione di gelarci la punta del naso a ottanta metri di quota.
La giornata finisce una volta rientrati al campeggio, nel frattempo ho perso il senso del tempo, il sole ancora non va giù. Dopo cena guardo l’ora: sono quasi le dieci. A giudicare dalla luce fuori sembrano ancora le sette di sera.

Domenica, 03 giugno 2012 - km 38716
- da Amburgo a Lubecca 
Mattinata ancora in giro per Amburgo.
Una passeggiata a Landungsbrücke, il porto, il secondo più grande d’Europa dopo l’olandese Rotterdam, ed arriviamo fino a Gänsemarkt, convinti di trovare negozi aperti per dare un’occhiata alla famosa galleria, ma in giro non c’è un’anima ed è freddo. Stranamente non piove  ma i nuvoloni ci riaccompagnano fino all’area di sosta, che lasciamo verso mezzogiorno. Raggiungiamo Lubecca in un’ora e pranziamo in un’area di sosta che la domenica è gratuita ed in più è appena fuori dal centro storico. Una volta tanto, la fortuna ci aiuta! Benché la città sia discretamente vasta, il centro storico, l’Altstadt, è delizioso e a misura d’uomo e si estende attraverso un isolotto di appena un paio di chilometri quadrati, collegato da quattro o cinque ponti alla terraferma, ed è la sola parte che, in fondo, a noi interessa.
Una sola arteria principale gira tutta intorno e stradine pulite con casette di mattoni rossi tagliano l’isolotto trasversalmente. La piazza del municipio è bellissima, peccato che tra gli scavi, i cantieri, gli stand per una giornata dedicata alla famiglia (o qualcosa del genere) e un comizio incomprensibile perde un po’ del suo fascino...
  
L’architettura di chiese e conventi è quasi interamente risalente al dodicesimo e tredicesimo secolo, con i dovuti miglioramenti ed ampliamenti nel  corso degli anni. Mentre torniamo al camper attraversiamo il lungofiume, bellissimo con gli edifici in mattoni rossi e le barchette che si riflettono nell’acqua ferma, fino a che non ci imbattiamo in un messaggio in bottiglia che galleggia proprio lì a trenta centimetri dal molo. Con i dovuti contorsionismi e allungamenti nel canale, reggendomi saldamente alla balaustra, e riesco a pescare la bottiglietta di plastica con il foglio di carta avviluppato all’interno. Una volta alla base scoprirò che a scriverlo, con tanto di disegno di un veliero di pirati, è un bambino tedesco di nome Enno, che non avrà più di quattro o cinque anni. Infatti, a fianco alle lettere che compongono incerte il suo nome sul foglio, un mucchio di parole scritte da una mano ferma, probabilmente il papà o la mamma, che appunta l’indirizzo e, in tedesco, qualcosa tipo “sarei contento se mi scrivessi, per sapere chi ha trovato il messaggio”. Appena arrivo a Rovaniemi, decido, gli mando una cartolina dal paese di Babbo Natale: esiste posto migliore al mondo, per un bambino, dal quale ricevere una cartolina?
La giornata, almeno quella dedicata alle visite, finisce. Il sole, in vero, fa luce fino alle dieci passate, infatti la cena sembra pranzo e viene voglia di farsi un caffè. Dopo le chiacchiere con i nostri compagni di viaggio fino a mezzanotte, alla fine il sonno ha il sopravvento.

Lunedì, 04 giugno 2012 - km 38803
- da Lubecca a Naevsted
Sentendomi un po’ Tom Hanks in “Cast Away”, anche io mi costruisco il mio amico, usando però la cera del Galbanino che altrimenti andrebbe buttata: un maialino sdraiato che mangia una ciambella. Ironicamente, per omaggiare il film, anche io lo chiamo Wilson. Per tutto il viaggio non farà altro che starsene accucciato nel portacenere inutilizzato sopra al tavolino, cadendo di tanto in tanto, rovesciato dagli sballottamenti del camper.
Giornata di trasferimento, oggi, iniziata come sempre attorno alle otto del mattino nell’area parcheggio appena fuori dal centro storico di Lubecca. Per Puttgarden, dove ci aspetta il traghetto per il passaggio in Danimarca, ci sono appena novanta chilometri. Lungo il tragitto attraversiamo una graziosa strada panoramica lungo il mare, ci fermiamo per l’ultimo rifornimento viveri e carburante, ci imbottigliamo nel traffico causa incidente, riprendiamo l’autostrada e nel frattempo il cielo scuro ci accompagna.

Arriviamo a Puttgarden per l’imbarco e ci fermiamo, a scrocco, nel parcheggio per camion adiacente per un veloce pranzo. Per l’oretta appena di passaggio dalla Germania alla Danimarca, la Scandlines ci spella 107€ e per questo viene immediatamente ribattezzata“Bandilines”.
Appena usciti dal traghetto, noi e i nostri compagni di viaggio ci perdiamo lungo le strade danesi, peraltro abbastanza sgombre e spopolate. Lasciamo l’isola di Lolland attraversando un ponte talmente breve che quasi non ce ne rendiamo conto: in effetti le prime isolette danesi sono tutte collegate attraverso piccoli ponti o traghetti. Prati verdi a perdita d’occhio sotto il solito cielo grigiastro che tinge dello stesso colore il mare che ci circonda.
Ci ritroviamo pochi minuti dopo, e ci fermiamo nei pressi dell’isolotto che fa quasi da "base" al ponte che stiamo attraversando: c’è un piazzale  e scendo in fretta dal camper per razzolare allegramente con vista mare, riuscendo persino a scendere alla spiaggetta di sassi.
L’acqua è gelida… mi chiedo quanto sarà fredda salendo di latitudine!
Ci fermiamo a Naevsted in un parcheggio, anche se l’idea iniziale era di raggiungere Roskilde, quaranta chilometri più su. Sono appena le 18.30, e domani casomai facciamo un giro nel paesino, dicono. Sbaglio o stiamo procedendo a terribile rilento?

Martedì, 05 giugno 2012 - km 39050
- da Naevsted a Copenhagen
Con la dovuta calma, dopo aver appurato come da programma che a Naevsted non c’è praticamente nulla tranne una chiesa, una segheria e un canale, ci mettiamo in viaggio e raggiungiamo Roskilde. Il parcheggio sul grazioso museo di navi vichinghe ci custodisce il camper un paio d’ore, il tempo per un giro del parco ed una fugace visita alla Domkirke, il duomo cittadino.
 
Tornando al camper, ne approfitto qualche minuto per dare un’occhiata anche al porto, adiacente al museo delle navi vichinghe: rimango sempre affascinata dalle barche attraccate, specie quelle di modeste dimensioni. Il molo, i gabbiani e le anatre, l’acqua che si muove appena e lì agli angoli non sembra mai minacciosa come in mare aperto. Il sole, tra l’altro, riscalda l’aria nonostante il vento freddo. Ripartiamo alla volta di Copenhagen ma le aree di sosta sembrano non esistere. Facciamo un po’ di giri a vuoto, e dopo esserci appoggiati al volo presso un distributore di benzina per lo scarico delle acque raggiungiamo l’unica area camping della zona, attrezzata con servizi, docce, elettricità, wi-fi e quant’altro, ma solo per ricaricare l’acqua. Il programma iniziale è di tirare dritto fino ad un’area sosta oltre la capitale e magari tornare in città da lì domani in treno, poi il simpatico gestore del campeggio, Finn, a forza di chiacchiere di arruffianamento da parte mia, mi abbona uno sconto sul prezzo del posteggio camper e decidiamo così di fermarci.

Il primo sommario giro per la capitale danese inizia giusto dall’altro lato del campeggio, oltrepassato il Fisketorvet Mall, un enorme centro commerciale sul canale dell’aquabus. Io, i vecchi ed i loro amici Adele e Raniero saliamo a bordo senza biglietto, convinti di poter pagare in euro e ricevere in cambio corone danesi, ma l’omino mascherato da marinaio ci fa sapere che lì sull’aquabus non cambiano la moneta europea. Meno male che i danesi sono bella gente, molto gentili e disponibili (almeno da quel che si nota dopo i primi approcci), quindi ci fa salire clandestinamente, rassicurandoci che in qualche negozio cambiano l’euro senza problemi.

Arriviamo fino a Nordre Tolbod, all’entrata del Kastellet, da dove camminiamo poche centinaia di metri e raggiungiamo l’agognata (e deludente) sirenetta di bronzo, ormai simbolo della Danimarca intera. Sul sasso che la sostiene, una scritta scherzosa che qualcuno ha evidentemente aggiunto posticcia: “What’s so special with me?”.
In effetti....
Ma Copenhagen non è Copenhagen senza la visita alla sirenetta, costruita per omaggiare Hans C. Andersen e la sua celebre fiaba, quindi ce la teniamo così com’è. Tralasciando le peripezie del ritorno, tipo zero corone danesi per pagare il bus e tornare al campeggio, io che corro alla stazione ferroviaria sperando di trovare un bancomat e ritirare almeno duecento o trecento corone, l’attesa a Hovedbanegården, la Stazione Centrale, cercando di capire qual è il bus utile per tornare alla base, insomma, alla fine i nostri eroi ce la fanno.
Una bella doccia calda, e nel frattempo tentiamo l’asciugatura di due magliette ancora umide stendendole sulla sbarra di alluminio del tettuccio apribile. Abbiamo trovato posto al bucato: la sbarra è la nostra “little Naples”.
Cena. Chiacchiere, controllo email e Facebook grazie alla connessione free (un po’ incerta, ma meglio delle chiavette 3 e Vodafone che hanno deluso le nostre aspettative nel peggiore dei modi e non erano affatto free!).
E fuori è ancora giorno.
Il babbo si sveglierà poche ore dopo, nel cuore della cosiddetta notte esclamando:
“Oh, ma non sono nemmeno le quattro e fuori c’è già il sole?!”
Il peggio arriva, babbo.
Il peggio arriva.

Mercoledì, 06 giugno 2012 - km 39168
- da Copenhagen a Helsingør

La giornata si preannuncia stupenda, il sole è tiepido e non c’è una nuvola. O almeno, quelle poche striature bianche non destano preoccupazione. Opto addirittura per togliere uno strato al mio abbigliamento “onion”, ma il giubbettino in ecosimilfintapelle lo tengo su. Oggi è la giornata dei venti chilometri su e giù per le vie della città, la giornata mia per e stessa, quindi “abbandono” gli altri subito dopo colazione e mi avvio a piedi per un interessante tour generale della capitale danese.
Li ritroverò solo nel pomeriggio.
Dalla Stazione Centrale raggiungo a Rådhusplads con la bellissima Fontana del Drago, la colonna dei Suonatori di Lur e l’Hotel Palace. Sul lato posteriore del Rådhus, il palazzo del Municipio, la statua dello scrittore Andersen svetta con lo sguardo rivolto ai Giardini di Tivoli, il parco di divertimenti con montagne russe  ed attrazioni varie. Una sorta di Mirabilandia danese, ovviamente a pagamento (260 corone, quindi basta il giretto esterno!). Nel frattempo cerco un angolo attorno a me che non sia puntellato o incartato. Cantieri edili ovunque, passaggi sotto le impalcature, paletti e reti di plastica per i non addetti ai avori. Ma che è ‘sta città?! Proseguendo sulla strada che costeggia la piazza, arrivo in prossimità dell’Università e della Chiesa della Trinità, con la famosa torre rotonda. Concepita da re Christian IV come osservatorio astronomico, essa viene infatti aperta una volta l’anno per osservare le stelle, proprio come si faceva in passato. Attraverso varie viuzze pedonali con negozi su entrambi i lati, qualunque oggetto da acquistare diventa una tentazione ma questa cosa di convertire le corone in euro mi stressa e in generale i prezzi non sono abbordabili.
Camminando camminando raggiungo i Giardini Reali, un vero spettacolo considerando anche che la giornata evolve calda ed il sole brilla. Fiori e prati brulicanti di gente circondano il fossato, il Castello di Rosenborg si erge magnifico tra i salici. Non mi fermo neanche oltre Kronprinsessgade, la strada appena fuori dai Giardini, da dove raggiungo la Chiesa di St. Paul e al suo fianco una sorta di museo a cielo aperto di tipiche casette danesi risalenti ad almeno un secolo fa, che sembrano fatte di mattoncini Lego. Scendendo verso il canale attraverso la chiesa ortodossa su Bredgade, a cui angolo si apre la piazza con la Frederikkirke, nota come la “Chiesa di Marmo”, con l’enorme cupolone in perfetto stile San Pietro, direi. Infatti, (scopro più tardi) l’allora re Frederik V fece costruire il suo quartiere residenziale riprendendo lo stile vaticano, e sul lato opposto alla chiesa si può ammirare il maestoso complesso di Amalienborg, la residenza reale. Ho omesso di sottolineare che un’impalcatura abbraccia lateralmente anche il cupolone della Chiesa di marmo.
Questi cantieri ovunque iniziano a stancarmi.
Poco più avanti, passato l’Amalienhaven (i giardini), c’è una bella esposizione di sculture di sabbia, ad Ofelia Beach. Capolavori affascinantissimi che valgono tutte e cinquanta le corone danesi spese per entrare.
Continuo il mio tour, sempre con la musica nelle orecchie, fino a Nyhavn, suggestivo quartiere che sembra strappato ai dipinti di porti e pescatori. Casette coloratissime, appiccicate le une alle altre, lungo le due vie che corrono parallele al canale dove barchette di legno se ne stanno attraccate e dondolano pigre mentre il vociare dei turisti copre il rumore dell’acqua sotto il ponte. L’aria è tiepida e il cielo è limpido, l’acqua lo è un po’ meno, ma con i colori delle casette ed i pennoni delle barche riflessi poco importa.
Resterei qui per sempre.
Mi perdo tra le vie attorno ad Holmens Kanal, dove la bellissima sede della Borsa, con la torre arrotolata come un lecca-lecca, la Holmenskirke, il Christiansborg Palace e la torre della chiesa di St. Nicolaj mi confondono le idee. Non so più dove guardare, tanti sono i monumenti e gli edifici.

Mi chiedo poi perché nel mio Belpaese la sede della Borsa non sia bella come questa a Copenhagen. Mi chiedo perché da fuori abbia l’impressione che solo nel mio Belpaese le cose non funzionano.

Persa nei miei ragionamenti scorgo in lontananza, sul lato opposto del canale, dietro al Palazzo della Borsa con la torre di lecca-lecca, la torre scura della Chiesa del Salvatore, sulla quale si avvita una scala a chiocciola esterna. Attraverso quindi Torvegade che termina al di là del ponte, su Christiansplads, e una traversa più giù ecco apparire la Chiesa, anzi, un mega incarto. Per la prima volta non è la torre ad essere incartata, ma… tutto il resto. Mai delusione fu più grande. Vago un  po’ per la zona, quella che sembra la periferia di Copenhagen, la parte più emarginata, nonostante il sole che frammenta l’acqua nei canali e le casette che, con i loro colori pallidi, cercano di imitare il più famoso Nyhavn. Gente di ogni tipo siede agli angoli delle vie con la birra in mano e sulle panchine in Christiansplads, l’odore del fumo impregna l’aria ed i vestiti. Calze strappate e piercing, e tanta gente in bici. Tutto sommato, questa è la vera Copenhagen, quella che nessuno vede mai. Quella che a me piace scoprire.
Cammino ancora, con la musica ad estraniarmi da una lingua che in fondo non conosco, e cammino fino a tornare al centro commerciale dietro al camping. Un touch and go per negozi, e poi rientro alla base, in tasca le ultime monete da due corone, bellissime con il buco centrale: magari ne farò delle collanine. Tempo utile per doccia, cena, tiriamo su e nostre cose, le prese di corrente, le zeppe del camper e siamo pronti a ripartire per una nuova destinazione. Lasciamo il simpatico Finn e Copenhagen, con il cielo nuvoloso alla fine di una lunghissima e soleggiata giornata, e solo un’ora più tardi arriviamo ad Helsingør, dove domani ci attende, forse, la visita al Castello di Kronborg, ambientazione dell’Amleto. Non sorprende, infatti, che qui in ogni via ci sia un bar, un negozio di pesca, un ristorante, il cui nome sia “Hamlet” qualcosa. Sorprende invece last-minute (eccome se sorprende!) che il supposto parcheggio impostato al navigatore, proprio ai piedi del Castello (peraltro con una delle quattro torri principali puntellata! – e no, dai, basta puntellature e incartature a monumenti ed edifici!), è stato divelto per far posto ad una nuova costruzione. Giriamo quindi qualche minuto, alla ricerca di una sistemazione diversa, finché non ci fermiamo su uno spiazzo minuscolo giusto in bocca al porto.
Bene. Stanotte il sole arriverà ancora più in fretta.
Il vantaggio è una super connessione internet completamente a scrocco.

Giovedì, 07 giugno 2012 - km 39168
- da Helsingør a Laholm
Con la scusa del sole che sorge ad orari improponibili, a me sembra che le giornate inizino prestissimo. Oh, poi è un’impressione mia. Faccio colazione ancora con gli occhi chiusi dopo aver rifatto i letti, la bollicina dal naso come nei cartoni animati giapponesi. Rovescio lo zucchero sulla tovaglietta prima di buttarne alcuni cucchiaini nel tè mattutino e mi soffio ancora il naso con i postumi del raffreddore. Poi si parte in spedizione punitiva. Prima di chiuderci la porta del camper alle spalle, l’ultima occhiata alla nostra “little Naples” del giorno: stavolta il protagonista è il girellino di plastica per calzini e slip. Mai posto fu più azzeccato.
La visita al famoso castello dell’Amleto dura pochissimo, il tempo di un giro del fossato. Per quanto l’edificio, risalente al’inizio del diciottesimo secolo, sia bello, la torre principale impalcata e i camion del cantiere tutto attorno lo degradano un po’. L’aria non è fredda, torniamo al camper e ci dirigiamo verso Hillerød, dove ci attende il Castello di Frederiksburg. Parcheggiamo subito fuori dall’entrata, da cui già si ammira un panorama splendido: il castello, in mattoni rossi con bellissime torri dai tetti verde rame, si staglia sullo fondo, come la più bella delle cartoline.
E’ circondato da un ampio giardino con laghetti e cespugli di peonie lilla e rosa. Mamma è euforica e si chiede come possano crescere così grandi, io le faccio semplicemente notare, guardando il castello, che siamo dentro ad una favola in piena regola, quindi tutto è possibile.
Foto su foto, un giro del cortile e quattro chiacchiere, e dopo pranzo siamo già in viaggio verso il ponte dell’Øresund che raggiungiamo sotto un cielo striato di chiaro. Passata la dogana, la prima domanda che ci viene posta dopo aver pagato in euro è: “Volete il resto in moneta locale?” con tanto di occhi (i miei, ovviamente) spalancati come i bambini di fronte alla novità di banconote sconosciute e coloratissime, e la seconda, poche decine di metri più avanti con il doganiere, “Dove andate?”. Poche parole in inglese per spiegare il nostro tour tra Svezia e Norvegia, poi “Anything to declare?”
…no, non direi. Almeno, non che io sappia. Poi dipende da quello che vuoi sapere.
Comunque. Tant’è.
Oltrepassiamo la dogana: siamo ufficialmente in Svezia, e se per caso non ce ne fossimo accorti, comunque, la prima gigantesca costruzione visibile dalla zona industriale a ridosso dell’autostrada è lo stabilimento dell’Ikea, quindi non ci si può sbagliare più. Bella, questa Svezia: due chilometri oltre la dogana, cinque chilometri di coda per un totale di mezz’ora buttata via così come un’inutile scarpa vecchia. E il navigatore che continua ad avvisarci sulla nuova ora di arrivo della destinazione impostata: “…ti trovi ancora sul percorso più veloce…”
Veloce?! Ma ti sei accorto che siamo fermi in coda?
Vorrei sapere chi è che progetta i navigatori satellitari.
Ci fermiamo nel parcheggio di Laholm, un paesino in cui le casette sembrano coloratissimi prefabbricati (probabilmente Ikea!), A trecento metri dal parcheggio, dove ci sistemiamo per la notte, c’è il centro. Le vie sono per lo più in pavè, come tutta la piazza. C’è una bella fontana in ferro, un supermercato in cui ci infiliamo tanto per passare tempo e vedere i prezzi (convertendoli faticosamente in euro) e le viuzze sono pulitissime, ordinate e piene di fiori cui fanno da sfondo i mattoncini rossi delle case. Delizioso.
Dopo le dovute e consuete bestemmie con la parabola, che pare averci abbandonati definitivamente, arriva la cena, la partita a carte dei cari “vecchi” con i loro amici e con essa il tototramonto: a che ora si farà notte stasera, qui nel sud della Svezia?
Alle undici.
Anzi, a mezzanotte in lontananza c’è ancora un vaghissimo chiarore.

Venerdì, 08 giugno 2012 - km 39462
- da Laholm a Partille
Sotto il solito cielo grigio ma non minaccioso inizia il nostro primo giorno in Svezia. Salta agli occhi come la segnaletica stradale sia simile eppure diversa dalla nostra: i cartelli di pericolo sono a sfondo giallo anziché bianco, come i nostri lavori in corso, e i cartelli che segnalano le curve, anziché bianchi e neri, sono blu e gialli. Come la bandiera svedese.

A pochi metri dal paesino di Lego dove ieri sera ci siamo fermati, c’è Mellbystrand, una delle tante località balneari tra Malmö e Göteborg, dove la costa è prevalentemente sabbiosa e sembra voler invitare la gente nonostante la temperatura in generale non sia, come dire, indicata per fare i bagnanti. In realtà, poi, se la brezza non soffia si sta benissimo: oltrepassiamo le dune ed arriviamo sulla spiaggia, ancora deserta ma work in progress per la stagione balneare. Il tempo di scattare una tra le foto più belle della mia vita, suscitando l’ilarità generale, con un ridicolo cappello alla pescatora coloratissimo, occhiali da sole e costume giallo fluo infilato sopra ai vestiti. Solo per avere lo sfondo del mare.
Ritiriamo corone svedesi al primo bancomat utile per poi farcene succhiare cinquecento ad un self-service che non eroga nemmeno una goccia di carburante. Consuete bestemmie varie (perché un conto sono gli imprevisti, un conto è l’imprevisto fisso giornaliero che a quel punto non è più imprevisto!!) e poi, aiutati da un gentilissimo ciclista italiano lì di passaggio con un amico, ci ricomponiamo e compiliamo un modulo di reclamo, confortati dal fatto che le cose in Svezia (dice lui) funzionano e ci restituiranno i soldi, basta conservare lo scontrino come prova.
Promemoria: mai più distributore self-service. Just in case. Sai com’è.
Ce la prendiamo estremamente comoda oggi. Raggiungiamo il campeggio sprofondato nel verde che il navigatore Tom ci aveva segnalato, bellissimo ma costosa e terribilmente fuori Göteborg, pertanto ci mettiamo un’ora a fare il punto della situazione e decidere di cercare un parcheggio più al centro. Nel frattempo mi aspetto di vedere stambecchi che attraversano le viuzze nei boschi che ci circondano. Cambiamo l’acqua, refiliamo le bottiglie della riserva e inizia a piovigginare, nonostante tutto non fa freddo come mi aspettavo.
14°C in quel di Göteborg, raggiunto all’ora del tè in mezzo al traffico svedese. Giriamo a vuoto per trovare un agognato parcheggio che non ci dissangui al momento di pagare. Indicazioni di autostrade lungo la strada principale, E6, E45, E20… E che cavolo, ma un parcheggio no eh?! Usciamo sconfitti dalla città mentre fuori è il diluvio e fioccano imprecazioni come gocce di pioggia. Wilson è sempre nel posacenere, io sgranocchio crackers e la pioggia non si ferma. La soluzione è a portata di mano: Partille, paesino a 8 chilometri dal centro: domani raggiungeremo Göteborg in treno e la visiteremo in giornata.
I nostri eroi ce la fecero.

Sabato, 09 giugno 2012 - km 39660 
- da Goteborg a Stromstad
Ci svegliamo alla solita alba nel parcheggio della stazione dove ci siamo accampati per la notte. Alle nove meno un quarto siamo già tutti pronti e, a dispetto delle previsioni meteo, il cielo è solo un po’ coperto e l’aria non è quella da tagliare il naso. Vago mezz’ora per un centro paese  deserto alla ricerca disperata di un tabaccaio, un bar o qualcuno che possa darmi informazioni utili su come fare il biglietto del treno, dato che alla stazione non esiste un automatico, fino a raggiungere il terminal dei bus di fronte, dove scopro che… il biglietto si fa a bordo! Beh. Buono a sapersi. Tra noi e la stazione centrale di Göteborg ci sono appena due fermate. Saliamo sul treno, la bigliettaia non ci fila. Facciamo i vaghi, come il nostro Belpaese ci ha insegnato, e arriviamo in stazione centrale senza pagare: piccola soddisfazione personale che compensa la giornata disastrosa di ieri. Usciamo dall’immensa stazione, attraversiamo la strada che costeggia la piazza del municipio e la Borsa e ci dirigiamo verso il porto. Prima, però, capatina in un terribile negozio di caramelle, cioccolate e dolciumi che ci sbatte letteralmente in faccia. Non sarei dovuta entrare: faccio incetta di caramelle gommose al ragionevole prezzo di 79 corone al kg e compro anche uno stampo in silicone per fare i cubetti di ghiaccio a forma di renna. Belli da togliere il fiato. Mi stacco dagli altri nella zona del porto, dove loro prendono l’aquabus, ed io mi avventuro lungo il molo, attraversando una sorta di museo marittimo a cielo aperto e vago un po’, attraversando uno dei tanti spazi verdi in mezzo agli edifici che costeggiano le arterie principali e i ponti sull’unico canale che forma l’anello attorno alla città. Vago davvero senza meta.
A parte Haga, la città vecchia dove tutti i turisti si riversano, dominata dalla Domkirka che svetta in cima alla via principale del quartiere, a parte Inom Vallgraven, un angolo di edifici arroccato in cima a ciò che resta della vecchia fortificazione seicentesca, e a parte il fascino ancestrale dell’acqua sotto i ponti, a parer mio a Göteborg non c’è un’architettura da ammirare. O, almeno, non come altre città che mi è capitato di vedere. Insomma, mi duole ammettere che, a meno che non si entri in qualche museo, nel gigantesco giardino botanico a tre chilometri dal centro o nel parco di divertimenti di Linsberg, a ridosso dell’aeroporto, è una tappa che si può saltare. Non è comunque immensa, si gira bene anche a piedi (anche se i miei ed i loro amici hanno optato per il daily ticket che include tram, bus e aquabus al modico prezzo di 70 corone) e ho persino trovato il tempo di infilarmi nell’area attorno a Kungsgatan, una via tempestata di negozi, tagliata trasversalmente da vie con lo stesso scopo: far spendere soldi alla povera gente.
Riprendiamo il treno poco dopo le cinque, anche stavolta la bigliettaia non ci fila e ci rifacciamo il viaggio di ritorno gratis. Sigaretta nel parcheggio della stazione dove siamo alloggiati, tappa bagno con breve rinfrescata, bucato e la nostra “little Naples” oggi prevede la magliettina con cui sono andata in giro per ore sotto il sole. Chi l’avrebbe mai detto, caldo da sudare nonostante l’arietta fosse fresca e mi costringesse alla sciarpa. Per il maglioncino, troverò uno spazio. Il sole è ancora altissimo benché sia la luce ad essere diversa, mettiamo a caricare pc, fotocamera, i-pod, cellulare e quant’altro e nel frattempo siamo pronti a ripartire. Ci troviamo di fronte ad un’autostrada totalmente sgombra, quasi fantasma, circondata da alberi e rocce che spuntano dalla terra coperte di foglie secche e muschio. Le nuvole macchiano il cielo ma i raggi del sole illuminano il parabrezza del camper mentre raggiungiamo Tanum, paesino nel nulla degli alberi che, ci ha detto Adele, ha un sito preistorico con incisioni rupestri.
Per l'esattezza, qui si trova la più grande roccia piatta della Scandinavia con incisioni rupestri risalenti all'età del bronzo, scoperta nel 1972 durante alcuni lavori di costruzione. Fermiamo il camper nella zona di interesse e cento metri più avanti, lungo il sentiero tra le fronde degli alberi, troviamo i primi affascinanti "scarabocchi" ormai patrimonio dell’Unesco: non avevo mai visto graffiti veri, sono bellini, mi fanno sentire parte del tempo. L'età del bronzo varia a seconda della regione geografica in cui è avvenuta, e qui in Scandinavia è datata tra il XVIII e il VI secolo a.C. Le popolazioni nordiche delle età del bronzo e del ferro erano particolarmente abili nella navigazione e nella costruzione di oggetti in legno, cosa che si riflette nelle scene rappresentate nelle incisioni rupestri in cui spesso si vedono imbarcazioni, mentre altre rappresentano scene di caccia o di agricoltura.
Le dieci di sera e non sentirle. E’ giornissimo e Strömstad, a venti chilometri dal confine norvegese, ci accoglie con una lunga fila di barchette attraccate al porticciolo e il mare che sembra volersi colorare con un tramonto che in realtà non c’è. Ci imbuchiamo in un ampio parcheggio, probabilmente a pagamento durante il giorno (o la notte? Boh. Noi siccome non capiamo, facciamo gli svizzeri), e spegniamo i motori.
La cena e le chiacchiere si protraggono, poi cala la palpebra.
Ma non la notte.

Domenica, 10 giugno 2012 - km 39843
- da Stromstad a Drøbak

Due settimane ormai, e quasi tremila chilometri da quando siamo partiti.
Piove. Ma non le solite quattro gocce, oggi piove proprio a secchi. Da ore. Ce la prendiamo comoda svegliandoci un po’ più tardi (yay!!) e facciamo un punto della situazione: dobbiamo mettere gasolio e cercare assolutamente un Lidl aperto in questa landa desolata prima di oltrepassare il confine norvegese, perché di là la vita è carissima.
Scendiamo per un tour lungo il molo e qualche foto, il paesaggio è bellissimo come sempre anche sotto il cielo pesante di pioggia, che sembra dare una momentanea tregua il tempo di trovare un supermercato aperto ed infilarci per lo stretto indispensabile di spesa. Dopo il pranzo, il primo meeting serio con i compagni di viaggio per programmare il tour della Norvegia. Domani e dopodomani Oslo, poi via via su lungo la costa da Stavanger a Capo Nord passando per i fiordi più profondi e per il punto in cui il Circolo Polare Artico taglia convenzionalmente le terre emerse. E’ una cosa che va fatta per forza. Pianificare gli spostamenti intendo, però a me viene male a contare i giorni che mancano alla fine, benché abbiamo ancora una lunghissima avventura davanti.
Il meeting finisce dopo un’ora di consulto, mentre i raggi del sole tentano invano di infilarsi prepotentemente attraverso i nuvoloni pesanti, lasciamo il grazioso agglomerato di Strömstad per raggiungere Drøbak, venti chilometri a sud della capitale norvegese, prima del fischio di inizio della prima partita dei nostri Azzurri degli europei di calcio, purtroppo finita 1-1 dopo un fugace vantaggio dell’Italia.
I vecchi finiscono la serata con la solita partita a carte.
Internet anche oggi è un’utopia, qui al parcheggio dove passeremo la notte. Notte che poi, anche solo cinquanta chilometri da ieri, sembra sempre più lontana e a mezzanotte è ancora crepuscolo.

Lunedì, 11 giugno 2012 - km 39968
- da Drøbak a Oslo

Trasferimento mattutino ad Oslo. Battendo ogni record di sveglia e colazione, alle dieci siamo già nella capitale norvegese, sistemati in un’area ben attrezzata con vista porto (ci mancherebbe: con 200 corone a notte dovrebbero portarmi anche la colazione a letto!!) e pronti a visitare la città, ma bisogna sottolineare, per amor di cronaca, che eravamo anche relativamente vicini (ti piace vincere facile?...). Dopo aver chiesto un po’ di informazioni in giro, con Adele che si lancia in “excuse-me…” e poi sguinzaglia me a parlare inglese con i passanti, riusciamo a ritirare la moneta locale al bancomat e a fare i biglietti giornalieri (il grazioso ragazzo del distributore di benzina è molto paziente con noi). Con la relativamente modica cifra di 75 corone acquistiamo il daily ticket che ci permette di girare in bus, tram, treno (inaspettata novità del biglietto urbano giornaliero!) e aquabus.
Visitiamo il centro, attraversando la via principale, Karl Johans Gate,  che si snoda dalla Jerbanetorget (la Stazione Centrale) al Castello Reale. La Cattedrale merita una tappa, e proseguendo lungo la via scattiamo foto al Parlamento e ai giardini adiacenti al Castello Reale, per poi scendere lungo l’ampio porto, che scopre l’angolo sul Municipio. Il babbo sostiene che l’architettura squadrata e in mattoni rossi, con l’orologio scarno in dettagli su una delle due torri, ricorda in nostro ventennio fascista, e commenta: “Se un edificio del genere fosse stato in Italia, l’avrebbero già raso al suolo!” Il porto, nemmeno a dirlo, è immenso e fiancheggiato dai giardini della Rådhusplads, e in un lato, in cima ad uno spuntone di roccia, la Fortezza di Akershus, costruita nel 1300. Arriviamo a Bygdøy con l’aquabus per raggiungere il Museo delle navi vichinghe, che però, essendo una grossa delusione (60 corone per tre scafi…. alla fine nessuno entra!) ci lascia con l’amaro di aver camminato una cifra di tempo sotto un sole insolitamente caldo e non aver visto nulla. Prendiamo i bus (almeno quello è subito fuori dal museo) e raggiungiamo Vigelandspark,: in assoluto la parte più bella e più significativa di Oslo, che racchiude le opere dello scultore norvegese Gustav Vigeland, che impiegò ben quarant’anni per realizzarle Esse si snodano lungo un ponte sul canale, fino a raggiungere una scalinata divisa in tre sezioni, e rappresentano le relazioni uomo-donna, il ciclo della vita, i nostri sentimenti e stati d’animo. L’immenso ponte accoglie 58 figure in bronzo a grandezza naturale, e oltre la fontana centrale si erge una scalinata con altre figure, stavolta in granito che descrivono scene di vita, abbracci, carezze, sorrisi. Al centro, il Monolitten, la colonna in granito alta 17 metri ricoperta da 120 figure umane intrecciate in altorilievo.
Qualcosa di meraviglioso,questo straordinario parco all’aperto che merita non solo una visita, ma secondo me anche un intero pomeriggio, data la gran quantità di foto da fare. Anche idiote: infatti io e il vecchio non perdiamo tempo e ci mettiamo ad imitare le posizioni delle figure lungo il ponte, mentre mamma scatta foto soffocando a forza di risate. Inutile dire le reazioni degli altri turisti attorno, perlopiù asiatici...
Abbiamo fatto i cabarettisti del pomeriggio.
Dato che le cose interessanti sono state viste, ne approfittiamo per un bel giro sull’aquabus senza pagare una corona in più: con il nostro biglietto giornaliero andiamo ovunque! Un paio di autobus e raggiungiamo Vippertagen, da dove ci imbarchiamo per gli isolotti vicini.
Il 93 arriva, l’aria di mare alle sette di pomeriggio è decisamente più fresca che durante tutto il giorno. Il panorama è bellissimo, le isole di Bleikøya, Hovedøya e Lindøya, zolle di terra verdeggianti che emergono dal mare scuro, sono adattissime per una giornata di trekking nei sentieri ancora poco battuti. Le casette in legno nascoste tra le fronde degli alberi colorano i boschetti a picco sui porticcioli. E’ natura quasi selvaggia. Il giretto turistico finisce e rientriamo alla base.
Tra morti e feriti sono già le 21.30… ma a chi lo racconta, il sole, che ancora illumina a giorno la città. Tra scaricare l’acqua, una doccia veloce, controllare internet, bestemmiare con la parabola che non funziona, quando ci sediamo a cena sono le dieci passate.
Però, indubbiamente, la giornata è stata molto produttiva.
Mi documento sul libro che mamma ha comprato oggi: la Norvegia sembra una terra davvero stupenda, ha paesaggi che variano dai caldi tramonti sul mare, mitigato dalle correnti equatoriali che arrivano dall’Atlantico, alle fredde ed impervie vette innevate della parte settentrionale, con ghiacciai e rocce che scivolano a picco nei laghi, a volte ghiacciati anche in estate.
Tutta da ammirare, insomma.
Non vedo l’ora di arrivare oltre il Circolo Polare Artico.

Martedì, 12 giugno 2012 - km 40015
- da Oslo ad Haugesund
Tappa di trasferimento.
Dato che siamo riusciti a visitare Oslo in una giornata, stamattina decidiamo di ripartire e guadagnare del tempo, tagliando la “pancia” della Norvegia lungo la E134 in direzione Haugesund, affacciata sul lato opposto alla capitale.
 La traversata prevede 450 chilometri di viaggio, difficilmente fattibile in un giorno, ma va comunque affrontata, quindi intanto partiamo. Lungo la strada ci fermiamo a Notodden per pranzo, con vista molto graziosa su uno dei tanti laghetti, e subito dopo esserci rimessi in marcia, ci sbatte davanti il paesino di Heddal con la sua Stavkirke (in italiano "chiesa a pali portanti), la più grande delle venticinque caratteristiche chiese in legno rimaste in Norvegia. E proprio lì, non si può non fermare il camper! Vista da lontano, questa chiesa medievale (costruita intorno al Duecento) ha l’aria di un cesto di vimini. E’ davvero molto bella, odora di legno di abete, è alta e sfaccettata, come tutte le chiese del genere, che ormai sono quasi musei a cielo aperto.
Il sole picchia ma il vento è freddo e appena sposta le nuvole l’aria si fa pungente. Risaliamo a bordo e inizia la vera avventura che sfiancherà le pasticche dei freni e i nervi del vecchio babbo!
Ogni dieci chilometri, un cartello giallo segnala che Haugesund si avvicina, ma la strada è sempre tanta, e si snoda infilandosi tra il verde dei boschi e le piccole rapide che i torrenti oltre la carreggiata creano incontrando punti rocciosi. Il sole picchia sui laghi circondati dalle montagne verdissime di abeti, tagliate di tanto in tanto da sottili rivoli d’acqua formati dai ghiacciai che sciolgono. Attraversato uno dei tanti tunnel scavati nelle rocce delle montagne, ecco che lo scenario cambia: mi sorprendono le stesse montagne con le cime innevate che però mantengono il verde lungo i pendii che scivolano in acqua, e i torrenti e le rapide corrono ancora paralleli alla strada. Ancora un tunnel, poi d’improvviso gli occhi si spalancano sul bianco più totale, inaspettatamente, ed è tanto bello da lasciarmi a bocca aperta.

Sembra Natale, ma siamo in Norvegia e tutto è possibile, a quota cinquecento metri sul livello del mare. Stiamo svalicando un ghiacciaio: le montagne coperte di neve cadono a picco nelle fessure strappate nella crosta terrestre, nei laghi lunghi appena due o tre chilometri, specchiandosi nei pochi spazi azzurri tra il ghiaccio. Non distinguo più il lago dalla terra, tanto è bianco. Tutto bianco. La strada corre parallela a questo panorama meraviglioso, e ringrazio mio padre che bestemmia per i continui saliscendi della strada, tra valichi di montagna e discese, e dice: “Se avessi saputo che era così, avrei fatto la costa meridionale passando per Kristiansand, a costo di allungarla duecento chilometri!”
Come se non bastasse, scavalcati tutti i valichi e scesi a valle, a ormai un centinaio di chilometri da Haugesund, in prossimità di Skare, all’uscita di un ennesimo tunnel ci troviamo di fronte a Låtefossen, una cascata che cade giù tra le rocce a sinistra, a ridosso della strada, e scivola sotto il ponte dritta nel’insenatura del fiordo sottostante. Ci fermiamo nello spiazzale lì a lato, io sono già a bocca aperta. Il sole gioca a nascondino, scendo dal camper e mi avvicino per sentire il rumore dell’acqua che scroscia, per avere la nebbiolina sul viso. Questo posto è magico.
Credevo che la cosa più bella che avessi mai visto in tutta la mia vita fosse la spiaggia di Gold Rock Beach, Bahamas. Poi ho sorvolato le Montagne Rocciose da Chicago a San Francisco, e vedere il paesaggio cambiare attraverso due ore di fuso orario mi è sembrato qualcosa senza pari. Ma non avrei mai immaginato di vedere un  simile spettacolo attraversando il sud della Norvegia, da costa a costa. Viaggiamo ore ed ore ma direi che ne vale decisamente la pena, e contro i pronostici, riusciamo a raggiungere Haugesundsono le dieci di una cosiddetta “sera”, con il sole ancora alto. In faccia al nostro parcheggio, un gruppo di graziosissime case. Chissà dov’è il porto. Vorrei vedere dove va a nascondersi il sole, ma anche stasera sono circondata da strade ed edifici e non mi va di camminare. Ho comunque idea che in questa bella Norvegia farò tonnellate di foto, più di quante non ne abbia fatte in tutta la mia vita. Mi torna in mente la strada percorsa durante il giorno e tutte le volte in cui ho visto il paesaggio cambiare. E mi chiedo, se già qui è così bello, come può essere su tra i fiordi, quelli "veri"?
Mi spaventa pensare a quanto fiato perderò restando a bocca aperta.

Mercoledì, 13 giugno 2012 - km 40466
- da Haugesund a Bergen
Dopo colazione, io e il babbo raggiungiamo l’ufficio informazioni, nel freddo pungente della cittadina che ha ospitati per la notte e ci accoglie, guarda caso, sotto il cielo piovigginoso. L’idea di raggiungere il famosissimo Lysenfjord e l’altrettanto famoso Preikestolen (il “pulpito”, la roccia di 600 metri a strapiombo nel mare) si rivela fallimentare: troppi chilometri, troppi traghetti, troppo tempo da perdere. Dopo il consulto con i compagni di viaggio e i tentativi (anch’essi fallimentari) di trovare un bancomat che ci permetta di ritirare corone norvegesi, optiamo quindi per tirare verso Bergen, la capitale dei fiordi, certi comunque di trovare, durante questa avventura, altre insenature da esplorare con battelli e passeggiate. Magari meno inflazionate e di certo più economiche. Percorriamo la E39 ed arriviamo all’imbarco traghetto (obbligatorio) per Haljem, sulla punta estrema dell’isolotto in faccia a dove la strada riprende per Bergen. Quasi 600 corone per il passaggio veicolo e passeggeri. 55 corone a cranio. Promemoria: al prossimo traghetto infilarsi nel bagno del camper, per risparmiare, almeno un pedaggio uomo!
Arrivo imbacuccata sul ponte esterno per ammirare il paesaggio norvegese, costituito da mare e fiordi sotto un cielo nebbioso che non accenna a migliorare, ma fa freddo e mi richiudo nel camper dopo dieci minuti. Ci fermiamo per il pranzo subito dopo lo sbarco, in prossimità di un supermercato dove ci facciamo poi spellare un centinaio di corone per pane, yogurt, frutta e gallette di riso. Tra l’altro, degno di nota, siamo costretti a posare i sacchetti di pesche perché 9,90 corone, il prezzo indicato sul cartoncino, non è al chilo, ma al pezzo. Cioè. 1,30€ per una pesca ci sembra un po’ eccessivo.
Scappiamo in direzione Bergen e arriviamo all’ora del tè, ma poi passeranno ore prima di trovare una sistemazione consona e cheap. Sorvoliamo sul pedaggio automatico ogni volta che passiamo sotto ad un ponte o cavalcavia, sorvoliamo sul fatto che usciamo da Bergen dopo dieci minuti e ci dirigiamo alla periferia, sperando di accamparci in qualche parcheggio free, insomma. Dopo cena siamo finalmente sistemati davanti ad un supermercato nei pressi di Nesttun, a pochi chilometri dalla città dei fiordi. Per raggiungerla domani utilizzeremo il "metodo Partille", ovvero andremo in treno o in bus, come già sperimentato a Göteborg.
Nonostante le difficoltà, i nostri eri non si danno per vinti.
Nel frattempo il sole, per farci dispetto, se n’è uscito bel bello alle sei di pomeriggio, dopo la giornata bigia. Che gliene frega di starsene coperto durante il giorno, tanto è sempre lì, dietro le nuvole nere che accompagnano le nostre giornate. Secondo me è perché sa che da queste parti ha tutta la notte da stare a spasso.

Giovedì, 14 giugno 2012 - km 40605
- Bergen &
Stamattina, letteralmente caduti dal letto, ci dirigiamo al Midttun Motell & Camping AS, praticamente nella strada parallela al supermercato di stanotte. Arrivando di prima mattina, sfruttiamo tutte le 230 corone che il posto ci offre, con tanto di docce, wi-fi, elettricità. Economico, defilato e pulito. Il bus  passa a cento metri dal camping, e tre fermate più a valle la Light rail ci porta dritti a Bergen, a Festplassen, un giardino molto semplice ma ben curato, che ospita la fontana di Lille Lungegårdsvann. Da lì, seguendo la Domkirkegate arriviamo al Duomo, che però delude, così come la Koskirke, una traversa più giù. In sé, la città non è grande e si gira bene. Il famoso Frisketorget, il giornaliero mercato del pesce, si apre appena in fondo alla via, ricolmo di turisti perlopiù italiani, tanto che dopo venti minuti mi sono già stufata di stare qui: un conto è sentirne uno o due, sporadici, che fa anche piacere, ma le frotte di italiani chiassosi ammassati su ogni bancarella e negozio, proprio non le sopporto più!  Comunque, a parte il fastidio temporaneo che si protrae tutto il pomeriggio, camminiamo lungo il lato destro del porto, dove si adagia Bryggen, la vera “città vecchia”: è una bomboniera che ha conservato pressoché intatte le case in legno che accoglievano pescatori e marinai sottoforma di bar e locande. Anzi, a giudicare da quanto le case sono sbilenche, viene proprio da chiedersi come possano tenersi ancora in piedi.
Raggiungiamo la Fløibanen, la funicolare di Bergen, che con 80 corone ci permette di ammirare la meravigliosa insenatura del fiordo a oltre 300 metri di quota. Ufficialmente inaugurata nel 1918, la Fløibanen è l'attrazione principale di Bergen e una delle principali di tutta la Norvegia. E non fatichiamo a crederlo, dato il panorama!
Rientriamo in tempo utile per vedere i nostri Azzurri giocare. Anzi, pareggiare contro la Croazia dopo il solito vantaggio iniziale. Se avessi saputo che sarebbe finita così, sarei restata a Bergen più a lungo. Tanto, ormai, è già persa. Prima di cena riesco anche a fare la doccia e lavare capelli, che asciugherò in seguito fuori dal camper, nel chiarore delle dieci di sera. Nel camping c’è persino la lavanderia. Uhuh, che bello: io e mamma ci precipitiamo a fare il bucato (un gettone speciale per a lavatrice e uno per l’asciugatrice ci costano 60 corone… ladri!!), così siamo a posto. Alcune magliette non si asciugano benissimo, ma la nostra “little Naples” non teme confronti!

Venerdì, 15 giugno 2012 - km 40609
- da Bergen a Sogndalfjøra

Grandi pulizie stamattina, e gradissimo lavoro di squadra. Umore buono, oggi, merito anche bel sole ci ha accolti inaspettatamente, già in alto alle sette del mattino, quando i primi occhi (quelli del babbo!) si sono aperti. Abbiamo caricato e scaricato le acque, riempito le bottiglie, passato la scopa e lo straccio. I panni stesi fuori ad asciugare meglio per gli ultimi minuti prima di rimetterci in marcia, attraverso un nuovo panorama da ammirare per almeno tre ore, per raggiungere Flåm e la sua famosa ferrovia. Breve sosta da Rema 1000 (una catena di alimentari in stile Lidl, ma con i prezzi mooooolto meno competitivi) dove io, in astinenza da quasi quarantotto ore, non manco di fare incetta di caramelle gommose rinunciando, comunque, alla cioccolata!
Il sole alto ci offre un panorama ancora più bello. A parte i frequenti tunnel, riesco a scattare foto bellissime dal finestrino lato guida e lato passeggero, appollaiata in posizioni improbabili. Ci fermiamo per il pranzo sotto la bellissima Cascata di Tvinde, dieci chilometri a nord di Voss, circa a metà strada: mi piace questa cosa, trovo bellissimo quando, lungo la strada, ti sbattono davanti queste meraviglie, come moscerini sul parabrezza: non si possono ignorare, non si può rinunciare ad ammirare un simile spettacolo della natura: ci si deve fermare, spegnere il motore ed abbassare la testa di fronte a tanti miracoli che prendono vita attorno a noi. Ed eccolo qui, il miracolo dell’acqua che scroscia fragorosa rimbalzando sulle rocce a terrazza: inutile dire che ne approfittiamo per tonnellate di foto. Riusciamo finalmente a raggiungere la meta prima della partenza del treno delle 16. Il biglietto a/r costa 360 corone e crediamo, con tale cifra, di aver diritto ad agevolazioni quali massaggi, sauna, cioccolatini di benvenuto e bevande gentilmente offerte dal comune di Flåm. L’unica cosa che invece la ferrovia di 20 chilometri ci offre è un panorama stupendo e variegato, ammirabile da entrambi i lati del treno. I braccetti del Sognefjorden che si insinuano tra le montagne, i tunnel scavati nelle rocce e quasi novecento metri di dislivello tra il paesino di Flåm e Myrdal, l’arrivo. Cascate imponenti, che a quelle del Niagara hanno solo la portata da invidiare. E tanti, tantissimi asiatici nella Flåmsbana con noi. Peggio degli italiani di ieri. Ma noi, malgrado non ci siano bibite e cioccolatini di benvenuto, ci accontentiamo, dato che è per questo che siamo arrivati qui.
Il viaggio, tra andata e ritorno, dura almeno due ore, e una volta scesi di nuovo a valle optiamo per avvicinarci all’ultimo imbarco sul braccino estremo del Sognenfjorden per raggiungere (un giorno!) Molde. Avevamo previsto uno stop ad Ålesund ma sembrerebbe scomodissimo arrivarci poiché il percorso più breve prevede due o tre traghetti, quindi abbiamo optato per questa cittadina poco più a nord, raggiungibile tra l’altro attraverso un bel percorso panoramico patrimonio dell’Unesco. Beh, non mi sorprende che lo sia: l’Unesco, ormai, raccoglie tutto e lo acquisisce di diritto come “patrimonio”.
Un giorno renderà suo patrimonio anche la mia macchina lilla.
Sorpassiamo il Laedarstunnel, il tunnel più lungo del mondo (così dicono), che raggiunge ben 25 chilometri di lunghezza. E’ talmente lungo che entriamo con il sole costeggiando il fiordo ed usciamo in mezzo alla campagna con le nuvole. L’ultimo tratto della E5 ci porta a Fodsen, ovvero in bocca al traghetto. Ci imbarchiamo, ma prima, come da programma, mi chiudo nel  bagnetto così i passeggeri risultano solo due, e faccio risparmiare alla comunità ben 28 corone. Buttale via.
Appena sbarcati ci attende un tunnel e poi Sogndalfjøra, dove finalmente ci spegniamo il quadro con vista mare su fiordo approssimata. Sono le nove.
Ma vale la pena dire che ore sono? Ormai qui il sole non va più a dormire.
Noi invece, prima o poi ci andremo.

Sabato, 16 giugno 2012 - km 40838
- da 
Sogndalfjøra ad Åndalsnes 

La pioggia ci sveglia. L’umore va in down in breve, e nemmeno i cartoni animati aiutano. Lasciamo Sogndalfjørasotto il cielo grigio piombo con le cime delle montagne avvolte nelle nuvole e nella nebbia, e tiriamo verso nord. Giornata immersa nella natura: secondo i nostri brogliacci, dépliants, guide turistiche e mappe, la strada che ci accingiamo a percorrere si sviluppa, come già preannunciato, lungo un interessantissimo percorso turistico, itinerante ed avventuroso. La prima tappa è il parco nazionale di Jostedalsbreen che circonda uno dei ghiacciai più grandi della Norvegia, anche se in realtà ne costeggiamo solo il lato esterno e ci fermiamo in prossimità della lingua di ghiaccio di Bøyabreen per ammirare la potenza del freddo glaciale, che da queste parti sembra fare bene il suo lavoro. Arrivati poco dopo in prossimità di Byrkjelo e Utvik, punti assai panoramici da cui scattare belle foto è semplicissimo, mi rendo conto di quanto costeggiare i fiordi sia affascinante.
La strada corre lungo il fondo valle, coperta ai lati da fiori sui toni del lilla e adagiata proprio al lato di un braccetto del Nordfjord che si restringe poi quando diventa E63. Ci fermiamo a Loen, sulla riva del fiordo, dove il sole illumina e riscalda il nostro pranzo, ancora ignari di quanto questi 200 chilometri per raggiungere Åndalsnes saranno eterni. La strada inizia a salire in prossimità della deviazione sulla E63, arrampicandosi lungo la montagna in un minuetto di curve e tunnel chilometrici. A Geiranger, uno dei punti più panoramici della statale, attraversiamo dapprima i laghi ghiacciati racchiusi tra le montagne completamente bianche e poi ci fermiamo per fare le foto con la neve più alta di noi ai lati della strada.
  Sembra un miracolo, l’asfalto completamente pulito ed asciutto incanalato tra due lati di rocce coperte di neve tagliata con la fresa per far spazio alle macchine che passano.
Riscendendo a valle, il panorama da Flydalsjuvet scopre il Geirangerfjorden, il ramo all’estremo sud dello Storfjorden che bagna Ålesund, ed una ringhiera appositamente costruita permette di ammirare lo spettacolo. Pochi chilometri a fondo valle, e di nuovo la strada risale ripida ed impervia, prendendo il nome di Ørnevegen, la “strada delle aquile”. Tra le bestemmie di papà ed i miei occhi spalancati sullo spettacolo che questa terra mi offre, scendiamo di nuovo a valle e raggiungiamo Eidsdal, dove ci imbarchiamo per attraversare il Norddalsfjorden e raggiungere Valldal, risalendo poi la Trollstigen, la “strada dei troll”. Questa strada turistica nazionale, ovviamente patrimonio dell'UNESCO, è lunga oltre cento chilometri totali ed attraversa il meglio della natura della Norvegia occidentale, con una vista vertiginosa su ripide montagne, cascate, fiordi profondi e fertili vallate. Generalmente è chiusa da fine autunno a primavera, dato il rigido clima invernale con abbondanti nevicate. Raggiungiamo il punto più alto, credo intorno ai mille metri di quota.
Trollstigen
Fermiamo il camper in prossimità di uno spiazzale chiaramente posticcio, un belvedere costruito per attirare turisti, e poco distante si erge la piattaforma in legno sulla roccia da cui si ammira il salto della cascata nella valle profondissima. Lo scroscio dell’acqua è fortissimo, il freddo e l’umidità della neve attorno entrano nelle ossa. Ed ecco che la strada dei troll si apre sotto i miei occhi: undici tornanti a gomito, che fanno risprofondare il percorso zigzagando fino a valle per l’ultima volta. Vista da quassù, questa strada toglie il respiro. Beh, in effetti toglie il respiro anche standoci su, quando papà e Raniero, uno dietro l’altro con i camper, pochi minuti dopo sono costretti a percorrerla!
Åndalsnes è un paesino nuovo, con una ferrovia di testa.
L’area in cui finalmente ci fermiamo è bellissima, con vista sul porticciolo e rumore della fontana proprio dietro di noi. Incredibilmente gratis e con connessione internet free gentilmente offerta dalla libreria poco distante.
Degna conclusione di una giornata così emozionante.
I miei giocano a carte con gli altri mentre io controllo Facebook, le foto e la posta, poi arriva il momento della nanna. Il crepuscolo si protrae, il resto del mondo dorme ed io resto sveglia a vedere quando il sole inizia a risalire. Sono le due di notte, o del mattino, a seconda dei punti di vista, quando il cielo sembra rischiararsi di nuovo.

Domenica, 17 giugno 2012 - km 41139
- da Åndalsnes a Kristiansund

Ci svegliamo con le solite nuvole sopra la testa e, dopo colazione e faccende domestiche, facciamo un breve giro del paesino. Ritiriamo i soldi allo sportello che sembra più clemente con noi e non ci invalida le carte, ricarichiamo e scarichiamo le acquette e siamo pronti per Molde. Costeggiamo il Romsdalfjorden fino al momento dell’imbarco. Venti chilometri di viaggio su strada, un ponte, un tunnel sottomarino ed arriviamo nella città delle rose in tempo utile per il pranzo, consumato nel primo parcheggio utile dove lasciamo il camper qualche ora, il tempo di un giro della città, come fu per la tedesca Lubecca.
Il paese non ha molto da offrire, tranne un viale in fiore, uno specchietto foderato in pelle chiara assai carino che qualcuno ha probabilmente buttato via ed un bel pallone di cuoio che trovo al porto, tra gli scogli (e porteremo con noi in diversi viaggi a venire). Il sole splende tra le nuvole pesanti e si fa sentire, tanto che risaliamo in camper, dopo appena un’oretta, con l’ascelletta felice. L’Interfaccia di navigazione (mamma), aiutata dalla Filippina (io), imposta a Tom il percorso della strada statale 64 verso l’Atlanterhavsveien, la “strada dell’Atlantico”. Il Driver (ovviamente il babbo) parte, e Raniero e Adele seguono a ruota.
L’Atlanterhavsveien è segnalata come strada turistica nazionale e si srotola dritta lungo gruppetti di isole inserite in uno scenario agreste costellato di casette in legno verniciate di rosso, barchette di pescatori attraccate alle rocce e campi con bovini ed equini vari, fino a lanciarsi lungo la serie di ponti famosissimi delle pubblicità delle auto.
 
Vedere per credere. Il sole aiuta la nostra giornata e noi ce la prendiamo comoda, ci fermiamo ad ogni piazzola di sosta a scattare foto panoramiche: è uno spettacolo. Nell’isoletta di Averøya, prima di raggiungere l’arcipelago delle tre isolette di Kristiansund, ci fermiamo per riempire il serbatoio con il gasolio all’ottimo prezzo di 12,40 nok al litro, e finalmente raggiungiamo il parcheggio del porto cittadino giusto in tempo per l’ora di cena.
Poco più tardi, scendo dal camper per digerire e cammino lungo il  molo. Come mi piacciono le barche colorate che si riflettono nell’acqua ferma e odorano ancora di vernice, e che carine le casette che si stagliano sullo sfondo dell’isola di fronte. Tutte ordinate, con colori pastello e tetti rossi. Casette nuove, non a caso Kristiansund è stata ricostruita dopo la guerra e non assomiglia affatto alle altre cittadine. Proprio come Molde, o come il paesino che ci ha svegliati stamattina.
 
Pioviggina. Torno all’ovile e lascio le scarpe da tennis fuori dal camper.
E’ ora di mettersi a dormire.

Lunedì, 18 giugno 2012 - km 41311
- da Kristiansund a Trondheim
Tre settimane da quando siamo partiti.
Due anni fa, dopo tre settimane insieme in Normandia, tornavamo già a casa. Sono felice, oggi, di sapere che abbiamo almeno altre tre settimane da passare insieme in viaggio, io e i vecchi, nonostante ogni giorno ci si svegli prestissimo! Addirittura, stamattina risparmiamo una ventina di minti sulla tabella di marcia e alle nove siamo già dall’altro lato di Kristiansund, traghettati e pronti ad affrontare i duecento chilometri che ci separano da Trondheim, la terza città della Norvegia, nonché prima capitale. Imbocchiamo una strada statale anziché la E39, convinti di evitare alcuni toll (pedaggi), ma alla fine ci tocca constatare che qui aggirare i pedaggi “ove segnalati” è impossibile.
Costeggiamo le insenature del mare, attraversiamo isole e ponti futuristici non più lunghi di qualche centinaio di metri. Pioviggina e l’aria è decisamente più fredda: si sente che sono “solo” 1800 chilometri che ci separano dall’estremo nord del mondo. Metto uno strato in più addosso e il babbo accende il riscaldamento, almeno per i piedini ai posti di guida e passeggero. Appena esce il sole la temperatura cambia e persino le mie ossa sembrano accorgersene dal primo istante. Perché in realtà il sole picchia, e quando c’è riscalda, ma appena si copre con le nuvole o si alza la brezza gelida non basta più.
Tra l’altro, illusi noi a voler evitare i pedaggi, l’ultimo tratto della E39 per Trondheim è un continuo automatic toll, in cui praticamente non ci si ferma allo sportello per pagare come sulle nostre autostrade, ma una videocamera registra tramite foto il veicolo, e in seguito si riceve una sorta di conto a casa, per posta. Arriviamo in città e fermiamo il camper nel parcheggio del supermercato, dove ne approfittiamo per comprare pane e caramelle, e quando usciamo dal Centro commerciale il sole è di nuovo fuori. Questi cambi repentini di temperatura e tempo mi mandano ai pazzi, non so mai come vestirmi!
Promemoria: “onion” forever.
Dopo pranzo e lo smarrimento iniziale per acquistare i biglietti del bus, arriviamo dalla periferia dove siamo al centro città. Da subito si ha l’impressione che questa cittadina sia effettivamente una città, ma a misura d’uomo, piccolina, raccolta. Nonostante mi procuri immediatamente una piantina all’ufficio turistico mi rendo conto che dopo mezz’ora ho già capito dove sono, e che le vie principali del centro sono due o tre.
Passando davanti al Kunstindustrimuseum e al Rådhus, arriviamo all’imponente Nidarosdome, la cattedrale più a nord del mondo, un capolavoro di arte gotica iniziato attorno al 1070, che svetta, con il suo campanile alto quasi cento metri, al centro di un ampio cortile, dove tra l’altro è situato anche l’Erkebispegarden, il Palazzo arcivescovile. Girarla tutta intorno occupa del tempo, e la facciata principale, con il gigantesco rosone centrale e le due torri è uno spettacolo. Reduci da due giorni immersi nella natura, lungo le tortuose strade dei fiordi, tra i saliscendi dei ghiacciai, le cascate e le valli verdissime, è piacevole restare senza fiato di fronte a questa meraviglia, che è di certo una delle cose più belle che abbia visto durante questo viaggio. Almeno a livello di architettura, intendo, dato che poi, paesaggisticamente, credo che i miei occhi siano già arrivati dove le parole si sono fermate. Un breve giro del centro, uno sguardo alla Vår Frue Kirke, la Chiesa di nostra Signora (anche se purtroppo è chiusa), alla Biblioteca, e mi butto su Kiøpmansgata per qualche foto alle Bryggene, le tipiche casette di legno colorate, appiccicate le une alle altre, un po’ come lungo Nyhavn a Copenhagen o il Bryggen di Bergen.
Queste però sono su palafitte, e sono più belle. Si conservano intatte dal Settecento e rispecchiano nell’acqua del Niedelven con i loro colori, aiutate anche dal fiume abbastanza fermo e dalla luce del sole. Le prime gocce di pioggia, mezz’oretta più tardi, ci avvisano che il tempo peggiorerà di nuovo, così ci infiliamo sull’autobus e rientriamo alla base. Sintonizziamo la parabola per la partita dei nostri Azzurri contro l’Irlanda, della serie  o passiamo il primo turno, o stasera ci mandano a casa, e dopo cena inizia il tifo. La partita sembra più una partita da oratorio che non una partita degli Europei di calcio, ma la nostra buona stella ci assiste e ci intrufoliamo ai quarti di finale.
E ancora piove.

Martedì, 19 giugno 2012 - km 41525
- da Trondheim a Mosjøen 
Ha piovuto tutta la notte, non ha smesso mai. Avevamo ancora i 24h tickets per gli autobus di Trondheim e volevamo andare alla Cattedrale a sentire il concerto d’organo alle ore 13, e non mi sarebbe dispiaciuto vedere il Gamle Bybro, il ponte vecchio in legno sulle Bryggen, che ieri ho perso, ma con questo tempo va ovviamente tutto a rotoli e decidiamo di iniziare direttamente in mattinata il lungo viaggio della E6, tra la vegetazione scarsa e la Tundra, oltre il Circolo Polare Artico per raggiungere Bodø e, si spera, imbarcarci per le isole Lofoten.
Ci metteremo almeno due giorni.
La giornata è una delle peggiori che abbiamo incontrato da tre settimane a questa parte, e il tempo può solo che peggiorare: piove e fa freddo, il termometro interno segna 14° e deduco che fuori non siano più di 11°. Ieri all’ufficio turistico di Trondheim ci siamo riforniti di brochures e dépliants del nord del paese e per 30 corone ho finalmente acquistato una mappa quasi scala 1:1 della Norvegia, decidendo che segnerò tutto l’itinerario che percorreremo fino a Capo Nord (con un evidenziatore mini su gentile concessione di Adele), almeno mi tengo occupata durante il viaggio, che si preannuncia lungo e noioso. Il cielo triste e la pioggia incessante spengono i colori del paesaggio e spengono il mare. Mi chiedo se, da adesso in poi, riusciremo a rivedere il sole. La strada scorre, è larga e abbastanza dritta, ma la pioggia è terribilmente avvilente e purtroppo nel tardo pomeriggio la situazione ancora non è ancora migliorata. In tutto il giorno riusciamo a fatica a percorrere 350 chilometri e arriviamo a Mosjøen, ma solo per il pernottamento. Nel frattempo l’Inghilterra batte l’Ucraina e si qualifica ai quarti degli Europei di calcio per sfidare gli Azzurri domenica prossima, la pioggia non smette e si alza anche il vento. E a 150 chilometri dal Circolo Polare Artico, il chiarore è diverso rispetto a Bergen e a Trondheim.
Speriamo che domani il tempo sia migliore e clemente. Comunque, con i cambi di “umore” a cui questo paese mi ha abituata, non mi sorprenderei se il cielo fosse, improvvisamente, sereno.

Mercoledì, 20 giugno 2012 - km 41920
da Mosjøen a Bodø
Da qualche giorno a questa parte sembra quasi che il tempo abbia iniziato a correre più veloce. Sarà la consapevolezza che una volta arrivati a Capo Nord, benché ci siano le Lofoten in mezzo, il viaggio già si ripiegherà su se stesso. E forse non ho poi così tanta voglia di tornare a casa.
Peccato che anche oggi, contrariamente alle mie speranze di ieri sera, il tempo non ci assista: il cielo è completamente coperto e  c’è nebbia attorno alle montagne, la pioggerellina stupida che non bagna si appoggia sul parabrezza del camper e noi, ricaricati di acqua a Mosjøen, ci dirigiamo a Mo i Rana per la ricarica del gas delle bombole (operazione per cui perdiamo l’intera mattinata, nonché 200 corone – praticamente un furto. Indispensabile ma pur sempre furto). Nel frattempo, grazie a connessioni volanti, trovo un sito meteo davvero ben dettagliato e con una grafica curatissima (qui) in cui si sostiene che da domani il tempo dovrebbe migliorare. Mah, speriamo. Fatto sta che non riusciamo a raggiungere il Circolo Polare Artico per l’ora di pranzo, come avremmo voluto. Casca a fagiolo, comunque, l’arrivo alle quattro di pomeriggio perché almeno ha smesso di piovere.

Avrei preferito il sole per questo evento irripetibile, ma bisogna accontentarsi, dato che già il paesaggio è desolante: questo famoso parallelo a 66° nord di latitudine sbuca dalla nebbia, circondato dal nulla, vegetazione radissima, neve ai lati del parcheggio pieno di bus turistici e camper (dove ovviamente è stato costruito il negozio di souvenirs), freddo polare (giustamente!) e montagne innevate attorno. E’ quasi intimo, il suo apparire in punta di piedi nella neve, e l’emozione di esserci e scattare foto ci scalda e ci rende comunque felici. Nel negozio di souvenirs mi innamoro di tutto, da brava turista, ma alla fine decido di non comprare niente, nemmeno la tazza che dice “I have crossed the Artic Circle”. So già che lo rimpiangerò: di qui ci passerò una volta e mai più.
Riprendiamo la marcia verso Bodø, dove arriviamo, arrancando, alle nove di sera.
Summit decisionale su come organizzare la giornata di domani, resa problematica dalla difficoltà di trovare una stazione di rifornimento per riempire le bombole del gas di Raniero, e intanto la segreta speranza che il tempo ci assista. Io, personalmente, spero solo che mi assista la temperatura: sopra al Circolo Polare Artico dubito che l’aria notturna sia gentile.

Giovedì, 21 giugno 2012 - km 42270
- da Bodø a Å (Lofoten)
Ci svegliamo nel parcheggio dell’ennesimo Rema 1000 dove abbiamo stazionato ieri sera, quindi la prima tappa prevede l’acquisto del pane e dei croissants salati. Perdiamo la mattinata alla ricerca di una stazione di servizio in grado di effettuare il lavoro di ricarico bombole finché non troviamo, dopo esserci sballottati da un posto all’altro, mr Stein, il simpatico (ed intelligentissimo) gestore di un’officina specializzata nel refill in propano, che dovrà modificare l’adattatore di papà per riempire le bombole di Raniero.
Nel frattempo passiamo all’imbarco dell’Hurtigruten per vedere prezzi ed orari delle tratte dei traghetti da Bodø alle Lofoten, e quasi ci prende un colpo quando vediamo che per traghettare un veicolo di lunghezza da 6,1 a 7 metri (come i nostri camper) sono 1444 corone norvegesi, più del doppio rispetto al prezzo che pagherebbe un veicolo lungo fino a 6 metri. Appurando che è un furto, Raniero e il babbo optano per il tentativo “tonno” (tipo dichiarare una lunghezza forfettaria!). Tornati all’officina, riprendiamo la bombola riempita ed entrambi i Drivers sono soddisfattissimi: Raniero perché ha la bombola piena, e papà perché ha trovato finalmente una persona competente in materia, dato che finora non avevamo avuto riscontri.
Per amor di cronaca, il tempo ancora non è migliorato.
Dopo il pranzo arriviamo all’imbarco e ci mettiamo in fila: il ferry per Moskenes parte alle tre di pomeriggio. Purtroppo, non sapendo che i biglietti vengono sì rilasciati durante la fila, ma se prenoti prima hai l’ovvia precedenza, perdiamo il traghetto e dobbiamo attendere quello delle sette. Insomma, praticamente una giornata persa!
Nel frattempo, come previsto dal sito meteo norvegese, il cielo si è finalmente schiarito dopo giorni di pioggia uggiosa e i miei ammazzano il tempo giocando a carte con Raniero e Adele in camper in fila all’imbarco. Per la cronaca, alla fine il tentativo “tonno” non funziona. Sbarchiamo alle 22.30, le Lofoten sono nostre.
La prima cosa che i miei occhi vedono, è il cielo azzurro chiaro, con le nuvole dal contorno rosa, a mezz’aria sul mare che circonda le coste rocciose, e i rorbu, le graziose casette di legno colorate, che fanno da cornice. Ci lasciamo il ferry alle spalle: sembra così ingombrante e fuori luogo, nel piccolo porto di Moskenes. Percorriamo quattro o cinque chilometri, e lungo la strada c’è il paesaggio proprio come nei racconti dei camperisti passati di qui prima di noi, proprio come nelle foto che avevo visto: le casette rosse, le spiaggette di sabbia inspiegabilmente chiara, le barche ed il mare, talmente fermo che mi chiedo da dove siamo arrivati noi, con tutti quegli sballottamenti. Dal lato opposto, le montagne innevate. E’ uno spettacolo. Arriviamo nel parcheggio (gratuito e pieno di camper) del museo dello stoccafisso, ad Å, primo paesino della strada E10 che taglia le isole Lofoten da sud a nord fino a ricongiungersi con la terraferma in prossimità di Narvik.
Fuori è giorno. Proprio giorno, giorno completo. E’ mezzanotte passata, ovviamente le nuvolette all’orizzonte coprono il famoso tramonto “che non c’è”, ma quando mi infilo a letto, una mezz’oretta più tardi, posso assicurare che la luce sembra già diventare più chiara. Il sole è tramontato e sta sorgendo di nuovo.

Venerdì, 22 giugno 2012 - km 42305
- Lofoten
Il sole mi sveglia alle sette. E’ talmente alto che potrebbe sembrare mezzogiorno, fa venire voglia di vivere dopo tutta la pioggia dei giorni scorsi. La nostra avventura alle Lofoten inizia da qui, Å, primo gioiellino delle isole, partendo da sud, ma ultimo se si guarda la cartina da nord. Il suo nome, in norvegese, si pronuncia infatti "u", come l'ultima lettera dell'alfabeto.
Il parcheggio è circondato da pendii rocciosi da un lato e mare dall’altro e noi ci avventuriamo tra le case di legno scattando foto. Giriamo attorno ai cinquecento metri di paesino, passando davanti al museo del villaggio della pesca norvegese, il museo dello stoccafisso e infine il Rorbuer & Brygga Restaurant, una sorta di residence con le caratteristiche casette dei pescatori, che circonda il molo con gli stoccafissi stesi al sole.
 Il nostro viaggio riprende pigro e senza fretta, vogliamo proprio gustarcele, queste isole, soprattutto visto che la giornata sembra soleggiata. Il prossimo agglomerato di case che incontriamo lungo la strada è Reine, un piccolo porto di pescatori, nonché uno dei luoghi più famosi delle isole per il suggestivo scenario della sua posizione ai piedi di ripide scogliere.
Tanto per capirci, se cercate foto delle Isole Lofoten, sappiate che i panorami che vedrete nei risultati di ricerca sono proprio quelli di Reine! 
Lungo la E10, interessante e molto panoramica, ci buttiamo fuori dal finestrino per fotografare i pendii verdi delle montagne e gli spuntoni grigi delle rocce più alte che si susseguono lungo l’oceano, in auesto paesaggio armonioso che cambia colore a seconda delle luci e ombre date dal sole. Ci imbuchiamo in ogni villaggio ed agglomerato di case per fotografare gli “orti” sui tetti, come li abbiamo chiamati noi. I tetti verdi nelle zone scandinave sono una tradizione radicata: da centinaia di anni, le case vengono costruite con queste splendide coperture ricche di manto erboso, e a volte addirittura arbusti e piante di ogni , ma all’indomani della rivoluzione industriale apparvero i primi tetti di tegole, dapprima nelle città e poi sulle case rurali. L'avvento di nuovi materiali edili minacciò questa gloriosa tradizione, che fu di fatto "miracolosamente" salvata sull'orlo dell'estinzione, proclamando un vero e proprio revival delle tradizioni vernacolari. I tradizionali tetti verdi sono riusciti a riapparire ponendosi come alternativa ai materiali moderni, e ce n’è per tutti i gusti: alcune abitazioni ospitano un semplice tappeto d’erba, altre frumento o avena, oppure piccoli alberi e fiori.
Un paesaggio senza pari, tanto che dopo solo poche ore già nessuno rimpiange le quasi 1700 corone spese per il ferry dalla terraferma alle Lofoten! Grazie ad un opuscolo documentativo preso al primo ufficio turistico, scopro il progetto Skulpturlandkap, (“Paesaggio di sculture”), un progetto internazionale con lo scopo di dare ai luoghi una personalità particolare rendendoli più attraenti grazie ad opere di artisti provenienti da vari paesi. Cinque comuni delle Lofoten hanno aderito all’iniziativa, e come in una caccia al tesoro decido di seguire l’itinerario della strada turistica nazionale alla ricerca delle sculture. Con immenso disappunto, scopro che una delle opere si trova nell’isola di Røst, minuscola zolla di terra a sud delle Lofoten, praticamente irraggiungibile, e la seconda opera è già passata lungo la strada e non abbiamo idea di dove sia.
 
Nel frattempo, in pochi chilometri saltiamo dai prati verdi alle coste paludose fino a Ramberg, paesino affacciato su una spiaggia di sabbia bianca, dove non manco di arrotolarmi i pantaloni ed inventare qualche pagliacciata delle mie, infilando i piedi nell’acqua (che tra l’altro, inaspettatamente, non è fredda come la immaginavo). Il cielo si schiarisce via via, il sole riscalda: con una giornata del genere, non si direbbe di stare sopra il Circolo Polare Artico di almeno duecento chilometri. Ancora un paio di spiagge, ancora soste e foto. Questa giornata dovrebbe non finire mai. Scendiamo al bivio con Skjelfjord per cercare l’Epitaph, terza opera del progetto Skulpturlandskap, ma in effetti delude un po’ questo cilindro in pietra naturale del diametro di otto metri che rappresenta il concetto del tempo secondo una forma circolare. Mzè. Artisti giapponesi.

Poco più avanti, decidiamo un’altra deviazione per Nusfjord, uno dei più antichi villaggi di pescatori, nonché uno quelli conservati meglio.
Possiamo ammirarlo dal parcheggio che lo sovrasta, è una delizia di paesino: i rorbu gialli e rossi tutti attorno al molo, su palafitte che si riflettono, come le coloratissime barchette, nell’acqua turchese, i pali con gli stoccafissi ad asciugare, l’acqua del mare che si apre in fondo alla fila di casette: tutto sembra strappato ad un dipinto ad olio dell’Ottocento. E poi, questi colori così violenti e contrastanti. Niente viene lasciato al caso, in queste isole, nessun colore è sbiadito. I colori, qui, ci sono o non ci sono. Le montagne verdissime, le spiagge bianchissime ed il mare celeste che diventa blu appena la luce sbatte dall’altra parte. E casette sparse un po’ ovunque che sembrano un plastico.
Secondo me è la luce artica che migliora i colori.
Arriviamo a Leknes (ribattezzato simpaticamente “lecca leknes”) e ci fermiamo, dopo la spesa, a cena nel parcheggio del Rema 1000, di cui ormai siamo affezionatissimi clienti. Durante la partita Germania-Grecia, in cui i tedeschi stanno massacrando la squadra avversaria, Raniero propone un tour serale, magari spostandoci dove si può vedere il sole di mezzanotte, dato che il cielo è sereno. Arriviamo quindi in prossimità di Haukland, una bella spiaggia bianca che però rimane coperta dalla montagna dietro la quale il sole fa finta di andare a dormire, ed attraversiamo così il tunnel per sbucare su Uttakleiv, sull’altro lato, dove orde di camper, macchine, turisti, autoctoni, pecore e gabbiani sono in prima fila come al cinema, pronti per ammirare lo show. Che dire, la vista è stupenda e basta: oltre il parcheggio del prato c’è una spiaggia bianchissima piena di ciottoli e scogli levigatissimi, ed il sole è lì a mezz’aria a farsi i fatti suoi, illuminando il mare che si increspa appena, ignaro della gente attorno.

Gruppi di ragazzi giocano a beach volley sulla riva, spiccioli di gente con reflex professionali e cavalletti cercano di prendere la luce dal punto migliore. Noi e gli altri ci prendiamo il nostro angolino, anche se a pochi minuti dalla mezzanotte arrivo sulla riva anche io e mi cerco il mio ciottolone da dove catturare i raggi di sole last-minute. Che poi, in realtà, è una specie di tramonto fasullo, dato che il sole non scivola giù, non si nasconde, non diventa rosso. Niente. La differenza è che è mezzanotte e sembrano le otto di sera. Mi viene in mente Ligabue che, in una sua canzone, dice “un tramonto che è come un mattino”: dopo mezzanotte il sole inizierà infatti a risalire, percorrendo la strada all’indietro, per riposizionarsi ad est, dove sorgerà di nuovo per iniziare ufficialmente un altro giorno.
Nonostante tutto, bisogna ammetterlo, i colori restano straordinari, e anche il controluce nelle foto appare diverso, quasi più nitido.
Tra una chiacchiera e l’altra, stabiliamo che è ora di andare a dormire, sperando che il sole domani decida di restare com’è stasera: tiepido e brillante nel cielo senza nuvole.

Sabato, 23 giugno 2012 - km 42443
- Lofoten
Anche oggi mi sveglio prima di tutti, nonostante sia tardissimo (sono quasi le nove!).  Salto giù dal letto felicissima dopo aver aperto l’oblò sul tetto ed essermi accorta che non c’è una nuvola in cielo. Se resta così, si prospetta davvero una bellissima giornata. Riprendiamo il nostro viaggio lungo l’itinerante E10 e ci dirigiamo verso Eggum, ad ovest della strada principale, dove dovremmo incontrare la quarta scultura dello Skulpturlandskap, anche se in realtà c’è un chilometro di percorso nel verde prima di raggiungere quello che per tutto il tempo abbiamo chiamato “il faccione”, ovvero "The Head", la scultura realizzata da Markus Raetz: una testa in pietra a grandezza poco più che naturale, su una colonna in granito. La sua particolarità è che si capovolge mentre ci si muove muoviamo intorno alla scultura. È impossibile percepire esattamente quando la testa passa da verticale a improvvisamente capovolta. Probabilmente, comunque, non sarebbe stata nemmeno così affascinante, se non fosse stata inserita in un contesto paesaggistico come questo.
Proseguiamo la nostra E10 dopo il pranzo e, tra un ponte e l’altro, ci intrufoliamo lungo stradine sterrate per costeggiare l’isolotto di Gimsøy, il più piccolo delle cinque isole principali delle Lofoten, e giriamo attorno ad Hoven, uno spuntone di montagna triangolare ammirabile da qualunque punto dell’isolotto.
Ogni giorno mi sorprendo di più ad ammirare il paesaggio di questa terra. Paesaggisticamente, la Norvegia è davvero unica. Attraverso il Gimsøystraumbrua riprendiamo la strada principale e seguiamo la costa meridionale dell’isola di Austvågoy, con Lyngvær come prima sosta, anche se fatichiamo un po’ per trovare l’opera dello Skulpturlandskap. A fianco al vecchio imbarco del paesino, proprio a ridosso della strada, c’è uno slargo quasi invisibile tra le fronde degli alberi, e lì sotto, abbarbicato su una roccia, c’è un padiglione di acciaio e specchi di tre metri: Uten Tittel (ovvero "senza titolo"). E' qui che lo scultore Dan Graham ha voluto mettere in luce il ruolo dello spettatore nel suo incontro con l'arte moderna. Attraverso i pannelli, lo spettatore viene a conoscenza sia della sua posizione fisica che della relazione tra questa e la natura circostante. Molto grazioso: è bello vedere come da qualsiasi lato si guardi, gli specchi riflettono la magnifica natura intorno.

Proseguiamo per Svolvær, capitale della divisione amministrativa dell’arcipelago, e puntiamo ad un giro turistico in camper, dato che posti per fermarci non ce ne sono. La città è sbriciolata su diversi isolotti appena accennati, poco più grandi di boe. Uno di questi, Svinoya, si snoda lungo un molo in legno al di là del ponte che lo collega al centro città, e credo sia la parte più caratteristica: i rorbuer  (plurale di “rorbu”, le casette dei pescatori) si susseguono sul molo e attorno allo spiazzale principale, le barchette attraccate alle palafitte su cui i rorbuer ed il molo si reggono ricordano Reine, uno dei primi grossi centri di pesca che abbiamo visto ieri lasciando Å dietro di noi, bello quasi quanto Nusfjord. Da Svinoya torniamo su in centro verso Lamholmen, la piazza su un isolotto largo forse una cinquantina di metri, collegato da un ponticello graziosissimo. Un parcheggio con trenta posti in tutto, casette in legno tutte attorno: una bomboniera che meritava una capatina rapida, ma scappiamo prima che ci vedano, perché credo che l’accesso sia consentito solo all’autobus dell’adiacente hotel e alle macchine!
Pochi minuti dopo, visto che un posto per fermarsi non c’è, tiriamo dritti lungo la E10 ancora una manciata di chilometri, poi un’altra manciata ed un’altra ancora cercando un’area in cui fermarsi. Al di là di un ennesimo ponte approdiamo all’isoletta di Husjordøya, dove l’unica attrazione è rappresentata dal parcheggio in cui ci fermiamo per la notte... cioè, per la sosta in cui dovremo dormire.

Domenica, 24 giugno 2012 - km 42650
- da Lofoten a Olsborg
Sarà che è domenica, sarà che i vecchi hanno giocato a carte fino a tardi, sta di fatto che alle dieci siamo ancora alla fase “chiudi-la-parabola-laviamo-le-tazzine”.  Il nostro viaggio panoramico attraverso la E10 ricomincia, ancora suggestivo, ma non come il venerdì in cui siamo arrivati. Appena quindici chilometri oltre il parcheggio di stanotte, troviamo il punto scarico/carico acque e poi proseguiamo verso la regione del Troms, lasciandoci definitivamente le Lofoten alle spalle. Rimpiango solo Andøya e Øsknes, famose quasi quanto le Lofoten ma purtroppo fuori mano lungo il nostro itinerario.
Viaggiamo per un centinaio di chilometri, ci fermiamo per il pranzo al primo spiazzale utile appena oltrepassato il Tjelsundbrua, che ci ha ricollegati alla terraferma dopo aver attraversato i vari gruppi di isole. Oggi risotto: c’è odore di casa nel camper.
A Bjerkvik, la E10 incrocia con la E6 da Narvik e prosegue poi nell’interna e noi, salutandola, svoltiamo a sinistra riprendendo la cara vecchia E6 che giorni fa ci ha portati al Circolo Polare Artico e che avevamo lasciato nei pressi di Bodø. Nei pressi di Bardufoss seguiamo le indicazioni per raggiungere le cascate nazionali di Måselvfossen, le più grandi, dove i salmoni risalgono la corrente.
Peccato che il punto più panoramico sia coperto dai bungalow in legno di un campeggio, ma non ci arrendiamo e riusciamo comunque a ritagliarci un angolino da dove scattare un paio di foto. Tornando indietro verso la E6 (lasciata una decina di chilometri prima per raggiungere le cascate) ci fermiamo per un touch & go al Fossmotunet, una specie di Museo della nostra terra. Nonostante l’entrata costi 60 corone (che nessuno ha intenzione di elargire, ovviamente!), il giardino con le casette di legno in stile fattoria è aperto, quindi io e papà facciamo un giro tra i vecchi attrezzi arrugginiti dei contadini dell’Ottocento, gli scafi vuoti delle barche e le belle casette con gli orti. Cerchiamo poi, con scarsi risultati, quello che dovrebbe essere un museo dei trasporti norvegesi ad Andselv, praticamente lungo la E6, ma non approdiamo a nulla. Tiriamo fino a Olsborg, una quindicina di chilometri a nord, in un parcheggio in prossimità di un ponte e ci fermiamo per la cena e la partita, soprattutto, nella quale i nostri Azzurri ci regalano grosse emozioni battendo l’Inghilterra ai rigori dopo 120 minuti sofferti e un po’ sfigati (i mille tiri in porta non si sono mai concretizzati, tra pali, traverse e difesa avversaria a deviarli). Nel parcheggio c’è anche un gabbiotto con il wc e l’acqua calda, dove, dopo la partita, ne approfitto per lavare lo scalpo, schizzando e scapellando dappertutto. Mi sento meglio.
Anche oggi, ridendo e scherzando, abbiamo percorso trecento chilometri.
Le bellissime Lofoten sono ormai già un ricordo.
Promemoria: tornarci ancora, anche solo due o tre giorni, magari in inverno per tentare di vedere l’aurora boreale.

Lunedì, 25 giugno 2012 - km 42923

- da Olsborg a Skibotn
Quattro settimane lontani da casa. Ormai solo seicento chilometri da Nordkapp. Sembra incredibile questa lunghissima convivenza, ogni giorno regala emozioni nuove. Per amor di cronaca, rendo noto che prima di ripartire in direzione Tromsø abbiamo tirato fuori la bandiera italiana, che ora fa bella mostra sulla finestra posteriore del camper.
Il cielo è un po’ nuvoloso e minaccia pioggia a tratti ma l’aria non è fredda. Addirittura, la notte scorsa ho dormito con una sola coperta!
Ci fermiamo per il gasolio perché siamo al punto che “serve proprio” e non possiamo attendere oltre, ma l’unico distributore che troviamo lungo la strada nella breve distanza accetta solo carte che non abbiamo, o la Visa PostePay di mamma che però non sa quanti liquidi ha ancora a disposizione. La gentile responsabile del bar lì dietro ci lascia quindi usare la sua carta personale dietro ovvia copertura cash, per cui scatta la colletta tra me, mamma e papà. A “pancia piena”, pochi minuti dopo entriamo in città. La prima cosa che ci sbatte davanti appena la E8 ci porta dritti dentro Tromsø  è la Cattedrale Artica.
Ispirata al paesaggio circostante, questa chiesa alta appena una quarantina di metri di recente costruzione (1965) è un pezzo unico di architettura. La sua struttura triangolare permette alla luce di entrare da qualunque angolo, e l’interno è dominato da un mosaico di vetro. Molto originale. Mi separo dagli altri in prossimità del Tromsøbrua, il ponte principale che collega la terraferma all’isoletta di Kvaløya, dove la città si apre, ed inizio il mio giro turistico alla scoperta della città. Il ponte non è più lungo di un chilometro e scopre dall’alto il Grøtsundet, il braccio di mare che bagna le briciole di terra attorno. Il vento gelido mi taglia il naso e la faccia, ma io avevo proprio bisogno di camminare un po’, con la mia musica nelle orecchie, il mio passo svelto, il mio perdermi facendo foto e ritrovarmi poco più in là. Il giro turistico inizia dal porto, al di là del ponte, dove trovo il Polarmuseet e dove ovviamente non mancano le bryggene che qui in Norvegia spadroneggiano ovunque. Queste sembrano ricostruite, non sono sbilenche come quelle di Bergen, ma a me piacciono lo stesso.
Il porto si guadagna comunque un’aria antica, i colori del legno dipinto sbattono contro le montagne innevate di fronte e le navi attraccate con le vele chiuse fanno da cornice mentre respiro storie di marinai e pescatori. Risalgo attraverso Stortorget, la piazzola con il monumento in ferro di un veliero vichingo, e lungo Storgata, la via principale che si allunga dalla piazza, si sviluppa la vita. Dalla Chiesa cattolica al municipio, attraversando un tratto pedonale pieno di negozi e casette in legno colorato ispirate alle bryggene del porto (finte comunque!). Da H&M ci sono i saldi e ne approfitto per comprarmi qualcosa. Già che passo davanti al Rema 1000, poi, mi riempio anche un sacchetto di cioccolatini: 100 corone, quindi un chilo!

Trovo l’ufficio turistico attraversando Kirkegata, l’ovvia via della Cattedrale, e dopo essermi procurata una piantina della città (tanto per capire dove sono) riprendo la via principale arrivando fino a Polaria, il museo lungo il porto che offre piscine ed acquari dove ammirare la fauna artica. Il padiglione è un edificio estremamente moderno che ricorda la Cattedrale Artica, e visto da lontano assomiglia  ad una fila di libri di marmo scivolati l’uno sull’altro. Lì accanto, una vetrata racchiude in un’atmosfera artica in linea con la città, il clima e la latitudine, Polarstjerna, la “Stella Polare” una nave per la caccia alle foche del 1949 perfettamente conservata, che è stata utilizzata per oltre trent’anni. Ovviamente l’ingresso alla visita è a pagamento ed io mi accontento di sbirciare da fuori, oltre i vetri. La visita della città è stata fatta, non ci sono molte cose da vedere a parte i musei in cui non entro, quindi decidiamo di rimetterci in marcia un’oretta, mentre la pioggia torna ad importunarci. Ripercorriamo la E8 a ritroso fino ad incrociarci di nuovo con la E6 verso Alta e ci fermiamo nei pressi di Skibotn, nel solito supermercato lungo la strada.

Martedì, 26 giugno 2012 - km 43191
- da Skibotn ad Alta

La pioggia di ieri sera, che ha accompagnato il nostro sonno, sembra essersi placata di nuovo, ma l’aria è fresca. Svegliarsi in uno spazio ristretto di 10 metri quadrati, però, almeno evita di battere i denti dal freddo di prima mattina. Dopo le spesucce tipo latte/pane riprendiamo la marcia verso Alta. Ci fermiamo solo in prossimità del Kvænangsfjol Gildetun per ammirare il panorama che costeggia il Badderfjorden dall’alto. Un simpatico ed originale segnale realizzato con un tronco d’albero in legno indica Nordkapp 370 km. Siamo ormai prossimi alla meta. Dopo il pranzo in una rientranza della strada, temperatura esterna di otto gradi non di più, ci imbattiamo in un’area (sempre a ciglio strada) dove riusciamo, almeno, a scaricare la cassetta del wc, e poco distante da lì riusciamo a vedere le renne al pascolo!
Nel frattempo, per amor di cronaca, ha preso forma nelle nostre teste l’idea di tentare di fregare il sistema norvegese atto a spremere i turisti diretti a Capo Nord. Il tunnel apparentemente obbligatorio che collega la Norvegia all’isola di Magerøya (in cima alla quale troneggia Nordkapp) costa all’incirca 65€ a tratta, più una tariffa fissa (fino a 48 ore di sosta) per il parcheggio in prossimità della meta del pellegrinaggio. Leggendo i diari di viaggio di chi c’è già stato, anche la suddetta tariffa si aggira intorno ai 60 euro. Il nostro obiettivo è tentare di aggirare le spese, più per una questione di principio che per la cifra in sé. Prometto a me stessa che, qualora trovassimo un’alternativa, divulgherò la notizia on line su qualunque sito di camper e viaggi.
Arriviamo ad Alta, la temperatura è decisamente più fredda. Vaghiamo un’ora alla ricerca di un’area service per scaricare le acque grigie e poi ci appioppiamo nel parcheggio del museo delle incisioni rupestri di Alta dove, finalmente, spegniamo il quadro.

Mercoledì, 27 giugno 2012 - km 43490
- da Alta ad Hammerfest
Dopo essere andati a dormire tardi con il sole alto, ci svegliamo sotto un cielo a tratti sereno. Che abbia deciso di graziarci i giorni all’estremo nord Europa? Mamma mette Zucchero dal suo cellulare durante la colazione e alle nove, come da programma, ci spostiamo verso il centro alla ricerca dell’ufficio turistico. Avrei voluto visitare l’Alta Canyon, il più grande canyon del nord Europa, ma è raggiungibile con difficoltà, e alla strada da percorrere bisogna aggiungere un lungo percorso a piedi (che annoierebbe gli altri che resterebbero ad aspettarmi), quindi decidiamo di tirare per Hammerfest. La strada, lasciata Alta, sale nella montagna dopo un breve tratto, costeggiando il Repparfjordelva. Casette alla spicciolata  nei campi brulli rendono il paesaggio meno monocromatico, ogni tanto affiorano gruppi di renne al pascolo, anche se le chiamo “fasulle” perché non hanno le corna lunghe come le renne (presumiamo siano ancora piccole). Meno male che un raggio di sole fa luce tra le nuvole e sembra voler schiarire il cielo che invece a tratti gocciola, altrimenti il paesaggio sarebbe desolante: questa è tundra vera e propria, e ogni volta che il braccio si sporge oltre il finestrino per fare le foto diventa un ghiacciolo. Oltre il ponte che collega l’isola di Kvaløya alla terraferma, la strada sale in un bellissimo percorso panoramico che costeggia la scogliera che si apre sulla costa. Pescherecci solcano il mare e un paio di graziosi villaggi con le solite casine colorate spezzano il grigio tutto attorno, finché uno spiazzo arroccato in cima alla scogliera non ci invita a fermarci per pranzo. Un enorme orso polare in vetroresina in scala 1:1 ci annuncia che la città si apre proprio lì in fondo alla strada. L’aria gelida taglia la faccia e le gambe ma dobbiamo scendere per le foto di rito pre-Hammerfest.
 
 La parabola, inclinata di dieci gradi sì e no, trasmette ancora le immagini del satellite (il che ci farebbe sperare bene per la visione della semifinale Italia-Germania di domani sera, forse pur arrivando a Nordkapp). Connessioni internet free, però, nemmeno l’ombra. Ce la prendiamo comoda, e dopo il caffè spostiamo il camper nel parcheggio del porto. Subito dopo, scendiamo a fare quattro passi.
La prima cosa che vediamo è la Meridianstøtten, il monumento eretto nel 1984 dal re Oscar II, a memoria della prima misurazione ufficiale della dimensione della Terra.
E' una colonna di marmo che commemora, appunto, la prima indagine dello scienziato russo Friedrich Georg Wilhelm Struve (a metà dell'Ottocento) per determinare l'arco del meridiano globale e quindi calcolare le dimensioni e la forma della Terra. Il sito fa parte del patrimonio mondiale dell'Unesco noto come l'Arco Geodetico di Struve. Il sole nel frattempo gioca con il mare mentre risaliamo il porto e torniamo in direzione dell’ufficio turistico, dove ci fermiamo per chiedere informazioni su ferries e Hurtigruten, non sia mai dovessimo trovare un’alternativa al salassoso Nordkapptunnelen. Il grazioso ragazzo che lavora lì ci comunica che in realtà no, alternativa non c’è, ma è confermata la notizia che da mesi rimbalzava nei siti di camper e viaggi: il pedaggio del tunnel sarà abolito dal primo luglio. Nonostante l’idea di fare il viaggio a Magerøya “aggratisi” sia molto allettante, conveniamo che restare tre giorni qui nei dintorni della tundra dove non c’è niente da fare (in attesa del giorno X) è improponibile: decidiamo pertanto di restare in città fino a venerdì mattina (così ci becchiamo la partita domani sera senza storie) e pagare il pedaggio del tunnel solo all’andata, visto che al ritorno sarà già luglio e se tutto va bene il tunnel sarà liberalizzato.
Foto davanti al Municipio, dove troneggia una curiosa scultura blu con scritto il nome della città, e due orsi polari ai lati. Passiamo poi davanti a quella che è la Chiesa Cattolica più settentrionale d’Europa e lungo la via principale, dove notiamo che i negozi sono già chiusi e ci rendiamo conto che non ci sono più di dieci persone lungo i marciapiedi. Intanto il cielo, come avrebbe detto il grande Rino, è sempre più blu. Passiamo al Rema 1000 per la spesa pane/latte/zozzate varie e ci parcheggiamo al piazzale della “palla”, come l’abbiamo ribattezzata noi, ovvero la Meridianstøtten, all’altro lato della città (che comunque non è più larga di tre o quattro chilometri). Dopo cena, con il sole alto, ripercorro tutta la baia fino al Salenfjellet, il centro città, di nuovo, e arrivo fino in cima a Salen, la piana su cui si erge il ristorante sami, attraverso lo zig zag path, un cammino imbrecciato costruito dai cittadini di Hammerfest nel 1893, che si snoda appunto zigzagando dalla strada fino in cima alla piana. La vista è mozzafiato, da qui si vede tutta a baia, e le isole di fronte a Kvaløya. Il sole si nasconde tra le nuvole, a tratti illumina il mare e le navi e poi scompare in un momento, e vale la pena sentire il respiro che congela in fondo alla gola per il freddo pungente, vale la pena il cuore che pompa sangue in fretta. Rientro alla base mezz’oretta più tardi, felice e rilassata, in tempo per vedere i rigori di Spagna-Portogallo che vedono vincere la squadra spagnola per poco. E ormai non sento più freddo.
Inizia a piovere. Poi smette, poi ricomincia. In un angolino remoto nel camper una connessione internet sembra affacciarsi timida.
Poco dopo, mentre il sole spunta di nuovo, noi ci infiliamo in branda.

Giovedì, 28 giugno 2012 - km 43653
- Hammerfest 
Freddo cane stamattina. La temperatura interna quando ci siamo svegliati era sui 10°C, io ho dormito benissimo aggomitolata sotto le coperte e la doppia maglietta. Ho ancora voglia di dormire, si era detto che oggi sarebbe stato relax, ma alla fine alle 9.30 siamo già pronti per fare colazione. E fuori piove ed è freddissimo. Alla fine la giornata è dedicata al cazzeggio. Nessuna novità, non facciamo niente tranne cercare una connessione in giro per il camper e guardare la tv, con la sciarpa fissa attorno al collo da stamattina. Dopo pranzo il babbo sonnecchia, mamma gioca al solitario e fuori imperversa la bufera. Si mangia, si chiacchiera, si gioca a carte prima di cena mentre io continuo a lottare con una connessione internet che si stacca ogni due minuti.
Poi, la semifinale degli Europei, in cui gli Azzurri schiacciano la Germania tenendo banco fino alla fine, quando un rigore al 92’ su supposto fallo di mano regala agli avversari un gol, comunque inutile. Chissà dove saremo a vedere la finale contro la Spagna.
Come sempre, il sereno arriva quando è ora di dormire.

Venerdì, 29 giugno 2012 - km 43657
- da Hammerfest a Nordkapp
Oltre il danno la beffa: oggi non piove più ma il solito freddo cane ci accompagna. Lasciamo Hammerfest dopo il carico/scarico e una sosta al Rema 1000 per Adele e Raniero, più bestemmie del babbo, che perde quaranta minuti buoni cambiando l’altro anabbagliante del camper. Siamo pronti per farci salassare a Nordkapp. Lungo la strada, da annotare il babbo che saluta ogni camper tedesco che incrociamo, mentre io e mamma sventoliamo il tricolore, fiere della vittoria dei nostri Azzurri sulla Germania, che risate! Appena abbandoniamo la E6, e la strada costiera E69 che si apre a lato dello strapiombo roccioso offre un panorama molto bello.
Attraversiamo un tunnel angusto lungo tre chilometri e ci fermiamo per il pranzo in un’area di sosta di fronte ad una capannina sami che vende di pelli di renna. La piazzola è racchiusa in un’insenatura ed il mare è trasparente, mosso appena dal vento gelido e dal rivolo d’acqua che scende da sinistra lungo i ciottoli. Il sole va e viene come al solito, comincio a dubitare dell’esistenza delle previsioni del tempo da queste parti, perché è impossibile prevedere come si muoveranno le nuvole anche da adesso a un’ora. Ripartiamo, non prima di aver lasciato un segno della nostra presenza scritto su una “fettina” di pietra tipica della zona, grigio scuro, stratificata, simile all’ardesia, simile alla grafite. C’è una grossa colonna di fettine grigie, a testimonianza di tutti quelli che di lì sono passati lasciando il loro segno, e lo facciamo anche noi. La strada è favolosa, bella quasi come la Strada dell’Atlantico per Kristiansund. Si scoprono fiordi, insenature profonde, valli e lingue di neve lungo i pendii.
Finalmente, alle ore 17.05 con il tachimetro che segna 43870 chilometri, acconsentiamo di buon grado a farci rapinare 235 nok a persona per l’ingresso su piazzale di Capo Nord.
Abbiamo percorso all’incirca 6895 chilometri da quando abbiamo lasciato l’Italia un mese fa, e finalmente siamo sul tetto del mondo. Con nostra grande sorpresa, la connessione internet è free ed è buona, e soprattutto la parabola funziona ancora. Diciamo pure che ha fatto miracoli in questo viaggio. Scendiamo dal camper, vaghiamo per le foto di rito, la balaustra da cui si scorge la scogliera che sprofonda nel mare scuro, e poi il monumento dei “Bambini del mondo”, grossi “biscotti” in pietra con una facciata in bronzo realizzata partendo dai disegni di sette bambini provenienti da sette differenti angoli del globo, portati una settimana a Capo Nord nel 1988.
E poi la Nordkapphalle, la struttura a prova di turista, con negozio di souvenirs, cappelletta, ufficio postale speciale con l’annnullo di Capo Nord, bar a vetrata sull’esterno e cinema dove vengono proiettati film e documentari sui ghiacciai. E poi lui, in nell’angolino estremo della scogliera circondata dalla balaustra, quello per cui sono arrivata qui dopo aver visto centinaia di immagini con il sole di mezzanotte. Lui, protagonista di ogni foto e dei miei sogni quando pensavo a questo luogo che sembrava irraggiungibile: il globo di ferro che purtroppo adesso mi saluta sotto un cielo scuro e bagnato di nebbiolina, sulla piattaforma in cima ai suoi sei gradini, proprio lì in faccia al mare.
Fotofotofoto.
Adesso sul tetto del mondo ci siamo anche noi. Che bella sensazione.
Nel corso del pomeriggio il cielo si apre e si rischiara fino ad essere completamente privo di nuvole attorno alle nove di sera. Alle dieci scendo dal camper, con il sole dritto in faccia calato appena sull’orizzonte, e raggiungo il globo, dove centinaia di persone stanno accalcate. In quella bolgia mi ritaglio un angolino sulla balaustra, e mentre aspetto che gli altri mi raggiungano, osservo la gente. Un vociare di mille lingue diverse, questa è la vera Babele. Europei e asiatici, tutti lì accorsi anche con i bus organizzati per vedere lo spettacolo del tramonto che non c’è. Sono tutti diversi, ognuno ha un viso con una storia dietro da raccontare, li guardo uno ad uno salire su quei gradini e posare davanti all’obiettivo, a turno. Vecchi e bambini, coppie, famiglie,
motociclisti, giapponesi a gruppi. Guardo i loro sorrisi nell’istante in cui qualcuno scatta loro la foto in cima a quei sei gradini da cui la strada per l’infinito sembra più breve, e più li guardo e più penso che di certo in quell’istante, pur essendo tutti diversi, sono accomunati da un unico pensiero: “Anche io sono sul tetto del mondo”. Il nostro momento foto arriva quando il resto del mondo se ne va, con il sole ancora lì, che non si sa se sale, scende, si sposta o cosa, ma chi se ne frega, adesso finalmente c’è di nuovo quiete.
La mezzanotte se n’è andata da un pezzo, poche persone ancora in giro per le ultime foto. E, ovviamente, noi. Del resto, con una notte così chiara e limpida è un peccato andare a dormire.

Sabato, 30 giugno 2012 - km 43870
- da Nordkapp a Honningsvåg
Stamattina il sole che ci ha salutati alle due di notte è ancora lì, e di nuovo alto nel cielo. Possiamo ritenerci fortunati, il sole di mezzanotte ieri sera è stato tutto nostro, e nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo, visto il tempo con cui siamo arrivati. La giornata è estremamente ventosa ma ho voglia di camminare prima di riscendere a valle e lasciare Capo nord forse per sempre. Mi incammino verso Hornvika, lo spuntone di roccia che, prima che la strada ufficiale fosse aperta nel 1956, i visitatori scalavano, attraverso un sentiero, per giungere all’agognato tetto del mondo. Mi avventuro “a campi” tra muschi, licheni e cacche di renna cercando di chiudere in testa i fotogrammi di questo silenzio che ho attorno, spingendomi il più possibile ai confini delle rocce a picco nel mare. Lascio che il vento freddo mi schiaffeggi i capelli in faccia, e guardo il cielo che si fa via via più scuro, spero che non inizi a piovere e mi sorprenda a tre chilometri dal plateau, ma a questo punto non mi importa: gioco con le lingue di neve che si sciolgono creando ruscelli tra l’erba e le rocce, correndo nel prato mi impantano nel terreno bagnato svariate volte, scatto foto, cerco sassi e alla fine ritorno alla base. Qualunque cosa, in cima al mondo mi ha fatta sentire parte dell’universo. Sarà stata, forse, la consapevolezza di esserci. Sotto il cielo coperto da spessi nuvoloni grigi, vento gelido che imperversa fuori e pioggia secca, prima di pranzo togliamo le tende, o meglio, le zeppe che hanno tenuto il camper in piano durante la notte. E’ mezzogiorno appena e la nostra visita al tetto del mondo è finita. Controvoglia, onestamente: d’accordo che non c’è molto altro da fare, tranne foto al mare e al globo, ma restare qualche ora in più, dato che comunque il parcheggio è valido per 48 ore, non mi sarebbe dispiaciuto. Aver potuto dire di essere in cima al mondo è stato meraviglioso.
La pioggia ci accompagna giù fino a Skarsvåg, dove ci fermiamo per il pranzo e aspettiamo un po’ che il tempo migliori per andare alla ricerca della Kirkeporten, il buco con la roccia intorno che si apre su un lago. Il babbo decide di seguirmi in questa spedizione, con il cielo nuvoloso ed il vento che non dà tregua.
Camminiamo per un paio di chilometri lungo un sentiero che si arrampica sulla collina e scende dall’altro lato, impervio. La terra fresca di pioggia e l’erba umida non aiutano l’aderenza delle scarpe al terreno ma ce la caviamo dignitosamente. Seguiamo delle persone che probabilmente cercano la stessa cosa e alla fine anche noi ci siamo: Kirkeporten si apre sotto ad un crostone di quella solita roccia grigia stratificata tipica della zona, sembra pasta sfoglia.
Attraverso da sola l’ultimo tratto scosceso, il babbo mi tiene d’occhio dall’alto, e scatto foto ovunque. Cammino sul crinale roccioso e levigato, i miei pantaloni da battaglia ormai sono quasi “da buttare”, risalgo il sentiero e poi con papà scendiamo dall’altro lato fino alla base. Riprendiamo il viaggio per un’altra ventina di chilometri, scendiamo a valle fino ad Honningsvåg, il primo paesino dell’isola di Magerøya, da dove siamo arrivati a Capo Nord, costeggiamo la fila di case affacciate sul mare ed arriviamo a Nordvågen, giusto per dare ancora un’occhiata alle montagne che cadono nel mare e le casette di legno a cui ormai ci siamo abituati. Torniamo indietro perché la strada per il faro, che in effetti sulle cartine non è segnalata, è solo un sentiero e non possiamo percorrerlo, e ci fermiamo al nostro primo amore Honningsvåg per la cena e la notte. Finalmente riesco a prendere internet per tutta la sera, e funziona anche la parabola, che però verrà chiusa a breve causa vento. Durante la solita partita a carte serale dei miei e gli altri, il sole spunta di nuovo tra le montagne. Bello, sì, ma lui ancora non ha capito che è il momento della giornata, ad essere sbagliato.

Domenica, 01 luglio 2012 - km 43932

- da Honningsvåg a Inari
Stamattina ci svegliamo tardi, anche se tardi per noi significa 8.30!
Il sole splende ancora, si annuvolerà a breve ma una giornata così in “Lofoten style” ci fa rimpiangere la Norvegia, che tra duecento chilometri lasceremo per avventurarci in Finlandia. Lasciamo il grazioso paesino di Honningsvåg e scendiamo verso il Nordkapptunnelen sperando che sia finalmente libero come ci avevano detto. Nei pressi del punto X, una macchina finlandese ci sorpassa: controlliamo cosa fa all’imbocco del tunnel, io sto per fiondarmi in bagno “just in case” ci fosse ancora il pedaggio da pagare… Non è più necessario: hanno tolto la sbarra e c’è un cartello in norvegese con scritto qualcosa tipo “libero dal 01.07”. Esultiamo: la prima bella emozione della mattinata! La seconda è il bel tratto di E6 che costeggia il Porsangerfjorden fino a Lakselv, con spiagge bianche (seppur in secca) e greggi di renne a ciglio strada.
E’ il momento di fermarsi, scendere e scattare foto decenti ravvicinate a questi graziosi animalini con gli occhioni bellissimi e le lunghe corna di peluche, come diciamo noi.
Mezzogiorno: l’aria fuori è ancora tiepida.
Dopo il pranzo, scarico/carico acqua alla Statoil di Lakselv e poi siamo pronti a lasciare la bella Norvegia e l’insenatura del mare alle spalle. La E6 rientra fino a Karasjok, e da lì a venti chilometri, ecco il confine finlandese. La terra dei fiordi è già un ricordo dietro di noi. Ma finalmente, poco prima di uscire, dopo venticinque giorni e quattromila chilometri percorsi tra le sue strade, forse abbiamo capito come prevedere i cambi di clima: sole fino alle dieci del mattino, se sei fortunato, e dalle dieci di sera in poi. Adesso, vedi tu: io suggerirei di dormire di giorno e andartene a spasso di notte!
Sono appena le cinque di pomeriggio quando, con il tachimetro che segna 44183 chilometri, attraversiamo il confine finlandese. Anzi, quasi le sei: qui c’è un’ora di fuso orario (che emozione, mi entusiasma sempre cambiare l’ora). Dalla cartina dell’Europa ci rendiamo contro che in effetti la Finlandia rimane abbastanza defilata dall’Europa centrale, è addirittura più a est della Polonia. A proposito di Polonia, strada facendo decidiamo di trovare un’area per la notte che rimanga abbastanza libera da alberi e che ci permetta di vedere la finale degli europei di calcio (che comunque per noi iniziano un’ora più tardi). Stasera, Italia e Spagna si riaffronteranno dopo aver aperto l’europeo venti giorni fa. Sembra una vita, abbiamo già attraversato mezza Scandinavia dalla prima partita, vista a Drøbok con il cielo che ancora diventava scuro prima di mezzanotte. E, ad essere onesta, non avrei mai immaginato che gli Azzurri sarebbero arrivati in finale.
Durante il tragitto cerco di fare altro e non concentrarmi sulla strada, che è un continuo saliscendi e tra un po’ mi viene la nausea. Il cielo è grigio ma uno squarcio di azzurro ci illumina a sinistra. Intanto, attorno, solo alberi, alberi e paludi. Alberi, alberi, dossi, salite, discese, alberi, dossi, dossi. Due renne solitarie. Il primo paese con sembianze civili è a cento chilometri dal confine.
E finalmente arriviamo a Inari. Un giretto all’adiacente negozio di souvenirs, una bellissima e ampia struttura in legno, e finalmente di nuovo l’euro per i nostri acquisti.
Peccato che poi la finale dell’europeo termina con la vittoria delle furie rosse per 4-0 (una sconfitta che passerà agli annales e verrà ricordata almeno fino ai mondiali del 2022). I vecchi vanno a dormire, mentre io aspetto che il sole schiarisca di nuovo l’orizzonte.
Non ci vuole molto.

Lunedì, 02 luglio 2012 – km 44283
- da Inari a Tervola
Stamattina un caldo umido a cui ormai eravamo disabituati ci accoglie nel piazzale dove ci siamo fermati per la notte, a pochi metri dal lago. Le zanzare, neanche a dirlo, qui banchettano della grossa. Anche oggi tappa di trasferimento. Non è difficile tirare dritti fino a Rovaniemi, dato che qui le città sono a cinquanta chilometri di boscaglia l’una dall’altra ed in mezzo c’è il nulla, ed infatti ridendo e scherzando, tra il gioco dei personaggi famosi e le foto, trecento chilometri scorrono via benissimo. Nel primo pomeriggio, subito dopo pranzo, arriviamo a Napapiiri. Così i finlandesi chiamano il Circolo Polare.
E questo è il Circolo Polare Artico per eccellenza, quello lappone, quello più famoso, a 66°32’, insomma, non come quello norvegese che appare in mezzo al nulla circondato dalla neve, riservato ed intimo nonostante il futuristico negozio di souvenirs costruito apposta per spremere i turisti, no: questo è praticamente una città, anzi, un villaggio. Il Santa Claus Village, per il quale Rovaniemi è diventata famosa. Ci perdiamo così almeno un paio d’ore, tra i negozietti di souvenirs, il “centro commerciale” e l’ufficio postale di Babbo Natale, dove mettono un timbro ovviamente speciale per cartoline e lettere. La riga del circolo Polare Artico taglia imponente la piccola città, e una specie di monumento in legno bellissimo indica varie destinazioni con la distanza chilometrica.
Le note di musiche natalizie arrivano dagli speaker piazzati in cima agli edifici, tutti rigorosamente in legno, gente passeggia e gente riempie i negozietti.
Se l’atmosfera è così in piena estate, immagino che a dicembre con la neve questo posto sia davvero magico e riuscirebbe anche a farmi piacere il Natale. Non manco di comprare qualche pensierino per gli amici, la cartolina per il bimbo tedesco che ha lasciato il messaggio in bottiglia a Lubecca e un bellissimo cappello impellicciato con la faccia della renna per la modica cifra di 9,90€: non lo metterò mai, ovviamente, ma sarà il più bel ricordo della Lapponia, come il cappello dello zio Sam che comprai due anni fa a Disneyworld e che ora fa bella mostra sopra l’armadio di camera mia. Passiamo davanti al Santa Park (il Parco di Babbo  Natale) già chiuso da ore, e dato che non prevediamo la visita domani decidiamo che non c’è più niente da fare qui.
Le foto al Villaggio di Babbo Natale le abbiamo fatte, abbiamo attraversato entrambi i Circoli Polari Artici nel giro di venti giorni, ho un bellissimo cappello-renna e a Rovaniemi, a parte questo, non c’è molto da vedere. Ci rimettiamo in marcia cercando un campeggio, un’area sosta, un camper service, qualcosa, fino ad arrivare a Tervola, cinquanta chilometri a nord di Kemi, dove non troviamo niente comunque, tranne il parcheggio di un supermercato, ma benché il sole sia ancora alto riteniamo opportuno fermarci, cenare e riposare. Al resto penseremo domani.

Martedì, 03 luglio 2012 – km 44695
- da Tervola a Jävrebyn
Anche stamattina il sole ci sveglia con il suo tepore: oggi è il "manica corta day" dopo tanti giorni freschi, e noi lasciamo la Finlandia diretti in Svezia, seguendo la strada costiera E4. Nuvolette in stato confusionale se ne stanno sparpagliate nel cielo azzurro, mi mancava questa sensazione di estate. Il raccordo per Tornio, al confine svedese, è un tratto autostradale largo, pulitissimo e scorrevole, poi la E4 riprende seguendo la costa. E finalmente, dopo due giorni di abeti, di nuovo il mare. Ci fermiamo a Luleå, poco oltre il confine, cercando un campeggio. L’unico che troviamo nella zona ha il coraggio di chiederci 325 sek ed eventualmente un gettone da 60 sek per la lavanderia, ma non possiamo entrare se non abbiamo una camping card speciale che costa 140 sek. Cioè. Parliamone. Mestamente (lanciando comunque improperi), ci fermiamo semplicemente per il pranzo nel piccolo parcheggio del vicino museo ferroviario, dopodiché riprendiamo il camper e troviamo posto in centro per dare finalmente un’occhiata alla città, che comunque, come tante cittadine di Norvegia e Svezia, non richiede molto tempo.

Costeggiamo Magasinsgatan fino al lungomare, non ci vogliono più che pochi minuti: il sole gioca tra le fronde degli alberi che costeggiano la riva e i traghetti attraccati a fianco ad un grazioso ristorante in legno.
A ridosso della Domkyrka, molto bella anche all’interno, sorgeva probabilmente la piazza del municipio, ora smantellata dai lavori in corso. Storgatan, la via principale pedonale, straborda di negozi con merce in saldo ed è una fatica non fermarsi ovunque. Ho promesso che a Stoccolma prenderò del tempo per farmi un giro di “siopping”, sperando che i saldi non finiscano questa settimana!
Riprendiamo il viaggio cercando una possibile area di sosta, o campeggio a buon mercato per poter, soprattutto, lavare i capelli, visto che i miei sembrano camminare da soli ormai. Ci imbattiamo, un po’ per caso e un po’ grazie alle guide di Magellano (vecchie quanto il cucco ma a volte ancora efficaci) nell’area di riposo Jävre Sud, presso lo scenografico porticciolo turistico di Jävrebyn, con casette di pescatori dismesse e pericolanti ma davvero deliziose. Quasi un porticciolo-museo a cielo aperto. Decine di camper attorno, sistemati ed organizzatissimi con sedie, tavolini e caffè a prendersi gli ultimi raggi di sole.
Dopo la perlustrazione dell’ambiente e dei servizi, ed esserci accorti con enorme sorpresa che l’area è gratuita, mamma si dà al bucato ed io parto in spedizione per il lavaggio capelli nello scomodissimo lavandino del wc fregandomene di tutto e tutti. Una volta fuori, l’aria tiepida ci mette venti minuti ad asciugarli.
Cena, partitina a carte. Un’altra giornata è finita, poi dal finestrino del camper il chiarore rosa di una specie di crepuscolo, benché tarda serata, mi richiama all’esterno per qualche foto. Il cielo è un tutt’uno con il mare in un’armonia di rosa ed arancione, il grosso faro dismesso fa da cornice al piccolo porticciolo e tra gli alberi, dopo tanti giorni, riappare la luna che, gigantesca, sorge.

Mercoledì, 04 luglio 2012 – km 44975
- da Jävrebyn a Härnösand 
Oggi ci si sveglia prestissimo: abbiamo un carico/scarico da fare e un Lidl da visitare a Örnsköldsvik, a sud di Umeå, ad almeno trecento chilometri dal bellissimo porticciolo dove abbiamo passato la notte. Riusciamo a raggiungerlo attorno all’ora di pranzo, grazie alla E4 che scorre davvero benissimo, facciamo fuori le poche provviste rimaste in frigo e poi ci tuffiamo al Lidl dopo tre settimane buone, dove ne approfittiamo dei prezzi competitivi rispetto agli altri supermercati.
Eppure il Rema 1000 norvegese mi manca un po’.
Con comodo, raggiungiamo Härnösandun centinaio di chilometri a sud, nel tardo pomeriggio e ci fermiamo nel parcheggio del centro. La città, che a quanto si legge è la più vecchia del’Europa Settentrionale (anche se non è la prima volta che sento questa cosa riferita alle città norvegesi e svedesi, quindi deduco sia una bufala) è deliziosa.
Più che una città è un paesotto, a misura d’uomo, con una via pedonale piena di fiori che si affaccia su una piazza ben curata, e tanti negozietti che però sono già chiusi, perché qui al nord Europa tutti gli esercizi commerciali chiudono al massimo alle 18, e se è sabato, c’è addirittura il rischio che chiudano alle 16. Härnösand è tappezzato di parcheggi gratuiti di varie fasce, due ore, quattro, dodici o addirittura ventiquattro ore, così dopo il giro turistico, ci spostiamo al parcheggio di ventiquattro ore con vista Golfo di Botnia, o meglio, una piccola insenatura del golfo. Ricorda Lubecca, con il camper nel parcheggio e gli edifici dall’altro lato del molo. Il sole sbatte ancora contro l’acqua e le barche attraccate fino a tarda serata, ma poi, mentre i miei e gli altri ciarlano e giocano a carte, fuori ritorna il crepuscolo, o qualcosa che assomiglia vagamente alla notte. 
Ho la sensazione di soffocare senza la luce violenta a cui mi sono abituata così in fretta, è così strano vedere il cielo che sembra voler diventare buio dopo almeno tre settimane. L’avevo scordato. Come direbbe il babbo filosofo version, “questo viaggio ha ormai il sapore del ritorno”.

Giovedì, 05 luglio 2012 – km 45384
- da Härnösand a Uppsala
Stamattina, dal parcheggio al di là del ponte che comunica con il centro, raggiungo il supermercato e compro il pane, poi torno alla base. Mamma è seduta su una panchina in faccia al molo ed io ne approfitto per scoprire le spalle cercando di attirarmi qualche raggio di sole. Vista la giornata, direi che a questo punto abbiamo definitivamente lasciato le perturbazioni fredde e nuvolose dietro di noi, scambiando fiordi, laghi e montagne innevate con una temperatura decisamente più mite ed un bel sole tiepido. Quello che mi preoccupa, ora, è che ho solo vestiti pesanti con me, e se finora non ho avuto problemi, magari con 25°C fuori potrei aver bisogno continuamente delle uniche due magliette a maniche corte che ho portato in viaggio!
In tarda mattinata, il driver si rimette alla guida e l’interfaccia di navigazione imposta a Uppsala a Tom. Noi avanti e Adele e Raniero dietro, come sempre, e trecento chilometri che ci separano dalla prossima meta. Tra l’altro, oggi è un giorno importantissimo per Wilson, il maialino da me realizzato ormai un mese fa con la cera del Galbanino. Finora se n’era stato nel portacenere, inutilizzato, scivolando di tanto in tanto sul sedile, ma oggi, grazie alla cera del cheddar cheese che i miei hanno comprato ieri al Lidl, ha una compagna di vita, Daphne, modellata appositamente per lui. Già che c’ero, però, ho smontato anche Wilson e l’ho rimesso a nuovo, rimodellandolo completamente per renderlo più bello. Ho messo cappellini ad entrambi e adesso è ufficiale: Daphne e Wilson sono lieti di annunciare che convoleranno a nozze.
Giocando con la cera, almeno, ho ammazzato un po’ il tempo, dato che altrimenti oggi non passa un attimo. Nel frattempo arriviamo a Uppsala. La prima cosa che faccio, appena scesa dal camper nel piazzale centralissimo dell’immensa Domkirka, è cercare l’ufficio turistico, che fortunatamente si trova sulla via sottostante. La cattedrale è immensa, e nella piccola  Helgatrefald Kirka a fianco c’è un concerto d’organo. Mi defilo un paio d’ore e me ne vado in centro, attraversando il Dombron e costeggiando l’Upplande muséet. 
Adoro questi squarci d’acqua nelle città, canali, fiumiciattoli, insenature del mare, e la mia musica mi accompagna mentre mi perdo su Kungsänsggatan, nel tratto pedonale pieno di negozi, in cui non manco di fare acquisti (prometto che lo eviterò a Stoccolma!). Raggiungo la stazione centrale, immensa, anticipata da un’originale scultura in pietra e bronzo al centro di una rotatoria dove bus e taxi si fanno la guerra per passare. Cammino ancora un po’, imbocco Bäverns gränd e attraverso l’Islandsbron che si immette in Munkgatan e costeggia il giardino di Flustergränd, a ridosso del castello di Fredenshus. Ci spostiamo poi in camper verso Gamla Uppsala, la parte vecchia: c’è una sorta di museo all’aperto con casette in stile norvegese, una chiesa in pietra e la ferrovia che taglia il paesello.

Non manca nemmeno il ristorante. Ora, il programma sarebbe tornare in centro e magari dare un’altra occhiata alla città anche domani, ma purtroppo non si trovano parcheggi che non siano a pagamento e niente nelle immediate vicinanze, e regalare 150 corone per dormire in un parcheggio così a caso non ci sembra l’idea migliore, così dopo cena ci rimettiamo per un po’ in viaggio tagliando però nell’interno, sulla 55 diretta a Strägnäs. Secondo la Guida del Touring Club Italiano di Adele (datata 1989!) è una cittadina graziosa, così ci avviciniamo per poterla, magari, visitare domani. E, a proposito di cittadine graziose, anche Uppsala secondo me lo è. Non mi sarebbe dispiaciuto restare un paio d’ore in più.
Vaghiamo una trentina di chilometri alla ricerca di un punto per fermarci, e alla fine, stanchi, ci appoggiamo in una zona commerciale appena usciti dall’autostrada.
Lungo la strada vediamo il sole che tramonta tingendo il cielo. Ecco l’unica cosa che mi mancava del crepuscolo: il momento magico in cui il sole sparisce dietro i campi e le colline, lasciando dietro sé lascia di arancione rosato.
Peccato che siano solo le dieci di sera e lui già vada via.

Venerdì, 06 luglio 2012 – km 45807
- da Uppsala a Stoccolma
Stamattina le nuvole sono tornate a farci visita. La pioggerellina trasparente e quasi asciutta di appoggia al vetro del parabrezza mentre facciamo gasolio e ripartiamo alla volta di Strägnäs, dove arriviamo, dopo aver sbagliato strada per colpa di Tom, un’ora più tardi.
Parcheggiamo il camper sul delizioso porticciolo con enormi fioriere di pietra e casette affacciate sull’acqua. Un mulino a vento (ovviamente impalcato su un fianco per lavori!!) troneggia poco più in alto. La cittadina è piccola e graziosa, le viuzze sono fiorite e suggestive. Identica storia per Mariefred, pochi chilometri a sud, dove arriviamo nel pomeriggio. Il parcheggio del castello è gratuito e, ovviamente, colmo di camper. Il castello è l’attrazione principale del paesino: è costruito su un minuscolo isolotto verde, in faccia all’agglomerato in legno dal quale spunta la Mariefred Kirka, in legno bianco con un campanile scuro e appuntito. Un sentiero di trecento metri collega il palazzo al paese. Anche questo sembra una bomboniera, se è possibile ancora più carino dell’altro. I miei optano poi per un giretto sul trenino a vapore dell’adiacente museo ferroviario, che ricalca le stazioni di metà ottocento, con binari a scartamento ridotto, vagoni piccolissimi e anche la biglietteria e i macchinisti in costume.
Io rientro al camper cercando una connessione internet. Gli altri prendono un po’ d’aria alla gelateria di fronte al parcheggio. Prima di cena siamo di nuovo in viaggio verso la capitale, la regina indiscussa della Scandinavia. Ci sono paeselli, cittadine, paesotti. Poi c’è Stoccolma, con le sue quattordici isole collegate tra loro da qualcosa tipo sessanta ponti, una città immensa che appena la vedi, anche solo attraversando un paio di arterie principali con il camper, pensi che sei davvero nel cuore di qualcosa di vivo, che batte più forte con il sole che cerca di illuminare ancora gli splendidi edifici, gli hotel, gli uffici ed una “skyline”, per dirla all’americana, terribilmente suggestiva. Niente a che vedere con tutto quello che abbiamo visto finora, questa è proprio una città in piena regola. I primi dieci minuti, io sono a bocca aperta e non so più da che lato fotografare, ed è un continuo “Uh bello questo, chissà che è!” e la situazione non migliora nemmeno con la piantina alla mano, presa ad un’area attrezzata nel quartiere di Södermalm, dove programmiamo di venire domani mattina e restare un paio di giorni. Girando poi in centro alla ricerca di una sistemazione più economica per la notte (dato che all’area attrezzata vogliono 210 sek), arriviamo su Strandvägen, di fronte all’isolotto di Gamla Stan, la città vecchia, che già da lontano dimostra in suo fascino. Il cartello del parcheggio è ovviamente scritto in una lingua a noi incomprensibile, ma con l’aiuto di una gentile coppia di svedesi in un camper poco distante capiamo che il parcheggio è gratuito per tutto il weekend. L’idea balena subito: restiamo qui!
La notte però, qui purtroppo scende in fretta, e ci si mette anche la pioggerellina.
L’emozione del giorno infinito è solo un ricordo.
Bellissimo ricordo.

Sabato, 07 luglio 2012 – km 45971
- Stoccolma
Giornata calda oggi. Io e il babbo ci alziamo di buon’ora, diamo un'occhiata al profilo di fronte a noi e ci dirigiamo a quello che, secondo la mappa di Stoccolma, è l’ufficio informazioni. Sfortunatamente apre alle dieci, quindi facciamo un po’ di giretti a vuoto per ammazzare la mezz’ora rimasta, finché non troviamo una tipa con un “furgoncino informazioni” e ci indirizza verso Sergels Torg, la gigantesca piazza dei terminal di bus, tram e metro, dove è possibile comprare la card giornaliera per i trasporti. Fidandosi sulla parola, l’impiegata dello sportello ci rilascia tre card per senior (Raniero, Adele e papà) e due per adulti (io e mamma) valide 72 ore dalla prima convalida. Torniamo alla base, questa città già mi piace. Lascio i miei e vado a dare il primo morso a questa città sbriciolata sulle isole.
La visita parte da Gamla Stan, isolotto della città vecchia, dove campeggia il Palazzo Reale, antica sede dei regnanti. Il cambio della guardia a mezzogiorno è qualcosa che da solo merita la visita a Stoccolma. Le guardie con le bandiere, la banda che suona, gente accalcata sotto il sole improbabile ma caldo umido. Le viuzze del centro, poi, sembrano un dipinto. Io, piuttosto che prendere i mezzi, cammino. Non so quanto tempo abbia a disposizione, ma questa città voglio vederla, e voglio farlo a piedi, altrimenti mi perdo. E poi, è così bella, e cambia continuamente profilo, a seconda della posizione da cui la si guarda. A seconda dell’isola in cui ci si trova, il panorama ed i colori si modificano.
Giro attorno a Gamla Stan fino ad arrivare su Riksgatan, la via lastricata che mette in comunicazione il Palazzo Reale con il Riksdhuset, il Parlamento Svedese nell’isoletta di mezzo, e di seguito con la “city”, il centro moderno per eccellenza, con tutte le sue vie commerciali. La prima è proprio Drottninnggatan, e cercando distrattamente un maledetto negozio di hi-fi per comprare gli auricolari dell’i-pod mi ci ritrovo letteralmente catapultata dentro seguendo il flusso dei turisti. Camino senza sosta, scatto foto, il sole mi tiene compagnia, mi infilo in tutti i negozi e guardo a bocca aperta i centri commerciali. Dopo lungo vagare, trovo un Expert e riesco a comprare degli auricolari a buon mercato. Subito sulla destra si apre Hötorget con la Könserthuset. Scattando foto mi ritrovo su Kungsgatan (ma possibile che ogni città svedese ha una via con questo nome?!) e, in prossimità della biblioteca, scendo su Birger Jarlsgatan accorgendomi che sono sbucata dietro il Teatro di arte drammatica di Stoccolma, uno sfavillante edificio in pietra chiara con inserti e decorazioni dorate, che da vicino sono un pugno in un occhio ma poi, nelle foto, sono di grande effetto.
Costeggio il lungoporto di Blasieholmen fino all’isola di Skeppsholmen, collegata unicamente dall’omonimo ponte decorato con corone dorate, e finalmente da lì ammiro il profilo di Strandvägen con i bellissimi edifici. L’isoletta offre la Skeppsholmen Kyrka, con una grossa cupola tonda e abbastanza schiacciata, un paio di musei ed il Paradis Fantastique, con sculture degli artisti  Niki de Saint Phalle e Jean Tinguely, lo stesso che ha progettato (ne ero sicura ma lo confermerò a posteriori cercando su internet) la statua della “grassona” coloratissima sulla piazza di Lussemburgo, vista due anni fa.
Torno indietro, il sole è ancora alto nel cielo. Ripercorro il ponte ed il lungoporto al contrario, riattraverso l’intera Strandvägen con i bellissimi edifici e arrivo all’incrocio tra Narvavägen e il Djurgårdsbron. La Oscar Kyrka, a sinistra lungo lo stradone, attira la mia attenzione prima dell’isola di Djurgården, a destra, quindi arrivo a dare un’occhiata.

Le lunghe guglie verde rame si illuminano sotto il sole, l’intero edificio in mattoni chiari si sposa meravigliosamente con il resto dell’architettura. Alla fine del ponte, si apre l’immenso spazio verde nel quale spicca il Nordiska muset, un gioiello dell’architettura di Stoccolma. Ovviamente non entro, i musei generalmente mi annoiano e sono costosi, ma da fuori questo museo merita comunque. Anzi, in genere l’architettura è la cosa che a me piace di più. Vago lungo il prato che guarda Skeppsholmen e Blasieholmen, l’insenatura più a sud della city. Scorgo anche il Vasa muset, che conserva intatto l’omonimo veliero Vasa, affondato nel Seicento e ripescato solo tre secoli più tardi dal fondo del mare. Passeggio un po’, il parco è immenso e in effetti, guardando la cartina di Stoccolma, l’isola di Djurgården è completamente verde, ad eccezione di un paio di stradine che in realtà sono ciclabili e pedonali. Lungo la strada principale arrivo al Rosendals slott, un piccolo castello nel verde, poi decido per il ritorno.
Cena, partitina a carte, e momento nanna.
L’ultimo momento prima di dormire è un confronto geografico.
“Ma… è più grande Stoccolma o Berlino?” domanda il babbo. Io, con il motore di ricerca già all’opera, ipotizzo che la sbriciolatura della “Venezia del nord” la renda di certo più grande come superficie rispetto alla capitale tedesca. Poi, il responso da rimanerci secchi: Stoccolma ha una superficie di circa duecento chilometri quadrati.
Berlino viaggia sui novecento.
Mi spaventa il pensiero.

Domenica, 08 luglio 2012 – km 45971
- Stoccolma

Secondo giorno a Stoccolma. Stavolta ce la siamo presa proprio comoda e abbiamo deciso di fermarci ed esplorarla, perché un giorno davvero non sarebbe bastato.
Pioviggina ma non ci scoraggiamo. E’ così facile perdersi tra le vie, tra gli edifici ridondanti che magari poi sono solo uffici, banche e ambasciate, e invece sembrano chissà che. Anche oggi lascio i miei in mattinata e me ne vado in esplorazione da dove ho interrotto ieri. Oggi, però, decido di iniziare ad ammortizzare la spesa della card per i trasporti, pur contrariata perché in questa città perdo l’orientamento già abbastanza facilmente a piedi, figuriamoci in autobus. Comunque. Tant’è. Arrivo alla piazza del terminal dei bus e percorro un tratto di Klarabergsgatan per cercare la fermata del bus per il Rådhuset, il tribunale, ad est del centro. Mi imbatto in Klara kyrka, un sacramento di chiesa in mattoni rosso acceso con il tetto color rame ossidato, come sempre. Bella e gotica come la maggior parte dell’architettura qui. Peccato che il cielo non ne voglia sapere di aprirsi. Dopo aver constatato che il tribunale e l’adiacente commissariato di polizia non sono edifici degni di nota, mi dirigo allo Stadshuset, il municipio, poco più a ovest, proprio sul ciglio del Riddarfjärden, colmo al contrario di pellegrini. E ci arrivo a piedi.
Nonostante la giornata sia nebbiosa e decisamente più fresca rispetto a ieri, la vista di qualunque isola dall’isola di fronte è sempre imparagonabile.
Dal giardino si scopre Gamla Stan, la fila di edifici di Södremalm e la piccola Riddarholmen, appendice della città vecchia. Ed ecco che, attraversando il Centralbron per dirigermi verso la mia seconda tappa, d’improvviso la visuale cambia, e lo Stadshuset si scopre in tutto il suo splendore, arroccato sul suo morsetto di sperone roccioso circondato dall’acqua. La Riddarholmen Kyrka, l’ultima abbazia di Stoccolma, costruita nel 1200, che protegge le spoglie di monarchi e aristocratici tedeschi, è il gioiello dell’omonimo isolotto, che tra l'altro ospita il Palazzo di Giustizia, la Corte d'Appello e le sedi amministrative e finanziarie.
Passo sotto gli stessi edifici di ieri e capisco che sto imparando ad orientarmi, anche se il fatto che la città sia frammentata su svariati isolotti non mi aiuta. Mai impresa sembrò più ardua. Ripercorro Riksgatan, proprio come ieri, e mi rituffo lungo Drottninggatan con i negozi aperti anche oggi. E anche oggi non manco di comprare qualcosa! Cammino ancora fino in fondo al vialone pedonale, con la mia musica, fino al quartiere di Norrmalm, dove si ergono, immersi nel verde di una collinetta, l’Università di Stoccolma e l’Osservatorio. Scendendo sull’altro lato, affacciata su Odengatan c’è la Gustav Vasa Kyrka, bellissima ma scomoda da fotografare, dato che attorno c’è l’immenso scavo, transennato con reti di ferro, della linea metropolitana che stanno ampliando. A proposito di metro, finalmente mi infilo nel sottopassaggio e cerco di capire dove sono. Voglio raggiungere Millesgården, un museo di sculture all’aria aperta qualcosa che dovrebbe assomigliare al Vigelandsparken di Oslo. T3 fino a Ropsten, e da lì la magnifica e traballante Lidingöban, che con una fermata mi catapulta nel cuore verde dell’isolotto di Lidingö. Dieci minuti di cammino in salita, e raggiungo il parco, almeno per dare un’occhiata al prezzo d’entrata, dato che ormai sono lì. 100 sek. Ok, torno domani, ho deciso che può costarmi un miliardo, tanto entrerò.
Riprendo un paio di mezzi, ripasso in centro. Torno alla base proprio mentre inizia a piovere. Che fortuna.

Lunedì, 09 luglio 2012 – km 45971

- Stoccolma
La signora del negozio dove ho fatto acquisti ieri aveva ragione: oggi sarebbe stato bello, aveva detto. Infatti, contrariamente ad ogni pronostico, il sole fuori splende, anche se sono appena le sette del mattino. Siccome dalle 9 si ricomincia a pagare il posteggio in centro, noi intanto ci svegliamo e siamo pronti, un’oretta e mezza più tardi, a trasferirci al Lidl per la spesa. Poco più tardi raggiungiamo l’isoletta di Langholmen e l’area attrezzata di venerdì sera, la Langholmens Husbilscamping, sperando di poter usufruire dei servizi per una mezza giornata (docce, carico/scarico, lavanderia) senza restare la notte, non tanto per risparmiare le 210 sek, quanto perché vorremmo spostarci a Jönkoping entro sera. Siccome però il check-in (e quindi il pagamento!!) è comunque necessario, optiamo per restare direttamente fino a domani mattina. Appena ci sistemiamo con le dovute consuete lamentele di mamma, schizzo giù dal camper per l’ultimo giorno a Stoccolma, e finalmente inizio a sfruttare la card dei mezzi di trasporto. Con un paio di metro raggiungo Millesgården, l’obiettivo di ieri pomeriggio. Il parco si affaccia su uno dei tanti braccetti di mare dell'arcipelago di Stoccolma e la vista, indubbiamente, è abbastanza panoramica. Si trova sul terreno dell'ex casa dello scultore Carl Milles e di sua moglie, artisti e collezionisti svedesi.
E' posizionato su terrazze ricavate dalla scogliera dell’isola e le statue dello scultore, disseminate tra i giardini e le fontane, si ergono in bilico su alti pilastri. Il parco stesso può essere definito un’opera d’arte: una scenografia di terrazze, fontane, scale, sculture e colonne contornate da una ricca vegetazione e un panorama meraviglioso di Stoccolma e del suo porto dalle alture di Herserud.
 
Ho fatto bene ad aspettare il sole: le statue sulle lunghe colonne di granito giocano con il sole e le nuvole in controluce e creano un effetto stupendo per le foto. L’acqua delle fontane frammenta le statue ispirate alla mitologia, è un tripudio di zampilli. Mi perdo felicemente nel parco finché non decido che è il momento di esplorare Södermalm, rinomata per essere un paradiso di arte e creatività, dove i vecchi quartieri del diciottesimo secolo, abitati all’epoca dalle classi sociali più povere, si incontrano con la vita bohémienne dei tempi moderni. Faccio un giro lungo Flokungagatan, gli edifici si sposano perfettamente con il resto dell’architettura della “Venezia del nord”. Di tutta la bohémiennità citata dalla guida, però, io non vedo nulla, e continuo a camminare fino a scontrarmi con Sofia Kirka, una bellissima cattedrale ahimé completamente impalcata, incartata e quasi inagibile per via dei lavori. Proseguo lungo la via principale poi l’indicazione “Ersta sjukhus terrace” mi solletica il pensiero che, in cima alla salita, potrebbe scoprirsi il mare e con esso il profilo buono della città. Non mi sbagliavo: la vista toglie il fiato. Sotto di me, in bocca al porto pieno di navi da crociera, barche e traghetti che solcano continuamente il braccio di mare, l’arteria di Stadsgårdsleden imbottigliata nel traffico.
Davanti a me, le isole. Il luna park di Djurgården e il museo nordico, la minuscola Kastellholmen in primo piano, con i musei della gemella Skeppsholmen a fare da sfondo. E poi, più a sinistra, lei, l’inconfondibile Gamla Stan con l’appendice laterale di Riddarholmen. A completare il panorama da cartolina, le guglie di almeno una decina di chiese, tutte diverse ma simili al tempo stesso. Le riconosco, quasi tutte. Questi tre giorni a Stoccolma sono stati molto itineranti. So per certo che voglio tornare.
E’ caldo. I piedi mi spingono a continuare il mio tour fino ai confini della mia mappa, oltre Danviksbro, inseguendo un edificio in mattoni rossi che scorgo in lontananza. Tanta fatica per raggiungerlo, per poi scoprire che è un hotel molto di lusso ricavato probabilmente nell’antica Capitaneria di Porto. Torno indietro in bus, in metro, poi alla base. Anche oggi ho camminato almeno sei ore, niente male. Il momento della doccia mi rilassa e toglie via tutta la fatica della giornata: conviene approfittarne, domani sarà una tappa di trasferimento che non passerà mai e non muoverò un passo. Dopo cena, pulita e profumata, guardo fuori: è ancora giorno, e oltre gli alberi del piazzale pieno di camper il cielo sembra prendere i colori del tramonto. Mi vesto in un attimo e corro fuori con la fotocamera, voglio immortalare il tramonto che fa da sfondo ad una simile architettura. Non so dove vado, ma devo andare, la mia carta dei trasporti è ancora valida e conviene approfittarne: corro alla metro (ogni volta è quasi un chilometro!), prima mi fermo sul Centralbron e scorgo il sole tra le gru, dietro il municipio. Poi scendo a Slussen, poco più avanti, dove il profilo della città vecchia si scopre dal porto. Corro costeggiando le navi immense attraccate, il sole non mi aspetta. Salgo in fretta in cima alle mura di Katarinavagen, dove altra gente se ne sta appoggiata al muro di cinta a fare foto al cielo rosa e al sole, ancora più rosa, che si nasconde tra le nuvole. Bellissimo, ne è valsa la pena. Riscendo verso Slussen per riprendere la metro, e sfiga vuole che perdo il bus per arrivare alla stazione, quindi me la rifaccio a piedi. Per la quarta volta oggi. Nel frattempo, ovvio, sudo. Poi, da Hornstull (la fermata metro in prossimità della nostra area di sosta) di nuovo a piedi fino al camper. Insomma, nel giro di un’ora ho cambiato almeno tre o quattro metro e ho camminato a passo svelto per almeno due o tre chilometri, avanti e indietro. Direi che ho smaltito la cena. E tutto per un tramonto? Ma che sarà mai un tramonto?
A posteriori, se non l’avessi fatto me ne sarei pentita.

Martedì, 10 luglio 2012 - km 45985
- da Stoccolma a Trelleborg
Sveglia prestissimo. Non ce la posso fare, poi realizzo che non ho alternativa.
Tra una settimana saremo già a casa. Non ne ho voglia. Ma, anche qui, alternative non ce ne sono. Colazione, carico/scarico e alle 9.30 siamo già in viaggio, sperando di arrivare direttamente a Trelleborg in serata per imbarcarci domani.
La sosta pranzo, sotto la pioggia battente che non accenna a diminuire, viene consumata nel parcheggio dell’immenso centro commerciale A6 Center a Jönkoping. Saremmo voluti restare un’oretta in più e girare in centro, ma purtroppo il brutto tempo non ci incoraggia, così ripartiamo. Il sole fetente fa capolino tra le nuvole solo verso le nove di sera, quando ormai mancano trenta chilometri all’arrivo. Ci siamo sparati 600 chilometri di fila oggi, come secondo i programmi, e domani saremo pronti per l’imbarco, che ci porterà via almeno sei ore. Voglio morire. Il cartello di Trelleborg appare dopo chilometri e chilometri. Finalmente diamo un “volto” a qualcosa che almeno un milione di volte abbiamo solo citato parlando di questo lungo viaggio. Arriviamo al porto, l’odore del mare si mescola alle gomme dei pneumatici dei camion che attendono già l’imbarco e al fondo asfaltato. Fa freddo, considerando che ieri a Stoccolma c’erano 26 splendidi gradi. Un gentile ragazzo della TT Lines (la “Bandilines” dell’andata tra Germania e Danimarca è stata abolita dalle nostre scelte!) ci effettua la prenotazione: partenza domattina alle ore 8:00. 130€ è il prezzo per il camper più lungo di 6 metri. Ci spostiamo a due chilometri dal porto, in un’area di sosta gratuita in riva al mare, con il tramonto a sinistra tra le fronde degli alberi. Peccato. Avrei preferito vedere il sole scomparire nell’acqua per l’ultima sera in Svezia. Domani saremo di nuovo in “Europa” e sembrerà quasi che questo viaggio non sia mai esistito. Sto pensando alle emozioni che quest’esperienza meravigliosa mi ha già lasciato e quelle che ancora deve lasciarmi. Ogni giorno è stato un regalo, anche il freddo ozio day ad Hammerfest sotto una pioggia che sembrava dovesse durare all’infinito, anche le mattinate perse tra carico/scarico acque e soste al supermercato, le ore ed ore seduta sul divanetto in camper durante gli spostamenti, cercando mille modi per ammazzare il tempo, sgranocchiare schifezze, inventare giochi improponibili con il Driver e l’Interfaccia di navigazione, Wilson e Daphne, le partite a Solitario con il pc, sbracciarsi fuori dal finestrino per scattare foto in movimento. Forse è vero, l’organizzazione di qualcosa di così grande ed impegnativo è stata la prima vera emozione di questo lungo viaggio, e la seconda sarà al mio ritorno, ripensando a tutto quello che ho visto, a tutto quello che avrò da raccontare. Baricco dice che “un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte”.
Io non credo di averlo fatto, visto che di tornare non ho proprio molta voglia.

Mercoledì, 11 luglio 2012 - km 46632
- da Trelleborg a Rostock
Ci svegliamo all’alba, o presunta tale: piove. Inutile dire che siamo poco più che zombie. La levataccia ce la porteremo dietro per giorni interi.
Arriviamo all’imbarco e durante l’attesa facciamo colazione.
Le sei ore di traversata, contrariamente ai pronostici, non pesano affatto: il mare è una tavola nonostante il cielo uggioso, io ho la presa di alimentazione per il pc al muro e il mio i-pod la musica, e i vecchi hanno le carte.
In perfetto orario sulla tabella di marcia arriviamo a Rostock. Appena imboccata l’autostrada per Berlino, il diluvio. Le “pale” eoliche ci salutano dalle campagne ai lati della carreggiata mentre il babbo bestemmia, poi torna il sereno. Sembra proprio un temporale estivo in piena regola.
Ci fermiamo da qualche parte lungo la statale, che abbiamo imboccato per cercare uno spiazzo per fermarci la notte, solo in prossimità dell’anello di Berlino, a 25 chilometri dal campeggio che raggiungeremo domani mattina. Ci aspetta un lungo weekend nella capitale tedesca.

Giovedì, 12 luglio 2012 – km 46866
- da Rostock a Berlino
L’aria stamattina è decisamente fresca, in mezzo alle fronde degli alberi dello spiazzo dove abbiamo dormito come sassolini. Alle 8.20 siamo già tutti pronti per la colazione, e prima delle 9 siamo già per strada. Raggiungiamo il campeggio, dopo diversi giri a vuoto nelle vie, e finalmente ci accampiamo come Dio (o chi per lui!) comanda: resteremo a Berlino fino a domenica. Il campeggio, alla periferia ovest della città nel quartiere di Spandau (il più antico di Berlino), costa 15€ al giorno per due persone (quindi noi spendiamo 18€ in tre) con la corrente elettrica inclusa. Piantina della città con mappa dei vari trasporti sul’altro lato, raggiungiamo il municipio di Berlin Spandau con il bus M45, e da lì prendiamo la S bahn fino alla Friedrichstraße, dove cambiamo per la Porta di Brandeburgo: il nostro assalto a Berlino inizia da qui, seppur sotto un cielo carico di pioggia che infatti si sfoga dopo cinque minuti. Ci ripariamo, come tutti nei dintorni, nel sottopassaggio della metro, mentre cerchiamo una piantina dei trasporti più dettagliata, dato che, a causa dei continui lavori sulle linee S e U, quella che abbiamo non corrisponde alla realtà dei fatti. Appena spiove, come le lumache, tutti fuori di nuovo. L’aria è fresca ma umidissima, gruppi di gente in processione attraversa la porta di Brandeburgo e proprio lì, in mezzo alla strada, la prima linea di ferro che indica l’ex percorso del muro: ce ne sono molte, di queste targhe per terra, con scritto “Berliner Mauer, 1961-1989”, e durante la nostra visita avremo modo di vederle.
Sembra così strano adesso, saltare da un lato all’altro della linea e varcare così tranquillamente quella che, in un passato recente, era una linea di frontiera invalicabile. Imboccata Friedt Ebert Platz ci troviamo davanti il Reichstag, simbolo berlinese per eccellenza oggi Bundestag, la sede del parlamento tedesco: l’immensa scritta “al popolo tedesco” campeggia sopra al colonnato. Megalomani, questi tedeschi. Lasciamo l’edificio dopo un paio di foto per dirigerci verso nord, a Bernauer Straße, dove ci accoglie la Cappella della Conciliazione. La vecchia vecchia Chiesa della Conciliazione era stata fatta saltare in aria nel 1985 dopo essere rimasta rimasta inagibile perché “intrappolata” nella linea della morte, tra le due barricate, alla costruzione del muro. Una volta abbattute le frontiere, al suo posto è stata costruita, attorno al vecchio altare (unica cosa rimasta in piedi  dopo la distruzione della chiesa), questa cappelletta moderna a sede più o meno circolare. A fianco alla cappelletta, il memoriale del muro di Berlino. Un pezzo della vecchia barriera che ha diviso la città per quasi trent’anni sopravvive, ormai solo come attrazione turistica. Alcuni blocchi, all’interno del prato con la torretta di avvistamento dell’epoca ad un lato, conservano i disegni originali, forse anche grazie alle erbacce e gli alberi attorno. Adoro quest’arte di dipingere sui muri, devo vedere la East Side Gallery e voglio assolutamente farlo in giornata: la mia prima ed ultima volta a Berlino, anni fa, è stata una catastrofe e non sono riuscita a visitare nulla, e questa storia del muro tutto “affrescato” mi è rimasta qui. Arriviamo, con S bahn e bus, fino all’Oberbaumbrücke, un ponte quasi monumentale: stile neogotico, rosso e costruito all’inizio del Settecento, non passa certo inosservato, e anche lui, da lì, ne ha visti di cambiamenti. Intanto fu fatto saltare in aria nel ‘45 da Hitler per tagliare le comunicazioni ed in seguito ricostruito, sostituendo il legno con i mattoni rossi. Chiuso alla U bahn che circolava dall’inizio del secolo, è stato riaperto alla linea metro solo nel ’95. Tra una foto e l’altra, siamo ormai in prossimità della East Side Gallery ed io, ovviamente, sono in brodo di giuggiole: uno spettacolo senza pari, il più grande museo d’arte all’aria aperta che abbia mai visto.
Oltre un chilometro di pitture, restaurate dagli artisti originali in occasione dei vent’anni dal crollo del muro, ogni disegno con la propria storia, alcuni sono diventati simboli conosciuti in tutto il mondo, come la Trabant che sfonda il muro, le teste stilizzate coloratissime con i labbroni, i dipinti caleidoscopici ed il celeberrimo bacio tra Leonid Il’ič Brežnev (Segretario Generale dell’URSS) e Erich Honecker, presidente della DDR. E' uno dei graffiti più celebri della East Side Gallery, realizzato dall’artista Dmitri Vrubel nel 1990 e raffigura i due leader politici nell’atto di scambiarsi un bacio fraterno sulle labbra per salutarsi in una cerimonia ufficiale nel 1979. Fu un bacio storico, simbolo di fratellanza o, se vogliamo, ironica immagine del tramonto del socialismo: doveva infatti rappresentare la solidità del legame tra i due Paesi, la stessa che il Muro ormai crollato sottolineò come un esperimento chiaramente fallito. Sono senza parole. Questa è arte allo stato puro, ed io l’adoro! Dopo mille foto ad ogni disegno, torniamo alla base prendendo la S bahn a Ostbanhof, non prima di essermi fermata al negozietto di souvenirs a comprare una tazza mug di Berlino a prezzo modico, con l’ovvio commento di mamma: “Un’altra tazza?! E’ la terza che compri da quando sei in viaggio… tra un po’ uscirai tu per far posto a tutte ‘ste robe!”
Amo le cose inutili. E più sono inutili e più mi piacciono.

Venerdì, 13 luglio 2012 – km 46894
- Berlino
Anche oggi, tanto per cambiare, la giornata non è delle migliori. Il cielo è in perfetta armonia con la popolazione tedesca, che è un peccato che la Germania abbia così tante città belle da vedere.
Il giro di oggi inizia da Alexanderplatz, dove arriviamo con la solita S bahn che è già diventata familiare. Appena scendiamo, appare chiaro che questa è una delle piazze principali della città, con snodi tramviari e pensiline per i bus. La prima cosa che noto è una colonna con un grosso disco in pietra con i numeri fino a 24 tutti intorno, e sopra una riproduzione del sistema solare in ferro. Infatti è l’orologio mondiale. Mi basta poi alzare lo sguardo per capire che sono proprio sotto il “pirulin”, ovvero la Fernseheturm, l’antenna della televisione che, con i suoi 250 metri totali, sembra quasi un punto esclamativo a voler indicare che lì sotto c’è Berlino. Una torre lunghissima con una palla di vetro a oltre duecento metri dal suolo, che per la modica cifra di 12€, con un ascensore che sale a sei metri al secondo, permette ai visitatori di ammirare la città dall’alto. Gli altri non vengono, quindi vado da sola. Peccato che purtroppo il tempo sia quel che sia e la nebbiolina appanni un po’ la vista, di certo sarebbe stato diverso se fosse stata una giornata luminosa, ma la dimensione degli edifici a quell’altezza fa sembrare un plastico l’intera città, tanto più che ci sono trenini e bus che passano in continuazione. Panorama delizioso.
Quando riscendo per l’appuntamento al Dom con gli altri, ovviamente sono in ritardo, e piove anche, quindi affretto il passo. Giro rapidamente l’angolo per imboccare la strada del Rathaus, ed è esattamente come lo ricordavo dalla mia prima visita a Berlino sei anni fa. La bellissima fontana di Nettuno, di fronte all’edificio in mattoni rossi con la torre a base quadrata che svetta nel mezzo, è sempre un capolavoro. Poco più avanti, di fianco all’immancabile Radisson Hotel, ecco apparire il Berliner Dom. Il primo abbozzo della superba costruzione (e bisogna ammetterlo, davvero molto bella) fu a metà del Cinquecento, fino alla definitiva versione neobarocca di fine Ottocento. L’entrata, per quanto ritengo che meriti, costa 7€ senza audio guida, quindi rinunciamo tutti.

Continua a piovere, e al primo segnale di tregua lascio il gruppo e mi incammino, dall’Altes Museum di fronte al Dom, lungo Unter den Linden, la via principale che arriva alla Porta di Bradeburgo. La pioggia bagna continuamente la fotocamera, e quando rafforza l’intesità sono costretta ad infilarmi in uno dei tanti negozi (dove faccio acquisti, che disgrazia).

Scendo poi su Friedrichstraße per raggiungere Gendarmenplatz, la bellissima piazza del mercato con la Konzerthaus in posizione centrale tra il Deutscher Dom e il Franzöischer Dom. Da lì, un po’ di giri in metro per prendere meno acqua possibile (tanto, con il biglietto giornaliero da 6,30€ salgo e scendo da ogni mezzo di trasporto in città) e raggiungo Postdamerplatz, dove alcuni blocchi, resti del muro, fanno bella mostra al centro della piazza. Più o meno scarabocchiati su una facciata, mentre l’altra è ricoperta di chewing gum appiccicati da chiunque sia passato di là, quasi una testimonianza.
Come le pietre piatte della Norvegia, impilate a formare piccole torri e piramidi. Vorrei poi seguire un pezzo del percorso del muro ma la pioggia ricomincia e mi costringe a riprendere la U bahn fino a Kochstraße nel punto in cui, incrociando con Friedrichstraße, sopravvive il Check point Charlie, famosissimo ex passaggio di confine che fu al centro delle tensioni più aspre tra il settore americano e il settore russo dell’allora Berlino est. Di fronte, il Mauermuseum racconta la storia del muro sin dal 1963. Cioè due anni dopo la sua costruzione, già esisteva un museo ad esso dedicato. Non ne capisco il senso, dato che all’epoca la gente sognava solo di poter riabbracciare i propri cari all’altro lato della città, a cui improvvisamente non aveva più accesso. Insomma, dubito che in quel periodo a Berlino ci fosse il turismo di adesso: “il muro di Berlino”, allora, era un muro, non un’attrazione turistica. Mah, cose. Ciò che comunque più attira la mia attenzione e mi commuove è il famosissimo cartello che porta scritto, nelle quattro lingue dei settori, “state lasciando il settore americano”.
Giusto sull’altro lato invece, sulla facciata di un palazzo, “state entrando nel settore no-profit”. Nel lato del settore russo ora ci sono pezzi di muro ovviamente dipinti, e tutto il marciapiede è fiancheggiato da pannelli con la storia del muro, dalla costruzione fino al crollo, e leggerla tutta è stato piuttosto commovente. Ecco: questo mi ha fatta sentire, in un certo senso, parte di una storia recente che in fondo mi appartiene un po’. L’ultimo mio libro di geografia delle elementari porta, infatti, ancora la divisione tra DDR e DFR. Lo ricordo benissimo, che da un anno all’altro d’improvviso la Germania era unita. Anni dopo accadde la stessa cosa con la Jugoslavia, solo al contrario.
Dopo essermi fatta sorprendere, una mezz’ora più tardi, da una pioggia incessante nella zona della Hauptbanhof (in procinto di andare a visitare un pezzo di percorso del vecchio muro), batto in ritirata e decido di rientrare alla base. Sono mediamente felice: ho comprato delle ciaffate anche oggi e ho segnato sulla mappa i punti ancora da vedere: lo farò domani.

Sabato, 14 luglio 2012 – km 46894
- Berlino
Piove. Ormai non è più una novità e la mattinata parte, ovviamente, in sordina: decidiamo di prendere il bus fino al Zoologischer Garten e da lì un altro bus, il 100, che passa lungo la via principale in una sorta di Hop on-hop off. Certo che se la smettesse di diluviare noi saremmo ben contenti di scendere e fare quattro passi, invece arriviamo ad Alexanderplatz, capolinea, dove, corazzati di k-way e ombrelli, ci infiliamo in una libreria per temporeggiare.
Appena spiove, ritentiamo il bus per Großer Stern, l’immensa rotonda che si apre in fondo all’alberata Straße des 17Juni. Lì, ad attenderci, la Siegessäule, la statua della vittoria, otto metri di angelo laminato in oro in cima ad un altissimo obelisco in mattoni rossi. Con 3€ e 260 scalini circa arrivo in cima, l’aria è fredda ma il sole sembra far finalmente capolino. Ancora una volta, gli altri mi aspettano giù: se non sono venuti in ascensore in cima al “pirulin”, figurati se si fanno tutti quei gradini avvitati dentro una claustrofobica torre di tre metri di diametro. Beh, almeno dall’alto mi sento più vicina al cielo che si è temporaneamente schiarito. Poco più tardi passiamo davanti al Palazzo Bellevue, la “casa” della Angelika nazionale, ma ciò che di più attira la nostra attenzione non è il palazzo bianco, bensì una colonnina rossa dei vigili del fuoco proprio lì fuori, protagonista di svariate foto! Riprendiamo il bus ed io scendo, da sola, dopo un paio di fermate per scattare alcune foto al Museo delle culture del mondo, e approfitto della tregua della pioggia per fare quattro passi con la mia musica.
Ripercorro tutto il vialone al contrario fino al Reichstag, alla Porta di Brandeburgo e oltre, infilandomi in ogni negozietto. Imbocco di nuovo Friedrichstraße, nel senso contrario a ieri, ed arrivo a prendere la metro poco più avanti. Raggiungo lo Zoo, solo perché è un simbolo, e da lì arrivo a piedi fino Breitscheidplatz, praticamente dietro l’angolo. Talmente affollata di gente, tra i turisti e chi si riversa nell’Europa Center (immenso complesso commerciale), che la fontana per cui sono arrivata qui quasi non si vede. La Wasserklops, la chiamano: fontana dalla linea moderna ed estremamente particolare, con l’acqua che scende lungo una sorta di scala tutta intorno. Meravigliosa. Il cielo è finalmente sereno, sembra debba durare per sempre, e ne approfitto per raggiungere rapidamente il castello di Charlottenburg e poter fare foto con il sole. Salendo sul bus e allontanandomi, mi rendo conto che ho mancato completamente la Kaiser-Wilhelm Gedächtniskirche, chiesa pesantemente deturpata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, che ha visto l’opinione pubblica dell’immediato dopoguerra dibattere sul raderla al suolo completamente o ricostruirla. Tra i due litiganti… ha vinto invece l’idea di conservarne le rovine così com’erano. Beh, l’ho mancata: sarà per la prossima volta, ormai il tempo a mia disposizione sta finendo. Quando arrivo al castello, dopo un interminabile viaggio in bus, guarda caso il cielo si è rabbuiato e minaccia pioggia.
Prometto a me stessa che è l’ultima volta che metto piede in Germania, comunque riesco a scendere e scattare delle bellissime foto: non è merito mio, è il palazzo che davvero è molto bello. Faccio in tempo a girare l’angolo ed infilarmi nell’immenso giardino, e le nuvole aprono il fuoco… anzi, l’acqua. Fregandomene, infilo il k-way e vago un po’ alla ricerca di fiori da fotografare. Quando finisco la visita e torno alla base, c’è il sole. Oltre il danno, la beffa. Mi consolo immediatamente: il babbo per cena ha comprato spaghetti di soia dal banchetto china alla stazione della S bahn di Berlin-Spandau.
Domani lasceremo Berlino e, speriamo, questo tempo così maledettamente variabile!

Domenica, 15 luglio 2012 - km 46894
- da Berlino a Norimberga
La mattinata parte leggermente più tardi rispetto alle altre, il solito tempo avvilente ci accompagna, ma almeno non piove. Dopo la colazione, è il momento doccia per il babbo. Io sistemo la faccia alla meglio nel bagno, poi lo scarico delle acque ed il refill, finalmente. 10 cent ogni 10 litri. E vabè. Nel frattempo l’infame ricomincia a piovere. I miei e gli altri progettano la vista al castello di Charlottenburg, che io ho visto ieri sotto l’acqua, ma il diluvio scoraggia la truppa. Impostiamo così Norimberga a Tom, dove contiamo di arrivare in serata. La pioggia spegne gli animi, già tristi per l’imminente ritorno.
Nel frattempo, per amor di cronaca, basta allontanarci da Berlino ed il cielo si rasserena di nuovo, e prosegue così, piovendo e schiarendo ogni dieci minuti. Caldo, freddo, caldo, umido, freddo, caldo, umido. E poi arriva il babbo, con le pillole di saggezza:
“Comunque, dopo un po’ che stai fuori casa, ti viene quella voglia di tornare…”
Mah. Io non ne ho mezza voglia.
Il mio concetto di un po’ è indubbiamente deformato.

Lunedì, 16 luglio 2012 – km 47317
- da Norimberga a Trento
Il babbo stamattina mi ha guardata: “Ehi, oggi sono sette settimane che siamo partiti!” e l’ha detto ridendo, perché è una frase che abbiamo ripetuto decine di volte, dal terzo giorno di questa fantastica avventura in poi. Oggi è il giorno del saluto definitivo: ieri sera, a pochi chilometri da Norimberga, ci siamo accampati per la notte e i miei hanno giocato l’ultimo torneo di Burraco, come spesso hanno fatto durante questo lunghissimo viaggio, con i nostri compagni di viaggio. Stamattina, subito dopo colazione e un po’ di spesa al Lidl, salutiamo infatti Raniero e Adele: loro attraverseranno la Svizzera per rientrare a Como e noi scenderemo per l’Austria.
L’unica nota positiva del ritorno è il sospirato caldo estivo che si fa via via incalzante, ripercorrendo la stessa strada di un mese e mezzo fa attraverso le Alpi, l’Austria, il castello di Trazberg che si scorge in lontananza tra le colline verdi, e poi Schwaz. Che nostalgia. E, ovviamente, Ligabue in sottofondo musicale, che sulle note delle sue canzoni più famose riesce anche a far canticchiare i miei. Grazie, San Luciano, per rendere il rientro meno doloroso. Ed ecco che attorno alle sette di sera, dopo una giornata in viaggio, appare il paletto con la targa azzurra e le stelline in cerchio. Dentro c’è scritto “Italia”. E’ finita: con il tachimetro che segna 47695 chilometri, entriamo in autostrada dal casello di Vipiteno. Per stasera ci fermiamo a Trento, domani pomeriggio sarà di nuovo casa dopo quasi due mesi. Che tristezza, però. Sembra assurdo dire “è già finita”, insomma, bisogna sarei sfacciata e irriconoscente, dopo quasi due mesi di vacanza a spasso. Ma già mi mancano i paesaggi fiabeschi e tutte le città che ho visto, e devo ammetterlo: il sole di mezzanotte è ciò che porterò con me per sempre. Assieme al globo di ferro, simbolo del nostro intenso viaggio alla scoperta del Nord Europa, dove sembra cadere qualsiasi confine, dove qualunque tipo di paesaggio si fonde, le montagne verdi o innevate, le cascate, i laghi ghiacciati, le strade tortuose, le rocce a picco, il mare turchese, le spiagge bianche. Tutto insieme.
Saranno stati davvero l’emozione pre-partenza, i preparativi e i mesi di attesa che sembravano non passare mai, la parte più bella di questo viaggio che ormai muore?
No no, non credo proprio.

Papà, torniamo alle Lofoten ti prego. Lì oltre il Circolo Polare Artico, dove sembra cadere qualsiasi confine, dove qualunque tipo di paesaggio si fonde, le montagne verdi o innevate, le cascate, i laghi ghiacciati, le strade tortuose, le rocce a picco, il mare turchese, le spiagge bianche. Tutto insieme...

Chiacchierando e sdrammatizzando sulla fine del viaggio bellissimo che ci lasciamo alle spalle, il Driver salta su: “Ti lascio una missione: documentarti su internet su quanto costa spedire il camper negli Stati Uniti, o imbarcarlo...”
Qualcosa mi dice che questo sia già l’inizio di un altro viaggio.

Martedì, 17 luglio 2012
- da Trento a casa
Il tachimetro segna 48388 chilometri.
Siamo a casa.
Ma ne è valsa la pena.
___________________

11484 i chilometri percorsi.
8 i traghetti presi.
6 i paesi attraversati
7 le settimane di vacanza
51 i giorni fuori casa
5000 gli euri spesi.


Clicca qui per visualizzare l'itinerario!