24 ottobre 2021

Settembre/ottobre 2021 - Italia, Alsazia e Belgio

Lunedì 20 settembre – km 110634
da casa a Tuscania (208 km)

Ci siamo, anche quest’anno.
Anzi, dopo un anno intero, direi!
Da che parte di mondo andremo non importa molto, l’importante è partire. E lo stiamo facendo. E anche stavolta, Mercurio il nostro gatto (altrimenti detto bestiaccia di Satana) sarà con noi, con una pettorina nuova e le sue unghie sempre pronte ad affondare nelle nostre braccia!
La prima tappa del nostro viaggio ci porta a Bomarzo, al Parco dei Mostri, dove arriviamo intorno all’ora di pranzo.
Optiamo per un giro del parco prima di mangiare, facciamo il biglietto sul posto (dove arriviamo, ovviamente, greenpassmuniti come da richieste del sito) ed entriamo, con una graziosa quanto minimal mappa alla mano, dopo aver pagato € 11,00 di biglietto, senza riduzioni per i vecchietti. Si tratta di un giardino quasi labirintico fatto costruire dal Principe di Bomarzo Vicino Orsini nella seconda metà del Cinquecento. Le statue, raffiguranti animali mitologici e mostruosi, draghi e dei sono state scolpite nel peperino (roccia magmatica tipica della zona) che ormai è ricoperto da un sottile strato di muschio che lo rende ancor più suggestivo, donando una connotazione vagamente fantasy. Bisogna ammettere che il giardino nel complesso è un po’ trascurato, troppe piante ed un sentiero completamente sterrato, anche se sicuramente merita una visita. Poco giustificato, però, il costo del biglietto: dato lo stato di conservazione, basterebbe pure qualche euro in meno! Un frugale pranzo nel parcheggio e ci avventuriamo verso la Torre di Chia e le adiacenti cascatelle. Chiamate anche Cascate di Fosso Castello, poiché formatesi in modo naturale proprio dal torrente Castello, sono raggiungibili comodamente in auto, benché siano poco (o affatto!) segnalate.
Parcheggiamo il camper in uno spiazzaletto che, supponiamo, in estate possa essere più affollato: è uno dei due fantasiosi ingressi al sentiero che conduce in mezzo alla natura, e così io e la Vergara intrepide ci avventuriamo, mentre il driver scende per una passeggiata con la bestiaccia (che però è poco convinta). In realtà all’ingresso del sentiero c’è un grosso divieto di accesso che indica una proprietà privata, ma dalle nostre documentazioni non risulta nulla. Ergo… mettiamo in moto i piedi. Il terreno è un po’ accidentato ma fattibilissimo e soprattutto breve. Chia è collocata in una classica posizione etrusca, sulla cima di un altipiano circondato da forre da cui sale l’impeto del torrente Castello. Passiamo davanti alla Torre di Chia, ultima dimora e luogo del cuore di Pierpaolo Pasolini (che qui vicino girò alcune scene del suo “Il Vangelo secondo Matteo” negli anni Sessanta), e grazie ad una deviazione raggiungiamo le cascate. Nonostante lo sconnesso, la Vergara mi segue con un po’ di aiuto fino a giungere, in pochi minuti, a questo angolo incantato.

Una radura, a tratti fatata, circondata da felci, alberi caduti, massi giganteschi e muschio, accompagnata dal rumore fragoroso dell’acqua che scorre tra i salti del fiume e che si accumula tra le spaccature delle rocce in piccole pozzanghere verdissime. Pare che questa meraviglia sia spesso dimenticata dalla maggior parte sia di turisti che di abitanti nativi, probabilmente per un’errata politica di diffusione e per la mancanza di segnalazioni sui principali canali di sponsorizzazione turistica. Dopo le dovute mille foto con esposizioni lunghe e due chiacchiere nel fresco delle fronde degli alberi, ci riavviamo verso il camper. Ripartiamo alla volta di Tuscania, dove arriviamo verso le 17. Ci fermiamo nei pressi di un’area sosta gratuita a 240 metri dalla porta d’ingresso del centro storico, in Via Nazario Sauro. Un po’ dismessa, ma gratuita e comoda per una visita della cittadina etrusca. Infatti, in 300 metri, raggiungiamo la cinta muraria di tufo, come tutto il borgo. Un giro per i vicoli fino ad arrivare alla Fontana delle Sette Cannelle, chiamata anche Fontana del Butinale per l’acqua che fuoriesce dalla bocca dei sette mascheroni che decorano il muro. La fontana, classico esempio etrusco-romano del XII Secolo, è la più antica della cittadina viterbese. Anche qui, mi diletto con le esposizioni lunghe, poi torniamo al camper. Ora di cena arrivata, passeggiatina fuori con Mercurio, e nanna.


Martedì 21 settembre - km 110842
da Tuscania a Pitigliano (121 km)

La giornata inizia presto come sempre, tanto che alle 7.30 siamo svegli. Ciononostante, partiamo comodamente alle 9 del mattino: ogni volta è la stessa storia, dopo la prima notte in camper ci si guarda smarriti perché nessuno si ricorda l’ordine in cui ci si muove per evitare intralci l’uno agli altri, e ogni volta mi ricordo troppo tardi che io sono l’ultima ad andare in bagno perché devo rifare i letti!
Arriviamo a Capalbio un’oretta più tardi e parcheggiamo a 500 metri (benché in salita!) dal centro. Appena entrati dalla porta principale, ci troviamo davanti la Torre dell’Orologio ed una serie di vicoli graziosi adornati da fiori e piante in ogni dove: non a caso, è insignita della Bandiera Arancione come uno dei Borghi più belli d’Italia. Un paesino delizioso ed inaspettato, con una torre (quella della Rocca Aldobrandesca) risalente al Trecento ed una piazzetta in mattoncini che sembra un dipinto impressionista: Piazza Magenta, seppur minuscola, è circondata dal camminamento di ronda e da immancabili ristorantini dai muri decorati con bouganvilles e altre piante rampicanti. La visita, a volerla tirare per le lunghe, dura poco più di un’oretta, dopodiché torniamo al camper. Dopo pranzo, gasatissimi, arriviamo al parcheggio sterrato del Giardino dei Tarocchi, a pochi chilometri da Capalbio. Ebbene, ci torno dopo tre anni: si tratta di un parco sicuramente unico nel suo genere, realizzato ed autofinanziato dall’artista contemporanea Niki de Saint-Phalle, che si innamorò di Barcellona e dell’architettura visionaria di Antoni Gaudi alla fine degli anni Settanta.
Per completare il progetto furono necessari 17 anni, ceramica, maioliche, specchi e vetri per creare uno strato di mosaico attorno a sculture giganti in calce e cemento: queste statue rappresentano gli arcani maggiori delle carte dei tarocchi, ed ecco che troviamo la Papessa, l’Imperatrice, il Mago, la Ruota della Fortuna e tante altre, fino alla splendida piazzetta con le coloratissime colonne ed il porticato di specchi. La piccola “piscina” centrale ospita quattro Nanas che fanno il bagno, le tipiche sculture di donne formose e tettone che sono state un marchio di fabbrica di Niki, morta nel 2002 all’inizio del successo del suo Giardino. Niki, se potessi vedere gli occhi estasiati da tanti colori, le bocche spalancate di fronte a tanto sbrilluccichio. Ti piacerebbe? Tu che pensavi che sarebbe stato un luogo di meditazione, di pace e di tranquillità, cosa penseresti di tutti i visitatori che si riversano giornalmente nello spazio da te creato? Spero tu possa essere felice di ciò che ci hai donato, anche da dove sei ora. Dopo il nostro momento “meditazione” finale davanti alla piscina del Mago e della Papessa, all’ingresso del coloratissimo sito, anche noi riprendiamo la via. Arriviamo a Pitigliano intorno alle 18, nel pieno della golden hour che ci regala, tra le nuvole, un bel tramonto che schiaffeggia l’ocra delle case e del blocco tufico su cui il paese si appoggia silenzioso. La strada si inerpica incerta fino al centro storico, che costeggiamo fino al parcheggio di Piazza Nenni, dove non siamo certo gli unici: tutti i camper, infatti, sono radunati qui, e anche tantissimi stranieri, come non ne vedevamo da molto! Il parchimetro non è economico, ma è l’unica soluzione disponibile: 2,00 € l’ora, ma poi gratis dalle 20 alle 8 del mattino, quindi ci si rassegna! Il belvedere è a un chilometro circa, ed optiamo dunque per quattro passi a piedi. Aspettiamo il tramonto e le luci che si accendono piano piano, dopodiché rientriamo alla base. Un frugale pasto e poi le solite operazioni serali: foto, diario di viaggio da aggiornare, quattro passetti con Mercurio, letture e nanna!


Mercoledì 22 settembre – km 110953
da Pitigliano a San Galgano (155 km)

Dopo una nottata decisamente impegnativa causa gatto, ci svegliamo con una bona dose di rincoglionimento ma ci mettiamo in moto prima delle 9. L’arietta è ancora frizzantina e noi percorriamo la stressa strada di ieri pomeriggio per raggiungere il belvedere e di seguito il grazioso centro storico.

  Pitigliano è un borgo di nemmeno 4 mila abitanti, curato e pulito. La sua caratteristica, come già detto, è il fatto di essere situato su uno sperone tufaceo, che per tre lati scende a strapiombo sulle vallate circostanti. Le case raccolte intorno al Castello Orsini, il dedalo di vicoli in mattoni di tufo, le scalette e gli affacci che si aprono su piazzette e panorama, creano un’atmosfera suggestiva ed incantevole, e noi ci perdiamo felicemente nelle foto.
Pitigliano è anche detta “la piccola Gerusalemme” per via dell’insediamento ebraico risalente al Cinquecento, che ancora oggi caratterizza il borgo con il suo quartiere ed i negozi di specialità tipiche. Dovendo raggiungere Prato domani pomeriggio, optiamo per sfoltire qualcosa lungo il percorso, costellato di tappe (aggiunte posticce) nella zona delle terme e della Val d’Orcia. Ci viene incontro in tal senso Sorano, altro borgo tufico in cui vorremmo fermarci ma che, dato il poco posto per parcheggiare e le viuzze anguste per le manovre, tagliamo bellamente fuori. Attraversiamo cave di tufo lungo una strada statale piuttosto ombreggiata grazie a filari infiniti di alberi, ma dal fondo pessimo. Passano via così circa 25 km, fino alla SR2, ovvero la strada statale Cassia, meglio nota come Via Francigena. Siamo in Val d’Orcia! Deviamo pochi chilometri più avanti per la Fortezza di Radicofani. Si tratta di un castello di chiaro stampo medievale, edificato nel X Secolo a scopo difensivo (e restaurato più volte nel corso dei secoli), che domina il paese sottostante e la splendida vallata.
Peccato che sia un enorme cantiere e meno interessante di quanto sembri. Ergo… scendiamo a valle! Ci fermiamo per pranzo nel piccolo paese di Radicofani, nell’area attrezzata in Via De Gasperi, dove espletiamo le prime operazioni di scarico/carico del nostro viaggio, poi riprendiamo la Val d’Orcia. Prossima tappa, dunque,Bagni San Filippo, famosa, oltre che per le sue acque terme ad ingresso libero, per la Balena Bianca, una formazione calcarea che sovrasta il sito termale. La giornata è bella e tiepida, c’è parecchia gente in giro. L’odore di zolfo delle acque termali è già insopportabile da dentro l’abitacolo del camper, ma scendo comunque al volo per buttare un occhio al sito e percorro il breve sentiero sterrato che conduce al fiume. Ammetto: forse avevo le aspettative alte dalle tante foto viste in rete di questa zona (come Saturnia, del resto), o forse immaginavo un luogo più tranquillo, ma sta di fatto che bisogna spostare la gente con la pala: troppe persone ammassate nelle turchesi piscine naturali, per i miei gusti, e per questo mi dà l’idea di un posto poco pulito. Ne approfitto giusto il tempo di qualche foto (perché il sito meriterebbe, se non fosse così pieno) e filo via. A Bagno Vignoni non riusciamo a fermarci per la congestione nel parcheggio a un chilometro di distanza dal centro (e perché in centro c’è un parcheggio ampio ma con divieto per i camper, tra l’altro!), quindi tiriamo verso San Quirico D’Orcia, dove ci fermiamo presso un parcheggio in Via Dante Alighieri, a poche centinaia di metri dal centro storico (che, dopo duecento metri di salita, è in piano!). Ci troviamo subito davanti la Chiesa di Santa Maria, di stampo romanico, e poco più avanti l’ingresso degli Horti Leonini con i bossi puzzolenti ma molto ordinati, in fondo al vecchio insediamento di San Quirico. Graziosa la Chiesa di San Francesco, anche se la vera chicca è la Collegiata, la Pieve dei Santi Quirico e Giulitta, che si erge su una piazzetta con il pannello di segnalazione della Via Francigena.
Il bello di questi borghi è che si girano davvero in poco tempo, a meno che uno non si infili in ogni museo o negozietto, e comunque siamo in perfetto orario sulla nostra tabella di marcia, che ci riporta lungo la SR2 vero l’Abbazia di San Galgano. Attraversiamo i punti panoramici dei Cipressini di San Quirico, i più instagrammati e fotografasti alberi della Toscana, mentre i miei si chiedono cosa ci sia di speciale nel fotografare una serie di alberi in cerchio in mezzo alle colline brulle. Che, comunque, non hanno tutti i torti. Sono già le 19.40 quando, dopo una strada sconquassata e sconquassante che avrebbe dovuto essere scorrevole, arriviamo esausti a San Galgano, al parcheggio dell’Eremo di Montesiepi e dell’Abbazia di San Galgano: è un bel parcheggio su asfalto, ampio e pulito, costruito su più livelli, dove trascorriamo la notte insieme a parecchi camper.
Domani penseremo al resto. Considerazione dei primi tre giorni di viaggio: la Toscana è ancora piena zeppa di turisti, soprattutto tedeschi e francesi!


Giovedì 23 settembre – km 111108
da San Galgano a Anchiano (214 km)

La giornata inizia presto ma dà i suoi frutti: prima delle 9 siamo già al parcheggio dell’Eremo di Montesiepi, che raggiungiamo in camper data la salita e le ginocchia andate di mamma. Contiamo in realtà di scaricare la Vergara e riportare il camper al parcheggio a 700 metri dal sito, ma l’omino del negozietto all’interno del complesso ci dice che possiamo lasciarlo lì, anche perché la visita porta via davvero una ventina di minuti. L’Eremo di Montesiepi e l’abbazia di San Galgano fanno parte di un unico grosso complesso, collegati da un sentierino in un bosco oltre che dalla strada principale (e decisamente più agibile). Di San Galgano, a cui il luogo è intitolato, si sa che morì nel 1180 circa e che, convertitosi dopo una giovinezza disordinata, si ritirò a vita eremitica per darsi alla penitenza, con la stessa intensità con cui si era prima dato alla dissolutezza. Il momento culminante della conversione avvenne in realtà pochi mesi prima della sua morte, quando, giunto sul colle di Montesiepi, infisse nel terreno la sua spada, allo scopo di trasformare l'arma in una croce; in effetti nella Rotonda (la parte centrale dell’eremo) c'è un masso dalle cui fessure spuntano un'elsa e un segmento di una spada corrosa dagli anni e dalla ruggine, ora protetto da una teca. Evidente è, qui, il richiamo al mito di Re Artù, cosa che ha sollevato curiosità e qualche ipotesi (sebbene molto azzardata!) su possibili relazioni fra la mitologia della Tavola Rotonda e la storia di Galgano. Qualche foto agli interni e alla spada nella roccia simbolo della rinuncia del cavaliere alla vita mondana, ed usciamo. Io imbocco poi il sentierino che dall’eremo conduce direttamente all’abbazia di San Galgano, e ci rivediamo con i miei (che hanno riportato il camper al parcheggio ed arrivano per un’altra strada) davanti all’abbazia ancora chiusa.
Alle 10, con una manciata di visitatori, il portone della biglietteria si apre. L’ingresso costa 4,00 € ed include la visita al museo di Chiusdino (che però salteremo a piè pari). Che dire… per me che in Regno Unito ho inseguito chiese diroccate è una gioia vederla! La mancanza del tetto, che evidenzia l'articolazione della struttura architettonica, accomuna questa abbazia proprio a quelle di Melrose e Jedburgh, in Scozia, o alla Igreja do Carmo di Lisbona (viste ovviamente tutte!).

Negli ultimi anni della sua vita, Galgano era entrato in contatto con i monaci cistercensi, e furono proprio loro a essere chiamati a fondare la prima comunità di monaci. Sotto l'impulso di questo primitivo nucleo monastico, nel 1218 si iniziarono i lavori di costruzione dell'abbazia, che fu terminata solo qualche decennio più tardi. Le carestie, la peste ed i saccheggiamenti, dopo un primo fiorente secolo, la danneggiarono in più riprese, ma fu il fulmine che colpì il campanile nel 1786 a darle il colpo di grazia: il tetto, infatti, crollò sotto il peso della torre campanaria, e da quel momento fu sconsacrata ed usata come stalla, fino agli anni Venti dello scorso secolo, quando lo Stato Italiano ne riconobbe il valore culturale, tutelandola. E meno male, aggiungerei.
In perfetto orario sulla tabella di marcia, ci mettiamo in movimento per raggiungere la frazione di Comeana (vicino Prato) per aggiustare le sospensioni presso OMA, l’officina meccanica specializzata. Perderemo tutto il pomeriggio, quindi niente da segnalare finché, poco dopo le 18, non riusciamo a ripartire alla volta di Lucca. Arriviamo un’oretta più tardi, pronti per fermarci nel parcheggio comunale, ma una volta sul posto scopriamo con sgomento che lo spazio è stato preso dalle giostre per il settembre lucchese. Addio pure Lucca: tiriamo verso nord e ci fermiamo al parcheggio comunale gratuito di Anchiano, in Via Norvegia (giustamente Via Norvegia, dato che questa frazione è gemellata con la città norvegese di Ålesund!), dall’entrata a gomito talmente angusta ed in salita che ci tocca fare manovra un chilometro oltre per poter entrare a mano di strada.
Finalmente, la giornata è finita. Anche il gatto sembra finalmente stanco!

Venerdì, 24 settembre – km 111322
da Anchiano a La Spezia (km 121)

Stamattina l’aria è particolarmente frizzante, mentre scopriamo che Borgo a Mozzano, con il famoso Ponte della Maddalena, dista appena 4 chilometri da dove ci siamo fermati per la notte.

Il Ponte della Maddalena (o Ponte del Diavolo) attraversa il fiume Serchio. A seguito della sua forma e del suo arco più alto (quasi inumano), questa perla dell'ingegneria è oggetto di molti racconti, e una volta visto con i nostri occhi, non fatichiamo a capire perché.
La costruzione di un ponte che mettesse in collegamento la due sponde del fiume si deve alla volontà della contessa Matilde di Canossa intorno all’anno Mille, ma le fattezze attuali si devono al rifacimento di Castruccio Castracani, signore di Lucca all'inizio del XIV Secolo. Il ponte, pur con vari rimaneggiamenti, rimase intatto almeno fino al 1836 quando una violenta piena del arrecò gravi danni. Durante il suo periodo più fiorente, era fatto divieto di passare con mezzi pesanti e macine per evitare di danneggiare la pavimentazione, interamente in pietra. Raggiungiamo Bagni di Lucca, due chilometri oltre, per dare un’occhiata anche al Ponte delle Catene, il primo ponte in ferro e legno realizzato in Italia. Onestamente, passarci sopra fa quasi impressione, ma è un mio limite! Dato poi che per raggiungere La Spezia l’itinerario più breve sembra essere quello che ripassa per Lucca stessa, torniamo indietro ed optiamo per una visita alla città. La Vergara, durante il tragitto, cerca un paio di parcheggi papabili per fermarci qualche ora, anche se l’unico che fa al caso nostro è il parking Luporini. La cifra è di 10,00 € per le 24 ore, ma un’ora di parcheggio costa 3,00 €, quindi con tre ore ci saremmo già fumati l’importo dell’intera giornata. Ergo, parcheggiamo e ce la prendiamo comoda per la visita. Lucca è una città di circa 90 mila abitanti, racchiusa in una cinta muraria tanto famosa quanto caratteristica, con un ampio camminamento. Tanti sono gli edifici storici ed i campanili delle chiese realizzate in marmo di carrara, con l’inconfondibile stile romanico toscano, e non vedo l’ora di esplorare un po’. I miei prendono il bus, che ha la fermata proprio fuori dal parcheggio: la LAM rossa, in dieci minuti, porta in centro. Io vado a piedi per accumulare passi (dato che in questi giorni non ho camminato molto) e dopo un blitz all’ufficio turistico da Porta Sant’Anna raggiungo il cuore di Lucca, Piazza San Michele con l’omonima Cattedrale ad ingresso gratuito, dove recupero i miei pochi minuti più tardi.


Dopo una breve visita, un frugale pranzo con pizza al taglio (maglietta impadellata di olio inclusa nel prezzo!) e via verso Piazza Napoleone dove troneggiano un mercato di vestiti e cianfrusaglie e un bellissimo Carosello a lato. Risaliamo poi la strada verso la Torre Guinigi, la più famosa di Lucca per le sue particolari “aiuole” sul tetto: infatti, in cima ai 230 gradini (che non mi lascio ovviamente sfuggire a fronte di un biglietto da 5,00 €) ci sono piantati alcuni alberelli che donano alla torre una connotazione indubbiamente molto originale! La vista, poi, è senza pari! Dalle viuzze strette raggiungiamo la splendida Piazza dell'Anfiteatro, edificata sui resti dell'antico anfiteatro romano che ne determinarono la forma ellittica chiusa.
 
La piazza nacque nel Medioevo e fu progressivamente riempita di costruzioni, variamente utilizzate come deposito di sale, polveriera, carcere. Solo nell'Ottocento, per opera dell'architetto lucchese Lorenzo Nottolini, fu decisa una ripresa urbanistica dell'antica struttura, creando un’armonia con gli edifici attorno alla piazza. Ultime tappe, riscendendo verso l’uscita delle mura, la Chiesa di San Martino e la Chiesa dei Santi Giovanni e Reparata. I miei riprendono il bus, io torno a piedi dopo un breve tour lungo parte della cinta muraria. Decidiamo, dato che sono da poco passate le 17, di spostarci verso la Liguria. E così, dopo aver assistito ad un elisoccorso, esserci imbottigliati nel traffico toscano ed aver strappato il biglietto del casello autostradale, prima delle 18.30 siamo già a La Spezia e ne approfittiamo per un salto da Lidl per pane e viveri prima di arrivare al parcheggio. Dopo una mezz’ora siamo fuori dall’area camper di Via delle Casermette, pronti a parcheggiare all’interno. C’è un po’ di congestione nonostante l’ampio spazio sterrato con zone erbose, e leggendo le recensioni il posto sembra fare schifo e scoraggerebbe chiunque. Ma alla fine non è affatto male: in primis, 6,00 € al giorno con carico/scarico, poi fermata del bus a breve distanza che porta direttamente alla stazione ferroviaria da cui partono i treni per le Cinque Terre (che speriamo, salvo imprevisti, di iniziare a visitare domani), e non ultimo, prende benissimo la parabola. Nota negativa: un caldo soffocante per l’umidità del mare.


Sabato 25 settembre - km 111443
Cinque Terre

Stamattina, dopo aver fatto il biglietto per il bus linea L direttamente al gabbiottino dell’area camper, raggiungiamo la fermata Cantieri San Marco (di fronte al cantiere San Lorenzo… valli a capire, i nomi delle fermate!), a 300 metri dalla nostra base. Il bus passa ogni 20 minuti circa, e dopo una breve attesa, nello stesso tempo siamo alla stazione ferroviaria di La Spezia. Un carnaio, gente in ogni dove, e noi ci mettiamo un po’ per renderci conto che la fila di duecento metri lungo la banchina che divide l’ingresso dal primo binario della stazione è composta da persone che aspettano il proprio turno allo Iat per fare la CinqueTerre Card, ovvero il biglietto giornaliero per il treno che ferma in tutte le stazioni dei famosi borghi liguri al costo di 16,00 €. Praticamente, in una sola giornata si può utilizzare come un bus hop on-hop off, scendendo e salendo a qualsiasi fermata delle Cinque Terre. Se il fatto che ci siano solo due incaricati agli sportelli dello Iat crea un disservizio (ci mettiamo 40 minuti per far arrivare il nostro turno!), bisogna anche ammettere che l’impiegata è precisa e competente e ci dà anche un buon suggerimento per domani, poiché difficilmente riusciremo a fare tutto il giro in giornata.
Ok, facciamo un passo indietro.
Chi non è mai stato alle Cinque Terre (me compresa fino a ieri!) probabilmente non ha bene idea di come sia strutturata questa parte di costa, cosa che io ho di fatto scoperto ufficialmente oggi: la linea ferroviaria mette in comunicazione i cinque paesini che distano pochi minuti di viaggio gli uni dagli altri. La stazione in ogni paesello si trova a breve distanza dal nucleo abitato che è, dunque, raggiungibilissimo a piedi (persino da mia mamma, che con i suoi acciacchi cammina poco!). L’alternativa per la visita è il battello dal porto di La Spezia, il cui tour (che costa il doppio) si sviluppa più o meno allo stesso modo, con partenze ogni ora da un porticciolo all’altro: sicuramente, qui la visita vale per la vista panoramica che si ha da mare. Ultimo ma non ultimo, i paesi sono messi in comunicazione da sentieri aspri annodati lungo le coltivazioni a terrazzo e i vigneti tipici di questa zona (queste sono reminiscenze delle scuole elementari!), ovviamente non sono proprio sentieri per tutti, data la forte inclinazione del terreno, ma regalano panorami mozzafiato. Si consigliano scarpe da trekking (o da ginnastica con una buona gomma!) e, finalmente, “zeppi” da camminata nordica, che possono aiutare! Il cosiddetto Sentiero Azzurro ha una lunghezza complessiva di circa 12 chilometri e congiunge tra loro tutti e cinque i paesini. Purtroppo, a causa delle frane del 2011, diversi tratti sono attualmente chiusi e non è permesso percorrerli. Gli unici tratti aperti del sentiero Azzurro sono quelli che collegano Monterosso al Mare a Vernazza e Vernazza a Corniglia, niente da fare per le altre due terre poste più a sud. L’accesso al sentiero azzurro sarebbe a pagamento, mentre è un servizio incluso con la Cinque Terre Card.
Insomma, finalmente siamo sul binario e prendiamo il treno in direzione Levanto e decidiamo di scendere a Monterosso al Mare, la più ad ovest delle Cinque Terre, per poi fermarci a ritroso. Facciamo dunque tutto il viaggio in treno, che alterna gallerie e scorci sulla costa selvaggia in prossimità delle piccole stazioni ferroviarie, e quando arriviamo a Monterosso (dopo una mezz’oretta) scendiamo. Le prime due cose che respiriamo: l’afa terrificante manco fosse agosto, ed uno splendido odore di salsedine, di mare misto a sabbia. La passeggiata lungomare apre una lingua di sabbia granellosa e scura, e si nota il grande scoglio posto a pochissimi passi dalla fine della spiaggia (dove la gente se ne sta ancora a pancia all’aria). Questo scoglio, a causa della sua posizione, è conosciuto come Scoglio di Fegina ed è vietato scalarlo o utilizzarlo per fare tuffi nell’acqua. Monterosso è il borgo più popoloso (nonché il più commerciale, forse) della riviera, ed è diviso in due parti: zona moderna di Fegina, con la stazione praticamente inglobata nelle case e gli stabilimenti balneari, ed il borgo antico: è proprio qui il grande poeta Eugenio Montale aveva il suo porto sicuro, una casa di famiglia in cui amava rifugiarsi. Per accedere al borgo antico è necessario passare sotto al ponte giallo dei binari del treno e, proprio oltre questa infrastruttura, ci si apre la vista sugli edifici storici.

Monterosso vive di turismo e di certo non mancano bar, ristoranti e negozi di souvenir e prodotti tipici. L’intero centro storico è spesso invaso dai turisti attratti da quest’angolo di Liguria, e oggi ce ne sono talmente tanti da doverli scansare con la pala. Sulla stessa piazzetta Don Minzoni c’è la cattedrale di Monterosso al Mare, la piccola Chiesa di San Giovanni Battista. Questa è anche una delle chiese più antiche di tutta la zona: la sua costruzione cominciò nella seconda metà del XIII Secolo e si concluse in circa venticinque anni. Ancora una volta la facciata della chiesa è decorata da linee orizzontali bianche e nere e il portone di ingresso è sormontato da un piccolo affresco che rappresenta il battesimo di Cristo. Sopra, nella parte alta della facciata, si trova un grande rosone. Questi borghi marinari strappati al mare hanno le loro caratteristiche case arroccate sulla scogliera e viuzze strette divise da scalinate in pietra scura. Una gioia per i miei occhi. Soprattutto, passerò la giornata a perdermi tra i vicoli e salire scale e sentierini che mi portano a panorami mozzafiato, come Punta Corone, già fuori dal borgo, in mezzo alla natura a strapiombo sul mare, lungo un sentiero che ricorda blandamente l’anello del Conero. Una magnifica vista sulla costa selvaggia, gli occhi che si riempiono di azzurro, e poi torno indietro per riprendere il treno per la seconda tappa.
  Vernazza conta appena 850 abitanti, nonostante la sua popolazione cresca incredibilmente durante il periodo estivo. Tutto il centro storico è raccolto sugli scogli che si affacciano sul mar Ligure e fanno da splendida cornice al borgo di case colorate che si arrampicano su per la montagna. Da Via Roma, la principale del centro storico si nota una piccola area sbarrata da un paio di transenne: è l’ingresso alla grotta di Vernazza, situata proprio sotto alcune case, che dà accesso a una piccola spiaggetta di sassi. Via Roma fu inoltre vittima di una massiccia colata di fango e detriti che si creò a causa di massicce piogge nel 2011. In alcuni cartelli si possono vedere le fotografie del centro storico subito dopo l’emergenza, dove i piani bassi delle case furono duramente colpiti e inondati. Ci fermiamo proprio lungo la via principale a mangiare una focaccetta per pranzo sotto un cielo nuvoloso ma che ancora non minaccia pioggia, poi scendiamo al molo, da cui abbracciamo con lo sguardo tutto il borgo, addormentato sulle barchette. Dopo una visione d'insieme, decido di salutare i miei e rivederci a Corniglia: loro andranno in treno, io salirò per il Sentiero Azzurro. La bellezza di Vernazza la si può apprezzare veramente camminando tra i vicoli del suo centro storico. Da via Roma, la via principale del borgo che si congiunge fino al porticciolo, scendendo verso il mare si possono prendere le strade che a sinistra si arrampicano verso il castello. Salendo lungo una ripida scalinata, in men che non si dica sono fuori dal paese. Sono circa 3 i chilometri che si snodano sulla montagna e che permettono di avere anche degli ottimi punti di osservazione sui borghi. Spesso il sentiero Azzurro si fa stretto, tanto da non permettere di passare a due persone contemporaneamente. In alcuni tratti la strada si scopre ed è a strapiombo sul crinale della montagna, altre volte ci si ritrova invece immersi nella vegetazione. Ammetto che i gradoni in pietra (che ricoprono gran parte del percorso) sono molto faticosi poiché tutti in salita, ma il percorso si affronta anche con una comune scarpa da ginnastica, se proprio non si ha nulla di meglio a disposizione. L’importante è avere fiato nei polmoni! Lungo il sentiero, il punto panoramico di Prevo, a poco più di 200 metri sul livello del mare che però sembrano duemila, scopre un primo panorama sul borgo di Corniglia, borgo centrale delle Cinque Terre. Si tratta anche dell’unico dei cinque a non nascere direttamente sul mare. Il suo centro storico è infatti arroccato su uno sperone a circa novanta metri di altitudine ed è circondato dai terrazzamenti che vengono coltivati a uva.
Corniglia è in realtà una frazione del comune di Vernazza, ma è anche un borgo cittadino totalmente separato. Dopo un'ora abbondante di camminata lungo il Sentiero Azzurro (e grondante di sudore come un pellegrino del cammino di Santiago) arrivo in paese e recupero i miei, appena arrivati con la navetta che collega la stazione sul livello del mare con il borgo, proprio lì sulla piccola Piazzetta Ciapara sulla quale si affaccia un modesto supermercato. Alla nostra sinistra si allarga la parte più grande di case, vicoli e servizi commerciali, tra cui Largo Taragio, una seconda piccola piazza, dove svetta il monumento ai Caduti, mentre al di sopra si affaccia l’oratorio della disciplinata di Santa Caterina.
Anche qui le vie sono piene di turisti e persone del luogo abituate a spendere il loro tempo libero fuori dalle case, affacciati in strada chiacchierando con i propri vicini. Mi concedo ancora qualche passeggiatina nei vicoli, veri e propri capolavori, e scendiamo poi con la navetta per riprendere i treno in direzione Manarola. Il borgo di Manarola, insieme a quello di Vernazza è tra i più fotografati e iconici di tutte le Cinque Terre. Questo borgo è una frazione del comune di Riomaggiore, e nasce sulla vallata del torrente Groppo allungandosi fino al mare, con un abitato che si estende principalmente sul lato sinistro. Il lato destro è invece occupato principalmente da terrazzamenti e coltivazione di uva. I miei sono un po' cotti, ergo, io mi butto lungo le scalinate per riempirmi ancora un po' gli occhi di tutti questi colori. Arrivo in Piazza Innocenzo IV, sulla quale si affaccia la Chiesa di San Lorenzo, la principale di tutta Manarola. Venne costruita durante il XIV secolo in stile gotico ligure, utilizzando la pietra arenaria locale. Sulla facciata è presente un grosso rosone in marmo bianco, che illumina gli interni ed è posto sopra all’ingresso decorato da un arco. In posizione panoramica rispetto a tutto il centro storico di Manarola, si trova la torre Campanaria della chiesa di San Lorenzo, insolitamente separata dalla chiesa a cui si trova davanti. La torre campanaria di Manarola venne costruita nel XIV secolo nella stessa posizione in cui era prima presente una torre di vedetta utilizzata per prevenire ed annientare i frequenti attacchi dei saraceni.
Dalla sua posizione si apre un bellissimo panorama che spazia fino al mare, mentre vari camminamenti offrono la possibilità di vedere il borgo da più angolazioni. Dalla piazza si dipana una strada che porta ad un sentiero lungo i terrazzamenti, mentre la via Belvedere si raggiunge dalla parte più bassa del paese di Manarola: una volta arrivati nei dintorni del porticciolo, è ben visibile dove imboccare la breve strada che sale e che conduce fino alla piazzetta Eugenio Montale, da cui ammirare il borgo nella sua veste migliore (e più fotografata!). Insomma, diciamo che è stata una corsa contro il tempo ma ne è valsa la pena, poiché domani ha messo brutto tempo. Ovviamente speriamo che non sia così malaccio e ci permetta di stare in giro, ma intanto ci siamo guadagnati 4/5 di Terre.

Domenica 26 settembre - km 111443
Portovenere

Stamattina, con un cielo che promette pioggia da una settimana, ci dedichiamo con calma alle operazioni di carico/scarico (dato che presso l’area camper stanno facendo dei lavori agli impianti idrici e fognari e oggi, essendo domenica, gli operai non lavorano e gli scarichi sono fruibili) in attesa di decidere come muoverci, sperando di fregare il meteo che insiste con pesanti nuvoloni neri. Prendiamo dunque il bus della linea S (sia la linea L che la linea S passano per la fermata Cantieri San Marco a 300 metri dall’area camper, con la differenza che la domenica passano solo ogni mezz’ora) e raggiungiamo la stazione centrale, come ieri. Scopriamo con disappunto che i paesi di Riomaggiore e Manarola hanno allerta arancione meteo fino almeno alle 15, e che per lo stesso motivo sarebbero vietate ai turisti, anche perché ogni ristorante, bar ed esercizio commerciale è chiuso. A questo punto optiamo per Portovenere (dove non sembra ci sia allerta meteo, poiché rimane sul peduncolo opposto alle Cinque Terre), raggiungibile con il comodo bus della linea P o 11 (2,50 € ogni tratta) in Via Garibaldi, a 500 metri dalla stazione. Arriviamo in circa mezz’ora sotto un cielo grigio che minaccia di scatenare l’inferno a breve. Questa bellissima città portuale, che si trova sulla punta di un lembo di terra che va a formare il golfo di La Spezia, anche conosciuto con il nome di Golfo dei Poeti, non ha niente da invidiare alle Cinque Terre, tanto che potrebbe essere considerata "la Sesta Terra". Oltre ad essere estremamente meglio conservata, offre anche qualche attrazione in più da visitare. Inoltre è ben servita da bus e traghetti. Portovenere (il cui nome in realtà andrebbe scritto staccato, Porto Venere) nasce come borgo di pescatori in tempi molto antichi. La città originaria, di cui non ci sono più resti, sorgeva nel piazzale Spallanzani, proprio ai piedi della chiesa di San Pietro. Già dal I Secolo, a causa della sua posizione molto esposta, iniziò a subire incursioni ed invasioni, da parte di Longobardi e poi Normanni e Saraceni. Arriviamo con il bus praticamente all'inizio del paese, da cui già è chiara la bellezza di ciò che sarà. Davanti al centro storico di Portovenere ci sono le tre isole Palmaria, del Tino e del Tinetto. Nel 1997 la città e le sue isole sono state inserite tra i Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO insieme alle Cinque Terre. L’ingresso al cuore del centro storico è segnato dalla Torre o dalla Porta del Borgo, che si affaccia sull’esterna piazza Bastreri, dove ci fiondiamo a fare foto. Affiancata a questo ingresso si trova la torre del XII secolo che con finestre trifore e bifore a decorazione dei suoi lati completa la cinta muraria che gira intorno al centro storico. Prima di salire al castello, essendo orario di pranzo, decidiamo di prendere qualcosa di veloce per le vie del centro medievale di Portovenere. Sulla via principale, Via Giovanni Capellini, si affacciano numerose botteghe che vendono oggetti tipici del luogo e cibo tipico. Tra le varie oggettistiche ci si rifà piuttosto spesso ad uno dei simboli della Liguria: le aringhe, che diventano vassoietti e complementi di arredo. Pochi minuti e le prime gocce ci costringono a ripararci sotto l’arco di ingresso. I miei sfoderano il poncho impermeabile, appena acquistato da bravi turisti alla stazione di La Spezia, avendo dimenticato i loro! Io ed il mio fedele k-way, insieme, ci siamo corazzati da casa. Sotto una pioggia battente ci infiliamo comunque in una friggitoria gestita da due sudamericane gentilissime, ed aspettiamo che spiova un po’ approfittandone per fare pranzo. Usciamo un’oretta più tardi cercando di infilarci tra una goccia e l’altra senza toppo successo. Ormai sono qui, ergo… non mi lascio spaventare e metto in moto i piedi.
Imbocco una lunga scalinata in pietra dalla Porta del Borgo e, tra le pozzanghere, arrivo al grande Castello Doria. La sua forma è insolita, si tratta di una pianta pentagonale con il bastione sud che si protrae verso il mare. La costruzione del Castello Doria avvenne tra il XII e il XV Secolo da parte della repubblica genovese per motivi di sorveglianza del territorio e anche per questo si spiega la sua fortificazione, che si collega alle mura che cingono la città. Da qui, scendendo dei gradoni in pietra, si raggiunge la Chiesa di San Pietro in cima alla Scalinata Lazzaro Spallanzani. Si tratta di una piccola chiesa cattolica restaurata, risalente al 1198 e situata in cima ad un promontorio roccioso circondato da un mare che sarebbe turchese, se non fosse per il grigiore del cielo. È la chiesa vestigiale più antica del Golfo e costituisce una delle più famose attrazioni turistiche del luogo. Tra l’altro, da questo sperone roccioso si possono ammirare le coste frastagliate del peduncolo di Portovenere e anche la Grotta di Byron. La gente si ripara come può nelle nicchie attorno alla chiesetta, e ammetto che anche con questo tempaccio è una gioia per gli occhi. Tornando indietro, in fondo ad una viuzza apparentemente scialba, si apre una piazzetta con la Chiesa di San Lorenzo, simile nello stile alla precedente. Per pochi minuti sembra voler smettere di piovere ed il cielo prende fiato, così ne approfitto per tornare, passando all’esterno del centro storico, sull'area fronte mare. Qui si trova la nota Palazzata a Mare, ovvero un insieme di edifici disomogenei, stretti gli uni agli altri, eretti come soldatini che, alti, si affacciano verso l’orizzonte. Lo spettacolo di queste case è molto suggestivo: le differenti larghezze ed altezze delle facciate e i colori pastello che si alternano tra di loro, creano uno spettacolo insolito. La costruzione della Palazzata a Mare (nota anche come case-torre) fu voluta dalla Repubblica di Genova che, attraverso questo muro di edifici riusciva a proteggere la parte più interna dell’abitato di Portovenere. Le fondamenta delle case sono saldamente ancorate nelle rocce e le finestre sono numerose ma piccole, in maniera tale da impedire un accesso massiccio di persone tramite questi pertugi. Ad aumentare ulteriormente la sicurezza c’è la mancanza di orpelli sulle facciate delle case che, di fatto, impedivano la possibilità di arrampicarsi sui muri esterni. Questa tecnica costruttiva di protezione venne valutata estremamente efficace, tanto da essere replicata in altri insediamenti della Repubblica Genovese lungo il mar Mediterraneo.
Torniamo alla fermata del bus che ci riporta in centro a La Spezia sotto una pioggia talmente feroce che abbandoniamo definitivamente l’idea di Riomaggiore e, con la coda fradicia tra le gambe, rientriamo alla base. E meno male che quando scendiamo alla fermata dei Cantieri, a 300 metri dall’area camper, non piove!
Comunque, io a questo posto ho promesso di tornare.


Lunedì 27 settembre - km 111443
Da La Spezia a Magenta (km 240)

La stanchezza inizia a farsi sentire: stamattina nessuno si sveglia prima delle 7.30, ma con estrema calma. Il vantaggio è che abbiamo una giornata abbastanza “di navigazione” senza grosse pretese ed abbiamo sfoltito le operazioni di carico/scarico, ergo... l’unica sosta della giornata prima dell’arrivo serale sarà Lomello, paese a me sconosciuto fino a quando, attraverso Instagram, non ho conosciuto una “collega” autrice emergente come me. In questi mesi di percorso social per promuovere il mio romanzo che uscirà (spero!) per Natale, la cosa positiva è stata infatti quella di confrontarmi con tantissimi autori come me e creare degli splendidi legami che, in qualche modo, vorrei rendere concreti. Quando conosci gente sui social, questa sembra diventare reale solo nel momento in cui riesci a vederla in carne ed ossa. È quello che ho intenzione di fare in questi giorni prima di lasciare l'Italia.
La mattinata scorre tranquilla, a parte l’intoppo iniziale al casello appena entrati in autostrada: il biglietto non esce malgrado i tentativi di schiacciare i bottoni, e quando manifestiamo il problema all’assistenza, ci sentiamo rispondere: “ha provato a schiacciare il bottone?” – ma và.
Arriviamo in paese all’ora di pranzo, poi raggiungo la mia “collega” Maida a casa, e porto anche i miei perché sono stati invitati ufficialmente dai suoi genitori. Non è questa la sede per raccontare della sensazione strana che si prova ad incontrare realmente qualcuno con cui ci si è confrontati solo attraverso uno schermo, soprattutto non è la sede per parlare della persona straordinaria che Maida è, ma trascorriamo uno splendido pomeriggio di chiacchiere e ci congediamo senza mettere a posto le sedie, perché “se metti a posto le sedie vuol dire che non hai gradito e che non tornerai”. Mi firma il suo libro, le regalo un segnalibro del mio che lei ha già preordinato (insieme alle copie per le sue amiche) ed il tempo scorre via veloce.
Riprendiamo la marcia. Un’oretta ci separa dall’area camping Magenta, dove ci fermiamo per questa notte, e domattina andremo direttamente all’area designata dentro Milano. Prima delle 19 siamo a Magenta, al parcheggio del Campingsport Magenta, un rivenditore di accessori per camper che fa rimessaggio e sosta gratuita… e c’è persino carico e scarico!


Martedì 28 settembre - km 111683
Da Magenta a Milano (30 km)


Come da programma, stamattina una spessa coltre di nebbia ci accompagna fin dentro Milano nel caos delle 9 del mattino, della gente che va a lavoro, del traffico. Costeggiamo il Naviglio Grande lungo la stradina angusta in comodato d’uso con ciclisti, cantieri, scooter, macchine in senso contrario e furgoncini di lavori stradali. Stanchi come se avessimo fatto la mille miglia, arriviamo a Fontanesi Leontina, area rimessaggio camper in pieno centro, a ridosso del Naviglio Grande. Fantastico essere così vicini ad ogni mezzo di trasporto del capoluogo milanese! Il ragazzo che ci accompagna al parcheggio designato è molto gentile, e di fronte all’area, il tabaccaio per acquistare i biglietti (facciamo un biglietto per 72 ore al costo di 12,00 €), ed in poche fermate siamo in centro, a cento metri da Piazza Duomo con il tram n.2. Il babbo prende il tram n.16 per raggiungere il Museo della Scienza e della Tecnologia, mentre io e la mamma ce ne andiamo al Duomo con la sua Madunina che svetta felice a quota 108 metri circa. Il Duomo di Santa Maria Nascente (questo il suo nome completo), simbolo della città di Milano, è stato edificato su un territorio che in origine ospitava il tempio di Minerva, e fu costruito in cinquecento anni, con svariati rimaneggiamenti nel corso dei secoli, dovuti anche ai cambiamenti architettonici e stilistici, rimanendo però fedele al suo gotico. Nel 1386 l’arcivescovo Antonio da Saluzzo diede inizio alla costruzione della cattedrale, e nel frattempo salì al potere a Milano il cugino Gian Galeazzo Visconti, che raccolse ingenti donazioni per la costruzione della cattedrale. Il biglietto d’ingresso, tra interni e terrazza, costa 19,00 € con la salita in ascensore, e 15,00 € prendendo la scalinata da 230 gradini. Indovinare chi delle due sale per le scale non sarà difficile.

Le terrazze sono certamente affascinanti, benché la vista su una città caotica e “di lavoro” sia alquanto scadente (bisogna ammetterlo!). L’interno invece è tipico delle cattedrali gotiche, con volte altissime e colonne in pietra (stavolta rossiccia). Tante sarebbero le cose da approfondire all’interno, ma non vorremmo nemmeno passare tutta la giornata nel duomo, benché la temperatura sia più gradevole che all’esterno.
Un giro nell’imponente Galleria Vittorio Emanuele II, con il suo pavimento splendido e costellata dei negozi più “in” (in… avvicinabili!), nonché del famoso ristorante di Cracco. Io e la mamma optiamo comunque per qualcosa di più sobrio, come la pizza napoletana all’angolo con la via che conduce a Piazza San Babila! Recuperiamo il babbo che sono già le 15.30 e ci dividiamo: io rifaccio la strada fino alle Colonne di San Lorenzo, con l’omonima chiesa, e cammino un po’ lungo il Naviglio Pavese, fino all’arrivo di Silvia, una collega autrice con cui ci prendiamo una birretta sulla Darsena, chiacchierando come se ci conoscessimo da sempre e confrontandoci sulle nostre reciproche case editrici, e mi porta anche il suo libro con dedica! Prima del crepuscolo, la mia nuova amica riprende i mezzi per avventurarsi verso casa, mentre io imbocco il Naviglio Grande fino a tornare all’area camper a piedi. Ne approfitto per una lunga doccia e per lavarmi i capelli nel container adibito a padiglione bagno, spartanissimo. A parte le turche (non c’è il classico wc), la porta in plastica a soffietto delle docce non si chiude, non c’è praticamente spazio per appendere gli asciugamani o lasciare cose, e delle tre docce, solo una ha il soffione. Ma c’è acqua calda e soprattutto tanta, e c’è la corrente per phon e piastra. Quindi ok, me lo faccio andare bene. Una rinfrescata a questo container non guasterebbe, viste anche le millemila recensioni negative, ma del resto per la posizione che ha, così ben servita dai mezzi in una città caotica come Milano, non possiamo lamentarci e, anzi, noi ci sentiremmo di consigliarla.
La serata scorre strana, con Mercurio fuggiasco che rientrerà per cena solo dopo ore e zanzare che, appena ci addormentiamo, banchettano.


Mercoledì 29 settembre - km 111713
Milano

Questa luminosa giornata di sole inizia con un altro incontro meraviglioso: Francesca e Chantal, altre due autrici conosciute attraverso Instagram. Sapevo che il mio sesto senso non si sbagliava già appena abbiamo iniziato a parlare via social, ma incontrarle dal vivo le ha rese “vere”. Tante chiacchiere, tanti sorrisi e si fa in fretta l’ora di pranzo e dobbiamo salutarci, con la promessa di rivederci prima o poi.
Raggiungo i miei al Castello Sforzesco per un giretto, la giornata è limpida e calda, la bellissima fontana che adorna la piazza di fronte al castello zampilla e i vecchi mi aspettano con le derrate alimentari all’ombra del piccolo parco adiacente. Chi non conosce il Castello Sforzesco? Probabilmente è più famoso di nome che per la sua storia: fu eretto nel XV secolo da Francesco Sforza, divenuto da poco Duca di Milano, sui resti di una precedente fortificazione medievale del secolo precedente, nota come Castello di Porta Giovia. Demolita, nel corso dell'Ottocento, la cinta di fortificazioni più esterna, detta "Ghirlanda", ciò che oggi si vede del castello è la parte più antica, di edificazione trecentesca e quattrocentesca. Questa struttura ha pianta quadrata, ed i quattro angoli sono costituiti da torri, ciascuna orientata secondo uno dei punti cardinali.
Simbolo di Milano per il suo profilo immediatamente riconoscibile, è anche la Torre del Filarete, ovvero la torre al centro del muro del castello, elegante, con delicati inserti marmorei e stemmi araldici, ma questi furono eseguiti da architetti lombardi meno fantasiosi del toscano. Neanche un secolo dopo la sua realizzazione, la torre, divenuta deposito di polvere da sparo, crollò. Quella attuale è il risultato di un’appassionata ricerca dell’architetto Luca Beltrami sui documenti e sulle fonti iconografiche, per ricostruirne l’aspetto rinascimentale.
Ovviamente tutti gli interni del castello sono adibiti a polo museale, pertanto passeggiamo per chiostri e giardinetti, fino ad uscire sull’altro lato e sbucare su Parco Sempione, il polmoncino verde del centro.
Un laghetto con paperelle e tartarughe cattura la nostra attenzione per qualche minuto, così come le panchine all’ombra degli alberi, poi raggiungiamo l’Arco della Pace, da cui decidiamo di prendere il tram n.1 per raggiungere la metro lilla (io, dato il colore come la mia famosa Punto, già l’adoro!) fino alla fermata Isola per vedere il Bosco Verticale, un complesso di due palazzi residenziali a torre. Peculiarità di queste costruzioni, inaugurate pochi anni fa, è la presenza di più di duemila specie arboree, tra arbusti e alberi ad alto fusto, distribuite sui prospetti. Si tratta di un ambizioso progetto di riforestazione metropolitana che attraverso la densificazione verticale del verde si propone di incrementare la biodiversità vegetale e animale del capoluogo lombardo, riducendone l'espansione urbana e contribuendo anche alla mitigazione del microclima. A testimonianza del suo riconoscimento architettonico, il Bosco Verticale è risultato vincitore di numerose competizioni e anche il premio come «grattacielo più bello e innovativo del mondo» nel 2015 e come parte dei «cinquanta grattacieli più iconici del mondo» nel 2019. Sorvolerò sui commenti dei miei, che non hanno apprezzato. Io la trovo un’idea originale invece. La giornata finisce più o meno così: torniamo al camper in piena golden hour, mentre Mercurio, scappato al controllo, innesca una rissa con due gatti dell’area sosta e sparisce completamente dalla nostra vista per tre ore. Nel frattempo, spicciamo le operazioni di pulizia necessarie, poi doccia e cena. È a questo punto che il figliol prodigo, evidentemente affamato, torna all’ovile e ne approfittiamo per chiudere la porta del camper. Crollerà come una pera cotta poco dopo.
Come, del resto, anche noi.


Giovedì 30 settembre - km 111713
da Milano a Ivrea (192 km)

La giornata inizia più presto del solito: ho organizzato la mattinata con un treno per Monza, dedico un paio d’ore di visita alla città con un’altra collega autrice con cui parlare si rivela un piacere ed una grossa scoperta: si parla di editing, di arte ed architettura, di scrittura. Una mattinata particolarmente piacevole, condita da una colazione sulla piazza del Duomo, che ha anche una bella storia.
Sorge sul luogo dove intorno all'anno 595 la regina Teodolinda costruì una basilica che sopravvisse sino al 1300, quando si sentì l'esigenza di rinnovare la struttura. La facciata del Duomo di Monza è caratterizzata dalla bicromia del suo marmo, che è oggi possibile ammirare così come appariva fino alla fine dell'Ottocento. Allora, precisamente a partire dal 1890, infatti, partì un lavoro di restauro condotto da Luca Beltrami, che decise di sostituire il marmo nero di Varenna con serpentino verde d'Oira, per sottolineare l'origine toscana dell'arte di Matteo da Campione. La torre campanaria, con i suoi 78 metri, è invece un'evidente aggiunta posticcia, risalente alla fine del Cinquecento. Laura, la mia “collega” autrice, tra l’altro è anche un’ottima guida turistica all’interno del Duomo!
Riprendo poi un treno che, in sole tre fermate, mi porta a Seregno prima di mezzogiorno, dove recupero i miei che, nel frattempo, sono passati a salutare un amico tornitore del babbo e hanno fatto anche loro la mattinata di chiacchiere e relax. Ci dirigiamo così verso Ivrea, destinazione ultima della giornata, non senza aver fatto prima rifornimento al supermercato. Verso le 16 arriviamo al parcheggio camper in Piazza Croce Rossa, così chiamata per il padiglione della Croce Rossa subito a fianco. Essendo una piccola area gestita da volontari, non è a pagamento ma ad offerta, ed è la stessa in cui ci siamo fermati qualche anno fa, di passaggio qui. Io e i miei ci dividiamo di nuovo: loro raggiungono Pino e Giusi, amici che vedono una volta ogni tre anni, ed io recupero una ragazza sempre della scuderia di Instagram che è arrivata apposta da Torino per passare un pomeriggio insieme! Una settimana decisamente particolare, in cui ho riempito le giornate di nuove conoscenze, non direi neanche piacevoli sorprese perché ero sicura, sin da subito, che le persone che avrei incontrato sarebbero state fantastiche. Per cena raggiungo poi i miei a casa di Pino e Giusy, con cui ci intratteniamo in chiacchiere fino a tardi prima di rientrare alla base ed affrontare una nottata semi insonne causa gatto esagitato.


Venerdì 01 ottobre - km 111905
da Ivrea a Chamonix Mont-Blanc (190 km)

Stamattina, sotto un cielo piovoso, ce la prendiamo estremamente comoda. Ieri siamo andati a dormire più tardi del solito, e Mercurio irrequieto non ci ha fatti dormire molto! Accuseremo la stanchezza nel corso della giornata, almeno io, che mi addormenterò sul tavolino della dinette rischiando di scivolare due volte.
Ci fermiamo da Lidl per due cose che ci sono mancate nella spesa di ieri, poi prendiamo la strada verso Pont Saint-Martin, dove il bel ponte romano visibile anche a bordo strada ci permette di scendere un attimo, anche se pioviggina tipo novembre. Una grandiosa testimonianza dell’antichità, poiché questo ponte romano ad arco costruito nel I Secolo a.C. è da allora è stato adibito al transito fino alla seconda guerra mondiale. Con la sua campata unica di 36 metri, insomma, questo ponte ha duemila anni e non li sente neanche un po’. Alla faccia dell’ingegneria moderna. Tiè. Certo, purtroppo il panorama con questo tempaccio non è dei migliori, ed è un vero peccato perché siamo circondati da Alpi che non ho mai visto, ma sono immerse nella nebbia. Deviamo poco dopo Saint-Vincent verso la Valtournanche, ai piedi del Cervino, attraversando paesini caratteristici arrampicati lungo la strada, come >Paquier, un gioiello di legno e fiori. Con le dovute bestemmiucce del babbo causa strada tutta in salita e un’inenarrabile quantità di tempo perso per deviare appena 25 km dall’itinerario, finalmente arriviamo al Lac Bleu: è un piccolo bacino idrico di origine naturale, alimentato da falde acquifere sotterranee, a quota quasi duemila metri. È sufficiente parcheggiare la macchina a bordo strada (poco più avanti c’è anche un grosso parcheggio camper, ma dato che non c’è nessuno, approfittiamo del posto più vicino al cartello che segnala li lago), e grazie a 20 metri di sentiero siamo sulle sponde di uno specchio cristallino benché minuscolo. Il babbo, ovviamente, smadonna perché la deviazione non vale tutto il tempo perso, ma di certo il lago, con i riflessi verde smeraldo e la punta del Cervino che ci si specchia dentro, merita una visita.
Riscendendo qualche chilometro, troviamo Les Perreres Centrale, con la sua centrale idroelettrica ed una diga che sbarra un lago dalle acque turchesi (complici anche le conifere attorno) e ci fermiamo per pranzo nello spiazzo adiacente. Un barlume di sole sembra illuminare il cielo, stranamente il tempo si va sistemando, e noi speriamo solo che regga anche domani. Si fa tardi in fretta e sono quasi le 16 quando arriviamo a Nus per visitare il Castello di Fénis, un bellissimo esempio di architettura medievale completamente restaurato in modo fedelissimo all’inizio del secolo scorso. L’ingresso costa 7,00 € con la guida (che troviamo anche estremamente competente… e poi ha dei capelli viola stupendi!) e la visita porta via meno di un’ora. Gli ambienti sono curati, così come le torri (alcune a pianta tonda e altre a pianta quadrata) ed il doppio muro di cinta: il restauro è evidente (essendo un edificio di 700 anni fa!), ma studiato ad arte per essere il più fedele possibile, quindi resta molto armonico nella sua complessità progettuale.

Ecco, questi sono i restauri che mi piacciono! Verso le 17 riprendiamo la marcia in autostrada, con tipo 40 km di gallerie che si susseguono tanto da sembrare la nostra SS 77var: nello stesso tempo, saremmo arrivati da casa a Foligno, ma questa è un’altra storia. All’ingresso del Traforo del Monte Bianco ci salassano 63,00 € per la sola andata: ancora 11 km di tunnel ci separano dalla Francia e da Chamonix Mont-Blanc, e li percorriamo con estrema cautela (come richiesto dalla segnaletica) a tipo 30 km/h. Arriviamo in terra francese e parcheggiamo, per la notte, presso un Carrefour che permette il pernotto gratuito dei camper e ha anche delle griglie di scarico.
Purtroppo la parabola non funziona causa alberi, perciò niente tv. Concludiamo la serata scaricando le foto di questo ultimo giorno in terra italiana.


Sabato 02 ottobre - km 112095
da Chamonix Mont-Blanc a La Balme de Sillingy (136 km)

Stamattina ci dividiamo felicemente in due gruppi di poche persone ciascuno: i miei mi accompagnano alla base della funivia La Flegère, da dove raggiungerò le vette e tenterò il trekking verso alcuni laghetti. Loro faranno il tour con in trenino di Montenvers, un trenino turistico a cremagliera che percorre un fianco della montagna fino ad arrivare nei pressi della Mer de Glace con ampie terrazze panoramiche. Scendo nell’ampio parcheggio della Téléphérique, c’è già qualcuno in attesa che apra, finché non sento una signora che, in francese, dice che la funivia è chiusa. Cadiamo tutti dal pero, risalgo mesta in camper e vado a chiedere informazioni per i miei al trenino di Montenvers. Scopro così che le funivie sul versante opposto sono chiuse da metà settembre, e che l’unica operativa è quella per Aiguilles du Midi. Su questo versante non ci sono laghetti, ma decido di salire lo stesso e vedere un po’ di panorama dall’alto, sperando di trovare un itinerario escursionistico. La funivia si divide in due tappe con due prezzi: Plan d’Aiguilles e Aiguilles du Midi, la sommità a 3840 metri circa, da cui si gode il magnifico panorama sul Monte Bianco e qualsiasi altra cosa. L’unico inconveniente non calcolato è il costo: 67,00 € per raggiungere la vetta. Al grido maccheronico di “Je ne le zappe pas” (“non li zappo”, riferito ai soldi!), opto per la soluzione meno drammatica: 35,00 € per il Plan, a 2300 metri circa di quota (praticamente metà percorso). Appena scesa dopo un viaggio di qualche minuto sembrato infinito (la funivia mi mette panico), stipati nella funivia come sardine, si scopre un paesaggio buio: il versante del Monte Bianco, proprio davanti ai miei occhi, infatti, copre il sole. L’aria è decisamente fresca, decido intanto di raggiungere un laghetto a 15 minuti di distanza dall’uscita della funivia (segnalato), anche se non si rivela gran cosa e alla fine perdo quasi due ore arrampicandomi qua e là sui sassi. Il panorama è comunque incantevole, tanto che si scorge un’immensa vallata con quello che ha tutta l’aria di essere il lago di Ginevra. Il lato illuminato già dal sole, invece, apre il panorama su Chamonix. Una vista comunque a 360°, un paesaggio puro e silenzioso dove riesco a vedere persino due grassissime marmotte. Alla fine, verso mezzogiorno, ridiscendo a valle ed arrivo alla piccola stazione di Montenvers appena i miei arrivano con il trenino. Optiamo quindi per riprendere la marcia e raggiungere due piccoli bacini idrici pochi chilometri fuori Chamonix, dove trovare parcheggio si rivela un’impresa, benché i camper siano ammessi (infatti a bordo strada ce ne sono diversi!). Riusciamo a parcheggiare in modo parzialmente creativo, anche perché intenzione di restare giusto il tempo del pranzo e di qualche foto. A destra della strada principale c’è il Lac des Gaillands, che riflette tutta la cresta montuosa e parzialmente innevata nelle sue acque. Il prato intorno permette pic nic, passeggiate con il cane e relax sulle panchine o con i plaid direttamente sull’erba. A sinistra invece troviamo il Lac à l’Anglais, con la sua suggestiva minuscola chiesetta diroccata ad un angolo delle sponde. L’acqua verde smeraldo, nonostante il sottile strato di fogliame colorato in superficie, è circondata dalla folta vegetazione e rende il posto quasi incantato: e sembra che da un momento all’altro possano spuntare elfi e fate!
Alle 15 ci rimettiamo in marcia per l’impresa: raggiungere le Gorges du Fier, tappa obbligata se si passa da queste parti. Peccato che sembra chiuda alle 17, quindi siamo decisamente tirati con i tempi, e come se non bastasse la lunga statale è un infinito susseguirsi di rotonde e deviazioni. Una volta parcheggiato al volo nello spiazzale adiacente, io e la Vergara scendiamo: in 300 metri arriviamo alla biglietteria e scopriamo che l’ultimo ingresso è alle 17.15 perché la chiusura è un’ora più tardi. Sono le 17.13, che culo! (si può dire?) Prendiamo dunque due biglietti e ci incamminiamo lungo la passerella aggrappata all’immensa parete rocciosa. Dopo qualche passo ci troviamo davanti a due enormi colonne calcaree che costituiscono a tutti gli effetti il “portale” d’’ingresso. Siamo su una passerella di legno e ferro, progettata nella seconda metà dell’Ottocento e terminata nel 1869, sospesa a circa 20 metri sul letto del fiume Fier, che scorre dentro la gola che lui stesso ha creato. Circa 20 mila anni fa, il ghiacciaio che sarebbe poi diventato il Lago di Annecy ricopriva una superficie particolarmente ampia, e quando iniziò a sciogliersi, il fiume che ne scaturì creò il suo corso erodendo le rocce più friabili. Il fiume nasce a oltre duemila metri di quota ed attraversa un dislivello importante lungo il suo corso, fino a toccare quota 300 metri sul livello del mare. In prossimità di Lovagny, ha creato le Marmitte dei Giganti e questa gola che oggi ammiriamo. Nelle giornate di piogge consistenti, in cui il livello dell’acqua arriva anche a 25 metri, inondando la gola. Lungo il nostro percorso troviamo, infatti, anche un enorme “righello” con le inondazioni che si sono susseguite nel corso degli anni. Nei punti più bui, le rocce sono rivestite di un sottile e verdissimo strato di muschio, resto incantata e cerco di riempirmi gli occhi di tanta bellezza per non pensare che la passerella in legno, con i suoi 140 anni abbondanti, se ne sta a sbalzo sul fiume, ed io con le mie vertigini da instabilità non salgo nemmeno sulla scala. Per dire. Il percorso è relativamente breve, tagliamo fuori la parte della Mer des Rocher perché le ginocchia della mamma non affrontano i gradini e parte della salita, ma in realtà la parte più bella è senza dubbio la prima, che passa in mezzo alle gole. Risaliti a bordo, buttiamo un occhio al Castello di Montrottier, ma solo rapidamente all’’esterno: non sappiamo nulla della sua storia, ma ha tutta l’aria di essere un bel castello di epoca tardo medievale e ben restaurato, sembra quasi un castello delle fiabe.
Ancora una decina di chilometri e poi ci fermiamo presso l’area camper a La Balme de Sillingy, trovata su Park4night. Parcheggio molto ampio, su sterrato, circondato da spazi erbosi che danno un po’ di respiro, e prende anche la parabola. Il costo è di 7,00 € compreso carico/scarico per le 24 ore, pagamento accettato con carta Visa alla macchinina automatica all’ingresso. La sbarra è chiusa e noi crediamo di dover pagare per farla aprire, fatichiamo un po’ e facciamo coda, dopo qualche minuto arriva un tizio con aria spocchiosa (evidentemente francese, anche senza parlare!) e solleva la sbarra, come a dire di spicciarci, a dimostrazione evidente che, se questo è l’iter, la metà dei camper che sono all’interno di certo non hanno nemmeno pagato (mentre noi smadonniamo gloriosamente alla macchinina). Comunque ce ne sono già molti, e gli unici italiani siamo noi.
L’area camper piace anche a Mercurio, che durante il giro serale di ricognizione la esplora in lungo e in largo.


Domenica 03 ottobre - km 112231
da La Balme de Sillingy a Guebviller (343 km)

Oggi tappa di trasferimento per noi, e questo significa svegliarsi con calma, benché entro le 9 siamo operativi come sempre. Procediamo alle operazioni di carico e scarico e lasciamo l’area con destinazione Murbach, a circa 350 km dal punto di partenza. Viaggiamo praticamente tutto il giorno sotto ad un cielo nuvoloso che lascia cadere qualche gocciolina di poggia di tanto in tanto, dapprima attraverso paesini e poi in mezzo al nulla, come sempre accade, perché prendiamo una deviazione sbagliata.
Mi mancava questo episodio.
Niente da segnalare: dopo un viaggio infinito raggiungiamo l’Alsazia e Guebviller, a pochissimi chilometri dall’Abbazia di Murbach (che visiteremo domani) poco dopo le 18.
Pioviggina, ma qualcuno dovrà immolarsi per portare Mercurio a passeggio.
In realtà il parcheggio, enorme e illuminato proprio in centro città, è poco frequentato e il nostro camper è l’unico. Ergo, dopocena mi faccio prendere dalla paranoia della solitudine e propongo di spostarci al parcheggio proprio sotto l’abbazia, buio e sterrato, ma almeno avevamo visto che c’era un camper!
Non è il massimo dei parcheggi, tra l’altro non c’è neanche campo ed il telefono è inutilizzabile, ma almeno siamo in due!


Lunedì 04 ottobre - km 112574
Da Guebviller a Kayserberg (87 km)

Dopo una notte in cui non ha mai smesso di piovere, arriva una giornata in cui non smetterà mai di piovere!
Scendiamo dal camper dopo colazione, coperti fino ai denti con giacche a vento e similari, e percorriamo i cinquanta metri per l’Abbazia di Murbach, con il grosso portone pesantissimo da aprire (ci viene in soccorso l’omino del comune che si occupa della manutenzione dei bagni e la raccolta il fogliame). All’interno è abbastanza scarna, e ben più piccola di quanto sembrasse da fuori: pare che i frati avessero finito i fondi, pertanto non è affrescata e “orpellata” come ci si aspetterebbe.
Un’oretta più tardi, che nel mondo corrisponde a due ore (noi andiamo piano, dobbiamo pianificare, gira di qua e gira di là e ci perdiamo nel paesello), passiamo davanti al posto più bello del mondo: il parco tematico del Piccolo Principe, il mio libro preferito. Peccato che apra solo il sabato, quindi ci allontaniamo, con una me estremamente sconsolata. Raggiungiamo il primo paesino dell’Alsazia (dopo Mulhouse), eletto nel 2017 tra i paesi più belli al mondo: Eguisheim. Il parcheggio camper è perfetto, a due minuti a piedi dall’ingresso del paese, e ha pure la rete wifi gratuita. Tra l’altro, per un problema del weekend, fino alle 14 il parcheggio è gratuito, e noi abbiamo giusto un paio d’ore libere per riempire il tempo fino all’ora di pranzo! Uno dei borghi più caratteristici immersi nei vigneti dell’alto Reno, il paese di Eguisheim è piccolo, tondo, una vera bomboniera di case a graticcio, colori e fiori in ogni dove. Le Rues des Remparts Sud e Nord girano attorno all’agglomerato di case, lungo una viuzza acciottolata su cui si affacciano casette che sembrano fatte di marzapane e biscotti. Numerose le fontane che si aprono su graziose piazzette fiorite, tra le quali spicca quella in Piazza del Mercato, proprio davanti al Castello di San Leone, risalente al VIII Secolo e passeggiando tra gli stretti vicoli si scoprono alcune case con iscrizioni alle pareti che indicano le botteghe di antichi mestieri. E quante cantine in Alsazia! Mi sa che mi toccherà fare una tappa da qualche parte, prima di oltrepassare il confine. Torniamo al parcheggio e verso le 14, corazzati di bretzel per pranzo, siamo a Colmar, a Rue de la Cavalerie. Il parcheggio a bordo strada è riservato ai camper, con parchimetro a tariffa oraria. Mettiamo 4,00 € ed il bigliettino ci vale per 3 ore, quindi la cifra è piuttosto abbordabile. A poche centinaia di metri, l’Office du Tourisme, dove recupero una piantina della città e si apre una piazzetta con Quai de la Sinn (il primo abbozzo di canale) e l’Eglise des Dominicains. DaRue des Clefs partono alcune vie pedonali che conducono allaCollégiale de St.Martin, il luogo di culto più importante della città. Una interessante ed incantevole cittadina ai piedi del massiccio dei Vosgi, questa Colmar, con il suo cuore più profondo che prende il nome di Petite Venise, la piccola Venezia, attraversata dal fiume Lauch e da un canale in grado di creare scorci davvero suggestivi.

Alla fine, dalla Petite Venise prendiamo La Navette, un servizio di mini navetta elettrica gratuito che fa il giro della città ogni 15 minuti fino a sera, e torniamo a Lacarre, la fermata che si butta sulla Rue de la Cavalerie, dove abbiamo parcheggiato il camper. Prossima tappa, il centro commerciale Shop’in Houssen poco distante: i nostri gigabyte da utilizzare all’estero sono pochi, razionati come in Afghanistan e ci stanno dando filo da torcere, perché la connessione internet se li aspira via in un soffio. Giriamo per la zona industriale di Houssen almeno mezz’ora, tra i labirinti di strade che sembrano non sbucare da nessuna parte, poi finalmente appare il grosso centro commerciale. Tentiamo un blitz per recuperare dunque una scheda sim con un numero di GB tale da impedirci di elemosinare connessioni wifi aperte come i tossici. Buco nell’acqua, comunque (scopriremo solo in tarda serata nuove soluzioni, e decideremo di tornare domani). Arriviamo a Kayserberg sul finire della luce (che di fatto “luce” non è mai stata, dato il tempo di merda!) e ci sistemiamo in mezzo a parecchi camper nell’area dedicata a poche centinaia di metri dal centro storico, 10,00 € per le 24 ore, e ci sono anche i bagni!
La serata finisce con avanzi di bretzel, Mercurio che protesta perché il tempo fuori non gli basta mai (chissà poi perché di giorno se ne sta così buono!)… e la poggia. Ma ancora?!


Martedì 05 ottobre - km 112661
Da Kayserberg a Ribeauvillé (35 km)

Stamattina, benché partiamo entro le 8.45, non rientriamo al camper prima delle 11 passate. Kayserberg, città imperiale dal 1227, è stata eletta dai francesi “villaggio più bello” (anche se finora Eguisheim per me non si batte). In tedesco, il nome di questo borgo significa "Collina dell'imperatore": nel XIII Secolo la collina infatti fu comprata da Federico II di Svevia che vi costruì la sua personale cittadina. Kayserberg è stata inoltre insignita del titolo di “città fiorita” alla fine degli anni Ottanta, e di fatto da allora accoglie turisti da ogni dove. Ci concediamo una bella passeggiata, che inizia con un tempo grigio dopo l’ennesima notte piovosa ma si schiarisce via via, con il sole che fa capolino. Anche qui, le bellissime case a graticcio colorate si affacciano su viottoli acciottolati e pieni di fiori, anche davanti all’Hotel de Ville, il Municipio in stile rinascimentale del Seicento, dove troviamo anche l’ufficio turistico.
Poco più avanti, la Fonte dell’imperatore Costantino abbellisce la splendida piazzetta della Cattedrale, sulla quale si affacciano deliziose case a graticcio e la Cattedrale con il suo meraviglioso interno gotico. Le rovine della fortezza sorgono a circa 800 metri sul livello del mare, mentre dalle vie arrivano profumi di spezie e cannella, pasticcini e dolcetti in un delizioso turbinio da mal di testa. Sembra Natale fuori stagione. Arriviamo al Pont Fortifié, dove scorre il fiume Weiss crea, ancora una volta, degli angoli tutti da fotografare!
Bisogna ammettere che in questa zona della Francia sono organizzatissimi, tanto materiale informativo gratuito e parcheggi per camper abbastanza comodi, a brevissima distanza dai centri urbani. Deviazione obbligata al centro commerciale di Houssen, dove siamo stati ieri sera e dove abbiamo scoperto essere presenti tutti e 4 i negozi degli altrettanti gestori telefonici francesi. Optiamo, supportate dall’omino delle vendite, per Free.mobile, una sim acquistabile al distributore automatico (come la nostra Iliad), con 150 GB di cui 25 da utilizzare all’estero. Sembra una soluzione congeniale, anche se la connessione in alcuni punti risulta fluttuante (magari è la zona). 20,00 € e passa la paura. Sì, la paura di rimanere senza connessione! Pochi chilometri a nord lungo questo bell’itinerario, ecco finalmente un altro dei gioielli dell’Alsazia: Riquewhir. Parcheggiamo per il pranzo a 50 metri dall’Hotel de Ville, ingresso al paesino. Il parcheggio per camper e auto costa 8,00 € per 3 ore: siamo ben consci della follia della tariffa, ma immaginiamo che siano una sorta di biglietto d’ingresso. Dopo pranzo, scendiamo in avanscoperta proprio dall’arco dell’Hotel de Ville. Costruito nel 1809 nel punto dove un tempo si trovava l’antica porta inferiore della Città Vecchia di Riquewihr, oggi il municipio è il punto di partenza per visitare il villaggio. Dopo aver attraversato l’arco al centro del palazzo comunale, si capisce subito che l’edificio fungeva sia da difesa che dà accesso principale alla città. All’interno di una doppia cerchia muraria, si nasconde questo affascinante borgo che sembra uscito da un libro di favole... e non è un modo di dire.

Se le sue viuzze strette e acciottolate, le pittoresche e colorate case a graticcio, la torre e la fontana ricordano le fiabe, non è un caso. Riquewihr ha ispirato gli illustratori Disney per disegnare il villaggio di Belle, la protagonista del lungometraggio Disney “La Bella e la Bestia” (tra l’altro, il mio film Disney preferito!). A pochi passi dall’entrata dell’Hotel de Ville infatti si trova la fontana immortalata nel film: qui la protagonista Belle si ferma a leggere un libro circondata da un meraviglioso villaggio. Questo minuscolo borgo di appena 1200 abitanti è uno scrigno di meraviglia e bellezza, immerso in un incantevole paesaggio collinare ricoperto di vigneti. Al suo interno racchiude tutte le caratteristiche dei paesini alsaziani medievali, ed è un piacere perdersi tra i ciottoli ed i colori: fontane gorgoglianti, casette dai tetti spioventi e facciate a graticcio dalle infinite tonalità pastello, botteghe di artigiani e molte cantine, in cui si producono vini pregiati. In fondo alla via principale si erge la Torre Dodler: con i suoi 25 metri di altezza l’antica torre domina e protegge la città, infatti un tempo serviva come punto di avvistamento dei nemici e luogo strategico per la difesa del borgo. La torre possiede un’insolita peculiarità: dall’esterno della cinta muraria ha tutte le caratteristiche di un’imponente struttura difensiva con una facciata massiccia e strette feritoie mentre dall’interno del paese, assume l’aspetto di un’abitazione alta quattro piani con finestre fiorite e decorazioni in legno. Oggi la torre ospita il museo storico di arte e tradizione popolare, dove è possibile ammirare armi e attrezzi risalenti al XV Secolo. Ancora un giro e tante foto, incontriamo pure una coppia di italiani di ritorno dal Belgio, e poi risaliamo a bordo diretti ad Hunawhir, dove però non riusciamo a fermarci e tiriamo verso Ribeauvillé. In realtà, il parcheggio di fronte all’ingresso del centro storico è vietato ai camper, così i miei decidono di prendersi un’oretta di tregua e restare a bordo a presidiare il mezzo, mentre io vado in esplorazione. Questo è sicuramente un villaggio molto suggestivo: grazie alle sue meravigliose strade medievali, alle stupende case a graticcio dai colori pastello e alle botteghe di artigiani, il borgo è una tappa imperdibile di un viaggio in Alsazia. Immerso in una valle bucolica ricoperta di vigneti rigogliosi, Ribeauvillé incanta i visitatori ad ogni angolo: cii sono un sacco di scorci pittoreschi da fotografare, come la veduta della seicentensca Pfifferhus, la casa dei menestrelli, che sembra uscita da una favola dei fratelli Grimm.

La Grand Rue è l’arteria principale, e su questa lunga via si affacciano gli edifici più interessanti e le piazzette più caratteristiche, ognuna corredata da una fontana pittoresca, come la Fontana del Vignaiolo, costruita per celebrare l’arte vinicola della zona. Il centro storico è un gioiello di arte e architettura, interamente visitabile a piedi, circondato da una cinta muraria parzialmente conservata e caratterizzato da una serie incredibile di edifici medievali intatti. La Piazza del Municipio è il cuore nevralgico della cittadina e rappresenta il confine naturale tra la parte alta e bassa della città. Attorno alla piazza si affacciano alcuni dei più importanti edifici di epoca rinascimentale come il Municipio e la fontana dei Cervi, del 1536. La pittoresca Tour des Bouchers per secoli ha svolto il ruolo di accesso difensivo fra la parte alta e bassa della città: infatti nel Medioevo il borgo fu diviso in quattro zone fortificate, collegate da torri e porte che consentivano un passaggio controllato da un distretto all’altro. Questa torre in particolare, oltre che da punto di avvistamento, fungeva anche da campanile e da prigione. Il suo nome, Torre dei Macellai, deriva ovviamente dall’attività della congregazione dei macellai che svolgeva l’attività in questa zona. La parte inferiore venne realizzata Alla fine del XIII Secolo, mentre nel Cinquecento si decise di proseguire fino a un’altezza di 29 metri. Imperdibile una sosta nella piccola ma caratteristica piccola Place de la Sinne: questo angolo pittoresco della città è circondato da meravigliosi palazzi a graticcio con tenui colori pastello. Tra una goccia e l’altra, rientro al camper e ci spostiamo ad un vicino Leclerc, dove pare si possa sostare anche la notte. Peccato che dopo il calare del buio non ci ispiri più fiducia, perciò preferiamo spendere qualcosina ed approdiamo all’Aire de Camping Car di Ribeauvillé, 15,00 € per le 24 ore, corrente inclusa. Ci sono diversi camper, l’area è illuminata, su asfalto, e decisamente tranquilla grazie anche alla sbarra all’ingresso. Anche Mercurio approva, se non fosse che alle 22, complice forse un black out (le luci si spengono completamente in tutto il piazzale!), riesce a sfuggire al nostro controllo da cecchini e scappa.
Tornerà dopo un’oretta, affamato.


Mercoledì 06 ottobre - km 112696
da Ribeauvillé a Rosheim (45 km)

Stamattina, da una parte il sole, dall’altra nuvoloni scuri, tanto che confondono le idee anche a noi. Dopo le operazioni di carico e scarico (2,00 € per 12 minuti d’acqua un po’ furtarello, però ci stiamo bene con i tempi) e raggiungiamo Bergheim, altro paesino in coda sulla via alsaziana. Parcheggiamo subito fuori delle mura: i parcheggi gratuiti non sono grandi, ma non è nemmeno affollato, quindi ci sentiamo meno in colpa di sistemarci occupando due spazi. Bergheim è l'unico paese dell'Alsazia ad avere ancora intatte le sue mura medievali. I giardini e le vie fiorite sono sparsi in tutte le viuzze, ma ci che ci sorprende è la sua bellezza, paragonabile a quella dei più famosi Colmar e Riquewhir, con la differenza che stamattina ci avvolge il silenzio e non c’è quasi nessuno in giro, salvo qualche autoctono a passeggio e 4 persone contate, in giro come noi a fare foto. La città è costruita sul sito di un ex campo militare romano. Inoltre si legge che ha spesso cambiato governatore, ma divenne una città libera all’inizio del Trecento, abolendo i dazi doganali e permettendo il diritto di asilo.

Le fortificazioni risalenti a questo periodo sono ben conservate, come tutto il centro storico, curato e fiorito. Tutta l’Alazia è famosissima per i mercatimi natalizi, quando l’atmosfera e le lucine rendono i paesi vere e proprie chicche. Tra l’altro, anche adesso che è ottobre si respira odore di Natale: le varie pasticcerie di cui le vie sono disseminate buttano fuori cannella e miele, le vetrine sono addobbate con dolcetti ed omini di panpepato, lucine circondano le porte d’ingresso dei negozi. Insomma, se non fosse che manca l’albero con le palle ad invadere la piazza, sarebbe già Natale!
Ripartiamo da questo grazioso gioiellino e, inerpicandoci lungo la stada che in pochi chilometri conduce allo Chateau Koenigsbourg. Acquistiamo il biglietto online come da richiesta (9,00 € intero e 7,00 € ridotto) e parcheggiamo a bordo strada, in fila tra camper e macchine. Sembra la domenica della castagnata a Smerillo, con la differenza che troviamo parcheggio abbastanza vicino all’ingresso.
La visita porta via una buona ora e mezza, passando per trecento gradini tra salite e discese, ma ne vale decisamente la pena. Di proprietà degli Asburgo, passò Tierstein come feudo Alla fine del Quattrocento. Questi lo ricostruirono e lo munirono di artiglieria per un adeguato sistema difensivo. Durante la Guerra dei Trent'anni il castello resistette per oltre un mese all'assedio degli svedesi ma, alla fine, cadde, venendo saccheggiato ed incendiato. Dopo oltre due secoli di abbandono, l'imperatore tedesco Guglielmo II di Hohenzollern (dal 1871 l'Alsazia era infatti parte dell'Impero tedesco) lo ricevette dalla città di Séléstat e lo restaurò con l’aiuto di un esperto di fortificazioni e studioso del medioevo.

L'aspetto finale del castello è il risultato di un'opera di recupero architettonico secondo le indicazioni dell'imperatore che intendeva fare del castello un museo del medioevo oltre che un simbolo della potenza dell'impero. Tra l’altro, dal bastione principale, si gode una vista bellissima da cui si nota anche tutta l’imponenza di questa struttura.
Sono le 16.45 quando arriviamo a Rosheim mentre fuori piove. Attraversiamo il grazioso centro storico fino al parcheggio in Avenue Clemenceau, adibito a sosta camper (ce ne sono già un paio), senza servizi ma comodissimo per raggiungere il centro in pochi minuti. Temporeggiamo in attesa che la pioggia smetta e usciamo in ricognizione, come sempre. I numerosi resti trovati sul sito testimoniano che questa zona sia stata occupata da diverse migliaia di anni. Il villaggio (che adesso conta circa cinquemila abitanti) è nato nel corso dell'ottavo secolo ed è stato distrutto da un incendio nel XII Secolo. In seguito, è stato completamente ricostruito grazie alle generose donazioni dei futuri imperatori del Sacro Romano Impero, gli Hohenstaufen. Libera città dell'impero all'inizio del XIV Secolo, Rosheim formò fino alla fine del diciassettesimo secolo la Decapoli, un'alleanza di mutuo soccorso di dieci città libere. È alla fine di questo periodo che venne poi annessa al regno di Francia.
Questa città alsaziana piena di fascino, Rosheim ha conservato molte vestigia di questo passato glorioso e ricco di eventi, rivelando un bellissimo patrimonio architettonico: è infatti abbastanza popolare per la bella chiesa romanica di San Pietro e San Paolo, e per una delle case più antiche dell'Alsazia, romanica, recentemente restaurata. Ma anche sul resto del villaggio vale la pena soffermarsi, ha belle case e 4 porte che si susseguono lungo la via principale, resti dei bastioni della vecchia cinta muraria. La sua vicinanza a Strasburgo, la Mecca del turismo in Oriente, la rende anche una popolare località turistica.
Al calar del sole, con l’aria fresca della sera che arriva, ci rintaniamo anche noi.


Giovedì 07 ottobre - km 112761
Da Rosheim a Strasburgo (28 km)

Stamattina cerchiamo di partire ad un’ora ragionevole per essere al Camping Strasbourg appena possibile. Per fortuna riusciamo a fare il check-in anche se è mattina, l’addetto all’immensa reception è cortese e disponibile. Il campeggio è praticamente ineccepibile, molto ecologico all’apparenza: i due padiglioni dei bagni sono grandi e ben curati, hanno anche la sezione bebè e quella per lavare i piatti molto ampia. Le piazzole sono su sterrato, piene di erba e verde intorno (Mercurio approverà anche questo spazio!), divise dalla stradina asfaltata.
Poco dopo prendiamo il tram (la fermata Montagne Verte è a poche centinaia di metri, e possiamo optare per un biglietto TRIO che ci consente di utilizzare bus e tram per 24 ore ed è valido per 3 persone al costo di 7,00 €) che ci porta in centro in 10 minuti. Capoluogo dell’Alsazia e capitale europea, Strasburgo ha vissuto una storia tribolata come città di confine, oggetto di contese territoriali, politiche e militari per secoli. La città è stata annessa e ceduta molte volte, passando in maniera alternata sotto il dominio della Germania e della Francia. E’ stata scelta come sede del Parlamento poiché per molto tempo è stata il simbolo di un’Europa divisa e instabile. Arriviamo a Homme de Fer e in pochi minuti raggiungiamo Place Klébert: la nostra visita prettamente turistica parte proprio da qui.

Ci perdiamo nei vicoletti ed in pochi minuti raggiungiamo la piazza della Cattedrale. La visita della città di Strasburgo non può che iniziare ufficialmente da qui: costruita con la pietra rosa proveniente dal Massiccio dei Vosgi, la Cattedrale di Notre Dame risale al 1220 ed è un capolavoro assoluto di architettura gotica. Victor Hugo la definì “prodigio di grandezza e leggiadria”. Ed è davvero immensa, ricorda molto quella di Colonia, benché questa sembra essere stata (nel Quattrocento) l’edificio più alto d’Europa. Sul suo portale riccamente decorato sono scolpiti alcuni episodi della Vita di Gesù e le figure di Re Salomone con 14 leoni, l’enorme rosone della facciata e la torre campanaria che svetta sulla città con i suoi 143 metri di altezza. Ci vorrebbe una giornata solo per ammirare ogni dettaglio della facciata, che può essere paragonata al più grande libro illustrato di tutto il Medioevo, grazie alle centinaia di statue scolpite che raccontano pagine della Bibbia e del Vangelo. Inoltre la pietra rosa cambia sfumatura a seconda della luce, del momento della giornata e del colore del cielo: con la calda luce dei tramonti estivi, la cattedrale si ammanta di un’atmosfera incantevole. Ovviamente noi la becchiamo con una giornata nuvolosa, ma quando il sole illumina per qualche minuto la piazza, si avvolge di colore! Imperdibile è anche la visita degli interni (gratuita). Qui, oltre alle stupende vetrate, che creano intensi giochi di luce e di colore, si può ammirare un incredibile orologio astronomico di epoca rinascimentale. Mi concedo ovviamente una salita alla terrazza, attraverso una scala a chiocciola di 330 gradini (il costo del biglietto è 8,00 €), per ammirare Strasburgo dall’alto in un susseguirsi di tetti bellissimi che donano alla città un aspetto ottocentesco e bohémien (sebbene la terrazza in sé lascia meno vista di quello che potrebbe sembrare). Per arrivare al quartiere della Petite France mettiamo in azione le motofette e costeggiamo il fiume. All’edificio della Vecchia Dogana compriamo una focaccia alle olive che mangiamo per pranzo una volta a destinazione: lo scorcio suggestivo ci offre i Ponts couverts, i ponti coperti che hanno mantenuto il nome pur non avendo più la copertura dal Settecento: sono ormai rimaste le tre torri dei piccoli lembi di terra tra i canali. All’altro lato, il Barrage Vauban. Il comandante Vauban, famoso un po’ ovunque in Francia per le sue opere di ingegneria militare a scopo difensivo, progettò anche questo barrage, una diga vera e propria a delimitazione ufficiale del confine cittadino, che aveva lo scopo di proteggere da eventuali attacchi via fiume, utilizzando l’acqua per inondare tutta la parte sud di Strasburgo in caso di attacco nemico. Più che una diga, per noi ha l’aspetto di un lungo ponte coperto, e anzi, salendo due rampe di scale ci affacciamo sulla terrazza panoramica. Ce ne andiamo poi camminando nei vicoli della Petite France, quartiere ormai caratteristico di un tempo andato, apprezzato e bucolico, con le casette a graticcio dalle tinte accese che si affacciano sull’acqua silenziosa. Le case, peraltro, sono rimaste quelle originali del Seicento, con tetti spioventi, finestre a filo d’acqua e davanzali colmi di fiori. I fenili e le antiche botteghe sono ormai ristorantini e negozietti di souvenirs, ma ciò non toglie nulla al fascino del luogo. Ma questo angolo di Strasburgo non è certo stato sempre così: le categorie di mestieri che avevano bisogno di molta acqua per lavorare si erano insediati qui, intorno al fiume Ill e ai suoi quattro canali. Conciatori, mugnai e pescatori vivevano dunque in questa zona, in case perlopiù economiche (le case a graticcio, con intelaiatura in legno che oggi, sono certa, valgono una fortuna). Quartiere povero e malfrequentato, non era nemmeno attrattivo perché la lavorazione delle pelli e l’umidità dei suoli lo rendevano maleodoranti. Nonostante tutto, il quartiere era chiamato “la piccola Venezia” fino alla fine del Quattrocento, quando un’epidemia si diffuse a causa dei mercenari alsaziani di ritorno dalle guerre d’Italia. Ci fu dunque la necessità di costruire un ospedale all’esterno della città, nella zona reietta. Il luogo dove veniva curato questo “male francese” prese il nome di “Piccola Francia”, soppiantando il grazioso nome precedente. Torniamo verso il centro, compriamo un paio di cosette da portare agli amici e rientriamo alla base: con il tempo che avanza, ci dedichiamo a sistemare il camper e alla doccia. Finalmente i capelli tornano puliti.


Venerdì 08 ottobre - km 112790
da Strasburgo a Saarbrücken (168 km)

Stamattina inizia con il sole, e con noi che, subito dopo colazione, puliamo il camper mentre cerchiamo di tener buono il gatto che passeggia sul cruscotto. Espletato lo scarico della cassetta wc ripartiamo verso l’ultimo baluardo francese del nostro tour: Wissembourg. Parcheggiamo in Boulevard de Clemenceau (area adibita a camper) giusto un paio d’ore, il tempo di dare uno sguardo d’insieme. Questa città nel nord dell'Alsazia trabocca di fascino, grazie al fiume Lauter, ai bastioni e alle dimore antiche. Il canale che taglia in due la breve camminata fino al centro storico, l’Altenstadt, gioca a riflettere le casette a graticcio.

La Chiesa di Saint-Pierre-et-Saint-Paul fa capolino dal fondo della via, costeggiata da uno splendido spazio verde e curato, con fiori, piante ed una fontana. Facciamo un giro attorno: è decorata con splendide vetrate colorate. L'Abbazia si trova tra due bracci del fiume Lauter, un tempo collegati da un canale, ed è la più grande chiesa gotica in Alsazia, dopo cattedrale di Strasburgo: è stata costruita a metà del XIII Secolo sul sito del primo edificio risalente agli inizi del XI Secolo, di cui rimane il campanile romanico a ovest. Non è immensa, ma è estremamente caratteristica e rappresentativa dello stile gotico. Altri due passi fino a Place de la Republique ed in farmacia per uno sciroppo per la tose del babbo che non dà tregua. Un flacone di carbocisteina 4,00 €… talmente economico che decidiamo di prenderne due. Scorta, visto che in Italia il prezzo è almeno il doppio! Pane alla boulangerie e rientriamo al camper. Dopo pranzo, facciamo una deviazione indietro di una dozzina di chilometri per raggiungere Drachenbronn-Birlenbach, paese dal nome impronunciabile, per vedere Les Chemin des Cimes d’Alsace, un percorso che si snoda lungo una passerella in legno e poi su per una struttura circolare a spirale di circa 30 metri di altezza con una vista panoramica a 360° sui Vosgi e la Foresta Nera. Ci risulta strano, poiché le nostre mappe geolocalizzavano questa struttura da tutt’altra parte, in Germania vicino Stoccarda, sempre nei confini della Schwarzwald. Ci mettiamo un po’ a capire che in realtà si tratta di due strutture diverse! Molto simili, ma diverse! Optiamo dunque per questa, che sta abbastanza di strada, e poi entro sera saremo oltre confine. Arriviamo nel comodo parcheggio dell’attrazione, nuova e fresca di apertura (è stata infatti inaugurata a maggio del 2021), dove la navetta/trenino gratuita ci porta fino alla biglietteria (in alternativa, un percorso a piedi di un’oretta e mezza nel bosco). Intero 15,00 € e ridotto vecchietti “solo” 13,00 €. Scopriamo, attraverso pannelli esplicativi, che ci sono almeno una decina di strutture sopraelevate sulla Foresta Nera molto simili (solo con diverse forme, e c’è un sito dedicato che le raggruppa tutte) disseminate in tutto il territorio, addirittura fino alla Repubblica Ceca. Ci avventuriamo lungo la passerella in legno, dapprima in piano e poi lievemente in pendenza. Un’ottima occasione di studio anche per i più piccoli, con pannelli educativi che descrivono flora e fauna e dei mini percorsi avventura accessibili davvero a tutti... anche se io ho un po’ di vertigini! La vista dall’alto è molto bella e spazia dai margini della foresta alle montagne che dividono Francia e Germania, quasi una corona che delimita le pianure verdi in fondo a dove lo guardo riesce ad arrivare. Ho omesso di menzionare i 2,00 € aggiuntivi per la discesa con il toboggan, lo scivolo, anziché utilizzare la passerella: immancabile per me. I miei scendono e mi fanno anche il video mentre esco dallo scivolo... proprio come i bambini!
Riprendiamo poi la marcia con l’intento di attraversare il confine tedesco entro breve. Ovviamente le mappe ci portano per stradine abbastanza dubbie, di cui una di circa 30 km che divide la foresta. Ci imbottigliamo poi dentro Bitche per trovare un benzinaio. Prima che il sole rosso acceso cali completamente dietro le colline e faccia sparire i vigneti alsaziani alle nostre spalle, attraversiamo il confine tedesco. Ci fermiamo a Saarbrücken, che è già notte (causa un paio di errori ed il tablet con le mappe che improvvisamente muore lasciandoci nel bel mezzo della bretella stradale!). Troviamo un parcheggio per camper poco distante dal centro città, non troppo illuminato ma circondato da prato (Mercurio approva!) e molto tranquillo. Sono quasi le 20 ed iniziamo, prima di cena, a darci il cambio per portare a spasso il gatto.
Serata con tv e nanna. Domani ci aspetta una bella traversata.


Sabato 09 ottobre - km 112958
Da Saarbrücken a Han-sur-Lesse (237 km)

Stamattina entro le 9 siamo già in autostrada (gratuita!) in direzione Belgio e Grotte di Han, patrimonio Unesco scavate dal fiume che, unicamente nel suo genere, entra da una cavità ed esce due chilometri oltre. Finalmente il tragitto liscio e senza deviazioni assurde fa scorrere veloce il camper, e in un attimo entriamo ed usciamo anche dal Lussemburgo. Incontriamo un lieve tappo poco dopo l’ingresso in Belgio che ci fa perdere un quarto d’ora sull’arrivo previsto, ma poco dopo le 11.30 arriviamo Ad Han-sur-Lesse, uno sghignazzante villaggio vallone nel cuore delle Ardenne belghe. Il parcheggio dedicato alla visita delle grotte è l’unico in tutto il paesino: la zona camper con 40 posti ha diverse tariffe, a seconda della stagione, ma tento di chiedere consulto a due olandesi un po’ “datati”, che non parlano molto bene inglese. Mi fanno sapere che verso sera arriva l’omino con i biglietti per chi resta overnight, ma noi non vorremmo certo restare qui per la notte, quindi gradiremmo delle info su eventuali tariffe orarie, che sembrano comunque non essere pervenute. Alla fine decidiamo di “appoggiare” il camper ed andiamo in avanscoperta. Passiamo davanti all’evidente deposito del trenino che, secondo i nostri brogliacci, porta alle grotte, e seguiamo una massa di gente e le indicazioni per Accueil/départ, a 300 metri. Finalmente raggiungiamo la biglietteria, scomodissima rispetto ai parcheggi, lontana anni luce, dove ci fanno sapere che il tour che include il trenino parte solo una volta al giorno, alle ore 16, e la visita nelle grotte dura poi due ore. Ovviamente, anche per far contento il babbo appassionato di treni, optiamo per la prenotazione dei biglietti per il pomeriggio e addio piani di raggiungere Dinant in serata. Tornando al parcheggio, intavoliamo anche una conversazione con il macchinista del famoso trenino per le grotte, di guardia lì al deposito, che ci spiega che inizialmente la biglietteria era proprio nel padiglione a fianco, e a fianco dei parcheggi. Peccato però che con questo sistema nessuno visitava il paese, ed i commercianti hanno fatto una rivolta. Ergo, per raggiungere la biglietteria, come già notato, ora si passa davanti alla via con i negozi, così “i turisti guardano e magari fanno girare l’economia”, ci spiega. Insomma, a forza di chiacchierare del sistema ibrido del trenino, di come inizialmente fosse a tutti gli effetti un treno di una linea ferroviaria che portava all’ingresso delle grotte e di come il gasolio sia meglio dell’elettrico, il babbo si fa amico il simpatico macchinista e riesce a scroccare pure una foto al posto di guida della locomotiva. Ci allontaniamo poi momentaneamente dall’area di parcheggio solo per raggiungere, a pochi chilometri di distanza, Lavaux Sainte-Anne e il suo grazioso castello, che però è a pagamento ed oltretutto c’è un matrimonio (quindi i giardini non sono nemmeno visitabili).  Dopo pranzo ritorniamo dunque mestamente all’area parcheggio delle grotte, rassegnati a restare fino a domani, tanto che il babbo si attacca anche la corrente. Del resto, a livello di comodità non c’è nulla da eccepire: carico/scarico ed elettricità sono molto comodi, ed inclusi nei 9,00 € che pagheremo in serata all’omino che verrà a fare la questua. Alle 15.30 ci incamminiamo nuovamente dal parcheggio alla biglietteria e seguiamo le approssimate indicazioni per il binario per la partenza del trenino, perplessi nello scoprire che per raggiungere la fermata dobbiamo passare praticamente nell’erba e nel fango. Diciamo che per 25,00 € di biglietto ci aspettavamo delle indicazioni segnalate con un minimo di criterio ed un percorso più accessibile. Anche l’incaricato del controllo biglietti e di dare info, ammettiamolo, è un ragazzotto non molto sveglio che sembra essere lì per caso. Il trenino parte, e il macchinista conosciuto prima, che ci riconosce, fa sedere il babbo con lui nella locomotiva, con buona pace degli altri, che sono costretti a salire nelle altre carrozze: “Lui è appassionato di treni e sta davanti con me per guardare. Voi dietro!”. Le comiche.
Arrivati all’ingresso delle grotte incontriamo Sabine, la nostra guida per il tour. Ovviamente ci racconta di come il fiume Lasse, in 130 milioni di anni, abbia scavato la roccia calcarea delle Ardenne infiltrandosi poco a poco nelle faglie aperte tra le placche tettoniche. Il precorso attraverso la pancia della terra si snoda per due chilometri, gli unici visitabili tra gli oltre 14 totali, scoperti dagli speleologi nel corso di due o tre secoli. La storia delle grotte in sé è molto movimentata, il fiume continua ad erodere e l’acqua piovana a formare concrezioni, e le nuove illuminazioni al led realizzate pochi anni fa mettono in risalto i colori naturali.

La Grotta di Han è il primo Geoparco globale belga dell'UNESCO. Nel suo cuore, si osserva da vicino il fiume mentre svolge il suo incessante lavoro di sviluppo e di abbellimento di un mondo sotterraneo. Questa divina cattedrale sotterranea (come la gente del posto ama chiamare la grotta premiata con 3 stelle verdi Michelin) ha impressionato 30 milionidi visitatori con le sue gallerie naturali, piene di stalattiti, stalagmiti e drappeggi. La Sala della Cupola è la più grande e la più fredda galleria del complesso, con un diametro di 150 metri, poi c’è addirittura un segmento del percorso cui è possibile vedere fossili di conchiglie e coralli poiché in questa zona, “solo” 390 milioni di anni fa, sorgeva un mare tropicale. La Sala delle Armi offre invece un grandioso spettacolo di suoni e luci, chiamato Origin, creato da Luc Petit: lo spettacolo, come suggerisce il nome, racconta la suggestiva storia dell'universo e del pianeta Terra, viaggiando attraverso i secoli fino ai giorni nostri, proiettando immagini sulle pareti della grotta. Usciamo dopo ennesimi gradini ed un ultimo scorcio al laghetto formato dal fiume, nel quale si riflettono le concrezioni calcaree. Due ore di visita guidata è quasi un sequestro di persona comunque. Molto belle, non c’è che dire: decisamente monumentali, immense, come quelle di Postumia, ma nonostante tutto meno curate (e meno belle) delle nostre Grotte di Frasassi.
Adesso scrivo all’Unesco e chiedo di inserirle nel patrimonio, visto che mancano solo loro.
In serata, subito dopo cena, passa l’omina con i biglietti per i camper che restano overnight. 9,00 € e passa la paura.


Domenica 10 ottobre - km 113195
Da Han-sur-Lasse a Chastre (149 km)

Stamattina, dopo una notte bella fresca (meno male che ero abbozzolata in un plaid sotto la coperta) siamo pronti a partire alla volta di Dinant con una nebbiolina guazzosa che ci avvolge. Ho le mani congelate e sono estremamente sofferente per la temperatura. Aspettando che la nebbia si dissolva, poiché non si vede ad un palmo dal naso, entriamo in un Carrefour con la scusa del pane e un po’ di frutta, ed io cerco birre belga a prezzo buono. Le birre le trovo tutte e anche di più. I prezzi, invece, tali e quali a casa mia. Con buona pace dell’idea, già assaporata, di rientrare in Italia con due cartoni di birre belga pagate la metà. Nel frattempo la nebbia si dirada ed iniziamo a vedere qualcosa: adagiata sulle rive del fiume Mosella, ai piedi di imponenti colline, la città di Dinant è inusuale sia per il contesto naturale che per le attrazioni che offre. Attrazione di punta, però, è forse la Cittadella, costruita a scopo difensivo nel Cinquecento, benché il suo aspetto attuale risalga all’Ottocento. La si vede arroccata in cima ad una collina, raggiungibile attraverso 400 ripidi scalini, oppure comodamente via teleferica.
Noi, in realtà, né l’uno né l’altro: parcheggiamo sulla sponda sud del fiume, un po’ defilati, da dove abbiamo la prima meravigliosa prospettiva d’insieme delle coloratissime casine della Croisette (la promenade lungofiume), la Collegiata di Notre Dame con il suo particolarissimo “cipollotto” nero (la cupola a bulbo), ed il Ponte Charles de Gaulle, adornato da sassofoni giganti su entrambi i lati: questi, bellissimi e coloratissimi, sono l’omaggio della città ad Adolphe Sax, inventore, appunto, del sassofono! Costruttore di strumenti musicali, egli brevettò il sassofono come risultato del tentativo di migliorare il timbro di un altro strumento, il clarinetto basso. E chi se lo sarebbe mai aspettato che questo strumento diventato famosissimo negli Stati Uniti fosse stato inventato, nientemeno, che da un europeo?

Ma non solo: Dinant è famosa anche per la birra Leffe, una delle birre d’abbazia più famosa in tutto il mondo, che proprio qui iniziò la sua produzione nel 1260 circa. Ci concediamo una passeggiata rilassante nelle vie, non manchiamo di visitare la Collegiata di Notre Dame e la sua vetrata più grande d’Europa, soffermandoci sulla sua particolare architettura: una chiesa gotica con un tetto nero a forma di cipolla, molto in voga nel Cinquecento. Peraltro, all’inizio del secolo scorso pare che ad un architetto olandese fu affidato il progetto di “svecchiare” la chiesa e rimuovere il cipollotto, ma date le forti opposizioni si decise di lasciare tutto com’era. Arriviamo poi alla Mairie, il Municipio, adornato di piante rampicanti, passiamo poi lungo il fiume, brulicante di gente, ristorantini e anche un mercatino artigianale. Camminiamo fino all’originale Abbaye de Leffe, che però è chiusa, e quindi torniamo al camper, passando per l’altro ponte sulla Mosella. Avendo mangiato tardi, ripartiamo tardi, e per fortuna Namur non è molto lontano. Costeggiamo la Mosella ed i suoi paesini che offrono scorci incantevoli con mille riflessi nell’acqua ferma, come Hun, dove accostiamo anche un istante per immortalare la riva opposta, o Wepion, presa d’assalto come il lungomare la domenica (qui hanno il lungofiume), gite in barca e casette in pietra lungo la strada.
Arriviamo nella capitale della Vallonia poco dopo le 16 e ci inerpichiamo verso la Cittadella alla ricerca folle del parcheggio. Gente da scansare con la pala, complice anche il bel tempo e il fatto, non secondario, che è domenica. Salendo verso la Esplanade de la Citadelle, oltre ad avere una splendida vista sulla Mosella, il Pont de Jambes e l’omonima cittadina sul lato opposto del fiume), ci accorgiamo dei duecento cantieri nei vari punti.
La Cittadella di Namur è immensa, anche qui c’è una teleferica che porta a valle ma chiude alle 17 (manca giusto mezz’ora e non ha senso fare le corse). La città, peraltro, è molto dispersiva, così decidiamo di restare a fare un giro all’interno delle mura della Cittadella ammirando il panorama. Questa è una delle più grandi d'Europa ed è classificata come Patrimonio maggiore di Vallonia, tra l'altro di grande valore storico, basti pensare che le prime tracce di insediamenti umani sul sito, risalgono a circa 6.000 anni avanti la nascita di Gesù Cristo. Alcune monete ritrovate attestano che Namur intrattenne delle relazioni commerciali col resto dell'impero romano, quindi ha una storia molto antica. L'evoluzione del borgo andò aumentando e l'importanza del porto si intensificò dal V al IX Secolo. Le prime fortificazioni sullo sperone roccioso che diventerà la cittadella si datano intorno a quest'epoca.

Alle 17 o poco più, con estrema calma, ripartiamo. Raggiungiamo Sombreffe, dove ci appropinquiamo all’area camper, che dai nostri brogliacci risulta dietro un club automobilistico, ma il gentile omino che gestisce l’area ci dice che è impraticabile a causa del fango dovuto alle piogge dei giorni scorsi. Ci indirizza molto cortesemente a Villers-La Ville, presso il parcheggio della vecchia abbazia, che ci dice essere un posto molto tranquillo con tre posti per camper. Una volta arrivati on spot, ci troviamo al cospetto di un’immensa abbazia cistercense diroccata, caduta in rovina ed abbandonata nel Settecento. Uno di quei siti che io tanto amo! Il babbo smusa, non è convinto di stare da solo in mezzo al nulla, perché in effetti non ci sono molte forme di vita, quindi ci spostiamo verso Chastre, dove sembra ci sia un parcheggio tranquillo messo a disposizione da un privato, che in realtà è occupato e siamo a ridosso dell’ora di cena, ergo… non è proprio il caso di bussare alla porta. Smadonnati il giusto, dopo mezz’ora fermi in briefing, in cui non riusciamo minimamente a trovare una soluzione idonea, optiamo per arrivare a Gand. Come prima cosa, ci fermiamo presso un distributore Q8 aperto h24 per fare rifornimento di gasolio, e scendo senza convinzione a chiedere, all’interno dell’autogrill, se per caso possiamo fermarci per la notte, risparmiandoci così la traversata a quest’ora, dato che i parcheggi per camper sembrano tutti deserti e preferiremmo non restare. Trovo due giovani simpatici e alla mano, che mi dicono che, sebbene il bar chiuda alle 22 e riapra alle 5, è videosorvegliato e tranquillo e che ci danno l’autorizzazione a restare. Ci guidano la manovra, avvisandoci poi che lì non daremo fastidio e che lasceranno un appunto per il proprietario, che aprirà l’indomani alle 5. Regaliamo loro una bottiglia di vino rosso per ringraziarli della gentilezza, e ci congediamo.


Lunedì 11 ottobre - km 113344
Da Chastre a Gand (114 km)

La nottata scorre tranquilla e nemmeno troppo fredda, e persino Mercurio se ne sta buono praticamente tutto il tempo! Il tempo di vestirmi, di buon mattino, ed entro nel bar per prendere dei cornetti per la colazione e ringraziare per la possibilità che ci è stata concessa di rimanere per la notte. Contro ogni pronostico incontro una tipa particolarmente acida (sono le 8 del mattino per tutti, evidentemente) che mi dice che lo spazio è privato e non potevamo restare a dormire. Le faccio notare che i collaboratori di ieri sera ci hanno dato l’autorizzazione a restare dicendo che avrebbero scritto un appunto per il proprietario e che non c’erano problemi, e quella ripete solo che è privato e che non ci si può stare. Gentilmente le ripeto che non abbiamo preso noi l'iniziativa ma ci è stato dato il consenso, ma al suo terzo “sì, però è privato e non ci si può stare” mi chiedo cosa non sia chiaro o chi delle due non parli francese. Giro i tacchi, ciao cornetti e ciao acidona. Torniamo, come prima tappa, a Villers-la Ville per visitare la bellissima abbazia del XIII Secolo che abbiamo visto ieri sera. Il babbo non è interessato pertanto io scendo con la vergara.


Il centro visitatori dell’Abbaye de Villers apre alle 10, mancano 20 minuti e in fila c’è già una scolaresca di almeno un centinaio di adolescenti esagitati che solo a vederli mi danno l’urticaria, con i rispettivi cinque o sei professori con evidente aria del “chi me lo ha fatto fare”, che adesso capisco i nostri prof al liceo che non volevano accompagnarci in gita neanche mezza giornata. Facciamo defluire la massa ed entriamo alla biglietteria. (biglietto 9,00 €, ridotti 7,00 €).

Il sito è bello e ben curato, con plance esplicative... e dire che l’abbiamo scoperto per caso! Nessun portale di “cosa fare e vedere in Belgio” ne parla, eppure siamo sicuri che sia abbastanza popolare, a giudicare dalla conservazione e dalla manutenzione. L’abbazia, fondata dai monaci cistercensi come moltissime in Europa nel 1200, è un enorme complesso rimaneggiato nel corso dei secoli. La sua parte più bella è di certo la chiesa, con una navata di ben 92 metri, quindi colossale, e molti padiglioni attorno, tra cui l’ostello, l’atelier dei mestieri, le scuderie, i refettori. Tutto questo, alla fine del Settecento fu praticamente abbandonato, e adesso la natura scopre il suo lato migliore attorno ai lavori di riconsolidamento che sono andati avanti dagli anni Ottanta in poi.

Ci perdiamo nei meandri e nei giardini dell’abate, fotografiamo prospettive, e mezzogiorno arriva in fretta. Riprendiamo dunque la marcia. Usciamo dall’autostrada nei pressi di Anderlecht, sobborgo di Bruxelles, per passare da Lidl per un paio di cose che non avevamo preso ieri (trovo anche la meravigliosa Hoegaarden in lattina e ne prendo un piccolo brick da 6) e restiamo per pranzo nel parcheggio adiacente, essendo già sufficientemente tardi. Ripartiamo per Gand (o Gent, che dir si voglia), dove arriviamo verso le 16.30 presso l’area camper dedicata nel quartiere di Gentbrugge, a Braemkastelstraat, subito dietro al deposito dei bus. A tal proposito, prima di entrare chiediamo informazioni per i biglietti del bus ad un autista di Lijn, la linea di trasporti urbani della città, che uno stentato inglese ci dice che i biglietti non si possono fare a bordo, che forse la macchinetta sul bus legge la Visa qualora si volessero pagare a bordo, e che i biglietti vanno comprati forse in qualche tabaccheria. Alla mia domanda, scherzosa ma sarcastica, se lui lavori o meno per la compagnia di trasporti di cui non sa una mazza, fa spallucce ridendo. Non capisco se ci è o ci fa. In ogni caso, per pura fortuna, a una tabaccheria a 700 metri dall’area camper riesco a prendere un biglietto per 10 corse. Il bus n.3 porta in centro, la fermata è a brevissima distanza. Vista la situazione, optiamo per buttarci finalmente da Primark e domani andremo alla scoperta di questa magnifica città. Io e Vergara andiamo dunque in centro, il bus ci scarica alla cattedrale di Sint-Jacobs a 300 metri dal nostro negozio di fiducia, che per noi ormai rappresenta lo shopping all’estero. Non siamo soliti fare turismo enogastronomico o grosso shopping, ma Primark non manca mai!
Torniamo con soddisfazione al camper e finalmente entriamo nell’area, dopo notevoli difficoltà poiché la macchinina per pagare il parcheggio (12,00 € le 24 ore) fa le bizze. Dopo 15 minuti, tante madonne ed una telefonata al numero dell’assistenza parlando in 3 lingue diverse con un tizio che non ne conosceva bene manco una, riusciamo ad entrare.


Martedì 12 ottobre - km 113477
Gand

Stamattina, come da programma, alle 9 siamo alla fermata del bus n.3 ed in poco meno di 20 minuti siamo in centro. Capitale culturale delle Fiandre e sede di una delle più importanti università al mondo (i poli universitari a and contano circa 45 mila iscritti), la città di Gand era abitata già in epoca celtica. È da lì che deriva il nome “Ganda”, che in gaelico significa “confluenza”: la città si trova, infatti, all’incontro dei due fiumi, il Lys e la Schelda, da cui derivano i canali che movimentano il centro storico. Noi superiamo la fermata di ieri pomeriggio e scendiamo nei pressi di Sint-Michielskerk, da cui il tram n.4 ci scarica giusto davanti al Castello dei Conti di Fiandra (e all’ufficio turistico nell’ex padiglione del mercato del pesce) in due fermate.

Il castello, in pietra grigia, tipicamente medievale, sembra uscito da una favola, tanto più che questo cielo grigio lo rende ancora più suggestivo. Optiamo però per non visitarne gli interni che ci porterebbero via decisamente troppo tempo, e ce ne andiamo verso Graslei, la parte più antica, il cuore storico della città di Gand, che gira attorno ad un frammento di canale. Questo angolo caratteristico è delimitato dall’edificio della Vecchia Macelleria, dal Korenlei (la casa dove si pagava il dazio sul grano nel Cinquecento), dal Ponte in pietra di Sint-Michiel con l’adiacente immensa chiesa (che però non è aperta) e la Sint-Niklaaskerk, che peraltro abbiamo modo di visitare poco dopo.

Ci sorprende l’altezza delle volte e la luminosità delle vetrate, un chiaro esempio di architettura gotica integrato in elementi medievali. All’interno, oltre ad un bel “concerto” di organo (in realtà sono le prove per il concerto d’organo che si tiene la terza domenica di ogni mese), una mostra di un fotografo belga con degli scatti semplicemente sublimi, tanto che cerco il suo profilo su Instagram solo per fargli i complimenti.

Nel frattempo, il cielo cambia continuamente e si passa dal freddo al sole, al vento, alla pioggerellina. E di nuovo, da capo. Recuperiamo un Pizza Hut (uno stravizio da “italiani fuori sede” che ci concediamo in vacanza una volta ogni tanto) e ci sediamo a pranzo con estrema calma: la pizza è buona, ma la digeriremo domani per sicurezza. Riprendiamo Limburgstraat, una delle vie principali, verso lo Stadshal, il padiglione municipale utilizzato per eventi e concerti (la cui architettura moderna in mezzo ad edifici cinquecenteschi è decisamente un cazzottino in un occhio), e l’adiacente beffroi di Belfort, ora adibito a museo.

La sua Torre civica, alta 95 metri, fa parte del “trittico” di torri medievali che si stagliano lungo la via ed è in realtà visitabile (vorrei salire, solo che non sembra “abbastanza alta”, e nel frattempo inizia a piovigginare). Sull’altro lato della piazza, di fronte ad una fontana dal taglio particolare, la Sint-Baafskathedraal, la cattedrale tardo-gotica di San Bavone, che conserva alcune famose opere d’arte, come il Polittico dell’agnello mistico di Jan Van Eyck e La Conversione di San Bavone di Rubens. Rappresenta uno dei migliori esempi dell'architettura gotica secondo l'interpretazione del locale stile gotico brabantino. L’ingresso è gratuito (si paga solo per vedere le opere) e l’interno merita decisamente una visita: l'accostamento dei diversi materiali impiegati nella costruzione, come la pietra bianca per l'ossatura strutturale e i mattoni rossi per le pareti e le volte, insieme alle vetrate da cui filtra la luce colorata, crea nell'insieme un particolare effetto cromatico. Il pulpito riccamente lavorato (riferimento al barocco) è diviso dal deambulatorio da un recinto marmoreo seicentesco dalla caratteristica bicromia bianco-nero. Riprendiamo la via lungo la Schelda inferiore (un ramo del fiume principale che attraversa la città) e superiamo il castello di Gherardo il Diavolo, un'antica residenza medievale fortificata (oggi è sede degli archivi di Stato). Il castello venne costruito all’inizio del Duecento come difesa e come residenza: lo scopo difensivo si rileva dalle spesse murature e la presenza di un mastio con torrette; quello residenziale, dal corpo principale con la sfilza di tredici bifore d'epoca feudale, chiaro esempio della volontà di dare ricevimenti. Nel frattempo comincia a piovere e ci tocca ripararci in una rientranza di un edificio, dove restiamo almeno 20 minuti. Siccome non accenna a smettere, ci infiliamo da Bidon, una sorta di caffetteria all’apparenza spaziosa sull’altro lato del canale, dove ci sediamo e prendiamo un caffè con la scusa di ripararci dalla pioggia e fare il punto della situazione. Avrei dovuto già immaginarlo dal nome del locale, che avremmo preso un bidone: due caffè 5,00 €, manco a Venezia, perdipiù fa schifo persino a me che bevo le sbobbe americane. Come se non bastasse, si paga solo con carta. Ciao.
Appena la pioggia diminuisce fino a smettere, fuggiamo dall’ignobile caffetteria ed arriviamo a Sint-Jacobskerke, dove il bus ci ha fermate ieri, e da lì risaliamo trecento metri fino a Vrijdagmarkt, la piazza del mercato del venerdì (chissà se ancora oggi il giorno del mercato è lo stesso). L’imponente statua di Van Artevelde si trova al centro della piazza, con il braccio teso verso l'Inghilterra. Ricordando una grande epoca, sembra quasi indicare ai passanti la via della prosperità. Ma, vista da un’altra prospettiva, il nostro amico di bronzo indica semplicemente uno dei tanti ristoranti che adornano la piazza! Nel corso dei secoli qui si sono svolte innumerevoli feste, vi sono stati solennemente salutati monarchi e, purtroppo, hanno avuto luogo anche esecuzioni capitali.
L'ultima esecuzione pubblica risale al 1863. Il Toreken, che risale al XV secolo, è l'ultima testimonianza di queste pratiche barbare. Qui saluto i miei e faccio un giro per Werregarenstraat , la via dei murales, ormai famosa: è una viuzza stretta di circa 100 metri, e il suo aspetto cambia spesso poiché i nuovi murales coprono di volta in volta quelli vecchi... Io ne becco di veramente brutti. Mi toccherà tornare per vedere se la prossima volta sono più belli! Dalle vie del centro raggiungo il polo universitario, non prima di aver beccato dopo uno scroscio d’acqua dal quale mi riparo sotto al Padiglione municipale ed aver ammirato un bellissimo arcobaleno. All’università mi vedo con una collega autrice che qui fa il suo dottorato di ricerca in storia dell’arte e ci prendiamo una bella Kwak, birra rossa belga dai sentori di miele. Si fa buio in fretta e ritorno verso il centro, dove riprendo il bus n.3 davanti alla chiesa di Sint-Niklaas e torno a Gentbrugge, dove il bus fa capolinea. Stasera all’area camper ci sono due nuovi ospiti.


Mercoledì 13 ottobre - km 113477
Bruxelles

Nei nostri viaggi abbiamo utilizzato due formule collaudate per evitare il caos delle grandi città:
- il “metodo Partille” (adottato per andare a Göteborg nel 2012) consiste nel lasciare il mezzo in una qualsiasi località piccola, con stazione ferroviaria, a pochi chilometri dalla città grande, e raggiungerla con un treno
- il ”metodo Capodistria” (adottato nel 2018 per raggiungere Piran ed Izola) consiste nel lasciare il camper nell’area sosta di una città in cui si è in visita, e utilizzare i mezzi per raggiungere un’altra città grande, che risulterebbe scomoda da fare in camper.
Ecco, noi oggi utilizziamo il metodo "Capodistria": infatti abbiamo deciso di andare da Gand a Bruxelles con il treno, ancora traumatizzati dalla nostra esperienza pessima del 2010, durante il nostro battesimo a camperisti, in cui tentammo di attraversare la città e trovare un'area sosta senza successo alcuno. Gli spostamenti dall’area sosta camper di Gentbrugge prevedono un bus ed un treno, e una volta arrivati nella capitale belga ci sposteremo con i mezzi pubblici. Stamattina ci svegliamo qualche minuto prima e, sotto una sottilissima pioggerellina che smette e ricomincia in continuazione, partiamo carichi alla fermata del bus Dienstencentrum, per prendere il n.9 verso la stazione ferroviaria di Sint-Pieters. Una volta in stazione, alla biglietteria automatica riesco pure a fare i biglietti a/r per Bruxelles senza nemmeno cambiare la lingua: leggo le istruzioni in questa sorta di fiammingo e mi oriento a senso. In pochi minuti saliamo a bordo del treno che ci porta a Bruxelles in circa mezz’ora
Scendiamo a Bruxelles Centrale e, come prima cosa, un soffitto adornato di Puffi ci accoglie all'uscita: non dimentichiamo che questa città ha dato i natali al fumettista Peyo, che ideò i simpatici omini blu alla fine degli anni Cinquanta! Facciamo subito un biglietto giornaliero per i mezzi (bus, metro e tram) al costo di 8,00 €, che entro l’ora di pranzo sarà già ammortizzato. Iniziamo la nostra visita scendendo lungo le vie pedonali del cento storico, che si apre appena fuori dalla stazione, e dopo qualche viuzza e la Galerie de la Reine (molto simile alla nostra galleria Vittorio Emanuele II di Milano), raggiungiamo Grand Place.
Si tratta della piazza più importante della città, fiancheggiata dalle case delle corporazioni, dall’Hotel de Ville (il Municipio) e dalla Maison du Roi. Un tripudio di architettura gotica e fiamminga considerata tra le più belle piazze al mondo ed inserita nella lista dei patrimoni Unesco dal 1998. Dal mio punto di vista, benché innegabile che sia meravigliosa, è fin tropo opulenta.Percorriamo 300 metri in direzione di Rue des Etuves per vedere, nascosta dietro un angolo, la fontana del Manneken Pis, più deludente della Sirenetta di Copenhagen. La statuetta del famoso bambino nudo è addirittura più piccola di quelle che vendono nei negozi di souvenirs, e non mi spiego perché sia diventata così tanto popolare. La leggenda vuole che, nel XIV Secolo, un bambino di nome Juliaanske riuscì a salvare la città dall’aggressore straniero facendo pipì su una miccia accesa lungo le mura difensive. Storia più stupida non avrebbero potuto inventarla. Ma tant'è, che l'enfant qui pisse è uno dei simboli di questa città. È vero che all’estero rendono famose pure le mosche.
Facciamo due passi, prendiamo la metro e raggiungiamo anche la Cattedrale di Saint-Parvis et Sainte Gudule, una bella cattedrale gotica che ricorda Notre Dame, dove incontriamo anche una coppia di Matera in visita alla figlia che lavora qui. Poveraccia. Tra una goccia e l’altra, ci rispostiamo nelle vie pedonali. Bruxelles, contro ogni previsione, è famosa per le moules (le cozze), che vengono servite generalmente con patatine fritte. Troviamo un ristorantino (fatiscente come tutti quelli della zona del centro, fatti apposta per turisti in effetti), la “padrona di casa” è abbastanza gentile e ne approfittiamo per assaggiare dunque queste famose moules di Bruxelles… che nulla hanno da invidiare a quelle mangiate da altre parti! Ovvio: bisogna sempre considerare che quando si arriva in una grossa città sconosciuta, a meno che non si vada su un ristorante particolarmente rinomato, si va un po’ a caso. E noi non siamo nemmeno avvezzi ai turismi enogastronomici, quindi ancora peggio! Dopo pranzo, optiamo per un giro all’Atomium, fermata Heysel della metro (quell’Heysel del tristemente famoso stadio e dell’omonima tragedia del 1985). Ci mettiamo un po’ ad arrivare, perché si tratta della zona periferica della città, ma una volta scesi dalla metro non si possono non notare le enormi palle della costruzione, forse, più famosa del capoluogo. Un’imponente quanto moderna struttura in acciaio, alta un centinaio di metri e visitabile in alcune sezioni. Gli interni dell’Atomium ospitano infatti alcune mostre ed esposizioni, ed i vari piani sono collegati tra loro con delle scale mobili. Inoltre, un ascensore conduce alla palla più alta, con la terrazza panoramica. L’ingresso costerebbe 16,00 €... Decidiamo quindi per la visita al parco Mini Europa (allo stesso prezzo!), una genialata in stile Italia in Miniatura, con riproduzioni di famosi edifici e monumenti dei paesi della Comunità Europea. Una bella brochure illustrativa li descrive attraverso il percorso, ed è divertente ricordare quelli che abbiamo già visto nei nostri viaggi in Europa e magari indovinarli. Buffa anche la dogana che dallo scorso anno divide l’House of Parliament di Londra dal resto, poiché il Regno Unito è ufficialmente fuori dall’Europa e smantellare il parco è improponibile! Andiamo decisamente lunghi, tanto che alle 18 siamo ancora a Bruxelles. Il tram ci riporta fino alla stazione centrale, dove perdiamo due treni per Gand in pochi minuti, e finalmente riusciamo a salire su quello utile che arriva alle 19.35 circa. Da lì, perdiamo pure la coincidenza con il bus per Gentbrugge per una manciata di minuti e aspettiamo fino alle 20 l’arrivo del bus che, finalmente, ci riporta al camper.
Conclusioni: Bruxelles secondo me è una delle capitali europee meno attraenti.


Giovedì 14 ottobre - km 113477
da Gand ad Anversa (60 km)

Stamattina, dopo la lunga giornata di ieri ed una zanzara particolarmente rompiballe durante la notte, ci svegliamo con calma. Sistemiamo la cassetta, buttiamo la spazzatura, e alle 9.30 siamo in viaggio per Anversa. Parcheggiamo all’area camper di Vogelzanglaan, nella zona di Antwerpen Expo. Il posto è spazioso, sterrato, pavimentato e con ampie zone erbose, Mercurio approva. Il tipo che gestisce l’area è un po’ sui generis, un personaggione di poche parole, a cui diamo 10,00 € per la notte che passeremo qui. Senza por tempo in mezzo, saltiamo giù dal camper e andiamo dunque alla scoperta della città. Abbiamo, a breve distanza dall’area sosta, sia il bus n.17 che il tram n.6 che possono portarci in centro, ma optiamo per il tram, convinti di poter acquistare un biglietto giornaliero ad un’ipotetica macchinetta che però alla fermata non è pervenuta. Saliamo così a bordo come i clandestini e raggiungiamo Opera, fermata di snodo, dove troviamo finalmente una macchinina automatica e riusciamo a fare i biglietti giornalieri (7,50 € e strisciamo carta tutto il giorno!). Percorriamo circa un chilometro tra gallerie e scale, e finalmente risaliamo a Centraal Station dall’interno, restando a bocca aperta: la stazione centrale di Anversa è da rimanerci secchi! Un magnifico edificio neoclassico in pietra scura, finemente decorato con inserti dorati, non pacchiani come Bruxelles, ma con quel tocco di austerità che caratterizza le fiandre. Ovviamente, dentro è stata rimodernata e “scavata” per rendere fruibile lo spazio su più livelli, tanto che conta 24 binari e non si direbbe! Restiamo in ammirazione almeno un’ora, il babbo (contento come i bambini a Natale) guarda tutti i treni che partono. Mangiamo qualcosina in una focacceria e poi usciamo. Ci troviamo così su Koningin Astridplein, da dove prendiamo un tram a caso (il n.24 che porta ai docks) solo perché ha un’aria vintage ed il babbo vuole fare un giro. Ci troviamo così davanti ad uno dei bracci del porticciolo e al cospetto del futurista edificio che ospita il Museum aan de Stroom. L’aria è frizzante, sembra voglia piovere, e noi facciamo in giro dell’isolato per tornare a prendere il tram. Scendiamo a Roosevelt e ci troviamo davanti Lange Nieuwstraat, una delle vie principali di Anversa in cui gli edifici storici in stile neoclassico sono diventati sede di importanti boutiques.
Ne percorriamo una parte, poi tentiamo di prendere il tram n.11 per arrivare a Grote Markt, la piazza principale (che si chiama come tutte le piazze principali di Olanda e Belgio), ma sembra ci siano dei rallentamenti, forse dovuti ai tanti cantieri in giro per la città (la più impalcata che abbiamo mai visto, insieme a Copenhagen), quindi optiamo per le motofette, con buona pace della vergara che ci sta tirando tanti accidenti. Lento pede, finalmente appare lo Stadhuis, il municipio, ad un lato della piazza su cui svettano anche una meravigliosa fontana e tanti edifici con il classico stile fiammingo: siamo finalmente a Grote Markt, di certo più “verace” rispetto ad altre. Ma la nostra attrazione di punta di Anversa è senza dubbio la piazza della Cattedrale, e stavolta non per visitare l’edificio di culto. Proprio lì, sulla piccola piazza della cattedrale gotica, nel cuore del centro storico, si trova una delle opere più belle al mondo, che celebra un legame indissolubile, l’amicizia immensa tra Nello e Patrasche, protagonisti di “Il cane delle Fiandre”, libro di Maria Louise Ramé del 1872. Nello è un bambino orfano che abita col nonno e che si guadagna da vivere vendendo latte. Un giorno, il bambino trova lungo la strada un bellissimo cane, ferito e bisognoso di cure, che chiamerà Patrasche. Il cane si dimostrerà sempre fedele e riconoscente con Nello e da quel momento lo aiuterà nel trasporto del latte dalla casetta del nonno alla città. Nello possiede un grande talento per la pittura, ammira i quadri di Rubens e desidererebbe tanto vedere l'opera del grande pittore esposta nella Cattedrale della città, osservabile però solo a pagamento. Ripone le sue speranze di una vita migliore in una gara di disegno ad Anversa, ma la giuria sceglie un altro vincitore, sicuramente meno meritevole di lui, ma figlio di un personaggio in vista della città. Dopo la morte del nonno, disperato e senza più una casa, si rifugia insieme a Patrasche nella chiesa di Anversa per scampare al terribile rigore dell'inverno. Lì finalmente verrà esaudito il suo grande desiderio: dopo tanto tempo riuscirà a vedere come in un sogno le famose opere di Rubens (La discesa dalla Croce e L'erezione della Croce) esposte nella chiesa. Il mattino seguente, Nello e Patrasche verranno trovati entrambi morti congelati, stretti nello stesso abbraccio. Nel 2016, un artista ha voluto rendere omaggio a questa meravigliosa storia, realizzando la statua: il bambino e il suo cane, con un’espressione felice in viso, sembrano dormire abbracciati, con una coperta di pavé, come se la città avesse voluto avvolgerli un’ultima volta. Davvero commovente, inutile dire i lacrimoni, vedendo quest’opera dal vivo! Giriamo ancora qualche minuto in centro, poi ci dirigiamo verso Steenplein, con l’omonimo castelletto medievale, che però non è visitabile. Poco distante, la ruota panoramica: non ci saliamo dai tempi del Prater a Vienna, ergo decidiamo che è il momento per un giro, anche per fare una cosa diversa. Il biglietto, 8,00 €, costa come l’ingresso alla Cattedrale che abbiamo bellamente boicottato. Tra l’altro, era completamente impalcata: chissà, magari quando tornerò nel 2035 i lavori saranno finiti! Per la prima volta, non l’abbiamo filata di striscio, benché abbia accarezzato l’idea di entrare per vedere i dipinti di Rubens. Anche dall’alto, comunque, Anversa spicca solo nel cuore del cento storico. La sua particolarità è proprio la capacità di essersi adattata a più stili e alla vivacità, la sua abilità di mescolare il nuovo ed il vecchio, in un contesto che può piacere ma anche no. Ma la statua di Nello e Patrasche, quella è valsa davvero tutta la giornata. Ma anche il Sint-Annastunnel, che vediamo poco dopo, ha un che di particolare: la città di Anversa non ha ponti che mettono in comunicazione le due sponde, per poter sfruttare tutta la superficie d’acqua nei canali del porto. Le uniche arterie di comunicazione sono, infatti, tunnel sotterranei, uno per ciascun sistema di trasporto. Il tunnel di Sant’Anna, il cui ingresso è sull’altro lato della ruota panoramica, è stato costruito negli anni Trenta ed è unicamente pedonale e ciclabile (anche troppo ciclabile: monopattini e bici sfrecciano ad una velocità impressionante!) e ha due rampe di scale mobili interamente in legno. Il cigolio degli ingranaggi dona loro un sapore antico, scendendo fino a 35 metri circa nella pancia del fiume. Fa strano pensare che all’esterno di questo lungo tunnel di piastrelle siamo ricoperti di acqua. Sbuchiamo sull’altro lato con le solite scale mobili in legno, ci accoglie un parco che probabilmente è una boccata d’aria nelle giornate di primavera. Il vento freddo però ci scoraggia, facciamo due foto alla città incantierata, riprendiamo la metro da Van Eeeden verso la stazione centrale, e da lì, proprio sulla via laterale, il bus n.17 che ci ferma davanti all’Expo, dove si trova la nostra area camper.


Venerdì 15 ottobre - km 113532
da Anversa a Barvaux (160 km)

Ci vegliamo che è ancora buio, ma non perché sia chissà quanto presto: è l’ora di sempre, solo che a queste latitudini il cielo si schiarisce decisamente più tardi. Risparmiamo almeno mezz’ora sulla tabella di marcia stamattina, tanto che alle 8.40 siamo fuori dall’area camper. Traversata brevissima per iniziare questo weekend: ci spostiamo di appena trenta km per arrivare a Mechelen. Il suo canale gira tutto intorno al nucleo vecchio, lo guardiamo volare dai finestrini del camper mentre cerchiamo di raggiungere un’area di parcheggio. Giriamo in lungo e in largo, e meno male che siamo partiti per tempo! Ci mettiamo un’ora a trovare un angolo decente, nonostante qui sembrino poco fiscali, e alla fine ci fermiamo lungo Ontvoeringsplein, strada che costeggia la ferrovia a poche centinaia di metri dalla stazione. Con un biglietto del parchimetro da 5,00 €, potremmo addirittura restare 3 giorni, ma ci accontentiamo di un paio d’ore. Il ponticello che attraversa il canale resta subito fuori dalla strada dove abbiamo parcheggiato, e da lì siamo su una delle vie principali che ci porta a Grote Markt in poche centinaia di metri. Mechelen (Malins in francese) è una città fiamminga che nulla ha da invidiare alle colleghe più blasonate, anzi: l’ampia piazza è molto armonica, non affollata e soprattutto non impalcata: nessun lavoro di manutenzione pervenuto, bar e ristorantini si affacciano sui due lati, mentre la facciata gotica dello Stadhuis si mostra in tutta la sua bellezza, nonostante il cielo nuvoloso che poco rende giustizia ai colori. L’attrazione principale della città è di certo Romboutskathedraal, impronunciabile nome per indicare la Cattedrale. Un colosso del XIII Secolo, rimaneggiata (come quasi tutti gli edifici religiosi) fino al Cinquecento. La sua torre alta 97 metri era stata progettata per diventare la torre campanaria più alta d’Europa (ancor più di quella di Colonia da 157 metri), ma non è stata mai terminata. Nel frattempo inizia a piovigginare, e ne approfittiamo per visitare i monumentali interni: tra l’altro l’ingresso è gratuito e permette anche una visita del coro, che generalmente è chiuso, le volte alte testimoniano tutto lo stile gotico del XV Secolo, ed un pulpito interamente realizzato in legno (“sobrio” proprio come altri visti in questi giorni!) si affaccia ad un lato della navata.
Per salire sulla terrazza panoramica della torre devo invece aspettare le 13, poiché è aperta solo nel pomeriggio. Usciamo dalla cattedrale bardati fino ai denti, con k-way e quant’altro per ripararci la testa (non piove molto, ma il minimo sindacale per rompere le balle!), e percorriamo una parte di una via perpendicolare per vedere ancora un po’ di architettura. Nel frattempo smette di piovere, scattiamo foto. Ricomincia a piovigginare e costeggiamo il canale e ci troviamo inspiegabilmente sul lato opposto della città. Poi smette di piovere ed inizia a graziarci mentre ci riaffacciamo sulla via che porta al camper. Ormai manca poco alle 13, quindi lascio andare avanti i miei ed io torno alla torre della cattedale, dove mi sparo questi 538 gradini di scala a chiocciola per la terrazza. Il biglietto per la salita costa 8,00 €, prezzo ragionevole se si tiene conto delle belle stanze visitabili, come quella del carillon e quella delle campane, ma un po’ deludente in cima: le sponde in vetro (così come il pavimento scivolosissimo!) coprono quasi totalmente la vista, e oltre quello ci sono i tiranti in ferro da un merlo della torre all’altro. Bello tutto, interessante anche l’opuscolo informativo con la storia delle varie stanze della torre... Ma sulla skywalk panoramica, non ci siamo proprio. Torno al camper in tempo per il caffè, e partiamo poco dopo in direzione Durbuy, definita “la più piccola città del mondo” (perché non hanno visto Morico!), dove arriviamo alle 16. Parcheggiamo nella zona adiacente al Topiary Park, il giardino topiario più grande al mondo: si tratta di un giardino di "sculture vegetali", abbastanza unico nel suo genere, dove si possono ammirare tassi ed agrifogli magicamente animati grazie ad una potatura artistica, ingegnosa e coinvolgente iniziata con Albert Navez. Il termine topiario deriva dal caro vecchio latino e significa “paesaggio dipinto, giardino ornamentale”. L’arte topiaria è dunque l’antica arte di creare figure con la potatura di cespugli, siepi e arbusti, nel caso del parco di Durbuy con la potatura delle piante di bosso. Riusciamo ad entrare al volo, anche se l’ultima ammissione era alle 16 perché il parco chiude alle 17. Con un piccolo sconto, paghiamo 4,00 a testa e stiamo dentro meno di tre quarti d’ora. Al Topiaires di Durbuy ci sono circa 40 aiuole con cuori, quadrifogli, animalini vari, da scoiattoli a pavoni e paperelle, tutti rigorosamente potate nei bossi.
E ancora, la coppia che prende il sole, pure Pamela Anderson ed il Manneken Pis di Bruxelles e anche un elefantone di 4 metri di altezza! Un posto divertente per fare foto, che si visita anche in un’oretta scarsa, come abbiamo dimostrato! Dal parco, in riva all'Ourthe, si ha un’eccezionale vista sul castello di Durbuy, ormai adibito a residenza privata. Facciamo un brevissimo giro per il minuscolo paesino, ci mettiamo appena 20 minuti foto incluse, poi torniamo al camper. In dieci minuti raggiungiamo l’area camper a Barvaux, un sobborgo del piccolo paese: 10,00 € compreso scarico (per il carico pare serva un gettone reperibile non si sa dove, ma non è indispensabile. Area su sterrato erboso, un po’ morbido causa piogge dei giorni scorsi, ma resistente. A pochi meri dal fiume, che in serata tira su una nebbia stratosferica.
Mercurio approva e scorrazza un’ora. Nonostante la nebbia.
E meno male che ci pensa lui ari portarmi al camper, che io non vedo niente e mi sono già persa.




Sabato 16 ottobre - km 113707
da Barvaux a Fellbach (475 km)

Contro ogni pronostico, anche stamattina siamo operativi per le 8.40. Ci aspetta una lunga giornata di trasferimento fino a Winterbach, in Germania. Nel mezzo, soltanto Lidl, un distributore di benzina, il pranzo e io che, ovviamente, nemmeno mi vesto (il solito sciopero fascista delle tappe di trasferimento, come la giornata del ritorno a casa!). Anche Mercurio sonnecchia annoiato tutto il giorno. Attraversiamo il confine tedesco in tarda mattinata e ci fermiamo per pranzo più o meno all’altezza di Coblenza. A Winterbach, poco sopra Stoccarda, il babbo si ferma a recuperare un registratore a bobine da un simpatico tedesco (per i suoi commerci di hi-fi) e prima delle 18 siamo all’area di sosta a Fellbach, poco distante. Carico a 0,50 € per 80 litri d’acqua, wifi gratuita (provvidenziale!). Tariffa, 5,00 € per le 24 ore: andiamo a cercare la macchinina e scopriamo che, essendo fuori servizio, il parcheggio è addirittura free fino a nuovo ordine.
La serata finisce con pizzette e foto da scaricare, e Mercurio che approva l’immenso parcheggio circondato da zone erbose per scorrazzare, ma sempre supervisionato!


Domenica 17 ottobre - km 114182
da Fellbach a Füssen (237 km)

Stamattina siamo pronti a partire convinti di fare una deviazione verso sud al Catello di Hoenzollern, considerato uno dei più belli della Germania, ma scopriamo che il biglietto è solo online e che l’ingresso regolamenta tutto (quindi non possiamo nemmeno affacciarci negli spazi esterni, e di vedere le varie stanze delle armi e delle torture non ce ne frega poi molto. Quindi saltiamo la meta a piè pari e ce ne andiamo verso Ulm. La strada scorre tranquilla tra filari di alberi colorati d’autunno, che il sole rende dorati e luminosi, e ci accompagna fino a Blauberen, circa 25 km prima della città. C’è un’area di sosta camper in mezzo agli alberi, molto bella, ma ovviamente dovendo stare giusto un’oretta non andiamo certo a pagare 15,00 €, quindi parcheggiamo poco oltre, nel parcheggio deserto di un liceo (essendo domenica, non siamo d’intralcio). Peccato che il fantastico sole che ci ha accompagnati fin qui sia magicamente sparito: secondo me sono stati quelli del castello di Hoenzollern che ce l’hanno tirata perché abbiamo bypassato la visita!
Scendiamo e percorriamo poche centinaia di metri in un’atmosfera da Halloween, immersi nella nebbia di questo piccolo borgo delle Alpi Sveve, costeggiando il fiume Blau, affluente del Danubio che lo raggiungerà nella città di Ulm. Un piccolo sentierino sterrato di un centinaio di metri ci porta al cospetto del Blautopf (“pentola blu” in tedesco), circondato da uno steccato in legno. Lo stupore! Si tratta di un laghetto generato dall’unica sorgente carsica della Germania che dà origine al fiume Blau, formando il drenaggio per il complesso di grotte del Blau. A causa della forte pressione dell'acqua, la sorgente ha assunto una conformazione ad imbuto, che nel suo punto più profondo raggiunge 21 metri. Il colore particolarmente blu dell'acqua, che varia di intensità in base alle condizioni climatiche e al flusso, è il risultato delle proprietà fisiche della densità su nanoscala delle particelle di calcare distribuite nell'acqua. Le particelle sono così piccole che ha luogo la cosiddetta dispersione della luce di Rayleigh, o per meglio dire la diffusione del colore blu nella luce visibile. Un effetto simile è osservabile nella Laguna Blu di Reykjavik, in Islanda. Facciamo il giro del lago, delimitato da un lato da una chiusa su cui si affaccia il complesso del monastero benedettino e da un mulino ad acqua inserito in quello che attualmente è un ristorante, ma che evidentemente nei decenni passati aveva tutt’altra funzione. Peraltro, sembra che le grotte fossero abitate 40 mila anni fa, prima delle ere glaciali insomma: a testimonianza, sono stati ritrovati monili, oggetti di uso comune ed una statuina di avorio di mammuth (attualmente conservata nel museo dedicato), la più vecchia attualmente conosciuta, con sembianze femminili. Facciamo anche un piccolo giro del borgo, davvero ben conservato, e torniamo al camper, dove restiamo per pranzo.
Verso le 14.30 siamo già arrivati a Ulm, dove parcheggiamo lungo il viale posteriore della stazione, abbastanza vicina al centro. Scendiamo e percorriamo il ponte sopra i binari per raggiungere l’altro lato, che di fatto è un enorme cantiere. La nebbia fa scomparire persino la guglia della torre della cattedrale che si intravedeva dal ponte, tutti i negozi sono chiusi ed è freddo. Appena arriviamo sulla piazza, che si fa largo nel bianco velo nebbioso, oltre a non trovare nulla che ci aggradi a livello visivo becchiamo pure la cattedrale completamente impalcata. Un enorme ammasso di ferraglia. Tristezza infinita, tanto che convinco i miei a fare dietro front a favore di qualcosa di lievemente migliore. Così, dopo essere tornati al camper ed aver rimesso gasolio, ci dirigiamo a Füssen! Arriviamo verso le 18 presso il paese e le sue tre aree camper che si susseguono. Anni fa, di ritorno dall’Olanda, ci eravamo fermati proprio da queste parti, ma sono l’unica a ricordarmene! Stavolta optiamo per l’unica che ha posti liberi: si paga di fronte, al centro sportivo. 17,50 € compreso carico e scarico, docce a monete. Pianifichiamo la giornata di domani e poco dopo ci lanciamo al padiglione dei bagni. Grazioso ma piccolino, e soprattutto c’è una sola doccia (capiente, moderna, con il sensore per fare uscire l’acqua, insomma una figata… ma una sola doccia non si può!), quindi ci mettiamo in fila. Considerando che l’erogazione di acqua si ferma quando ci si sposta dal sensore, due o tre monete da 50 centesimi bastano per la doccia.
Mercurio stasera è irrequieto, anche per via di un grosso gattone randagio che potrebbe fargli da custodia. Alla fine, provato dalle lunghe attese di posta alla finestra, si arrende e si addormenta.
E noi con lui.


Lunedì 18 ottobre - km 114419
Da Füssen a Trins (133 km)

Stamattina, dopo numerosi buchi nell’acqua cercando birre bianche a prezzi più competitivi che in Italia, ce ne andiamo con il sole verso Innsbruck. Poco dopo aver lasciato Füssen, entriamo in Austria e la strada scorre bene finché non ci infiliamo in un paesino a trenta chilometri dalla meta. Bestemmiazze a parte, il paesaggio alpino è incantevole, sa ancora d’estate benché all’esterno la quantità di gradi abbia una cifra sola! Arriviamo in centro, ma non troviamo parcheggi utili. Ci fermiamo per pranzo in un'area un po' improvvisata poco distante e, come ultima spiaggia, il babbo decide di prendersi un paio d'ore di relax pomeridiane, mentre io e la Vergara ci facciamo due passi per il centro. Rinomata città degli sport invernali e quinta città più popolosa dell'Austria, Innsbruck accosta architetture moderne ad architetture imperiali. Il cuore del centro storico, dagli evidenti segni dei passaggi dei vari regimi politici, è fiancheggiato dal fiume Inn, che riflette una schiera di casette colorate in fila sul greto come soldatini. Friedrichstrasse è la via principale che si snoda dalla piazza, ed è un tripudio di edifici molto diversi tra loro, caratteristici, finemente decorati, tipicamente tirolesi, che però creano armonia. La Casa Helbling ad esempio è una palazzina borghese famosa proprio per la bella facciata a stucchi rococò, di fronte al celebre Tettuccio d'oro (una specie di bay window tardogotico che sorge sulla facciata del Neuer Hof, l'antico palazzo dei conti del Tirolo, il cui tetto è appunto ricoperto da 2.657 "scaglie" di rame dorato. Pare sia addiriittura il simbolo della città!). La Stadtturm, ovvero la torre civica, è incastonata tra due edifici dai colori vivaci: è la torre di osservazione costruita nel XV Secolo con un ponte di osservazione e una cupola a cipollotto, in rame.
Facciamo altri due passi lungo Maria Theresienstrasse, fino alla fontana in fondo alla strada che riflette Annasäule, la Colonna di Sant'Anna, ovvero l'obelisco del 1703 con una sontuosa colonna in marmo rosso sormontata da statua della Vergine Maria.
Se proprio devo raccontarla tutta, ci ritagliamo anche un'oretta nel vicino Primark, ultimo baluardo prima di rientrare verso il confine italiano! Nel frattempo l'aria è davvero molto calda e iniziamo a toglierci strati di vestiti! Recuperiamo il babbo e ci apprestiamo a salutare anche la capitale tirolese. Arriviamo a Trins, 30 km a sud di Innsbruck, oltre il Ponte Europa, uscendo dalla strada principale ed arrampicandoci fino a 1200 metri di quota. Costeggiamo un torrente lungo una viuzza abbastanza stretta, sembra un posto dimenticato da Dio, ma quando arriviamo troviamo almeno sei o sette camper già parcheggiati. La cassa automatica prende sia monete che carta, ma mi libero di una caterva di soldi spicci e pago i 13,00 € per le 24 ore, ben sapendo che resteremo solo fino a domani mattina. Il carico e scarico, ovviamente, sono inclusi nella tariffa, e ci sono anche i bagni con le docce.
Mercurio approva il verde dei dintorni, il ponticello, l’argine del fiume ed il campo da calcetto, tanto che passiamo almeno un’ora al freddo e al gelo nei paesaggi tipici di Heidi, che mi tocca mettere i guanti da carpentiere (gli unici disponibili!) per evitare il congelamento delle mani. Anche l’odore di sterco di mucca contribuisce a donare all’ambiente un tocco agreste e bucolico. L’area peraltro non è molto illuminata, quindi mi dico che è la serata perfetta per fotografare le stelle con reflex, focale luminosa e cavalletto. La storia triste finisce non appena vedo spuntare la luna dietro il profilo delle montagne, come a dirmi: “con la mia luce, non vedrai un cavolo di nient’altro!”
Grazie, Luna.
Buonanotte.


Martedì 19 ottobre - km 114576
Da Trins a Mantova (280 km)

Stamattina, dopo lo scarico delle acque nere, l’ultima spazzata al camper e due foto a mani congelate al paesaggio circostante, si riparte alla volta di Mantova, dove abbiamo intenzione di fare un pit-stop per spezzare il lungo viaggio di ritorno. Attraversiamo il confine italo-austriaco poco dopo, e bentornati in Italia con una lunga fila di cantieri sulla A22, che dovrebbero durare 7 chilometri ma diventano almeno quaranta, con restrizioni di carreggiata e cartelli di lavori in corso. Arriviamo (provati e dopo 20,00 € di pedaggio autostradale) all’area sosta “Sparafucile” intorno alle 13, e mangiamo qualcosina prima di dare un’occhiata alla cittadina della Pianura Padana, che appare immersa nella nebbia. Percorriamo il sentiero che porta sul >Ponte San Giorgio e che lo costeggia fino alle porte della città. Ci troviamo così davanti al Castello di San Giorgio, un enorme complesso museale (evitiamo ovviamente di entrare a visitare tutte le sale) che, però, rispetto a tante cose viste nel corso del tempo manca un po’ di manutenzione ed avrebbe, forse, bisogno di una ripulita, una stuccatina magari, almeno all’esterno. Ci affacciamo su Piazza Sordello, traboccante di gru e cantieri, e ci fermiamo di fronte al Palazzo Ducale, unica cosa non impalcata.
“Mantua me genuit” (ovvero, “Mantova mi generò”), è scritto sulla tomba del poeta Virgilio, il più celebre cantore della “romanità”; e i suoi conterranei tuttora sono molto legati alla sua memoria. Ma non è l’unico figlio famoso di questa terra, ricca di testimonianze storiche immerse in un paesaggio naturale unico.
Gli imponenti palazzi rinascimentali del centro s’affacciano su tre laghi formati dal fiume Mincio, in parte naturali, in parte irreggimentati dall’uomo fin dal Medioevo per proteggere la città (che in origine era un’isola) senza permettere che diventasse una palude. La città, d’origine etrusca, nel XIV divenne la capitale del dominio dei Gonzaga, che ospitarono alla loro corte artisti del calibro di Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna e Giulio Romano, le cui opere hanno contribuito a far proclamare Mantova patrimonio mondiale dell’umanità Unesco. In anni più recenti la città non ha smesso di essere capitale d’arte e cultura: il suo Festival della letteratura, che si tiene ogni anno a settembre, è famoso a livello internazionale. Raggiungiamo poi Piazza delle Erbe, decisamente più armonica e respirabile, sulla quale si affacciano il Palazzo della Ragione, con un quantitativo abnorme di tavolini del vicino ristorante, la Rotonda di San Lorenzo e l’adiacente Torre dell’orologio di Bartolomeo Manfredi del XV Secolo. A lato, la bella Basilica di Sant’Andrea, dagli stupendi ed inaspettati affreschi, che sulla volta e lungo la navata sembrano stucchi in rilievo.
Saluto i miei, che tornano verso il camper con la navetta gratuita, mentre io passeggio per circa un chilometro e mezzo ancora fino a Palazzo Te, che non riesco nemmeno ad intravedere causa biglietteria subito all’entrata. Mi fermo su una delle innumerevoli panchine del parco ascoltando gli schiamazzi di un gruppo di bambini, poi ritorno verso il centro e da lì riattraverso il Ponte San Giorgio che mi riporta all’area camper. Stasera Mercurio è particolarmente irrequieto, mentre io sono in pace. Giunta alla fine di un nuovo viaggio, con il sole che tramonta dietro Mantova e lascia intravedere una bella skyline che si specchia nel lago.



Mercoledì 20 ottobre - km 114871
Da Mantova a Porto Sant’Elpidio (365 km)

Si fa giorno in fretta, all’area camper immersa nella nebbia della Via Padana Inferiore. Paghiamo 15,00 € alla macchinina, come da programma, la sbarra si apre e prima delle 9 siamo fuori.
Ce ne vorrebbero di più, di aree sosta così. Non troppo lontane dalla città, comode per parcheggiare all’ora di pranzo e stare in visita il pomeriggio.
Tappa di trasferimento infinita, oggi, da Mantova fino a casa.
Trenta giorni esatti. Tanto è durato il mio viaggio 2021 in camper.
Ancora una volta ci siamo rigenerati e abbiamo riempito gli occhi di posti nuovi, lo stomaco di assaggi, il cuore di pioggia e sole e di chilometri macinati sotto qualsiasi cielo. Ogni esperienza di viaggio è uguale eppure diversa da qualsiasi altra, e ci arricchisce pur svuotandoci le tasche.
E forse, in questa vita, ne vale davvero la pena.


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