29 novembre 2022

Settembre/ottobre 2022 - Spagna e Marocco

Lunedì 26 settembre - Km 115629
da Roma a Barcellona via Civitavecchia (99 km e 24 ore di nave!)
Ed eccoci qui, pronti per il viaggio che aspettavamo da due anni e mezzo, rimandato a oltranza causa Covid. Finalmente è il momento!
Innanzitutto stamattina raggiungo i miei all’Area sosta camper Romae, alla fermata bus Arco di Travertino/Tuscolana, a Roma. Li raggiungo per pranzo, in autobus da Porto Sant’Elpidio, perché loro sono arrivati ieri per il concerto di Renatone Zero e hanno dormito qui, e stasera ci si imbarca da Civitavecchia con Grimaldi, come tante volte abbiamo fatto, con destinazione Barcellona. Un cielo stanco e piovigginoso ci accompagna fin quasi al porto, poi si schiarisce e ci lascia lì, a srotolare le ore in attesa dell’imbarco. Una piccola tappa a Santa Marinella al belvedere delle Due palafitte, dove l’odore del mare si fa pungente e si mescola all’umido che il sole tira su. Si chiacchiera, si sogna, si rimette mano a questi primi giorni di itinerario indefinito. Sì, perché ci aspetta una settimana in terra spagnola prima di iniziare il viaggio vero e proprio in Marocco! Stavolta però non andremo da soli: ci siamo affidati a Versilia Camper Club, che organizza tour in Marocco da almeno 20 anni ed è capitanata da Gino, che non vediamo l’ora di conoscere dopo tanti mesi di comunicazioni digitali. E insomma, in questi primi giorni “en solitaria” in Spagna abbiamo in programma qualche città verso Algeciras, luogo di ritrovo con tutta la truppa la prossima settimana. Un bel tramonto striato, una cena frugale in un parcheggio con altri camper (forse qualcuno pronto a imbarcarsi come noi) e poi verso il porto di Civitavecchia. Sono le 21, ci mettiamo buoni in fila e vado a fare il check-in al Terminal 1. Alle 22.30 finalmente salpiamo, non prima di aver visto la nostra minuscola cabina. I miei, quando si sono “invecchiati” disdegnano le poltrone dove dormivamo per ore anni fa durante le nostre traversate! E a proposito, stavolta sarò io a non dormire: il rollio continuo, il mare mosso e i rombi del motore mi terranno sveglia per gran parte della notte!
 
Martedì 27 settembre - Km 115728
da Barcellona a Santa Coloma de Cervellò (25 km)

Il viaggio scorre abbastanza liscio. Stamattina a colazione conosciamo una signora che si è aggregata a un gruppo di over 60 ma si sente spaesata perché lei, a differenza degli altri, è molto giovanile, e insieme a lei iniziamo a parlare anche con l’accompagnatore avellinese del gruppo. Li incontreremo più volte durante la giornata, e per il resto passeremo il tempo a dondolare lungo i corridoi della nave (il mare non smetterà di essere mosso per tutto il giorno!) e a leggere.
Dopo quasi 24 ore di navigazione, finalmente alle 21 attracchiamo al porto di Barcellona e mi sento di nuovo, per un momento a casa. Mezz’ora ancora nel garage della nave, e siamo pronti per raggiungere l’area parcheggio del Campo de Futbol a Santa Coloma de Cervellò, in zona Colonia Guell, dove ci siamo fermati in un’altra occasione anni fa... peccato che l’area sosta sia ora vietata ai camper! Subito prima però, lungo la strada che circonda la Cripta della Colonia Guell, troviamo un simpatico piazzale sterrato (probabilmente l’area parcheggio camper è stata trasferita lì) con altri quattro camper. E si sa, l’unione fa la forza, ergo ci fermiamo anche noi. Il babbo si lancia in un sommario spagnolo con i camperisti vicini: “Se puede rimaner por la noche?” e quelli: “Suponemos!”, che per quanto maccheronico possa sembrare, significa proprio quello che sembra!

Mercoledì 28 settembre - Km 115753
da Santa Coloma de Cervellò a Tortosa (243 km)
La nottata scorre placida e appena fresca (si sta bene con la copertina), finalmente si dorme. Ce la prendiamo comoda ma entro le 9 siamo operativi. Ci dirigiamo verso Vallirana, che era il nostro piano B di ieri sera qualora non avessimo trovato area di sosta disponibile fuori Barcellona. L’area esiste, è piccolina e ha carico/scarico proprio sull’altro lato della carretera, presso il distributore della Repsol. Per caricare l’acqua sono 3€, ma noi non dobbiamo fare altro che scaricare la nostra cassetta delle acque nere, che stamattina è sofferente. Riprendiamo la marcia verso sud, non prima di esserci fermati al Mercadona per due acquisti last minute. Attraversare la N-340, arteria fondamentale che va da Barcellona all’Andalusia, è sempre un piacere: ha un fondo stradale ottimo, niente buche o rattoppi all’italiana, e ha una buona ricezione anche in galleria. Dopo un giro insoddisfacente a Sitges (dove i miei erano stati anni fa) causa assenze di parcheggi, optiamo per scendere verso Tortosa, dove i miei sono già passati durante il tour in Andalusia. Ci fermiamo per pranzo al Parc de l’Olèrdola, con una bella vista sul massiccio del Montserrat, uno dei primi posti visti anni fa durante il nostro tour in Spagna e Portogallo. C’è un piccolo sito archeologico antistante al parcheggio, al quale diamo un’occhiata subito dopo mangiato (alla modica cifra di 5,00 € a cranio, ma ridotto per “i vecchietti”). L’area è molto curata, con plance esplicative e rovine di un sito romanico con case, necropoli, cantine e una chiesetta. Ideale per passare un’oretta e ammirare il bel paesaggio circostante. Ci perdiamo un po' nel sito, ce la prendiamo estremamente comoda. La popolazione Iberica già viveva qui possibilmente nell'era del ferro come dimostrano i ritrovamenti archeologici di un'antica tintoria. Il villaggio era situato in alto su un costone e dominava la valle sottostante. Gli Iberi, grazie ad una falda acquifera costruirono un oppidum, un villaggio comprendente una tintoria, e spazi di vita comune che in seguito si convertirono in nel "Castellum Olerdula", oggi Castell d'Olèrdola, un avamposto o corpo di guardia romano dove veniva estratta la pietra e che essenzialmente controllava la via Augusta nella direzione di Tarraco, e poi divenne una Torre di guardia medievale del omonimo castello dove si poteva usufruire della chiesa di San Miguel in stile pre-romanico che stava situata vicino ad una necropoli medievale. Un ambiente naturale gradevole ed interessante.
Ripartiamo con calma e mettiamo il primo gasolio in terra spagnola, 70€ presso un self service Tamoil, mentre il distributore eroga più carburante del richiesto: sorpreso, il babbo si lancia in una conversazione con un ragazzo chiedendo spiegazioni sul perché la pompa di benzina non si arresti da sola com’è normale che sia. E quello risponde “Descuento del Gubierno!”, che ci lascia un po’ interdetti. Scopriamo così che rispetto al prezzo al litro esposto c'è uno sconto di circa venti centesimi su ogni litro Notizia muy bonita! Arriviamo alla meta che sono già le 17.30 passate, precisamente all’Area Municipal de Tortosa, ampia e su asfalto, completa di ogni servizio. I miei erano già passati di qua e si erano trovati molto bene, quindi sono felici di tornare. La Catedral de Santa Maria de Tortosa svetta finalmente sabbiata dopo anni di impalcature su una piazza pulita e luminosa. La sua costruzione inizi a metà del Trecento e fu consacrata solo nel 1597. Io e Vergara facciamo una breve passeggiata lungo il vialone alberato lungo il fiume, che ci riporta dal centro all’area di sosta, dove troviamo altri camper e anche il babbo che nel frattempo ha parcheggiato. Dopo cena ci dedichiamo a un mini itinerario andaluso, che tra l’altro include alcune località che i miei hanno visitato senza di me, ma nelle quali tornano volentieri! Abbiamo 5 giorni prima dell’incontro di martedì prossimo ad Algeciras con il gruppo di Gino: cerchiamo di sfruttarli al meglio.

Giovedì 29 settembre – km 115996
da Tortosa a L’Altet (409 km)
Stamattina ci svegliamo a fatica con un cielo nuvoloso che contrasta l’idea di Spagna nell’immaginario collettivo. Volevamo partire tanto presto, ma il sonno ha prevalso. E meno male che le recensioni su questa area parlavano del rumore insopportabile delle macchine che passavano sopra il ponte... Noi siamo crollati come dei sassi e non abbiamo sentito nulla! Alla fine riusciamo a lasciare la bella area di Tortosa solo verso le 9.30, dopo aver espletato anche le operazioni di carico e scarico, e ci mettiamo buoni buoni a 90 km/h sulla E-15 in direzione Alicante, dove arriviamo verso le 14. L’aparcamiento si trova in Avenida de Villajoyosa, una stradona litoranea abbastanza panoramica, non lontano dal Castillo de Santa Barbara, che raggiungiamo subito dopo. Dimenticavo: abbiamo messo qualcosina sotto i denti durante la strada, a mo’ di aperitivo, quindi abbiamo pure guadagnato un’ora! Il parcheggio invece fa cagare, è sterrato e pieno di buche, ma è decisamente comodo: l’ingresso per il Castello di Santa Barbara infatti è a 500 metri, e l’unico biglietto è per l’ascensore che porta in cima alla rocca (un irrisorio costo di 2,70 €, addirittura gratuito per gli over 65). La vista è bellina, benché l’abuso edilizio abbia reso la cittadina un po’ “soffocante”: il lungomare è praticamente coperto da palazzoni e grattacieli figli della corsa al mattone, come tutte le località costiere spagnole, in particolar modo quelle della Costa Blanca. Nonostante tutto, Alicante è circondata da una corona di rilievi montuosi più o meno importanti che restituiscono il respiro non appena ci si allontana. Dopo la visita al castello lascio i miei che rientrano al camper e me ne vado lungo la Esplanada de España, il bel vialone fiancheggiato da palme, con la pavimentazione a onde colorate che ricorda la calçada portuguesa.
Le nuvole di stamattina sono un ricordo, il sole è decisamente tiepido ma non caldo, dato il periodo, quindi camminare è un vero piacere. Tornando indietro raggiungo anche Plaza de l’Ayuntament, la piazza del Municipio, e poi rientro alla base. Ci spostiamo da Alicante e ci fermiamo a un Lidl qualche chilometro a sud per scorta pane, poi concludiamo la giornata fermandoci al Park Cris Aupa, a L’Altet, poco sotto la cittadina costiera: si tratta di un’area che sostanzialmente funge da parcheggio aeroportuale (probabilmente con servizio navetta) ma ha anche una bella zona camper su ghiaia, e il proprietario è un ragazzotto dall’aria tedesca, che ci accoglie con un insolito accento... bavarese! Paghiamo 5,00 € per lo stop notturno, senza servizi e senza elettricità perché non ne abbiamo bisogno, ma il posto ci piace: è recintato, illuminato, ampio e sicuro. Ci sono altri due camper con noi vicino agli ulivi e questo ci aiuta a non farci sentire soli!
La serata finisce bestemmiando con la parabola che non funziona come dovrebbe e che rende complicatissima la decodifica del segnale.
Andiamo comunque a nanna più presto, dato che (a quanto pare!) dobbiamo iniziare a prendere il ritmo per svegliarci per il tour di Gino! 

Venerdì 30 settembre – km 116405
da L’Altet a La Peza (356 km)
Le prove per svegliarci più presto danno scarsi risultati. Fatto sta che, come sempre, noi con un’ora netta siamo lavati, vestiti, colazionati e con i letti rifatti!
I primi chilometri della mattina, con le nuvole nere della notte passata sull’orizzonte, li percorriamo per raggiungere Torrevieja e il Lago rosa. Il sole ci accompagna, spuntando sulle saline di Santa Pola, lungo un tratto stradale molto panoramico: a sinistra questa palla già sul pelo dell’acqua, a destra in lontananza i rilievi montuosi illuminati dai suoi toni aranciati. Ci fermiamo poco oltre, in un paio di angoli a ridosso della vegetazione che ci separa dal lago. Un brevissimo sentiero fangoso ci porta alla riva, da cui ammirare i riflessi increspati delle acque, rese rossastre dall’alta concentrazione di sale: non a caso, questa zona è popolare per la raffinazione del sale grazie alle saline poco distanti, e anche il lago contribuisce. Alle 10, dopo aver messo già gasolio con il solito descuento del Gubierno, riprendiamo la nostra marcia. La strada scorre liscia e ci accompagna fino al cartello che annuncia ufficialmente l’ingresso in Andalusia, e mi apre cassetti di ricordi di anni fa. Strade già percorse in quel viaggio del 2015 che fu per me un potentissimo ricostituente. 
I rilievi montuosi e i barrancos ci salutano dai finestrini, finché all’orizzonte non appare il cappuccio spolverato di bianco della Sierra Nevada, che ci si chiede come sia possibile che nella terra del sole ci sia già (o ancora?) la neve sui cocuzzoli. Arriviamo a Guadix che sono quasi le due di pomeriggio, esattamente come ieri, ma oggi non abbiamo trangugiato schifezze lungo il percorso, quindi ci fermiamo a mangiare prima della visita. C’è una comoda area parcheggio apposta per i camper in Avenida Buenos Aires, subito a lato di una grossa rotonda davanti al Duomo (impossibile non notarne l’architettura peraltro, la prima cosa che si vede arrivando in città). C’è pure il carico/scarico ed è completamente gratuita, abbastanza comoda per raggiungere gli angoli più panoramici.Situata alle pendici dei contrafforti settentrionali della Sierra Nevada a circa 900 metri sul livello del mare, Guadix (sorta come colonia romana nel 45 a.C.) vanta la particolarità del Barrio de Cuevas, il quartiere con le case scavate nel tufo. Potremmo definirla una sorta di Matera spagnola, benché qui le case siano comunque intonacate e “abitabili”, e la loro caratteristica principale sta nei comignoli che fuoriescono dal soffitto di roccia: dal Mirador se ne vedono a dozzine, eretti come soldatini sul prato. A tratti ci si può passeggiare anche in mezzo, scoprendo panorami inaspettati.

Ripartiamo alla volta di La Peza, ribattezzata ovviamente “la pezza”, un paesino arroccato sul pendio della montagna che a dispetto della posizione e del fatto che sia sconosciuto, ha una bellissima area camper gratuita (segnalata anche su Google Maps!) su asfalto, ampia e con un belvedere! Ci sono anche tavolini in legno con panche per mangiare fuori, graziose panchine in ferro battuto, carico/scarico pulitissimi. Incredibile!
Per stasera ci fermiamo qui, e festeggiamo con patate arrosto... ma in padella! E appena scende il buio, La Peza diventa un mini presepe, con cento lucine accese sotto di noi.

Sabato 1 ottobre – km 116761
da La Peza a La Rambla de Cordoba (290 km)
Anche stamattina, la sveglia suona prima delle 7 con il buio più totale e i pinguini attaccati alle gambe (del resto abbiamo dormito a circa mille metri di quota!), e tentiamo le grandi manovre per ottimizzare i tempi dalla sveglia alla partenza: calcoliamo che, senza tempi morti, riusciremmo anche a essere operativi in poco più di tre quarti d’ora! Visto che siamo in largo anticipo, approfittiamo della bella zona carco/scarico. Davvero top questa “la pezza”. Alle 8.30 siamo già in marcia verso Cordoba. La N- 308 ci porta fuori dalla Sierra Nevada e davanti a noi si aprono campi brulli che portano già sfumature autunnali, in un susseguirsi di verde, ocra e rosso. Raggiungiamo la nostra destinazione a mezzogiorno in punto e ci appoggiamo all’Area Autocavavanas al lato del Ponte de San Rafael (benché si rivelerà un grosso errore: per poco più di cinque ore di permanenza, prenderemo un’indimenticabile legnata da 12,50 €). Unico vantaggio di quest’area sterrata e in pendenza è la vicinanza al centro: in pochi minuti, costeggiando la Avenida del Corregidor e l’Alcazar, raggiungiamo la Puerta del Puente, di fronte al bel Puente Romano che si apre alla nostra destra e si conclude, sull’altro lato del Guadalquivir, con la Torre de la Calahorra. A sinistra, subito dietro la puerta, si fa largo la piazza in cui si erge l’imponente Mezquita. Per pranzo ci vogliamo trattare bene e optiamo per una paella de mariscos in un ristorantino poco distante, poi io e Vergara andiamo alla Mezquita. Biglietto 11,00 € (niente torre campanaria poiché già al completo per tutto il giorno), sconto vecchietti 9,00 €, ergo, la mamma si fa il secondo giro alla cattedrale (non dimentichiamoci che loro sono già passati per queste zone nel 2019, senza la sottoscritta!). L’entrata ci sbatte in faccia una serie infinita di archi in stile arabo e bizantino, in pietra ocra e rossa, sorretti da qualcosa come 850 colonne.
Uno stupore continuo, resto a bocca aperta perché la bellezza che mi si para davanti è davvero notevole.
Arabeschi, marmi e mosaici nella zona che fu ampliata prima dell’anno Mille rendono l’ambiente quasi mistico: si respirano arte e fede, incroci di culture in un connubio di stili architettonici che creano armonia tra loro pur essendo dissonanti. Stiamo parlando di una moschea dell’VIII Secolo che fu convertita in cattedrale a partire dal XIII Secolo, quando la città di Cordoba fu riconquistata dai cristiani. L’alterazione più significativa della struttura fu la costruzione di un transetto e di una navata in stile rinascimentale, nel 1523: questa parte all’interno della cattedrale è talmente luminosa e in contrasto con il resto da sembrare quasi una bolla a sé. Tutto intorno, chiari riferimenti alla civiltà islamica e bizantina, con archi che ricordano i patii dell’Alhambra. La Mezquita è dunque una sorta di “ibrido”, dichiarata patrimonio UNESCO dal 1984 ma elevata a “Sito di Eccezionale Valore Universale”, riconoscendo che l’uso religioso del tempio ha assicurato la preservazione del monumento. Sono frastornata: anni di viaggi e per fortuna riesco ancora a sorprendermi di qualsiasi cosa io riesca a vedere. Dopo la bella visita, faccio un giro per i vicoli e torno indietro attraversando il Puente Romano (tra i migliori ponti romani della zona) fino alla Torre de la Calahorra, e alle 17.30 sono di ritorno alla base.
Arriviamo a La Rambla de Cordoba verso le 18.30, i nostri brogliacci ci indicano un’area di sosta gratuita con carico e scarico vicino alla piscina municipale, ma una volta arrivati sul posto giriamo in tondo senza trovarla. Ci appoggiamo a lato della strada per una ricognizione e subito si affianca una macchina per indicarci il punto preciso, a 100 metri da dove siamo fermi, dietro una viuzza che sembrava chiusa. Non solo: ci scortano per essere sicuri di farcela trovare! Che gentili da queste parti. L’area di sosta è “pucciosa”: ha solo tre posti (infatti ci infiliamo nell’ultimo posto libero!), piccolina ma pulitissima e su asfalto levigato, con carico e scarico. E, ancora una volta, gratuita. Che cosa chiedere di più?
Con il sole che tramonta facciamo, l’ultimo punto della situazione per la giornata di domani, mangiucchiamo qualcosa e il sonno prende il sopravvento.


Domenica 2 ottobre – km 117051
da La Rambla de Cordoba a La Cala del Moral (203 km)

Anche stamattina cerchiamo di far suonare la sveglia presto, ma abbiamo già sonno accumulato e iniziamo a chiederci come riusciremo a gestire un mese di levatacce. Dopo il rifornimento al vicino Repsol, con il cielo appena rischiarato da un sole che non è sorto ce ne andiamo verso Malaga. Come prima tappa però arriviamo a La Cala del Moral, dove controlliamo che l’Area Malaga Beach abbia posto per stasera, e ci fa una buona impressione soprattutto per l’accoglienza sorridente che ci riservano. Tra l’altro stasera saremo in compagnia di un altro camper, infatti Gianfranco e Lorena, uno degli equipaggi del tour del Marocco, ci raggiungeranno qui e andremo ad Algeciras insieme domani, aspettando l’arrivo di tutti gli altri. Dopo aver salutato la graziosa “gestora” dell’area sosta, optiamo per raggiungere la città in camper e ottimizzare tempo e distanze. Pessima idea, ovviamente, quella di entrare nel grosso centro abitato con il nostro mezzo: giriamo un po’, i parcheggi sono abbastanza piccoli, in molti ovviamente non possiamo stazionare. Come se non bastasse, le mille rotonde e i mille semafori ci portano via un sacco di tempo. Seguendo Maps, entriamo persino al porto e per poco non ci ritroviamo agli imbarchi, finché un cortese omino ci indica alcune possibilità di parcheggio... che ovviamente non sono adatte alle nostre esigenze, soprattutto perché uno è coperto e ha altezza massima 2,2 metri. Esausti, recuperiamo finalmente il parcheggio in cui i miei erano stati tre anni fa, al capolinea della metro del Palacio de los Deportes, dietro al Carrefour, e finalmente riusciamo a fermarci. Anche perché l’ingresso della metropolitana è a cento metri dal parcheggio, ed è anche capolinea della L2,
linea blu. La giornata, a dispetto della posizione geografica della città, non è affatto calda (si sta bene a maniche lunghe e io ho pure uno sciarpino al collo), il cielo è velato e tira un po’ di vento. Il mare peraltro tira su la vaporizzazione delle onde che si infrangono a riva, creando una foschia che appiattisce i colori. Prendiamo la metro blu che fa capolinea a El Perchel, in corrispondenza della stazione ferroviaria, e da lì raggiungiamo la fermata del bus n.3 in Calle Ayala. Arriviamo così su Paseo de Malaga, un bel parco verde che costeggia il porto e la carretera principale del centro. Siamo praticamente a pochi passi dall’Alcazaba e dalla Cattedrale, quindi mettiamo in moto i piedi. Lungo la via pavimentata per raggiungere la famosa fortezza di Malaga, incontriamo anche il Teatro Romano (che con tutti quelli che abbiamo visto, tra romani e greci, non ci entusiasma più di tanto, benché sia la sua posizione sia molto graziosa). Subito a lato, l’ingresso dell’Alcazaba. 
      
Dopo le 14.00 si entra gratis, ma per ottimizzare i tempi, dato che mancano ancora 20 minuti, paghiamo 3,50 € io e 1,50 € la Vergara con lo sconto anzianotti. Una cifra davvero irrisoria se si tiene conto della dimensione del sito e del tempo che si potrebbe passare a visitarlo. La fortezza, costruita ovviamente durante il periodo islamico (attorno al 1060 per l’esattezza) alle pendici del Monte Gibralfaro, era anticamente collegata al castello omonimo che sorge su cocuzzolo. Era perfettamente in linea con i
canoni dell’architettura araba dell’anno Mille, costruita per difendere ma anche per stupire con i suoi patii e i giardini. Ricorda vagamente (ho detto “vagamente”!) l’Alhambra di Granada, ed è molto curata. Cerco di scrutare più angoli possibili e di affacciarmi da ogni punto panoramico, di immagazzinare quante più immagini gli occhi possano contenere senza risparmiarmi, nonostante il fresco del mattino abbia lasciato il posto a un caldo afoso e insopportabile. Alle 15.30 siamo già appropinquate invece davanti alla Catedral de la Encarnación, ovvero la Cattedrale principale di Malaga, recentemente insignita del titolo di Basilica Minore. Un bellissimo esempio di architettura rinascimentale in Andalusia, ancora una volta edificato su una vecchia moschea. La sua storia è per la verità piuttosto travagliata: cominciata nel 1528, la cattedrale fu inaugurata solo sessant'anni dopo, ma per via dell'ambizioso progetto i lavori proseguirono a rilento fino al terremoto di fine Seicento che la danneggiò gravemente. La costruzione fu ripresa nel 1719 e interrotta nuovamente nel 1783, lasciando da quel momento il progetto incompiuto. La torre campanaria meridionale, proprio per questo motivo, è affettuosamente soprannominata dagli abitanti La Manquita ("la monchetta"). Gli interni (benché abbiamo pagato 8,00 € per l’ingresso, e forse risulta un po' eccessivo!) sono indubbiamente notevoli: queste sono architetture di cui non ci si stanca mai, e ci lasciano ogni volta col naso all’insù.
        
Io e Vergara riprendiamo il bus e la metro, e in circa 40 minuti siamo al parcheggio del Palacio de los Deportes, dove il babbo ci attende rilassato. Si è risparmiato confusione, caldo e gradini in pietra! Raggiungiamo l’area sosta verso le 17.30, e Gianfranco e sua moglie Lorena sono arrivati appena prima di noi. Spicciamo le operazioni di check-in, paghiamo 18,00 € con corrente inclusa e ci fermiamo per un po’ di chiacchiere con i compagni di viaggio che da domani saranno con noi nell’avventura in Marocco, poi finalmente è il momento della pulizia camper, che per una settimana non lo abbiamo filato di striscio. E, quasi quasi, tocca anche a noi. Le docce hanno una gettoniera interna, un euro per 3 minuti e mezzo di acqua corrente, quindi investiamo le nostre monete per un lavaggio di capelli serio! Utilizziamo i lavelli per fare il bucato, e tra morti e feriti facciamo cena tardissimo.
Anche stasera siamo cotti.
E il viaggio non è ancora iniziato.
O forse sì?

Lunedì 3 ottobre – km 117254
da La Cala del Moral ad Algeciras (TOT km)
Anche stamattina ci svegliamo che giorno non è ancora fatto. Ieri sera sono andata a dormire con il mal di testa e spero non diventi un’abitudine. Mentre aspettiamo che la moka faccia il suo dovere, esco nell’aria fresca di quei momenti prima dell’alba e attivo la piastra. Al buio, senza specchio. A caso, insomma. Dopo colazione, carico e scarico salutiamo Sofia, la “gestora” (in realtà è una semplice receptionist) e Gianfranco, che resterà un po’ in zona per una passeggiata lungomare e ci raggiungerà nel pomeriggio al punto di ritrovo con Gino. La carretera che circonda Malaga è tipo il nostro raccordo anulare, intasato di macchine, e sicuramente l’ora di punta non ci aiuta a venire fuori dal caos. La nostra prima breve tappa è Benalmadena, paesino sconosciuto finché non abbiamo scoperto il Castillo Monumento de Colomares, un monumento “castelloso” a Cristoforo Colombo. Sfiga vuole che sia chiuso e apra domani (che culo!), ma riusciamo comunque a dargli un’occhiata da fuori. Ed è stupendo! Tra l’altro l’ingresso costa una cavolata, è un vero peccato che non ci stiamo con i tempi per visitarlo!
A questo punto, siamo ufficialmente pronti per raggiungere Algeciras. Ci fermiamo in uno spazio del Centro Commerciale Puerta Europa per acquisti da Primark (come sempre!), poi torniamo al parcheggio del Mercadona per pranzo... e spedizione punitiva per i rifornimenti di cibo! Ci dedichiamo anche un’oretta in un grande magazzino cinese dove diamo fondo a qualche altro spiccio, e nel frattempo arrivano anche Gianfranco e Lorena e ci intratteniamo in chiacchiere, facendo scorrere pigramente un pomeriggio. Poco dopo andiamo a fare gasolio e vediamo pian piano arrivare, incolonnati, un gruppo di camper. Immaginiamo che siano i nostri, e quando torniamo al parcheggio del Lidl (fissato per il ritrovo) eccoci finalmente in compagnia! E conosciamo finalmente Gino e il gruppo che si è sparato 1800 km via terra in tre giorni. Scopriamo così che questo arzillo ottantenne fa viaggi in Marocco da 20 anni, conosce mezzo mondo nella zona tra Tangeri e Algeciras e corre un sacco con il camper! Per un paio d’ore si creano gruppetti, ci si conosce, ci si racconta le proprie vite: siamo un variegato gruppo da ogni parte d’Italia che sta cercando di fare amicizia, e ritroviamo anche Paolo e Maria, i camperisti che due anni fa ci hanno accolti a Catania durante il nostro tour in Sicilia. Alle 19 in punto, tutti incolonnati, percorriamo il breve tratto di strada che ci separa dal porto di Algeciras (e lì inizia il fruscio con i baracchini, le voci una sull’altra cercando di comunicare da camper a camper, mentre l’ultimo della fila, la “scopa”, si preoccupa di raccogliere le comunicazioni e assicurarsi che tutti siano in colonna): il serpentone di camper ha ufficialmente iniziato il suo viaggio.
Ci fermiamo per la notte dentro il porto, e Gino ci consegna i biglietti del traghetto per Tangeri Med, che domani ci porterà in Marocco. A proposito, ci accorda il ritrovo alle 8 perché la partenza sarà alle 9: questo significa poter dormire fino alle 7. E non vedo l’ora di iniziare!

Martedì 4 ottobre – km 117440
da Algeciras ad Asilah (89 km)
Stamattina, dopo colazione, sempre tutti incolonnati, raggiungiamo finalmente l’imbarco. Controllo passaporti, controllo biglietti, e via a bordo... benché siamo già in ritardo sulla tabella di marcia, dal momento che la nave non parte prima delle 10. Il tempo poi sembra non passare mai, e meno male che gran parte dell’ora e mezza di navigazione viene impiegata in fila per controllare di nuovo i passaporti e per il solito foglio di documentazione extraeuropeo che richiede il motivo del viaggio. Si socializza, si chiacchiera e ci si confronta. Non si vede a un palmo dal naso, c’è una impressionante foschia che sfida la Val Padana e ci accompagnerà fin dentro il porto di Tangeri, che raggiungiamo per le 11 ora locale. Solo per uscire dal porto e controllare tutti attraverso i centordici sportelli doganali ci mettiamo un’ora. Sempre tutti in fila, attendiamo il turno dei raggi: passano un enorme metal detector intorno al camper per rilevare possesso di bombe o armi, poi di nuovo uno stop allo sportello della Polizia. Cambio prime banconote in dirham (la moneta locale, 10 dirham = circa 1 euro), attese per i camper incastrati all’ispezione, attese per migliaia di cose... Insomma, dopo uno snervante inizio (questi controlli per noi assurdi sono snervanti) finalmente pronti in direzione Tangeri città lungo la P4613. Il viaggio si preannuncia impegnativo, siamo tutti in fila con il nostro numerino e dobbiamo mantenere l’ordine numerico, vanno tutti a 120 km/h e il babbo non ha mai frustato i quattro ronzinanti del motore a queste velocità: il nostro vecchio Arca sembra sofferente, è uno dei più anzianotti del gruppo. Non si può dire lo stesso dei miei genitori, loro sono perfettamente “omogeneizzati” agli altri componenti, essendo tutti pensionati tranne me, che la pensione non la vedrò mai! Ma che me ne frega, sono venuta a vedere il Marocco. Ammesso che questo viaggio riesca a iniziare! L’autostrada parte in quarta, superiamo abbondantemente l’ora di pranzo e sgranocchiamo solo qualcosa lungo il percorso. Raggiungiamo Asilah dopo un’ora di tragitto (e uno stop gasolio) e ci fermiamo al campeggio As-Saada. Qui incontriamo anche la nostra guida Ahmad, che sarà con noi tutto il tempo. Me lo faccio amico in tempo zero, perché ho già capito che una spalla che ci spieghi ciò che vediamo di volta in volta ci servirà (dato che Gino sembra meno propenso!), e la lingua francese non è un grosso ostacolo per me. Anzi, sono felice di sapere che anche altri del gruppo lo masticano. Appena arrivati ci vengono offerti datteri giganteschi e buonissimi e io penso a mia nonna, che li avrebbe adorati. Ci sistemiamo tutti, attacchiamo la corrente e ci diamo appuntamento per le ore 16 per fare il tour di questa cittadina costruita dai Fenici nel 1500 a.C. Sembra sia una popolare località balneare, qui sulla costa nord del Marocco, forse per i bei bastioni portoghesi che circondano la Medina (che è un po’ il centro storico delle città arabe), forse per quei vicoli che ricordano le sole greche del Mar Egeo con i loro colori che sanno di mare, forse per le bouganvilles fucsia che accendono i vicoli bianchi e blu. Un bel giro fotografico fino a Krikia, l’ultimo baluardo delle mura, da cui si ammirano la spiaggia (che dire velata di foschia è un complimento!) e un suggestivo scorcio dell’intonaco immacolato della Medina.
 
Ci fermiamo in un bar lungo la via perpendicolare al lungomare, dove Gino ci offre un tè alla menta e ci dividiamo in gruppetti seduti ai tavoli a chiacchierare. Rientriamo al campeggio e finalmente, dopo una fulminea doccia fredda, riesco a recuperare Ahmad per farmi aiutare a mettere la sim card nel telefono. Abbiamo anche una connessione wifi che ci supporta per la serata e finalmente ci riconnettiamo un po’ al mondo.
Stasera non vola una mosca: mi sa che sono tutti abbastanza esausti!

Mercoledì 5 ottobre – km 117529
da Asilah a Mohammedia (271 km)
Stamattina il canto degli adhān (i richiami alla preghiera fatti dal muezzin) ci desta dal nostro dormiveglia prima delle 6. Abbiamo dormito a vetri scoperti, tanto quando ci alziamo sarà sempre notte e non serviranno le coperture per la luce del sole! Dopo un rapido scarico della cassetta, puntualissimi, alle 7.30 partiamo in direzione Rabat. Il baracchino gracchia, il serpentone di camper si sfilaccia in autostrada perché qualcuno corre troppo e si fa davvero fatica. Tra l’altro, la nebbia fitta ci accompagna per oltre metà del tragitto ed è snervante. Entriamo in città e perdiamo parecchio tempo nel traffico, ci fermiamo quindici volte ai semafori, i vigili in centro fermano il marasma delle auto nelle rotonde per agevolarci (o per agevolare i loro automobilisti, credo!). Raggiungiamo il parcheggio del Carrefour (dove i nostri camper verranno sorvegliati durante la giornata) con un’ora netta di ritardo sull’orario previsto, ma il bus turistico ci carica subito a bordo per un bel tour della capitale marocchina. Conosciamo così Mohammed, la nostra guida che ci illustra, in ottimo italiano, i punti salienti. Visitiamo il Mausoleo di Mohammed V e la Moschea incompiuta, peraltro danneggiata dal terremoto di Lisbona del XVIII Secolo (quello che lesionò gravemente la Igreja do Carmo). Ancora un giro nel traffico cittadino e ci avviciniamo alla Kasbah, che qui a Rabat vuol dire “fortezza”, e non “medina” o mercato, come in altre città marocchine. Un bellissimo muro di cinta, in perfetto stile arabo/moresco, si erge attorno a casette bianche con una pavimentazione costantemente ritoccata e curata. Un bel prato inglese con palme alte e verdi circonda il perimetro e l’ingresso, con la maestosa Porta del Vento e all’interno qualche negozietto di souvenirs e chincaglierie. Ciò che abbiamo notato a Rabat è proprio questo: ordine e pulizia, benché sulla strada si comportino come in ogni grande città ovviamente, tagliando la corsia e infilandosi in ogni pertugio.
Ci fermiamo su una terrazza con un belvedere sul muraglione, un po’ come Asilah ieri, e ci vengono offerti biscottini e tè alla menta per pranzo, che doveva essere un aperitivo ma postiamo un’ora di ritardo su qualsiasi cosa. Peccato che molte di queste cose siano finalizzate a spennare i turisti come polli, come il tizio che ci segue nella kasbah scattandoci un book fotografico per poi propinarci le foto, stampate alla meglio. E soprattutto, peccato che il tour sembri molto raffazzonato e che Gino, dopo 22 anni di Marocco, ancora non abbia imparato a calcolare i tempi tecnici per girare in città con quindici mezzi ingombranti. Cerchiamo di fare sempre buon viso a cattivo gioco, ma l’organizzazione è sempre stata un cardine dei nostri itinerari in camper.

Dopo le dovute foto, non può mancare una visita al Palazzo Reale! Qui, sotto il sole di un piazzale arso dal sole, a pochi metri dalla porta d’ingresso dell’imponente edificio, sormontato da una bellissima porta “a buco della serratura” (come dice Vergara parlando della classica forma delle porte arabe), Mohammed ci racconta di come il re sia ben voluto e amato dal popolo proprio per il suo essere dalla parte dei cittadini, ci racconta delle leggi in favore delle donne e dell’apertura del Marocco verso l’impiego delle donne in qualsiasi mansione. E dire che si tratta di un paese arabo. Ma all’avanguardia. Riprendiamo la marcia, e per uscire dalla capitale fatichiamo di nuovo non poco: non passiamo inosservati, il traffico ci blocca come stamattina in entrata, e come se non bastasse Gianfranco, davanti a noi nel serpentone, si ferma per un problema al tendalino. Ergo, alcuni dell’equipaggio (tra cui il babbo) e un passante che si ferma con la bici per dare il suo contributo, si fermano per cercare di rimettere il camper in sicurezza e permettergli di arrivare in campeggio, mentre Gino e una grossa parte della carovana si avviano. Dopo lo scampato pericolo, con un tendalino rotto e tante educatissime madonne, ci rimettiamo in pista, mentre Ahmad è tornato indietro a piedi per venire a guidarci fino al campeggio di Mohammedia, 60 km a sud di Rabat. Organizzazione pietosa da parte del cosiddetto coordinatore Gino, ma ciò non toglie che, grazie ad Ahmad, noi quattro camper bistrattati e rimasti indietro, arriviamo al campeggio Ocean Blue prima di tutti gli altri!
Ne approfittiamo pure per una doccia volante, vorremmo socializzare anche dopo cena ma non riusciamo a tenere li occhi aperti e alle 22.30 ci schiantiamo.

Giovedì 6 ottobre – km 117800
da Mohammedia ad El-Jadida (TOT km)

Stamattina non sentiamo nemmeno gli adhān alle 6, tanto dormiamo bene. E prima delle 7 non ci svegliamo: avremmo dovuto partire con il camper verso Casablanca, ma poiché il punto adibito a parcheggio sorvegliato pare essere chiuso, Gino non ha avuto idea migliore che farci venire a prendere fino al campeggio dal bus che ieri ci ha portati a Rabat. Così ci ritroviamo un’ora di bus all’andata e un’ora di bus al ritorno praticamente solo per visitare la Moschea di Hassan II. Una visita bellissima, comunque, un gioiello costruito in epoca moderna: il suo minareto chiaro,avvolto nella nebbia, ci accoglie appena arriviamo davanti all’immensa piazza di travertino. Le piazzette si aprono tra gli archi tipici arabi, e il bordo delle mura è adornato da maioliche verdi e azzurre, in stile andaluso. O in realtà, direi che è l’Andalusia, con i suoi settecento anni di colonizzazione araba, ad aver assorbito molto della cultura islamica che l’ha resa popolare. In Marocco è vietato l’ingresso in qualsiasi moschea ai non musulmani, tranne in questa, che è il secondo luogo di culto islamico dopo la Mecca. Entriamo scalzi, come si confà alle moschee, e con braccia e caviglie coperti. Essendo molto importante ma anche decisamente turistica, metà delle donne non hanno un velo a coprire il capo (tra cui io, convinta che all’ingresso ci fosse un omino con il gabbiotto che sorvegliasse l’abbigliamento e fornisse eventuali coperture, come ho visto fare in altre moschee). Le colonne di marmo e i bei lampadari di vetro di Murano si specchiano sui pavimenti di travertino, in un’armonia di colori dal beige all’ocra. I soffitti a cassettoni in legno di cedro sono finemente intarsiati e gli archi di Santiago caratterizzano la sua ragion d’essere, completando il quadro dell’architettura moresca. Diciamo che strizza molto l’occhio ai luoghi di culto cristiani, con tre navate e preziosi stucchi con incisioni arabe a sorreggere le colonne.
Dopo un’ora, la visita è conclusa. Un’ora e mezza più tardi siamo di nuovo al camper e finalmente riusciamo a prepararci un piatto di pasta, ma senza adagiarci troppo sugli allori, dato che alle 14.30 (in netto ritardo, considerando i 130 chilometri che ci separano dalla prossima meta) dobbiamo uscire. Prendo il pane al gabbiottino all’ingresso del campeggio per la modica cifra di 4,5 dirham, tipo 50 centesimi, ricarichiamo un po’ di acqua nel serbatoio e, nel marasma dei camper che devono ancora scaricare, ci avviamo all’uscita del campeggio. Prima di ripartire in direzione El-Jadida, nel piazzale antistante all’uscita, dopo venti minuti per contarci e metterci in fila non mi faccio mancare una bella cagnara con Gino per il fatto che la sua organizzazione non è affatto professionale e non sa fare il suo lavoro, essendo anche abbastanza arrogante e trattando tutti i partecipanti del gruppo come inetti. Il viaggio in sé sarebbe bello, la compagnia è buona e ogni coppia di camperisti è socievole e disponibile. L’unico vero problema del viaggio è proprio Gino, che è sordo e sommario, disorganizzato e raffazzonato, e Ahmad che non parla italiano ma (sembra!) nemmeno francese, dal momento che mi guarda sempre con aria da pesce lesso quando cerco di comunicare con lui in un idioma comprensibile da entrambi. Comunque, meglio parlare con lui che con Gino, almeno se mi serve un aiuto arabo so a chi rivolgermi!
Arriviamo al centro di questa graziosa località balneare oltre le 17.30 e parcheggiamo praticamente nel piazzale di fronte al Municipio e alla Gendarmerie, sul lungomare super trafficato. Suppongo che i parcheggiatori che ci hanno aiutati con le manovre siano stati pagati per “custodire” i nostri camper anche tutta la notte, se necessario.
Scendiamo per una ricognizione della città attraversando il lungomare per alcune centinaia di metri, il muro di cinta sul mare sembrerebbe essere carino. Peccato che i bastioni portoghesi siano chiusi (considerando anche che noi siamo arrivati tardissimo, perché di solito entro le 18-19 i siti di visita chiudono tutti!) e soprattutto siano chiuse le Cisterne, pezzo forte della cittadina, per restauro. Ovviamente noi avevamo già visto su Google Maps che erano temporaneamente chiuse, ma non si può contestare la guida! Insomma, pomeriggio quasi inconcludente, tirato su dal solo fatto che, nell’ora libera in giro per il suk, troviamo un buon banco di cambio e un negozio Orange per sottoscrivere una nuova scheda SIM, dato che quella che ci ha propinato Gino (con 5 GB di internet e un’ora di chiamate verso l’Italia, pagata 200 dirham) ha consumato i 5 GB in due ore e ci è sembrata un po’ farlocca. La gentilissima ragazza del negozio si è invece occupata di registrare due schede sim (una per me e una per Vergara): ora abbiamo 15 GB con una spesa di 180 dirham e 25 GB con una spesa di 280 dirham, poiché l’attivazione costa appena 30 dirham. Ogni GB in più sono 10 dirham, quindi un euro. Torniamo al camper che è già notte, il parcheggio è circondato da loschi individui che in realtà sono solo i custodi che penso resteranno fino a domani mattina. Per stavolta saltiamo la cena di pesce organizzata, siamo stanchi e scazzati e, fondamentalmente, abbiamo fatto 80 chilometri a sud di Casablanca per non fare nulla, considerando che domani li faremo a ritroso.

Venerdì 7 ottobre – km 117933
da El-Jadida a Cascate di Ouzoud (357 km)

Anche stamattina, dopo una notte bella lunga ma quasi insonne causa caldo nel parcheggio di merda (in cui tra l’altro eravamo stipati come sardine), alle 8 puntuali stamattina partiamo verso le Cascate dell’Ouzoud, a 280 km nell’entroterra. La nebbia ci accompagna per un buon tratto di autostrada, fino a Casablanca (eh sì, perché ovviamente siamo tornati indietro di 80 km), ed è talmente fitta che non si vede a un palmo. Vai in Marocco, dicevano... c’è sempre il sole, dicevano... Mentre la costa atlantica finora fa cagare: la foschia dell’oceano solitamente non si dirada fino quasi a mezzogiorno e rende impossibile qualsiasi cosa. Appena usciamo per l’entroterra sulla N308, appare il sole. La mattinata è lunga e la passiamo praticamente tutta in viaggio, ma nei pressi di Khouribga, a circa 150 km dalla meta, ci perdiamo nelle rotonde e il gruppo si sfilaccia, tanto che gli ultimi tre camper (tra cui il nostro), fanalino di coda, rimangono senza serpentone. L’aver ripristinato una connessione decente con un buon numero di GB ci permette sin da subito di non dover rendere conto a nessuno e, ripianificando, recuperiamo la N11 e ci avviamo verso le cascate lento pede. Lungo la strada incontriamo paesini in cui si vede la vita più vera, quella fuori dall’autostrada che abbiamo fatto finora, il Marocco che vive. Ci sono bambini che salutano fuori dalle scuole (in Marocco la scuola è obbligatoria fino ai 14 anni e se i figli non vengono iscritti arrivano i Carabinieri a casa), anche nelle zone più rurali, e caprette che saltellano. Gli ultimi 40 chilometri fanno parte della P3105, che si arrampica sul fianco del Medio Atlante e offre scorci panoramici incredibili e una varietà di sfumature dal rosso della terra al verde chiaro delle chiazze erbose. Arbusti e alcuni ulivi ci accompagnano lungo i tornanti, fino al minuscolo ponte sulla gola dell’Ouzoud: si tratta di un ponticello in ferro e legno a strapiombo su cento metri di pareti rocciose che attraversiamo, dopo aver esitato un attimo sperando che ci fosse un’altra strada invisibile, con circospezione e ansia, uno alla volta. Non c’è che dire, la strada è estremamente panoramica, peccato che il babbo sia sfinito dai tornanti: nulla lo fa incazzare di più che questi valichi, e in ogni viaggio ne becchiamo almeno un paio. E le bestemmie fioccano! Ovviamente non arriviamo prima delle 14.30 abbondanti, e a quel punto siamo già mangiucchiati perché ovviamente ci siamo avvantaggiati per strada. Una buona organizzazione si vede da questo: il calcolo dei tempi tecnici per gli spostamenti. E invece Gino, che dovrebbe essere il coordinatore nonché guida, non se ne rende conto. Il parcheggio designato, come da coordinate, è orrendo, sterrato, e ovviamente niente docce e niente scarichi. E niente corrente. Nel corso del pomeriggio avremo una presa di corrente da 3 kW per attaccare tipo diciassette camper (molti rinunceranno all’idea) e un omino che ci aprirà casa sua per farci fare la doccia in un bagno anziché in camper (ok, la vita vera, ma io non faccio la doccia nemmeno a casa dei miei amici, per rispetto loro). Quest’area è ovviamente improvvisata. Gino aveva detto che si trattava di un parcheggio attrezzato, ma non c’è nulla. Inizio a chiedermi dove siano i nostri soldi. Il vantaggio di un’ora e mezza sugli altri mi permette perlomeno di visitare le cascate in anticipo, quindi mi avvio giù per la scalinata di settecento gradini (bassi e ben pavimentati), fiancheggiata da negozietti di artigianato, stoffe, vestiti, gioielli. Tutti che cercano di venderti qualcosa, un po’ snervante ma pittoresco. Profumi di incensi mi accompagnano, tra negozi di saponi e punti ristoro con tappeti e cuscini per sedersi a terra, fino alla prima terrazza da cui si ammirano le cascate. Le Cascate dell’Ouzoud, che in berbero significa “dei mulini”, con i suoi 110 metri sono tra le più alte del continente africano (ovviamente, le Cascate Vittoria con più del doppio dell’altezza staccano di brutto da tutte le altre).
Proseguo fino ai laghi, dove ci sono graziose imbarcazioni per i turisti, ma anche tanta ombra e tanta pace. A parte un lievissimo sottofondo musicale arabo, nonostante ci sia qualche visitatore, l’unico suono è proprio quello dello scroscio dell’acqua. Da qui il paesaggio è decisamente suggestivo. Attraverso i sacchi di sabbia messi a barriera delle varie piscine naturali formate dal corso d’acqua e risalgo il sentiero sul lato opposto, sterrato. Una volta in cima riesco anche ad ammirare il salto della cascata da un’altra angolazione. Oggi il caldo è decisamente soffocante, ma quando rientro al camper convinco la Vergara a fare due passi e cercare delle pashmine da portare a casa come souvenirs alle amiche. Mi impezza così Mohan, il commerciante del negozietto, con cui alla fine contratto 5 articoli a quasi la metà del prezzo iniziale. Poi finalmente aspettiamo che si abbassi il sole per respirare un po’ e fare due chiacchiere nel parcheggio. Parte del gruppo decide di cenare al ristorantino di fronte, all’imbocco della scalinata. Prendiamo l’ordine per tajine e couscous e alle 20.30 siamo pronti per cenare. Ci viene servita una piccola insalatina con pomodori, aglio, cetrioli e coriandolo da mangiare con pane arabo, poi finalmente arriva il nostro piatto principale. Concludiamo la cena (a lume di candela perché salta la corrente duecento volte!) con uva e tè alla menta, e nel frattempo inizia a tirare un forte vento che placa appena l’aria bollente, e ci becchiamo pure, contro ogni pronostico, due gocce di pioggia.



Sabato 8 ottobre – km 118267
da Cascate di Ouzoud a Marrakech (183 km)
Stamattina ci svegliamo con la pioggia. La bonne pluie, come la chiama Ahmad, perché aiuta ad abbassare la temperatura. Non è di quei temporali che durano due giorni e che arrivano ogni 25 anni, ma una volta l’anno, almeno in montagna, un pochino aiuta, e finalmente l’aria è tornata respirabile. Come iniziamo la discesa a valle (per fortuna per l’altro lato, un pochino più pianeggiante di quello dell’andata!), il cielo inizia a schiarirsi ed esce il sole. Il babbo sta meglio, è fresco e riposato, stanotte abbiamo dormito con le finestre aperte, i fulmini e il rumore della pioggia che si affacciava di tanto in tanto. Passato questo weekend, finalmente le temperature dovrebbero calare lievemente. Siamo tutti pronti per raggiungere Marrakech. Ci fermiamo per gasolio, io ho impostato le coordinate del campeggio dove ci fermeremo un paio di giorni... nel caso dovessimo perderci e arrivare (come già successo!) prima degli altri! Lungo il tragitto, ancora una volta, riusciamo a vedere qualche forma di vita urbana, motorini caricati all’inverosimile e anche una certa cortesia nei sorpassi e nel cederci il passo all’occorrenza. Tranne a Marrakech, dove ovviamente perdiamo un’ora nel traffico solo per raggiungere un centro commerciale (per rifornimento viveri) nettamente più scomodo rispetto a quello che poteva essere di strada per il campeggio e defilato dalla congestione urbana. Ma Gino ovviamente non si rende conto del caos che crea, perché dubito che sappia anche leggere le mappe, o ha un navigatore differente che lo porta a fratte. Ancora una volta ben oltre l’orario previsto, dopo un buon chilometro di sterrato percorso a 8 km/h, raggiungiamo il Camping Relais Marrakech, a circa 20 minuti dalla città. L’aria esterna sembra un forno ventilato a 180 gradi, e Gino organizza la porchettata alle 15. Per pranzo. Smadonnamenti a parte, alla fine ci ritroviamo in una bella tavolata (perché almeno la compagnia è ottima e ci fa piacere stare insieme), ciascuno con il proprio tavolino da campeggio e i propri contorni. Per chi vuole, Gino ha la porchetta. Anche questa per noi è una novità, dal momento che normalmente abbiamo mangiato sempre per conto nostro o magari insieme in cinque o sei persone al ristorante. Il pomeriggio, tra un dolcetto e l’altro, scorre pigro. Si chiacchiera mentre il cielo si vela, l’arietta diventa via via meno calda, chi pulisce il camper, chi ricarica l’acqua. Finalmente puliamo il pavimento del nostro vecchio Arca, sistemiamo i tappeti, poi doccia, capelli... e ce ne restiamo fuori con Lorena e Gianfranco mentre l’arietta della sera rinfresca gli spiriti.

Domenica 9 ottobre – km 118450
Marrakech
Stamattina partiamo tardissimo, per i nostri standard, ma con estremo relax: abbiamo infatti un bus privato che ci carica alle 9.30 per portarci a Marrakech per una lunghissima giornata con la nostra guida sul luogo, ribattezzata Kojak per via della folta capigliatura. Il suo italiano piuttosto cantilenato e veloce ci fa capire metà delle parole, ma alla fine risulta molto simpatico mentre ci illustra le prime cose che vediamo. Il minareto della Moschea di Koutoubia è sicuramente una di quelle cose che salta all’occhio all’interno della medina, la città vecchia, che con i suoi 15 km di mura è la parte più caratteristica. Scendiamo dal bus e ci infiliamo subito nelle prime viuzze di spezie e legni profumati, gli odori che si mescolano sanno proprio di terre desertiche e commercianti che arrivano da lontano, sanno di tradizioni ed henné sulla pelle. Mi ricordano il mio lungo soggiorno in Egitto, tra Nahama Bay e Sharm vecchia. Visitiamo subito il Palazzo Bahia, con un chiaro stile arabo/moresco. Questo vasto palazzo fu costruito nell'Ottocento a sud-est della medina, sul lato nord del mellah (il ghetto ebraico), vicino al palazzo reale. Durante il suo regno, Aḥmad B. Mūsā allargò la parte meridionale del palazzo, acquistando i palazzi vicini e unendoli al suo. Vi risiedette con le sue quattro mogli ufficiali e il suo harem di 24 concubine. Il nome del palazzo prende il nome da Bāhiya, la moglie preferita. Poco dopo la sua morte, il Marocco divenne un protettorato francese e il palazzo fu tramutato in residenza ufficiale del residente generale di Francia in Marocco e degli ufficiali francesi. Esteso su un'area di otto ettari, il palazzo è composto da circa 150 stanze riccamente decorate con marmo e legno di faggio e cedro. Il palazzo è suddiviso in edifici costruiti secondo uno schema che pare quasi disordinato, senza un ordine costituito, organizzati intorno a diversi cortili o giardini lussureggianti dove vi sono alberi di arancio, banano, cipresso, ibisco e gelsomini. Questi giardini dividono l'insieme di stanze, scuderie, moschee e ḥammām che costituiscono il complesso. Tra una camminata e l’altra, sempre tutti in gruppo e ben attenti a non lasciare la nostra guida Kojak, raggiungiamo il nostro ristorantino per pranzo. I miei, invece, scortati da Ahmad in fondo alla fila, si perderanno fuori dall’isolato, dato che lui non sapeva la strada per il ristorante (con bestemmie e improperi della Vergara, che si affatica moltissimo sotto il sole bollente). Vista la poca varietà di piatti che mi ispirano e pregustando un couscous per domani sera, io mi butto irresponsabilmente su una semplice insalata cruda (che non mi darà comunque nessun problema di stomaco), mentre altri del gruppo vanno su carne ai ferri, tajine e tipicità varie. Appena usciamo dal ristorante, il sole cocente ci ricorda che dentro siamo stati freschi per via di una prepotente aria condizionata. Da qui il nostro tour riparte per visitare le Tombe Saadiane: queste risalgono al tempo del sultano Aḥmad al-Manṣūr al-Dahabī, vissuto alla fine del Cinquecento, e sono state scoperte solo all'inizio del secolo scorso e restaurate dal Ministero delle Belle arti marocchino. Le tombe sono una delle maggiori attrazioni turistiche di Marrakech, grazie alla bellezza delle loro decorazioni. Il mausoleo comprende i corpi di circa sessanta membri della dinastia sa'diana, originaria della valle del fiume Draa. Tra i sepolcri ci sono quelli di Aḥmad al-Manṣūr al-Dhahabī e della sua famiglia. La costruzione è composta da tre stanze. La più famosa è la stanza delle dodici colonne, che contiene il sepolcro del nipote del sultano Aḥmad al-Manṣūr al-Dhahabī. La stele è finemente intagliata in legno di cedro e stucco. Tutti i monumenti sono in marmo di Carrara e nel giardino fuori dalla costruzione sono situate le tombe dei soldati e dei servitori. Da questa interessantissima visita, passiamo alla Madrasa. Oggi il termine può riferirsi senza distinzione a una scuola o unʼistituzione formativa, sia islamica, laica o di altre religioni. I corsi possono incentrarsi sulla sola memorizzazione del Corano, fregiando gli allievi del titolo di hāfiẓ, o possono includere lo studio della lingua araba letteraria, dell'egesi coranica, del diritto e dei fatti inerenti a Maometto. In questo caso, La Madrasa di Marrakech, d'architettura arabo-andalusa, è intitolata all'emiro Ali Ibn Yusuf, che regnò attorno all'anno Mille, periodo durante il quale espanse considerabilmente la città e la sua influenza sul Marocco. È la più grande dell'intera nazione e fu fondata nel XIV Secolo. La struttura attuale della fu edificata dal Sultano Abd Allah al-Ghalib. I lavori commissionati furono terminati nel 1565, come confermato dall'iscrizione nella stanza della preghiera. Centro della madrasa è il prezioso cortile nel mezzo del quale è il grande bacino rettangolare per le abluzioni. Una ricchissima decorazione a stucco ricopre tutte le pareti. In basso corre un alto zoccolo dei tipici zellij (mosaici di ceramica formanti motivi geometrici) e in alto corona un alto fregio composto da grandi travi in legno di cedro, finemente scolpito.
Le sculture non contengono, come richiesto dall'Islam, figure umane o zoomorfe, ma consistono interamente in iscrizioni e motivi geometrici o floreali. Intorno al chiostro ci sono le 132 celle dormitorie per gli studenti, non residenti a Marrakech, disposte su due piani e aperte su piccoli cortili interni balconati. Dopo la Madrasa, non ci facciamo mancare una lunga passeggiata nel souk, ma non riusciamo a comprare nulla: bicilette e motorini ci ci salgono letteralmente sui piedi e si prendono tutto il loro spazio all’interno delle strette viuzze di negozietti artigianali, mentre noi cerchiamo solo di non perdere gli altri del “serpentone” né perderci nel marasma. Questo è un posto da cui non si esce facilmente se non in compagnia di una guida che sa dove portarti, è un immenso dedalo di viuzze. Tra l’altro, uno del nostro gruppo ha la malaugurata idea di fare una foto a due tizi mingherlini di mezza età che giocano a dama in un angolo con i tappi di bottiglia: a noi sembra un’idea così originale, ma evidentemente quello non è dello stesso avviso e la nostra guida deve intervenire per placare gli animi. Raggiungiamo Piazza Jemaa El Fna, una volta crocevia di commercianti che arrivavano dalle tribù per vendere i propri prodotti, ora più simile a un grosso mercato di chincaglierie e frutta. Non mancano datteri grossi come susine e molto carnosi (scoprirò che i miei ne hanno acquistati un sacchetto a prezzo non economico ma sicuramente valevole), disperati che ti impezzano per venderti qualunque cosa, incantatori di serpenti che appena ti azzardi a fotografare ti chiedono le monete. Ben attenti a non perdere gli altri del gruppo, ci dirigiamo tutti sull'ampia terrazza di un bar che si affaccia su questa immensa piazza e ci gustiamo lo spettacolo del sole che tramonta e delle luci che si accendono,  trasformando uno spazio commerciale in un ritrovo di artisti di strada.
Distrutti, appena fa buio non vediamo l'ora che il bus ci riporti al campeggio.


Lunedì 10 ottobre– km 118450
da Marrakech a Chez Ali (5 km)
Anche oggi giornata praticamente autogestita. Io sono ben ricaricata dopo la lunga giornata di ieri, tra l’altro ce la prendiamo tutti estremamente comoda e prima delle 9 non esce nessuno dai propri mezzi. Alla fine arrangio la visita ai Jardines de Majorelle di Marrakech, con trasferimento autonomo. Io e una coppia del nostro gruppo chiediamo un taxi in reception, e con 80 dirham veniamo portati davanti al padiglione. Una lunghissima fila preannuncia almeno un’ora di attesa... tanto che quando arriviamo a poche persone dalla biglietteria scopriamo che c’è una fila supplementare per l‘ingresso, un po’ come quando fai la fila per lo scontrino alla cassa e poi devi fare un’altra fila per il gelato). Per fortuna, in realtà è solo la fila per il biglietto a scorrere male: l’altra è talmente rapida che in pochi minuti entriamo anche noi. Il complesso di giardini fu progettato dall'artista francese Jacques Majorelle nel 1931, durante il periodo coloniale. Nel 1919 questo pittore si stabilì nella medina di Marrakech e se ne innamorò. Nel 1922 comprò un palmeto nel nord-ovest della medina, e, nel 1931, commissionò a un architetto la costruzione di una villa in stile moresco. La sua casa era al primo piano, mentre al piano terra c'era un grande studio per le sue attività da artista. Da amante della botanica, creò il suo giardino botanico ispirato dai giardini tradizionali marocchini, e il risultato finale fu un lussureggiante giardino tropicale intorno alla sua villa, un giardino impressionista, una cattedrale di forme e colori, imperniata su un lungo bacino centrale con vari ambienti differenti, dove centinaia di uccelli nidificano. Questo giardino è un'opera d'arte vivente in movimento, con piante esotiche e rare specie, e ornato con fontane, laghetti, vasi in ceramica, sentieri, pergolati. Nel 1937 l'artista creò inoltre il blu Majorelle, un blu oltremare/cobalto al tempo stesso intenso e chiaro, con cui dipinse le pareti della sua villa, e tutto il giardino, che aprì al pubblico nel 1947. A seguito di un incidente d'auto, Majorelle tornò a Parigi, dove morì nel 1962. Il giardino venne poi abbandonato per molti anni. Qualche anno più tardi, Yves Saint Laurent e Pierre Bergé scoprirono il giardino durante il loro primo soggiorno a Marrakech, rimanendo incantati dalla struttura. Comprarono il giardino nel 1980, decidendo poi di vivere nella casa dell'artista, ribattezzata Villa Oasis, e intraprendendo un ampio lavoro di restauro. Le ceneri di Yves Saint Laurent sono state disperse nel roseto di Villa Oasis, e un memoriale in suo onore è stato eretto nel giardino. Le piante esotiche si alternano a quelle grasse in grosse anfore gialle e blu, i due colori principali dell'intero giardino. Fontane e vasche sorgono al centro di piccoli spazi, circondate da cactus e yucca. Ovvio che non mancano bambù altissimi e palme... e tanta tanta gente! Tutto sommato un bel modo di ammazzare la mattinata, tanto che riusciamo a rientrare per l’ora di pranzo senza problemi. Subito fuori dal giardino iniziamo a contrattare il ritorno al camping con i taxi, e nessuno sembra chiederci meno di 150 dirham, giustificando i prezzi con il fatto che il posto è fuori città e lontano dalla medina dove siamo. All’ultimo disperato che chiede 100 dirham (noi convinti di trovare un taxi più a buon mercato per il ritorno) insisto dicendo che non importa e andremo in bus. A quel punto, finalmente, scende a 80 dirham e saliamo a bordo! Peccato che subito fuori dalla città, non sappia dove andare per riportarci al Camping Relais Marrakech, quindi attacco le mappe (lui non ha connessione internet!) e gli indico la strada io! Dopo pranzo ci dedichiamo a carico e scarico, pulizie varie e chiacchiere (tento anche un giro del campeggio guidando il camper, ma solo in avanti!), e alle 16.30 siamo tutti operativi. Dopo due giorni e finestre sempre aperte, insomma, ci tocca chiudere e ripartire. Ovviamente tornano anche i percorsi fantasia di Gino, che ci accompagna fuori dalla zona dei palmeti e dei resort passando attraverso nuclei abitati e polvere. Per raggiungere il parcheggio di Chez Ali, il ristorante dove stasera consumeremo la nostra cena berbera, ci impieghiamo praticamente un quarto d’ora. Ciò significa che alle 17 siamo già on spot. Dopo un briefing ci restano ancora un paio d’ore per ciarlare e dedicarci alle nostre faccende (ancora una volta, la giornata avrebbe potuto svolgersi diversamente, magari evitando di concentrare tutte le attività di ieri in un giorno solo), e poco prima delle 20 siamo pronti e imbellettati per questa cena, che sembra un po’ la colonna portante di questa settimana. Entriamo dalla sontuosa porta del complesso del ristorante e subito siamo invasi da musica araba, tamburelli, suonatori e danzatori in costume: un bel circo per turisti, insomma. Ci sistemiamo sotto un lussuoso tendone in stile berbero e poco dopo ci servono una zuppa di legumi, salsine saporite e datteri. Arriva poi l’agnello e il tajine, e completa il tutto una pizza di pasta fillo con una strana glassa insapore. Dopo la cena, la serata termina con uno spettacolo equestre nella grossa arena di fronte al ristorante, dove alcuni dromedari sono a disposizione del pubblico per il classico giretto in groppa.
Nel complesso una serata piacevole in gruppo, diversa dal solito, terminata però oltre mezzanotte.
E io ho sonno.

Martedì 11 ottobre – km 118455
da Chez Ali a Ounagha (175 km)
Stamattina, dopo la votazione generale di ieri pomeriggio, abbiamo deciso di partire alle 7.30 anziché alle 8 per guadagnare un po’ di tempo. Appena usciamo dalla strada dissestata del parcheggio di Chez Ali e ci immettiamo sulla N7, siamo travolti da un nugolo di motorini e biciclette: per la gente comune è ora di punta, e tanti di certo stanno andando a lavoro con i propri mezzi. La strada scorre via bene in mezzo alle pianure aride, punteggiate di arbusti: attraversiamo nuclei abitati di argilla e mattoni e regaliamo penne ai bambini che ci salutano. Nei pressi di Mejji, uno stuolo di alberi di argan adornati da graziose caprette sui rami: le caprette, infatti, mangiano il frutto dell’argan e sputano gli ossi, che vengono poi raccolti e pestati per essere trasformati in olio (almeno, questo è il metodo tradizionale, che considerando la quantità di olio di argan prodotto in Marocco, di certo è affiancato da un più rapido metodo industriale). Anche questo, indubbiamente molto caratteristico! Un cielo coperto ci accompagna lungo la strada fino al Camping des Oliviers, a Ounagha, a 30 km da Essaouira, dove resteremo fino a domani mattina. Un bel campeggio con piazzole su erba e sterrato con docce, acqua calda, carico/scarico, molto grazioso (anche qui abbondano gatti e pavoni). I nostri mini bus da 20 posti ci vengono a prendere per portarci al centro di questa graziosa località marittima, che raggiungiamo in mezz’oretta. Essaouira è popolare per i gabbiotti del pesce freschissimo che fungono anche da ristorantini: si contratta il prezzo, si sceglie il pesce fresco da un espositore e viene cucinato alla brace nel giro di cinque minuti. Ne guardiamo due o tre e alla fine arriviamo a Calvados, concessione n.14, dove tre simpatici fratelli contrattano il prezzo del pranzo con Gino. Convinti che sia impossibile una tale velocità, considerando anche che il nostro gruppo gli riempie praticamente tutto lo spazio, optiamo per sederci subito a tavola, e alle 13.10 abbiamo già finito: la rapidità con cui arrostiscono è impressionante, non sbagliano un colpo e il pesce è veramente buono. Peccato che, a fine pasto, Gino faccia una piazzata perché pretende lo stesso prezzo stabilito nonostante alcuni del gruppo abbiano preso più pesce di quello pattuito (dichiarando senza batter ciglio di voler ovviamente pagare la loro quota aggiuntiva). Una scena deplorevole e aberrante che mi ha fatto un po’ vergognare di essere italiana, perché è colpa di questa gente se poi il nostro popolo è visto come quello farloccone che vuol fregare il prossimo. Poi dicono dei marocchini. 
 
A parte questo spiacevole episodio, il pomeriggio scorre via benissimo: nonostante Gino abbia detto di restare tutti insieme perché “che ne sapete voi di Essaouira! Restiamo tutti vicini che vi porto io a vedere i posti migliori”, ci disperdiamo come ribelli impazziti per la Medina e finalmente troviamo tempo per noi. Tutti. A gruppetti sparsi vaghiamo per la parte antica della città, visitiamo le bellissime mura e i bastioni, ci infiliamo in ogni vicolo. Il bianco e il blu sbattono tra loro e ricordano l’Egeo, ogni negozio vende artigianato e cianfrusaglie, si contratta e si acquista. Siamo rigenerati e felici, e ognuno si prende del tempo per fare ciò che vuole. Alle 16 riprendiamo il bus per tornare in campeggio e inizia il viavai di panni da lavare, docce e pentolame.
La serata finisce così, mentre il sole tramonta e ci lascia un bellissimo colore arancione in questo cielo che oggi (finalmente!) ci ha regalato il suo azzurro migliore.
Come i portoni dei vicoli di Essaouira.

Mercoledì 12 ottobre – km 118630
da Ounagha a Taghazoud (168 km)

Stamattina, svegli alle 7.20, entro le 8.10 riusciamo anche a scaricare le nere e a riavvolgere il cavo della corrente per rimetterlo con cura al suo posto (questa operazione di solito richiede dai 5 ai 6 minuti!). Abbiamo un buon quarto d’ora di margine, visto che si parte alle 8.30 per Agadir. Se ci coordiniamo attentamente, potremmo ambire a una sveglia fantozziana appena tre quarti d’ora prima della prevista partenza.
Lungo la strada ci fermiamo alla Cooperative d’Argan Bigdad, per vedere il procedimento dell’olio di argan, dalle donne sedute a schiacciare i frutti alla spremitura dei semi. Peccato che i prezzi siano folli davvero, ben più che a livello farmaceutico, e in dieci minuti esco. Ci metteremo un’ora prima di ripartire: altro tempo perso. La strada scorre lenta per via dei limiti e della dimensione della carreggiata, e non arriviamo prima delle 13.30... e tra l’altro ancora una volta Gino sbaglia strada e dobbiamo tornare indietro, a Taghazoud. Il Camping Terre d’Ocean è abbastanza nuovo e una tipa minuta e simpatica ci accoglie e ci dice di parcheggiare dove vogliamo. Siamo nel nulla, ma la vista sull’oceano, almeno, è speciale. L’aria è calda, tira un gran vento e il sole picchia pur avendo circa 26°. Ci troviamo a una ventina di chilometri da Agadir, e verranno a prenderci dei taxi nel pomeriggio per portarci in centro. La partenza è prevista per le 15.30, ma Gino fa partire un inutile briefing sotto il sole mezz’ora prima, in cui ripete che ad Agadir non c’è nulla da vedere se non il lungomare. Viene da chiedersi che cavolo ci siamo fermati a fare, a questo punto. Ormai è evidente che questo individuo non sia in grado di fare questo lavoro, tanto che quando gli facciamo notare che sarebbe utile un briefing serale per decidere il programma del giorno seguente ci risponde che non ha tempo, e quando qualcuno lamenta il fatto che la guida non parla una parola di italiano si giustifica dicendo che nel gruppo c’è qualcuno che parla francese e quindi va bene così. Sono basita. Tra un morto e un ferito, i taxi non arrivano prima delle 16 e ci scaglioniamo per il rientro perché non tutti vogliono tornare alla stessa ora, e quando arriviamo ad Agadir siamo un po’ frastornati: Gino prende il gruppo e lo porta verso il lungomare, ma noi ci disperdiamo tutti. Dopo quattro passi costeggiando l’immensa spiaggia, che di fatto non è nulla tranne una lingua di sabbia, opto per salire alla Kasbah Oufella: prendo la funivia, di recente costruzione (80 dirham a/r) e raggiungo la cima, da dove si gode un ottimo panorama. Da quassù Agadir sembra in realtà un grosso cantiere, e anche qui alla kasbah stanno facendo i lavori: la fortezza è stata distrutta, come tutta la città, dal terremoto del 1960. Agadir è una città nuova, in continua crescita, ma non abbiamo il tempo di vedere nient’altro, e il taxi alle 18.30 torna per riportarci al campeggio. Una bella doccia e uno sguardo al sole che tramonta su mare è proprio quello che serve.Il mio raffreddore mi ha fatto venire un gran mal di testa che non passa nemmeno con una doccia calda, e anzi se possibile peggiora la situazione. Il tramonto sul mare è splendido, ma poco dopo cena devo mettermi a dormire con i brividi di freddo.
Domani andrà meglio.


Giovedì 13 ottobre – km 118798
da Taghazoud ad Aglou Plage (133 km)

Stamattina alle 8 puntuali ci avviamo verso il primo distributore di gasolio... senza Gino, che non dà segni di vita al CB. Impostiamo le coordinate del parcheggio di Tiznit dove dovremmo arrivare per il rifornimento di generi alimentari, e partiamo. Lungo la strada scopriamo che Gino è andato avanti senza nemmeno aspettare. 
A questo punto diventa guerra e autogestione, perché alla fine siamo perfettamente in grado di raggiungere i punti d’incontro. L’unico problema sta nel fatto che questo individuo ha preso fior di quattrini per comportarsi così. Sorvolerò sulla discussione che viene alzata all’arrivo del gruppo al parcheggio: lui è già lì da almeno venti minuti e pretende di aver ragione per il fatto che ci ha lasciati indietro. Ci dirigiamo verso il souk di questa graziosa cittadina con le mura in terra rossa, ma alla fine abbiamo giusto una mezz’ora da dedicarle. Iniziamo a dividerci e a tornare indietro per fare la spesa al supermercato vicino al parcheggio dove ci siamo appoggiati. Anche di questa città, fiore all’occhiello del Marocco per la produzione di argento berbero, non vediamo granché: alle 13.30 siamo già parcheggiati al Camping Aglou Plage, dove resteremo fino a dopo domani mattina. Quindi, alla fine, anche oggi non abbiamo fatto un tubo. Il pomeriggio scorre pigro, ma finalmente, per la prima volta, troviamo una wifi che funziona! Io faccio un salto in spiaggia per passare tempo: c'è un bel lungomare e un striscia di sabbia infinita, passeggio un po’ sulla riva con la salsedine che lascia sempre nell'aria quella vaporizzata di mare che annebbia l'orizzonte e la costa. Una graziosa moschea bianca che si staglia sullo fondo blu del cielo, una barchetta dipinta che ricorda i vivaci colori dei luzzi maltesi (non a caso, dato che gli arabi sono arrivati ovunque nel Mediterraneo!). Niente più: questa è una località balneare piena di case vacanza e campeggi, perché qui inizia la zona in cui gli europei vengono  svernare: oggi ci sono comodi trenta gradi.


Venerdì 14 ottobre – km 118931
Sidi Ifni (*in taxi)
Stamattina spengo la sveglia e non ci svegliamo prima delle comode 8. Finalmente. Alle 9.30 riunione con Gino che cerca di cambiare registro ed essere più organizzato (speriamo funzioni!). Siccome il giorno è libero, alcuni di noi si organizzano per raggiungere Sidi Ifni, località a 65 km dal campeggio, nonché ultimo avamposto spagnolo. Alcuni decidono di restare in campeggio, altri si dedicano ad altre attività, passeggiate in spiaggia... e alcuni di noi decidono di investire questi 150 dirham a persona (andata e ritorno) per ammazzare la giornata. Alle 11 arrivano due taxi da sei posti e inizia la nostra piccola escursione giornaliera. La strada con un buon fondo stradale serpeggia costeggiando l’oceano e ci porta a Sidi Ifni in un’oretta. Storicamente, Sidi Ifni dovrebbe essere la localizzazione di Santa Cruz de la Mar Pequena, il luogo dell'antica fortezza spagnola tra Agadir e Tarfaya. Fino alla fine dell’Ottocento, la Spagna conquistò diversi territori marocchini tra cui il Sahara occidentale, e solo nel 1969, sotto la pressione marocchina, il territorio di Ifni tornò al Marocco. Edifici Art Déco, per lo più in rovina, e costruzioni tipiche del Marocco meridionale (influenzato dallo stile edilizio spagnolo) donano alla cittadina un’atmosfera molto particolare. Sulla piazza principale intitolata ad Hassan II come la metà delle cose in Marocco, si trovano il consolato spagnolo, il Municipio in un bell’edificio bianco con bordi blu che quasi si confondono con il cielo, e il faro, entrato in funzione negli anni Trenta e dismesso quando Ifni tornò sotto il dominio marocchino. Una manciata di minuti dopo ci fermiamo a guardare dei ragazzi che disegnano splendidi murales su un intonaco immacolato di fronte a quella che dovrebbe essere la biblioteca, ed è così che facciamo la conoscenza di Abdallah, proprietario del Nomad, un ristorante marocchino a pochi passi da lì. Con un buon italiano, ci racconta, che i disegni sono un omaggio ai grandi personaggi della storia del Marocco, il più grande compositore, il primo chimico, il filosofo più illustre. Una terrazza con una balconata adornata da cactus e palme, poco lontana dona una superba vista sulla costa atlantica, le spiagge chilometriche in questa zona sono il luogo ideale per chi vuole svernare: questa zona, infatti, come già accennato, è molto frequentata dagli europei che vengono qui per l’inverno. O per sempre. Alla fine, alla ricerca di un posticino per pranzare, guarda caso finiamo proprio al Nomad. E la scelta si rivela azzeccata: il ristorante è pulito e il cibo molto buono (ovviamente con il solito prezzo stracciato al quale noi in Italia non siamo abituati). Durante il pranzo ci becchiamo anche un adhān di tipo 40 minuti: non è un semplice richiamo alla preghiera, ma l’intera messa in filodiffusione dall’altoparlante perché oggi è venerdì, giorno di festa in Marocco (l’equivalente della nostra domenica), ed è il motivo per cui vediamo una moltitudine di gente profumata e vestita bene nelle tuniche bianche e lunghe: è il vestito della festa, ci dice Ahmad. Poiché ogni luogo è adatto alla preghiera, la gente imbellettata entra in una specie di garage (tutti uomini, perché le donne entrano da un’altra parte) per uscirne una mezz’ora più tardi restando in silenzio, faccia al muro, ciascuno sul proprio tappetino. Per noi è estremamente pittoresco, per loro è la normalità. Dopo il pranzo e le foto con Abdallah, facciamo un breve giro nel souk, dove abbondano mosche attorno alla carne (sorvolerò sulle due zampe di cammello appoggiate su un bancone fuori da una macelleria!), datteri giganti, pietre colorate e poveri gattini randagi un po’ malandati. Riprendiamo i nostri taxi per tornare indietro, e lungo la strada ci fermiamo alla spiaggia di Legzira, che raggiungiamo attraverso una lunga scalinata in cima a un hotel. L’aria dell’oceano appiccica i capelli mentre noi camminiamo sulla sabbia alla ricerca di un fantomatico arco di arenaria rossa (che in realtà è ben poca cosa rispetto ad alcuni archi e grottine dell’Algarve, ad esempio), che poco dopo scopriamo essere crollato nel 2016. Mai una gioia. Le vestigia (massi rotti, nel caso specifico) si vedono sulla sabbia, mentre Ahmad ci mostra le foto fatte proprio a primavera di quell’anno. Bene. Almeno abbiamo visto delle foto. L’aria è umidissima e ci bastano pochi minuti per accusarla. Per fortuna ripartiamo a finestrini aperti per arieggiarci, e a pochi chilometri ci fermiamo di nuovo: siamo a Mirleft che con la sua bella spiaggia è un’altra interessante meta di vacanze invernali. Sulla spiaggia, una montagna rocciosa con un piccolo arco: magra consolazione per non aver potuto vedere l’altro!
Poco dopo le 18 siamo di nuovo al campeggio, con il sole ancora alto. Al supermarket lì vicino compriamo un tajine di terracotta, che personalmente metterò sul balcone senza usare mai!


Sabato 15 ottobre – km 118931
da Aglou Plage a Taliouine (271 km)
Stamattina, con il sole poco più che accennato sull’orizzonte piatto, usciamo dl camping e ci avviamo verso Taroudant, dove arriviamo verso le 11 dopo una bella strada tutta dritta e con un ottimo fondo stradale e ci piazziamo in un parcheggio praticamente sotto le mura della medina, in pieno centro per una breve visita. Ovviamente blocchiamo il traffico per almeno dieci minuti per parcheggiare tutti, con buona pace dei camionisti che strombazzano sulla via principale! La cinta muraria è molto bella ed estremamente ben conservata, circondata da bastioni di fango rinforzato lunghi 7 chilometri e mezzo. Questa città mercato berbera sulla rotta delle carovane è famosa anche per essere linguisticamente mista ed è sede sia di una comunità arabofona che di una berberofona. La città è stata poi storicamente sede di una grossa comunità ebraica prevalentemente arabofona e parzialmente bilingue in berbero, ma dopo l'emigrazione di massa verso Israele e Francia sono rimasti in pochi. Il sole è rovente, sarà anche per via dell’ora...
 
Peccato che alla fine facciamo due chilometri solo per entrare in un souk esagitato, pieno di gente e molto meno grazioso di altri già visti. Il più bello finora è stato senza dubbio quello di Marrakech, in cui però non ci siamo potuti soffermare più di tanto per mancanza di tempo, ovviamente. Vantaggio: compriamo frutta, pane, biscotti e sfogliatine golose a tipo 48 dirham totali. Roba che a casa nostra lo stesso bottino vale tre volte tanto. Ai camper la temperatura è incandescente, nell’abitacolo si soffre davvero e noi facciamo fatica anche a mangiare, e saltiamo il caffè per il troppo caldo. Ripartiamo di corsa alle 14 per arrivare a Taliouine teoricamente alle 16, dato che ci separano appena un centinaio di chilometri (che poi, perché mai dovremmo arrivare così presto?!), peccato che lungo la strada usciamo dal percorso principale per seguire una stradina brutta e sterrata, ma soprattutto non molto larga, dove camion e trattori vengono in senso opposto. Una sorta di strada nelle campagne che neanche Google Maps conosce, e nemmeno i navigatori degli altri equipaggi. Al momento di rientrare su una strada leggermente meno dissestata, di Gino si sono perse le tracce: i nostri navigatori devono ripianificare per capire se dobbiamo andare a destra o a sinistra. Questo perché lui corre e ci perde lungo il percorso, nonostante il manto stradale non lo permetta. In una qualche maniera, dopo averlo recuperato, dà la colpa ad Ahmad che gli ha suggerito la scorciatoia. Perché ce l’abbiamo tutti l’amico che “tranquillo, conosco una strada che facciamo prima!”. Anche Gino. Nonostante tutto, un bel percorso: strada schifosa e stretta, ma uomini e donne che sorridono e salutano, a piedi, in bici, su motorini arrugginiti, sui somarelli e su improponibili carretti. E ne incontriamo parecchi, noi che pensavamo non ci fosse nessuno da queste parti!  Attraversiamo nuclei (dis)abitati di intonaco bianco e scrostato, sorpassiamo i soliti trabiccoli arrugginiti e tutti continuano a salutare. Forse, alla fine, il Marocco è davvero questo. Prima delle 17 arriviamo al Camping Toubkal, dotato di piscina (ah, è per questa che dovevamo fare le corse?! Tanto è chiusa!) e ristorante.
Una bella terrazza ci accoglie mentre sorseggiamo un tè di benvenuto e ci perdiamo nelle solite chiacchiere, e poi ognuno si avvia verso le rispettive faccende serali, docce, cucina e quant’altro.
Ovviamente, il wifi prende solo all’ingresso.

Domenica 16 ottobre – km 119202
da Taliouine a Ouarzazate (196 km)
Anche stamattina siamo pronti a partire alle 8, in direzione Ait Ben Haddou, località con una delle kasbah meglio conservate di tutto il Marocco. Una pioviggine notturna ha aiutato ad abbassare la temperatura, ma nonostante i mille metri di quota di Taliouine non è stato poi così fresco stanotte. Percorriamo la solita N10 che in questa parte è molto panoramica e non particolarmente scomoda, e si arrampica fino a quota 1840 metri per poi riscendere a valle. Peccato che la luce sia brutta a causa del cielo nuvoloso e le foto, già oscene perché scattate di corsa fuori dai finestrini, sono inguardabili. Zaffate di vento spostano il camper quando ci fermiamo per qualche minuto in mezzo al nulla per la pausa caffè, ma incameriamo fresco perché tanto, una volta arrivati alla meta della giornata, sicuramente farà caldo! Dopo 60 km di deserto attraversiamo Taznakht, grazioso agglomerato urbano, e di nuovo altri 60 km di deserto e di strada che serpeggia nel nulla in un paesaggio davvero suggestivo che molto ricorda gli sconfinati deserti americani. Altipiani di differenti ere geologiche si alternano davanti ai nostri occhi ai lati dell’asfalto scuro, ci fermiamo per alcune foto in uno spiazzale con un belvedere su rilievi che hanno tutta l’aria di essere vulcanici, e infine arriviamo ad Aït Ben Haddou intorno alle 11. Appena scendiamo dal camper, ci basta percorrere i trenta metri nel parcheggio per renderci conto di come questa fortezza sia diversa da qualsiasi cosa vista finora. Siamo ufficialmente nel Marocco che immaginavo, quello degli ampi spazi aridi e dei muri in argilla cotta e fango. Nata come città fortificata, o ksar, Aït Benhaddou si trova sul fianco di una collina lungo il fiume Ouarzazate, sulla strada del commercio che le carovane percorrevano attraverso il deserto del Sahara dal Sudan fino all'attuale città di Marrakech. La parte antica (ovvero la ksar) in cui oggi vivono solo pochissime persone, è un esempio lampante dell’antica architettura del Marocco meridionale, nonché un concetto abitativo tribale del Marocco pre-sahariano, composto da un gruppo di edifici costruiti nel Seicento con materiali organici tra cui un ricco fango rosso e racchiuso all’interno di alte mura.
     Caratteristici sono le torri triangolari e i vicoli stretti che si arrampicano tra le abitazioni, e le kasbah di ricchi mercanti. Ovviamente il sito è molto curato, anche perché compare spesso nei film con ambientazioni desertiche. Facendo lo slalom tra negozietti di artigianato davvero graziosi e ordinati troviamo anche locali con l’elenco delle innumerevoli pellicole, tra cui spiccano Lawrence d’Arabia, Alexander, Il Gladiatore, Gesù di Nazareth di Zeffirelli e un più recente Game of Thrones! Il paesaggio attorno è stupendo, le striature dello sfondo vanno dall’ocra al rosa, al verde chiaro. Il tutto affogato nel rosso degli edifici. Una vera coccola per gli occhi! La Ksar di Aït Benhaddou è inoltre uno dei 9 siti del Marocco che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio dell’Umanità. Un bel giro turistico, stamattina, con una guida e la possibilità di fermarci nei negozietti a contrattare.
Dopo un rapido pranzo, riprendiamo la nostra marcia. Mettiamo gasolio e arriviamo trionfanti a Ouarzazate distante appena 30 chilometri da Aït Ben Haddou. Città di passaggio obbligato per la Valle del Draa e del Dades, è una cittadina molto ordinata e pulita: si percepisce mentre ci passiamo attraverso per raggiungere il campeggio omonimo, Camping Ouarzazate. Lungo la via, graziose rotonde con ciak e pellicole cinematografiche per ricordare che questa è la fabbrica dei sogni, la Hollywood del Marocco. Ci sono anche gli Altas Studios, per la verità un po’ deludenti (a detta di Gino, ma per sicurezza lo prenderei con le pinze!) e tanti negozietti sotto porticati di terra rossa. Bisogna anche considerare che questa zona è abbastanza rinomata, con la vicina Aït Ben Haddou, e quindi subisce l’influenza del turismo di massa. Poiché alle 15.45 siamo già in campeggio (oggi Gino andava di fretta!), optiamo per tornare indietro di un paio di chilometri e fare una spesa sensata al Carrefour. Partiamo con Benni e Lorena caricati sul camper e torniamo un’oretta più tardi, almeno ammazziamo tempo! Nel frattempo pioviggina a più riprese, e noi ci dedichiamo a pulizia dell’abitacolo, cucina, doccia, capelli. Che non saranno mai asciugati.


Lunedì 17 ottobre – km 119398
da Ouarzazate a Tifnou (188 km)
Stamattina l’aria è frizzante, merito sicuramente della pioviggine notturna che ha rotto le balle a più riprese, rendendo fanghiglia da polvere attorno quel tanto che basta a sterrare qualsiasi cosa. Ieri la guida ad Aït Ben Haddou ci ha detto che non pioveva da un paio d’anni, ma qui siamo in quota (1500 metri e non sentirli, comunque!) e di certo la pioggia è più frequente che a valle. Carichiamo l’acqua con l’innaffiatoio di mattina presto, dato che ieri sera è stato un viavai di camper in ricarica sotto la pioggerella, e alle 8 in punto, lasciamo il camping per parcheggiare giusto all’ingresso della Kasbah di Taourirt, un tempo utilizzata dai carovanieri come caravanserraglio per riposarsi dopo i lunghi tragitti delle carovane e per vendere e scambiare merci. Anche questa cittadella, come la precedente visitata ieri, è molto ben conservata e protetta dall’Unesco, e la nostra guida all’interno del labirinto in fango rosso fatto di graziose torrette e cortili ci racconta la storia. Costruita quindi come tutte le fortezze di questo genere presenti in Marocco, era un palazzo appartenuto alla potente famiglia berbera dei Glaoui che la abitò fino agli anni '30 del secolo scorso. I suoi interni sono riccamente decorati con pareti a volte

finite con stucco, mentre il legno di cedro dipinto è utilizzato per i soffitti. Il complesso, realizzato su diverse elevazioni, è costituito da numerose sale riservate agli appartamenti delle mogli e delle concubine del pascià, del signore del palazzo, oltre ad ambienti riservati alla servitù, alle cucine e ai diversi servizi. Al piano superiore si trova una sala di rappresentanza riccamente decorata, con archi moreschi alle finestre che si affacciano sul palmeto circostante. Il risultato è un insieme di edifici maestosi il cui interno mostra una ricchezza notevole. Nel complesso sono state girate alcune sequenze di film hollywoodiani come "Il gladiatore", "Il tè nel deserto", "Prince of Persia" e anche i due film di "Le colline hanno gli occhi 2".
Confermiamo la nostra impressione di ieri pomeriggio: questa è una zona benestante, se comparata a tutto il resto. Complice forse la location, la bellezza della verdeggiante Valle del Draa alle spalle del paese che spezza l’aridità delle terre di confine con il deserto, complice anche il rosso degli edifici e la particolarità di alcuni di essi (come la kasbah di stamattina e quella di ieri) costruiti in terra e fango e incredibilmente ancora in piedi con una fratazzata ogni quindici anni.
Prima delle 10 siamo in viaggio verso Tamegroute, e la strada scorre che è una meraviglia, fiancheggiata da paesaggi misti di arbusti verdi e rocce dure immersi in un terriccio rosso, rilievi striati e tralicci. Un timido sole si affaccia e qua e là spuntano palme, proprio come le oasi nel deserto che disegnavamo da bambini. Poche decine di chilometri oltre, i bellissimi rilievi del passo di Tizi’n-Tinififft, nome impronunciabile quanto la bellezza che gli appartiene: c’è anche un po’ di spazio per fermarci tutti a fare delle belle foto e acquistare un paio di scatole di datteri da un omino che ha la sua piccola attività commerciale. I punti panoramici sono diversi, ma noi siamo tanti e non riusciamo a sostare ovunque. Riscendiamo a valle e attraversiamo Agdz, bel nucleo abitato con bambini che salutano e costruzioni in terra rossa e fango, proprio come a Ouarzazate, ma molto più autentico. Siamo ufficialmente nella Valle del Draa, i palmeti a perdita d’occhio spezzano il color terra che avvolge la vallata, mentre sullo sfondo ci salutano i fianchi delle montagne che ricordano il Marble Canyon americano. Il letto del fiume Draa è asciutto, ma le prime piogge invernali lo aiuteranno a tenere viva la vegetazione. Verso la fine del percorso attraversiamo la bella Zagora, con il monumento al vecchio segnale stradale scolorito che indica la distanza di 52 giorni di cammello da Timbouctù! Una passeggiata, insomma! Poco più avanti raggiungiamo Tamegroute, per l’esattezza la biblioteca comunale che visitiamo subito dopo pranzo: la Bibliothèque de Tamegroute è famosa per ospitare il primo libro scritto su pelle di gazzella, un pezzo unico e molto originale. Altri manoscritti datati intorno all’anno Mille fanno bella mostra dietro vetri di librerie chiuse ed è vietato fotografarli. Con la guida ci spostiamo poi alla tomba di famiglia del fondatore della biblioteca, colui che si è personalmente occupato di reperire i libri e catalogarli. La nota brutta anzi bruttissima della giornata è la visita a una specie di città sotterranea in cui in realtà vivono ancora due o tre famiglie marocchine che fanno terracotte. Una cosa molto umiliante, a mio parere: entrare così a “casa” della gente, mentre i bambini ci inseguono per elemosinare qualcosa, qualsiasi cosa. Più che simpatici bambini che sorridono, questi sono veri e propri accattoni e non ci mollano un istante. Ci inseguono per tutta la visita, che per fortuna dura appena dieci minuti. I dieci minuti più lunghi della nostra vita. Sono le 16 quando finalmente ripartiamo in direzione Tinfou, ultimo stop del giorno, per la notte nel deserto. Gli ultimi chilometri di strada sono sterratissimi, e attraversano una piana arida con quattro arbusti secchi, di quelli che rotolano in mezzo alla via quando si staccano, e procediamo a 5 km/h. Arriviamo a uno spazio a ridosso di una duna di sabbia dorata proprio come quella dei film con i touareg, e ci sistemiamo in cerchio. L’aria è ancora abbastanza calda ma per fortuna una bavetta d’aria rende la temperatura sopportabile. Non perdo occasione di arrampicarmi, la sabbia è compatta e sollevata appena dal venticello, e non è rovente come immaginavo.
Dall’alto, i camper appaiono come un anello bianco un po’ sbilenco e tutto intorno c’è il nulla, il deserto arido e le dune dorate. Pian piano arriva l’ora di cena: abbiamo allestito una tavolata su dei tappeti sotto una tenda berbera, illuminata da lampade e da un fuoco giusto a lato, dove alcuni locali (non sappiamo bene se figuranti o meno!) hanno suonato le percussioni e intonato canti tradizionali. Al momento di andarcene a nanna, finalmente il cielo stellato si palesa in tutto il suo splendore, complice il buio.


Martedì 18 ottobre – km 119586
da Tifnou a Skoura (222 km)
La nottata è trascorsa bene, anche se all’inizio era davvero caldo.
Ci apprestiamo a ripercorrere la strada per intero al contrario, fino quasi a Ouarzazate, per poi dirigerci verso la bisettrice di Skoura, porta di accesso alla Valle del Dades. Praticamente abbiamo fatto 400 chilometri per niente, tra arrivare nella linguetta di deserto di Tinfou e tornare indietro, nonché abbiamo perso un giorno intero di viaggio. I tempi morti di questo viaggio sono terribili, e poi Gino si lamenta se qualcuno ha esigenza di fermarsi in farmacia o a comprare il pane perché dice che non si possono aspettare tutti. Mah! A ogni modo, raggiungiamo il Camping Amridil all’ora di pranzo (sempre molto in ritardo su normali tabelle di marcia, e infatti non mangiamo prima delle 14 abbondanti!) e dopo le 16 andiamo a visitare la Kasbah Amridil, a poche centinaia di metri dal campeggio. Il caldo non dà tregua, ma per fortuna il venticello stempera un po’. Si respira un’atmosfera vera ed autentica il questa magnifica kasbah non ancora troppo battuta dal grande turismo di massa: sorprende per l’ottimo stato di conservazione ed è una meta obbligata per un amante di fotografia.

La nostra guida in questa splendida Kasbah costruita nel Seicento è molto simpatica e disponibile, e ci illustra la vita al suo interno: la Kasbah Amridil è un vero e proprio museo dove la vita di tutti i giorni scorre come nei secoli passati e dove nulla sembra essere cambiato. Siamo in una vera abitazione nobiliare con le sue stanze, giardini, pozzi d’acqua e aree dedicate al lavoro agricolo ben definite. Intorno a noi lo sguardo si perde nei dettagli particolarmente curati come il vastissimo numero di manufatti antichi (funzionanti e non) che si trovano nel cortile esterno e che ci vengono raccontati alla perfezione dalla nostra guida. Un luogo ideale per una panoramica delle antiche tradizioni della vita delle kasbah marocchine. Splendide le torri dalle quali è possibile ammirare un meraviglioso panorama della vicina oasi di Skoura. La kasbah di Amridil è stata tra l'altro utilizzata come ambientazione nel film "Lawrence d’Arabia".
Torniamo al campeggio e riusciamo anche a prendere il pane a una casupola di fronte per la modica cifra di 40 centesimi.
I soliti problemi con il wifi non aiutano, e l’unica rete è a chilometri dal camper: in piscina!


Mercoledì 19 ottobre – km 119808
da Skoura alle Gole del Dadès (107 km)
Anche stamattina siamo prontissimi alle 8 per partire in direzione Valle del Dades. Attraversiamo la Valle delle Rose (che a dispetto del nome è solo verdeggiante e puntinata di edifici dove producono cosmetici alle rose) e Gino ci avvisa che ci fermeremo presso una cooperativa di prodotti a base di rosa... peccato che sia chiusa! Lungo la strada ne vediamo almeno trenta, ma suppongo lui volesse fermarsi in un punto specifico Attraversiamo paesi in fango e terra rossa che ben si sposano con il paesaggio attorno, ancora una volta. Poco prima di Kelaat M’Gouna finalmente gli altri si fermano per visitare la famosa cooperativa di rose, ma io non scendo nemmeno. Una decina di chilometri più avanti, la genialata di fermarci tutti a bordo strada nei pressi di una cittadina in cui Gino deve prendere la frutta e il pane. Il posto è molto infelice e blocchiamo la strada per una mezz’ora buona. Meno male che da lì in avanti è tutta in discesa... o meglio, in salita, ma comunque scorrevole e senza ulteriori blocchi! Attraversiamo la splendida Valle del Dades in un surreale paesaggio roccioso rosso, con scorci estremamente suggestivi e una strada tutta in quota. Siamo a quasi 1700 metri quando raggiungiamo la cima della strada più famosa del Marocco, che si arrampica lungo le gole del fiume. Arrivati in cima riusciamo anche a parcheggiare nello spiazzale a bordo strada, e dalla terrazza del ristorante a picco sulla roccia e sulle gole strette la vista è impagabile: la strada serpeggia perfetta sul fianco della roccia e tutti scattiamo foto a raffica. Ovviamente non può mancare la figuraccia, dato che per restare in terrazza bisognerebbe consumare ma Gino si affretta a dire che quanto gli viene chiesto è troppo caro e ci porta tutti fuori. Scusate.

Arriviamo al Camping Berbère de la Montagne, incastonato nelle Gole del Dades. Una location meravigliosa, non c’è che dire, e dopo lo spiegone di Gino sui prossimi giorni di viaggio, comunque anche il pranzo viene fatto a un’ora ragionevole. Dopo mangiato mi aggrego ad alcuni del gruppo per andare a passeggiare lungo la strada, e passiamo all’interno di un paesino di nome Aid Hammou. Se avessi dovuto andare da sola non l’avrei mai fatto, ma in gruppo è divertente: si chiacchiera ora con questo, ora con quello, ci si confronta e ci si conosce. Il sole brucia, il venticello per fortuna stempera le nostre due ore di camminata, prima verso sinistra e poi verso destra, giù verso la strada da dove siamo arrivati, forse il tratto più bello delle gole scavate dal fiume Dades. Una giornata all’insegna dei bei paesaggi della natura, davvero rilassante e interessante.
Per cena, ci troviamo quasi tutti al ristorante del campeggio e mangiamo tipicità, ascoltiamo indovinelli cretini di Ahmad insieme ai camerieri che suonano tablas e strumenti simili a nacchere di ferro.
Ma che sonno devastante!


Giovedì 20 ottobre – km 119915

dalle Gole del Dadès a Merzouga (301 km)
Incredibilmente, stamattina Gino ci ha accordato un sonno lungo! Infatti ce la prendiamo molto comoda e partiamo alle 10. Anche se dalle 8.30 c’è un viavai non indifferente per scaricare acque e cassetta wc, riavvolgere i cavi, pulire il camper e fare manutenzioni varie. Tra l’altro, Gino ci avvisa che, ancora una volta, dovremo ripercorrere la strada al contrario: bella e panoramica quanto vuoi, ma abbiamo già ammucchiato tipo 700 chilometri di strada a fare avanti e indietro. Ormai abbiamo capito che questo è un viaggio disorganizzato gestito da un incompetente che non è più in grado di farlo.
Dopo un bel tratto di deserto ocra e rosso, raggiungiamo Tinghir, paesotto moderno e curato, con edifici puliti e armonici nel paesaggio circostante. Un vialone di palme ci accompagna fino costeggiare il fiume Todra, dove gruppi di donne lavano i panni. Poco avanti, un ampio spiazzo con un belvedere ci permette di fermarci, anche se è pieno di commercianti che vendono pashmine e ragazzini che accattonano e mi rendono insofferente. Finalmente, proseguendo una manciata di chilometri oltre, iniziano le vere Gole del Todra. Per la verità un passaggio alquanto breve, tra pareti rocciose dorate e il letto del fiume quasi totalmente in secca. Tanti venditori ambulanti con pashmine e kaftani, tappeti e pantaloni di cotone, si riparano all’ombra delle rocce a picco sulla strada trafficata e stretta. Qualsiasi tipo di mezzo di trasporto passa di qua, soprattutto autobus turistici. Ci fermiamo alla fine del passaggio stretto della gola, in un parcheggio sterrato e assolato in mezzo al nulla. Appena scendiamo, frotte di bambini iniziano ad accattonare, chiedono perlopiù soldi, e sono anche insistenti nonostante vengano ignorati. Quasi non ascoltano nemmeno Ahmad, che, parlando la stessa lingua, si premura di allontanarli in modo garbato ma risoluto. Gino ci dice che preferirebbe raggiungere il campeggio verso Merzouga entro sera, e secondo noi non c’è nemmeno da discuterne, visto che l’alternativa sarebbe rimanere qui nel nulla con gli accattoni fino a domani mattina. Alle 14.30, dopo una brevissima visita in autonomia alle gole, ripartiamo. Gasolio, cambio per chi ne ha bisogno, e della sosta al supermercato neanche l’ombra, dato che a Gino non serve nulla. Perché se non è una sua esigenza, ovviamente degli altri se ne frega. Arriviamo ben oltre le solite 16.30, superando Erfoud, e poco più avanti Merzouga. Il Camping Kanz Erremal, che dovrebbe ospitarci tre giorni, è un campeggio sterrato a un passo dalle dune di sabbia di Erg Ghebbi, ma immerso nel nulla e nella sabbia. Gli equipaggi non sono stati informati del fatto che non ci fosse uno straccio di supermercato nei dintorni, e partono gli scleri (la Vergara in testa). Nonostante più persone facciano notare a Gino l’assurdità della situazione, lui si scagiona e si giustifica con la sua solita aria sorniona, che non si sa se non capisca o se finga di essere imbecille.
Inizia dunque la fase di rassegnazione.


Venerdì 21 ottobre – km 120216
Merzouga
Primo giorno di reclusione in campeggio nel deserto. Alle 9.30 “ammiocugGino” (com’è stata ribattezzata la nostra diversamente guida, data l’ormai evidente incapacità a gestire un tour del genere) lancia il briefing, da cui si evince che noi siamo gli unici che si sono lamentati della sua incompetenza. O meglio, siamo gli unici che hanno avuto il coraggio di dirglielo in faccia. Dopo mezz’ora siamo liberi di iniziare a non fare nulla. La Vergara inizialmente si rifiuta di scendere in mezzo alla terra e alla sabbia, il padiglione dei bagni è peraltro nascosto dietro una duna di sabbia e per attraversarla ovviamente i piedi si insabbiano, a meno di circumnavigare il marasma dei camper. La presunta lavatrice non esiste, cerchiamo di far trascorrere il tempo come meglio possiamo. L’unico vantaggio è che almeno il wifi funziona. Inaspettatamente! In mattinata, i vecchi vanno con Gianfranco Benni e Lorena a fare un po’ di spesa con il camper nel souk di Merzouga, mentre io resto a pulire. Di pomeriggio laviamo i panni a mano in bagno, come le lavandare, mentre l’acqua si affievolisce piano e ci lascia a secco, con le dovute madonnucce. L’unica gioia è data dall’asciugatura rapida del bucato (steso al sole tra la scaletta del camper e una palma!), e niente non è.
Tra una partitina dei miei a carte e una mia passeggiata tra le suggestive dune durante la golden hour, la prima giornata scorre decentemente.


Sabato 22 ottobre – km 120216
Merzouga
Secondo giorno di reclusione in campeggio nel deserto. Stamattina almeno abbiamo il tour in 4x4 sulle dune, al costo supplementare di 30,00 €. Anche qui, ovviamente la quota va pagata a parte a ammiocugGino, e alle 10 partiamo con le nostre jeep che ci portano nel deserto rosso di Merzouga. La prima tappa, dopo qualche minuto tra la sabbia dorata e rossiccia, è il MNAM, ovvero il Morocco National 4x4 Auto Museum, un museo di fuoristrada dall’inizio del secolo scorso fino a osceni prototipi giapponesi del nuovo millennio, una vera chicca per gli appassionati, considerando i tanti modelli sconosciuti che vi prendono posto. Ripartiamo, e il nostro autista Bendidi sterza e controsterza tra la ghiaietta e la sabbia: attraversiamo villaggi abbandonati, costruiti in fango e paglia, evidentemente erosi dagli agenti atmosferici, e visitiamo un accampamento berbero, per quanto sembri tutto un set cinematografico. Saliamo al belvedere delle cave di kajal, dove una volta venivano anche riempite cisterne per l’acqua (ormai in disuso), e in generale la giornata scorre via bene. Davvero una bella esperienza, saltare sulle dune con questi bestioni: cerco che ci vuole una bella dimestichezza per poter guidare su sabbia
Al termine dell’avventura, il pranzo nel ristorante berbero non può mancare ed è incluso nella quota: ci vengono serviti un riso con verdure saltate e una pizza berbera, che altro non è che una sorta di focaccia farcita con carne, verdure e tantissime spezie: si potrebbe definire un’empanada argentina ma con l’impasto diverso. In generale, sopra le aspettative! Torniamo al campeggio poco prima delle 15, e mi rimane ancora un sacco di tempo libero per registrare il log di viaggio.
Di sera, dopo cena, uno dei proprietari del campeggio resort mi cerca per presentarmi Ahmed, il tuttofare che collabora con loro, poiché avevo chiesto lumi per essere accompagnati a Rissani al mercato domani che è domenica. Entrambi molto gentili e disponibili, prendiamo accordi per partire alle 10.


Domenica 23 ottobre – km 120216
Rissani
Terzo giorno di reclusione in campeggio nel deserto. Ma non ci facciamo fregare da un’altra giornata di nulla cosmico: battendo tutti sul tempo e giocando d’anticipo, abbiamo la nostra macchina con Ahmed. Omologata per 6, ma il sedile aggiuntivo non è stato montato e quindi saliamo in quattro sul sedile posteriore, come in una qualsiasi macchina, lasciando il babbo, che occupa una superficie maggiore, al posto passeggero davanti con l’autista. Siamo in cinque e dividiamo le spese, e con 30 dirham a testa riusciamo ad andare e tornare. Il tragitto non è lungo, ma ammucchiati uno sull’altro risulta un po’ scomodo, seppur pittoresco, e ci ricorda che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo viaggiato in 6 in una macchina da 5 posti! Ahmed ci accompagna dapprima davanti al Mausoleo di Moulay Ali Cherif, dove ci facciamo scattare una foto ricordo.Rissani è la vecchia capitale amministrativa del Marocco, poiché sede della dinastia dei Re, poi trasferiti a Rabat. Ci fermiamo qualche minuto, e poco oltre ci scarica davanti alla grossa piazza del mercato e ci presenta Raphael, un suo amico che per pochi dirham si offre di accompagnarci al mercato e al souk e ci spiega un po’ di cose. Un ragazzo simpatico, sui trent’anni, che ci scorta per tutto il tempo e ci racconta che i camion di frutta e verdura arrivano da Agadir, mentre quelli del pesce da Tangeri e viaggiano tutta la notte. Passiamo davanti al mercato delle mucche, che vengono di solito acquistate per i matrimoni, e al mercato delle pecore, a cui invece tocca la sorte alla fine del Ramadan. Pittoresco il parcheggio degli asini, ovvero lo spiazzale dove la gente del posto che viene a fare acquisti al mercato lascia il mezzo di trasporto a quatto zampe! I cammelli (che poi in realtà sono dromedari, ma tutti li chiamano cammelli per comodità... anche perché i cammelli veri sono pochissimi!) vengono ormai impiegati solo a scopo turistico, e chi li ha li tiene con estrema cura! Raphael ci porta al mercato berbero, dove conosciamo Moustafa (e scopro che è la versione araba di Stefano!), che ci offre il tè e cerca di venderci qualsiasi cosa. In generale è innegabile che contrattare può essere un’attività divertente sulle prime ma che poi diventa snervante alla lunga. In qualsiasi caso, però, riusciamo a portarci via alcuni oggetti a prezzo modico e passiamo un’oretta piacevole.
Raphael torna a riprenderci con una graziosa tipa di Singapore che fa un pezzo di tragitto con noi dentro al souk, mentre compriamo olio di argan e datteri grossi come albicocche. Come ultima tappa, compriamo un po’ di frutta e torna Ahmed a riprenderci. Dato che vorremmo mangiare qualcosa a Rissani, il nostro autista ci accompagna al forno poco distante, spiegandoci che qui è consuetudine portare gli ingredienti ai fornai che poi si preoccuperanno di preparare la pizza berbera. Noi, ovviamente, non abbiamo nulla e ci affidiamo alle sapienti mani lavoratrici. Ci fermiamo presso un piccolo ristorantino poco più avanti, dove ci verrà consegnata la pizza berbera tre quarti d’ora dopo! Alla fine è stata senza dubbio una giornata alternativa, e non è ancora finita: alle 17 io e altri del gruppo partiamo per la cammellata direttamente dal campeggio: siamo divisi in quattro gruppi di quattro cammelli (ok, dromedari!) ciascuno, con un berbero come "autista", che li accompagna delicatamente con una corda, e alla fine, contro ogni aspettativa, si rivela un bel giro in groppa al dromedario, tra le dune di sabbia dorata che sotto i raggi del sole virano al rosa.
Torniamo giusto in tempo prima che l’ultimo raggio di sole scompaia dietro l’orizzonte e ci lasci in uno spaventoso buio siderale in men che non si dica.



Lunedì 24 ottobre – km 120216
da Merzouga ad Aufous (96 km)
Oggi la sveglia suona alle 6.45, decisamente presto per i miei gusti. Ma vorrei fare una sgambatella sulle dune per vedere l’alba, anche senza allontanarmi molto, dato che non ho troppo tempo. La sabbia è gelida, io me ne vado bel bella senza scarpe perché tanto "siamo in Marocco e fa caldo!" dimenticandomi l'escursione termica che rinfresca l'aria in piena notte. Infatti anche l’aria esterna non è che sia sto Carnevale di Rio. Incamero più silenzio e più fresco possibili mentre ammiro i colori dell’alba che entrano in contrasto con lo scuro delle dune. I bei colori rosa che si schiariscono via via rendono il paesaggio semplicemente sublime e io ricordo ogni volt perché svegliarsi presto per l'alba vale sempre la pena.

Alle 7.35, con il sole sorto appena tra le dune, rientro per il caffè e alle 8 siamo già fuori dal campeggio. Finalmente riprendiamo il viaggio... in direzione Rissani per fare acquisti al souk, benché sia ancora parzialmente chiuso. Peccato che il gruppo si sia perso il mercato pittoresco di ieri, e com’è diversa questa cittadina stamattina prima delle 9: i negozi chiusi e i porticati colorati offrono scorci graziosi, che ieri erano impossibili da vedere. Dopo aver fatto il cambio degli ultimi euro (cambiamo a 1,52) e venti minuti a capire cosa fare, capitanati ovviamente da un Gino che non si è reso conto che gran parte dei negozietti sono ancora chiusi, decidiamo di essere autonomi e ci infiliamo nel souk. I commercianti aprono lentamente le loro attività e riusciamo a comprare pashmine a un prezzo stracciato da un ragazzettoche ci segue passo passo, il pane allo stesso forno di ieri dove ci hanno fatto la pizza berbera (soffice e focaccioso), poi i souvenirs da Abdul, che ci ringrazia per essere stati i primi clienti e di buon auspicio (si fa anche la foto col babbo, che tutti qui chiamano Alì Babà per via della barba!), e compriamo altri datteri a prezzo sempre più basso. Per non parlare delle olive, che costano davvero una cifra ridicola. Il tutto in circa mezz’ora. Non c’è che dire, la nostra organizzazione quando giriamo da soli è sempre impagabile.
Nei pressi di Erfoud, dove questo weekend c’è stato peraltro proprio il festival dei datteri, ci fermiamo presso un bello stabilimento in cui raffinano il marmo fossile. Una guida ci spiega che tutta questa zona era un tempo sottomarina, quindi ofiure, trilobiti e amoniti si sono sedimentate e fossilizzate nella roccia. A 30 km da qui c’è una cava di marmo, ed è da lì che arriva il materiale. Ovviamente non può mancare l’esposizione di manufatti, svuotatasche, contenitori, monili e soprammobili, e e mi concedo anche anche se alla fine sono realizzati a livello industriale (ovvio che nessuno pensa che siano scalpellati a mano uno a uno!) una visita è sicuramente piacevole, e mi concedo anche un souvenir da portare a casa. In perfetto orario pranzo, superata la Valle dello Ziz con palmeti un po’ sofferenti, arriviamo al chiacchierato campeggio di Ahmad, la nostra pseudo guida: Camping Hakkou, con tutti i comfort, e palme con datteri penzolanti dai rami “a scopetta”. Un posticino pulito e curato, complici anche le bouganvilles viola che donano colore, con un fondo di ghiaia spessa. Siamo nel mezzo di un assordante nulla. Di pomeriggio, con un discrero caldo, partiamo in spedizione punitiva all’interno del palmeto di Ahmad, che ci racconta che esistono oltre 400 varietà di datteri e che le palme maschio fanno i fiori, mentre le palme femmina fanno i datteri grazie all’innesto nel periodo primaverile dell’impollinazione. Camminiamo un po’ all’ombra di un bosco di palme, scopriamo che durante l’impollinazione i rami secchi vengono tagliati per agevolare le palme, altrimenti in altri periodi lasciano che cadano da soli. La palma da dattero può essere riprodotta con la radice (tipo le piante grasse) se si vuole essere sicuri della stessa qualità di dattero. Oppure si può piantare il nocciolo, ma ovviamente non c’è la garanzia di avere la stessa qualità. Natura spettacolare. Ahmad ci porta fino a casa sua, dove sua sorella (identica a lui) e sua moglie ci fanno gli onori di casa e ci fanno accomodare in una grossa sala con divani bassi e ci offrono tè, pane buonissimo con sciroppo di datteri e un ciambellone, tutto fatto in casa. Conosciamo anche le bellissime figlie di Ahmad, molto educate, che danno bacetti a tutti gli invitati. Portano poi dei vestiti berberi e ci “mascherano”, per farci sfilare e farci sentire parte della famiglia. Viene da chiedersi come possano voler ospitare trenta cristiani per il tè pomeridiano e i pasticcini, quando noi come cultura ospitiamo sempre poche persone alla volta, ma forse è anche perché non abbiamo spazi così ampi in casa.
Torniamo al campeggio alle 18.30... e un’ora più tardi siamo già seduti a cena con il couscous preparato e gentilmente offerto da Ahmad e i suoi fratelli. Sarà meglio non fare tardi, visto che domani si parte alle 7 e io ho voglia di morire.


Martedì 25 ottobre – km 120308
da Aoufous a Fès (392 km)
Stamattina, con il sole ancora addormentato, usciamo dal campeggio di Ahmad per la tappa di trasferimento più lunga del viaggio, fino a Fès. Il buio ci accompagna per i primi venti chilometri, che Gino ovviamente percorre a manetta senza mai realizzare che ha una coda di sedici camper dietro di lui (puntualmente ci distacca di diversi minuti). Nel frattempo sorge il sole e scopre un paesaggio desertico molto variegato che ben ricorda i parchi americani, la strada serpeggia tra paesini di montagna, una diga di sbarramento in cui finalmente vediamo acqua e il Tunnel du Légionnaire dove passiamo alla spicciolata. Ci fermiamo per un’inutile pausa caffè dopo un’ora e mezza dalla partenza, e Ahmad ne approfitta per portarci il pane buonissimo che la sorella ha preparato per noi. Qui è abbastanza fresco, ma del resto la montagna è ancora completamente in ombra. Riprendiamo la marcia, e poco dopo mei pressi di Er-Rich siamo fermati dalla polizia che ci dice che, per via di lavori stradali, devono far brillare delle mine e dobbiamo attendere. Rassegnati a dover restare nel parcheggio adiacente al piccolo ospedale (dove ci siamo fermati) per lungo tempo, facciamo gasolio, giochiamo a burraco, laviamo e puliamo il camper, chiacchieriamo a più riprese. In realtà verso le 11 finalmente ci muoviamo di nuovo! Tanta è l’emozione di ripartire, che nonostante il fondale schifoso della N13 e le innumerevoli curve ci perdiamo la prima metà del serpentone. Li recupereremo solo dopo 50 chilometri. Ovviamente ci fermiamo per pranzo giusto mezz’ora per recuperare tutto il tempo perso (ovviamente non per colpa nostra), perché altrimenti secondo Gino arriviamo a Fes a mezzanotte. Dopo ore di viaggio, verso le 16.40, avvistiamo una zona commerciale con Decathlon, McDonald’s e finalmente un Marjane (ovvero l’equivalente marocchino del Mercadona!). Ci siamo, è il momento della spesa, quella vera! Ovviamente abbiamo appena tre quarti d’ora e facciamo un po’ di corse, ma prendiamo tutto quello che ci serve... tranne gli affettati, perché non sono affatto appetibili. In compenso, per stasera abbiamo rimediato il pollo arrosto, per la gioia di mamma!
Gino scalpita e parte per il campeggio, senza aspettare che il gruppo sia al completo, solo per percorrere i 3 km restanti. Un paio si perdono al supermercato e non sanno dove andare, quindi Gino torna indietro a prenderli. Tutto perché non poteva aspettare nel parcheggio del supermercato! Alla fine, comunque, riusciamo ad arrivare al campeggio Diamant Vert, che aveva chiuso per lavori e ha riaperto giusto in tempo per il nostro arrivo. Corrente approssimata, rete internet inesistente. Per il resto, tutto sommato per un paio di giorni non è affatto male.
La sera all’aperto si sta da dio!


Mercoledì 26 ottobre – km 120690
Fès

Stamattina alle 9 siamo pronti per iniziare la visita di Fès, una delle quattro città imperiali insieme a Rabat, Meknes e Marrakech, nonché capitale spirituale del Marocco e capitale “reale” fino al 1926, quando i francesi decisero di spostarla a Rabat. Il bus attraversa la Ville Nouvelle, una delle tre parti della città, quella che, come dice il nome, ha la costruzione più recente. La nostra visita parte dal Palazzo Reale, inaccessibile ovviamente, tranne che per le porte d’ingresso, molto belle e finemente decorate con in cinque elementi dell’architettura marocchina: marmo di Carrara, bronzo, gesso, mosaici in ceramica e legno di cedro. La Medina Al-Mellah, seconda parte della città nonché quartiere ebraico, parte da lì: si estende proprio ai piedi del Palazzo Reale, poiché la storia vuole che gli ebrei avessero la “protezione” del Sultano, in quanto orfani dei loro paesi e riprotetti in nuove zone dell’Africa. La nostra seconda tappa è la Torre Sud, da cui si ammira un bellissimo panorama dell’intera città, che ci fa davvero rendere conto di quanto sia immensa!
Subito dopo, non manchiamo una visita ad Art d’Argiles, una fabbrica di ceramiche e mosaici in cui vengono realizzati vasi, ciotole, tajine e molto altro, partendo dal mastro vasaio, passando per il creatore dei disegni geometrici sul pezzo asciugato, e donne che, con manualità estrema, li dipingono. Finalmente scendiamo verso la Medina vera e propria, il cuore dell’antica città di Fès, patrimonio UNESCO da ben 40 anni, che prende il nome di Fès el-Bali: al suo interno è racchiuso il mondo dell’artigianato. Ci addentriamo quindi con la nostra guida nel souk, diviso per settori e popolato di moschee, e ammiriamo molti angoli pur senza acquistare nulla. Fès è anche capitale culturale, con ben undici Madrase, i collegi coranici. Abbiamo modo di visitarne una, la Madrasa Attarine, scuola coranica fondata nel Trecento nella parte del souk dedicata alle spezie e i profumi, da cui prende il nome. Attraversiamo le vie dei tintori, dai cui soffitti in canne di bamboo pendono matasse di lane coloratissime, e per fare foto dobbiamo lasciare qualche dirham agli operai. Poco dopo ci avviciniamo a una zona all’apparenza particolarmente fatiscente, e alle narici inizia ad arrivare un odore pesante di pelle conciata. Prima ancora di rendercene conto, siamo circondati da edifici giallo paglierino dalle cui terrazze pendono pelli marroni e rosse stese ad asciugare come un bucato. La nostra guida ci mette quindi sotto al naso dei rametti di menta, sulle prime non capisco a cosa serva, finché non mi rendo conto che quell’aroma fresco è l’unico antidoto all’odore nauseabondo delle famose concerie di Fès. Ecco il primo odore che mi si imprime nella testa mentre saliamo le scale dei tanti negozi che qui vendono pellami, sormontati tutti da terrazze da cui si ammira lo spettacolo delle vasche ad alveolo: con i nostri rametti di menta nel naso ci affacciamo alla terrazza e scopriamo l’inferno fatto da persone con abiti sporchi e bagnati, in ammollo in vasche di liquido chiaro, con galosce consumate, che lavorano pelli di capra, mucca e cammello e le tingono poi con colori naturali. La “concia”, ovvero il processo di lavorazione della pelle, dura all’incirca 15 giorni: le pelli vengono pulite immergendole per 3 giorni in una miscela di urina bovina, calce, acqua e sale per staccare tutti i residui di grasso e peli degli animali; l’operazione prosegue in vasche contenenti guano per ammorbidire la pelle e ricevere il colore, e dopo l’asciugatura al sole si passa alla colorazione vera e propria, per la quale vengono usati colori provenienti da papavero, zafferano, henné, cedro, menta e indaco. Le concerie medievali di Fès sono uno dei luoghi più famosi (e instagrammati!) al mondo e vantano una tradizione secolare che vuol essere perpetrata nonostante sia un lavoro faticoso e poco salubre. Riprendiamo poco dopo la visita al souk, dove porte finemente lavorate con gessi e legno di cedro si aprono qua e là, nelle viuzze è un continuo di ”Balak, balak!”, ovvero “spostati”, di anziani che trasportano carretti e muli. Ma non solo: se credete che l’Alma Mater Studiorum di Bologna sia antica, non conoscete l’Università di Al-Qarawiyyn, che in arabo significa “degli abitanti di Qayrawan”: anch’essa infilata in un vicolo del souk a cui non si darebbe un centesimo, è stata fondata nel IX Secolo come moschea con annessa scuola ed è considerata la più antica università del mondo e persino inserita nel Guinnes dei primati: è stata fondata da una donna, Fatima al-Fihri, come ringraziamento alla città di Fès per aver accolto la sua famiglia emigrata dalla Tunisia. Lei e sua sorella utilizzarono l’eredità di famiglia per finanziare la costruzione di una moschea per la comunità con una scuola al suo interno: questa moschea divenne quindi un fulcro per l‘istruzione, con l’annessione di una biblioteca con più di 4000 volumi antichissimi. Inoltre, qui è stata conseguita la prima laurea al mondo in medicina. Continuando a girare nei vicoli di spezie e profumi, ci troviamo al cospetto della Madrasa di Al-Attarine, costruita nel XIV Secolo. I punti forti di questo piccolo centro di apprendimento religioso sono il cortile, i pavimenti e le pareti superbamente decorati con i motivi tradizionali dell’artigianato marinide: i sultani della dinastia Marinida, che governò il Marocco dal XIII al XV Secolo, erano conosciuti come mecenati appassionati di madrasa, i cui membri li aiutarono a promuovere gli insegnamenti sunniti durante i loro vari regni.
    

La Madrasa di al-Attarine, il cui nome significa “la madrasa dei profumieri”, prende il nome dalla sua posizione all’ingresso dello storico mercato delle spezie e dei profumi a Fès. Ma a differenza del souk confinante, la Madrasa di Al-Attarine è un luogo di insolita calma. C’è un cortile rettangolare squisitamente decorato che si apre su una sala di preghiera quadrata. Intorno ci sono alloggi per studenti, stanze semplici che contrastano fortemente con il cortile arcuato e la sala di preghiera, che rappresentano l’attrazione principale per i turisti in visita. Il cortile è uno dei migliori esempi di artigianato marinide a Fès. Le pareti sono decorate in stucco scolpito, sezioni di calligrafia araba e intricate tessere di mosaico zellige che formano motivi geometrici colorati. Dal pavimento si innalzano colonne di marmo con archi e cornici in legno finemente intagliati, la cui delicatezza e dettaglio quasi sfidano la credenza. Anche il pavimento è coperto di piastrelle, sebbene molto più semplici di quelle che decorano le pareti, i cui motivi geometrici sono considerati troppo sacri per essere calpestati. Davvero elaborata!
Finalmente si pranza in un bel ristorante caratteristico e mangiamo polpettine kofta, simili alle nostre ma piccolissime e ben speziate, contornate da antipasti sfiziosi di riso, melograno, patate e carote. A seguire, visita al negozio di seta di agave, visita all’erboristeria... e perdiamo un sacco di tempo che avremmo potuto investire diversamente. La giornata è praticamente finita, torniamo al campeggio che sono quasi e 18 e ci dedichiamo a doccia e bucato, aspettando che il sole cali del tutto su questa giornata bollente e l’aria rinfreschi.


Giovedì 27 ottobre – km 120690
Fés
Stamattina ci svegliamo con calma, tanto siamo praticamente bloccati in campeggio. Tra la gente che prende il taxi per andare al centro commerciale o tornare alla Medina, optiamo per uscire con il camper di Gianfranco e Lorena, almeno abbiamo l’autonomia di decidere quando andare e quando tornare, e decidiamo di passare un paio d’ore a Borj Fès, centro commerciale a 8 km dal campeggio: facciamo un giro per negozi dal sapore europeo, ci prendiamo un caffè al bar (dove il ragazzo non conosce il caffè d’orzo!) e facciamo pranzo da Pizza Hut, compriamo altre due fregnacce al Carrefour e torniamo in campeggio per le 15. Niente da segnalare: il pomeriggio scorre lentamente tra bucato, pulizia, doccia e burraco dei miei con i vicini di camper!


Venerdì 28 ottobre – km 120690
Da Fès a Meknes (67 km)
Stamattina partiamo alle 8, anche se la maggior parte dei camper è pronta già dalle 7.40 dopo i dovuti carichi e scarichi. Con una quarantina di chilometri di autostrada e mezz’ora persa a girare nel centro di Meknes, finalmente arriviamo al parcheggio del Mausoleo Moulay Ismail, sotto le mura. Meknes è una delle quattro città imperiali, l’ultima tra quelle da visitare, protetta da una tripla cinta di mura. Lo spazio è un po’ angusto, passiamo sotto le porte del primo muro di cinta e anche il parcheggio non è bellissimo, ma è super comodo per la visita della medina e sorvegliato, dato che resteremo qui stanotte. La mattinata scorre pigra e priva di senso, anche perché essendo venerdì (giorno di festa) il souk è praticamente chiuso. La nota più interessante è stata l’incantatore di serpenti in Piazza, un omino piccolo e canuto a cui non daremmo un dirham... e invece alla fine gliene diamo una ventina in tutto e ci fa scattare foto, finché non mi piazza un serpentello a mo’ di sciarpa attorno al collo!  Meno male che il dopo pranzo si riscatta con Sahid, la nostra guida che conosce tantissime cose: ci spiega infatti la struttura delle città imperiali e quella caotica ma iper organizzata della Medina araba, a partire dal centro rappresentato dalla Moschea, fino ad allargarsi verso l’uscita del labirinto: prima gli orafi e i profumi, verso l’uscita i calzolai e i falegnami, ovvero quelli che fanno più rumore. Insomma, se si seguono alcune regole, uscire dalla Medina sembrerebbe pure un gioco da ragazzi! Ci racconta del suo paese con un buon italiano e dimostra di avere davvero una testa quadra e notevoli competenze di economia, politica e storiografia, nonché di biologia, la sua materia universitaria. Andiamo poi con i calessini a visitare granai e stalle del Palazzo Reale, che però sono chiusi per restauro. Il giro con il calesse è comunque molto divertente, io orfana di posto all’interno degli abitacoli (poiché sono tutti da 4 posti) salgo davanti al posto di guida con Majid, il nostro cocchiere. Tornati indietro, visitiamo il Mausoleo Moulay Ismail che stamattina era chiuso. Contenente le spoglie del sultano da cui prende il nome, questo mausoleo è un tempio accessibile anche a chi non è di religione musulmana. Si trova praticamente a pochissimi passi dal nostro parcheggio di fortuna, quindi estremamente comodo, e vi si accede dalla imponente porta Bab Mansour. Venne eretto quando il sultano era ancora in vita, e tuttora è assidua la venerazione per lui, che nonostante fosse un sultano dispotico, viene ricordato per le sue conquiste: scacciò infatti gli spagnoli da Larache e gli inglesi da Tangeri e fu un custode dell'islamismo più ortodosso, che formò le basi delle leggi della dinastia alawide. L'interno del mausoleo è protetto da due bei cortili ed è decorato con ceramiche zellige e stucchi elaborati, senza essere un'opera particolarmente fastosa, e solo i musulmani possono arrivare alla parte più interna del santuario ove si trova il sarcofago.
Ripassiamo poi da Aziz, simpatico commerciante che nel suo negozietto vende qualsiasi tipo di ceramica a ottimi prezzi, tanto che spendiamo tutti i nostri averi in souvenirs, conosciamo i suoi figli, barattiamo 4 cammelli e soprattutto gli mandiamo gli altri del gruppo, facendogli fare ottimi affari e facendoli noi! Finalmente abbiamo avuto tempo per guardare, comprare, contrattare. Aziz, felice, ci invita a casa sua per il couscous “quando torniamo in Marocco, Inch’Allah”, e per noi è stata una bella giornata di conoscenze e chiacchiere con i locali. Il babbo poi, grazie alla sua predilezione per i cantieri, incontra il capocantiere che supervisiona il progetto di restauro degli spazi pubblici e della pavimentazione della piazza e si intrattiene in una piacevole conversazione. Non sappiamo bene in che lingua.
Forse, a posteriori, l’unica cosa che davvero in questo viaggio ci è mancata è stata proprio la possibilità di interfacciarci di più con questa realtà, poiché siamo sempre andati a saltelli e di corsa. L’avremmo apprezzata di più.
Con il giusto tempo, avremmo apprezzato di più qualsiasi cosa.


Sabato 29 ottobre – km 120757
Da Meknes a Chefchaouen (201 km)
Stamattina alle 8 lasciamo l’infelice parcheggio di Meknes dove abbiamo stazionato per la notte (che comunque è passata tranquillissima) e percorriamo i 30 chilometri che ci separano dal sito archeologico romano di Volubilis, risalente al III Secolo a.C. Lungo la strada, il nostro CB aggancia un altro gruppo di camperisti italiani che stanno viaggiando con Il Tropico del Camper e parcheggiano poi nello stesso nostro spiazzale, sotto al sito archeologico. Così, in un attimo, siamo trenta camper! Saliamo in fretta al sito, e ci becchiamo un'ennesima pessima performance di Gino che sbraita con quella che avrebbe dovuto essere la nostra guida e che alla fine si ritrova a fare la guida al gruppo del Tropico del Camper... e da noi arriva un tizio che tutto sembra meno che qualificato. Volubilis è un sito archeologico romano, abitato fin dall'epoca neolitica e venne occupato anche dai Cartaginesi. Era la più occidentale tra le città del Nord Africa ed era una città punica. Nell'anno '42 Claudio annetté all'impero romano la provincia della Mauritania, una sequela di deserti e monti, con poche oasi di terra fertile, che si stendevano dai confini della Numidia fino a Tangeri. Sembrava una terra piuttosto avara ed inospitale ma gli straordinari ingegneri romani, ricalcando e allargando una pista punica e prolungandola gradualmente a ovest fino a Tangeri e a sud fino a Rabat, edificarono una strada costiera che andava dall'Atlantico al Nilo, per una lunghezza continua di circa 4500 km... un'opera colossale!
  Attraverso questa strada transitavano gli eserciti ma anche i carri che producevano rifornimenti e commerci, che davano vita e lavoro e mezzi di sostentamento ai villaggi. Trasformata poi in provincia romana, sebbene molto lontana dal mare ma ben collegata da questa strada costiera, divenne una delle principali città e residenza dei procuratori che governavano la regione per conto dell'imperatore. Volubilis visse il suo apogeo nel II e III secolo d.c. grazie al commercio dell'olio: una casa su quattro infatti era dotata di un frantoio per le olive, di una macina per il grano che producevano ormai essi stessi e diverse gabbie con dentro gli animali selvaggi. Le immense possibilità di commercio per tutto l'impero romano la fecero ricca, anche perché divenne fonte delle belve da far combattere nei circhi romani. Volubilis venne abbellita di monumenti, come il Campidoglio e l'Arco di Trionfo. Anche se a un certo punto l'acquedotto che alimentava la città cessò di funzionare, le iscrizioni superstiti attestano che verso la metà del VII Secolo ci fu ancora una civiltà latina e cristiana che perdurò fino all'arrivo degli arabi che ne decretarono la fine. Il declino di Volubilis iniziò con il regno di Mulay Isma'il nel Seicento, il quale utilizzò i marmi della città per abbellire i palazzi di Meknès. Nel 1755 un terremoto la rase al suolo. Solo nel XIX Secolo furono avviati gli scavi per recuperare gli antichi resti. Ovviamente, niente a che vedere con gli splendidi siti archeologici di cui l'Italia è piena, ma di certo fa strano pensare come un luogo tanto lontano da Roma sia stato raggiunto dall'Impero Romano oltre duemila anni fa. Camminiamo ovunque in secoli di storia. Riprendiamo la marcia sunna N4 verso Chefchaouen, che dista circa 160 chilometri, ammirando un bel paesaggio benché il fondo stradale faccia schifo. Ci fermiamo a fare gasolio e raschiamo il fondo dei nostri dirham, ci avanzano circa 50,00 € e vedremo se cambiare altri soldi alla città blu o andare avanti con i nostri pochi soldini, da poveracci.
Ci fermiamo per pranzo lungo la strada e, nei pressi della famosa città blu, a pochi chilometri dal campeggio, finalmente accostiamo per fare le foto dal belvedere da cui si ammirano le case bianche e blu (che il panorama non renda giustizia alla Medina, lo scopriremo solo domani!). Pochi chilometri dopo, raggiungiamo il Camping Asilan, a circa un chilometro a piedi da Bab El-Mahrouk, una delle porte d’accesso alla Medina blu di Chefchaouen. Parte del gruppo scende verso le 17 con Ahmad e il nostro diversamente organizzatore, ma noi optiamo per pianificare una bella visita per intero domani.

Domenica 30 ottobre – km 120958
Chefchaouen
Stamattina ce la prendiamo comoda, tanto saremo autonomi nelle visite a Chefchaouen in queste 48 ore. Il campeggio dista circa un chilometro da Bab Mahrouk, una delle porte di accesso alla Medina: prenoto un taxi per i miei che li porta in centro con 25 dirham (dati gli acciacchi di entrambi in questi ultimi giorni), mentre io scendo con Gianfranco e Lorena. Appena varchiamo l’arco d’ingresso, un dedalo di viuzze dalle mille sfumature di azzurro si aprono davanti a noi.
Dicono sia la città più bella del Marocco. Di sicuro è la città resa più popolare dalle foto. Prima di arrivare mi sono chiesta molte volte se fosse davvero bella come la vedevo su Instagram e su Internet. Ogni volta mi sono chiesta se fosse davvero così "blu" o se fosse la saturazione tanto cara ai filtri fotografici. E ora lo posso dire. Chefchaouen è esattamente così, tutta dipinta di blu. Le case, le fontane, le porte, le strade. Tante tonalità diverse, ma tutte di blu. La città blu del Marocco è talmente bella da sembrare un sogno, non può non piacere. Anche chi è venuto qui temendo di trovare una città molto turistica e sopravvalutata, assai meno interessante di quanto la sua fama non faccia credere, ha finito per innamorarsene perdutamente. E soprattutto, poiché fino a poche decine di anni fa era vietata ai turisti, ha conservato quel suo fascino magico nonostante l'afflusso sempre più massiccio di gente. È davvero una delle città più belle del Marocco. Situata ai piedi delle aspre montagne del Rif è una cascata di case dalle pareti blu armonicamente inserite in un meraviglioso paesaggio naturale. Uno spettacolo per gli occhi... e per la fotocamera! In ogni angolo si trova uno scorcio ideale per uno scatto mozzafiato o lo sfondo perfetto per le stories, ma anche per perdersi pacificamente. Perché tanto la Medina è circolare, e se non si esce da una delle porte principali, prima o poi si torna al punto di partenza. Girovagare senza meta tra le famose viuzze della medina fiancheggiate da case dipinte di blu è un’emozione che non potevo davvero negarmi.
  Nonostante la fama di Chefchaouen sia aumentata in maniera proporzionale alle quantità di foto e video pubblicati soprattutto sui social, la Perla Blu del Marocco rimane una città tutto sommato tranquilla, rilassata e pittoresca. Quindi turistica sì, ma ancora un mondo a sé rispetto al caos delle città imperiali. Le teorie sul perché le case di Chefchaouen sono blu sono tante e fantasiose. Questa insolita pittura fa assomigliare questa città a Jùzcar, la città andalusa dei Puffi. Alcuni sostengono che siano state dipinte di blu dagli ebrei in fuga dall’Inquisizione Spagnola nel XV Secolo (o secondo altre teorie in fuga dalla Germania nazista), poiché il blu è il colore del paradiso. Secondo altri, le case sono state dipinte per tenere lontane le zanzare: per qualche motivo, sembrerebbe che il blu funge da repellente per questi insetti, che magari altrimenti invaderebbero la cittadina. Parlando con i locali, si scopre che Chefchaouen è blu a causa del sole: molto semplicemente, la città è dipinta con questo colore per alleviare il riflesso accecante del sole sulle pareti bianche delle case. Forse, a causa della sua posizione incastonata nella vallata delle montagne del Rif, il sole la colpisce in modo particolare da creare un riflesso insopportabile. Il che sembrerebbe essere un'ipotesi realistica: anche nei vicoli, infatti, se penetra un raggio di sole, il suo riverbero è quasi doloroso sugli occhi Ma forse anche questa è solo un’invenzione, un’ipotesi tramandata di padre in figlio senza un’origine definita se non nella mente di qualche investigatore in erba. Probabilmente il vero motivo non lo sapremo mai, ma forse neanche ci interessa, ormai il blu di Chefchaouen è diventato molto più di un’iniziativa religiosa o di un rimedio popolare, è un simbolo della città stessa, che la identifica e la rende famosa in tutto il mondo.


Lunedì 31 ottobre – km km 120958
Chefchaouen
Anche oggi facciamo un giro mattutino alla Medina, e la notiamo molto meno caotica di ieri, complice anche il fatto che sia lunedì. Inaspettatamente scopriamo degli scorci nuovi, nuove viuzze e nuove tonalità di azzurro. Le dimensioni contenute di Chefchaouen la rendono perfetta per una gita di una giornata, ma averla fatta in due giorni è indubbiamente meglio!
Fotografiamo qualsiasi angolo blu, compriamo il pane, e per l’ora di pranzo siamo di nuovo al camper. Un bel piatto di spaghetti al basilico, con un cielo velato che toglie un po’ di caldo umido, e poi ci si dedica ad attività varie. Chiacchiere, bische di burraco, aggiornamento del diario di viaggio.
L’avventura sta per concludersi, domani pomeriggio saremo di nuovo in Spagna.
Tutto sommato, questo viaggio ci ha debilitati tutti. Chi ha problemi di intestino, chi ha problemi alle vie respiratorie. Mucose irritate e naso chiuso, aria che secca gli occhi e la bocca, tosse. Poteva andare peggio, ma poteva anche andare meglio!

Martedì 1 novembre – km 120958
Da Chefchaouen a San Diego (166 km)
Stamattina partiamo alle 9 in direzione Tangeri per l’imbarco pomeridiano. Riusciamo a perderci nelle strette vie di Chefhaouen a cinquanta metri fuori dal campeggio, sempre perché ammiocugGino corre e ci semina in fretta. Andiamo a occhio nei vicoli e a occhio lungo la strada, finché riusciamo a ricompattarci proprio fuori dalla città, scoprendo che lui, avendo preso per sbaglio un’altra strada, ha dovuto fare inversione di marcia mentre noi siamo arrivati prima di lui. Arriviamo al porto a mezzogiorno, le pratiche d’imbarco portano via due ore buone tra scanner, documenti, controlli eccetera, quindi alla fine, non aspettiamo molto e riusciamo a mangiucchiare qualcosa mentre siamo in fila in attesa della nave. Ovviamente non partiamo prima delle 16, anche al ritorno (come all’andata!) un’ora di ritardo sulla prevista partenza. Va da sé che non arriviamo ad Algeciras prima delle 18, e tra morti e feriti non siamo operativi prima delle 18.30. Raggiungiamo la Salida 112 e arriviamo all’agenzia di viaggi Viajes Normandie con cui Gino ha fatto i biglietti per la traversata a/r per il Marocco. Le recensioni sono ottime, peccato che con Gino come intermediario ci siamo trovati malissimo, perché dopo il pagamento di 320,00 € per la traversata pretendeva altri 100,00 € per la terza persona (da simulazione di costo, fatta più volte da noi su internet, il prezzo per 3 persone + camper era 321,00 €). Innanzitutto, essendo loro cliente da molti anni, nessuno ha osato pestargli i piedi, comunque la tipa dell’agenzia ci dice che il costo totale è quello sul biglietto, con un totale coperto con il bianchetto e timbri sopra per nascondere le magagne. Sta di fatto che siamo stati bellamente truffati da un vecchio che non è più in grado di fare il suo lavoro e ci ha fatto spendere un capitale, facendoci fare peraltro una barca di chilometri inutili in tutto il viaggio. Morale: noi non paghiamo un soldo in più, perché l’agenzia dice che comunque ha i conti sistemati, mentre Gino ci accusa addirittura di avergli dato 280,00 € per la traversata anziché 320,00. Quanta povertà in una persona sola, un omuncolo che non merita davvero risposta. A quel punto ce ne andiamo lasciandolo lì, torniamo al parcheggio dove nel frattempo sono arrivati gli altri, salutiamo e ce ne andiamo per la nostra strada, con Gianfranco e Lorena incazzati quasi quanto noi per la truffa subita. Ci fermiamo rapidamente al Carrefour e poi arriviamo all’area Cala Sardina Parking, nei pressi di San Diego. Sembrerebbe la California, ma è solo la Spagna, l’agognata Spagna! Mangiamo qualcosina e poi, finalmente, ci sentiamo liberi!


Mercoledì 2 novembre – km 121124
da San Diego a Tabernas (396 km)
Stamattina, con il sole che sorge in mezzo alla foschia, ce la prendiamo davvero comoda. Finalmente abbandonato lo stress di Gino, e sono già le 9 quando decidiamo di muoverci verso Benalmadena, per vedere il Castillo de Colomares, che all’andata (il mese scorso scendendo verso Algeciras) era chiuso essendo lunedì. La litoranea scopre diverse spiagge molto belle, il sole ci accompagnerà praticamente per tutto il giorno, nonostante la temperatura sia ben diversa da quella percepita fino a ieri. Arriviamo in città, e scendendo verso il monumento rivediamo le file di villette appoggiate alle scogliere, esattamente come un mese fa. Il sito è aperto e c’è già qualcuno; biglietto intero 3,00 €, ridotto “vecchietti” 2,00 €. Costa talmente poco che converrebbe pure partirci da casa per venire a visitarlo! Ma cos'è esattamente? Si tratta di un castello-monumento il cui scopo è quello di raccontare i fatti storici della scoperta dell'America, e fu ovviamente costruito in memoria di Cristoforo Colombo dall'architetto Esteban Martín alla fine degli anni Ottanta.
I materiali usati sono mattoni semplici, in pietra naturale o cemento. Martín aveva una vasta conoscenza della storia e dell'architettura, quindi pensò anche di combinare diversi stili protagonisci della Spagna in generale. Per questo motivo, sebbene l'idea fosse un po' azzardata, non esitò a combinare elementi bizantini, romanici, gotici e anche mudéjar. Già dal primo sguardo è impossibile non notarli! Oltre a incorporare questi elementi, questo monumento ha anche una pagoda cinese, dal momento che, inizialmente, Colombo voleva raggiungere l'Asia. E non è tutto: il Castello di Colomares ospita addirittura una piccolissima chiesa dedicata a Santa Elisabetta d'Ungheria e venne iscritta nel Guinness dei Primati proprio per le sue misure ridottissime (meno di 2 metri quadrati!) che le hanno conferito la dicitura di chiesa più piccola del mondo! Nel complesso, un bel modo di spezzare il viaggio di ritorno. Ci fermiamo poi poco più avanti presso un Mercadona per una spesa più consistente e in un parcheggio per fare pranzo, da cui ripartiamo prima delle 15 per il Tabernas e il suo deserto, famoso per essere l’unico deserto nel continente europeo, nonché location di diversi film western del nostro Sergio Leone. I 250 chilometri pomeridiani si sentono tutti, e arriviamo un po’ lunghi sull’orario previsto, quindi nel frattempo si fa buio. Il Camping Fort Bravo viene skippato a piè pari e ci ritroviamo in stradine di campagna poco più che mulattiere grazie ai nostri navigatori di merda, quindi facciamo dietro front. Al nostro arrivo, purtroppo, è già chiuso con una bella cancellata che lascia poco spazio alle speranze. Decidiamo quindi di andare più avanti, ci fermiamo nei pressi di un bel pub, la Route 66 Tabernas, per sapere se possiamo parcheggiare lì per la notte, ignari del fatto che subito sul retro c’è una bella (e gigantesca!) area camper in costruzione! La ragazza, olandese, ci fa strada e ci chiede solo 5,00 € per la notte, perché i bagni non sono agibili, dal momento che sono nuovissimi e non hanno ancora messo a punto l’impianto idrico. Una location perfetta per la notte, economica e tranquilla. Dormiremo divinamente.
Soprattutto per la conquistata libertà.


Giovedì 3 novembre – km 121520
da Tabernas a Damius (430 km)

Dopo una bella notte fresca, stamattina ci svegliamo sotto un cielo un po’ nuvoloso. Facciamo carico e scarico con estrema calma (l’acqua riempie il serbatoio davvero in fretta!) e ci dirigiamo verso Fort Bravo. I nostri compagni di viaggio entrano per visitare il sito, famoso per essere set cinematografico di diversi film western e spettacoli a tema, e ci diamo appuntamento per l’ora di pranzo, mentre noi ce ne andiamo a zonzo a scattare un po’ di foto al paesaggio. Tento anche una fantastica prova di guida su strada, anche se in realtà è un camino de servicio e non passa nessuno, ma raggiungo anche il paese di Tabernas, giusto per prendere confidenza con il mezzo. Poi mettiamo gasolio e torniamo al piazzale dove ci siamo dati appuntamento. Dopo pranzo, ci spariamo 350 chilometri tutti insieme per raggiungere un’area sosta a Damius, vicino Gandia. Purtroppo però è piena e ci tocca ripiegare sul Camping L’Aventura, suggerito dal signore che lavora all’area sosta. Tutto sommato è una buona scelta, economica perché bassa stagione (spendiamo 10,00 € senza elettricità), il posto è decisamente molto carino e la serata trascorre placida.

Venerdì 4 novembre – km 121950
da Damius a Barcellona (471 km)
Ecco finalmente la mattina dell’ultimo giorno: sarà una lunga tappa di trasferimento fino al porto di Barcellona, intervallata da gasolio, ultima spesa e un disperato tentativo di trovare un ristorante che fa paella, magari lungo la costa. A tal proposito, ci fermiamo a Peñíscola, sghignazzante località balneare
che pullula di tedeschi e olandesi in questo periodo dell’anno. C’è un’ampia zona di parcheggio nella traversa parallela al lungomare, ci sono anche un paio di grossi campeggi pieni. Peccato non poterci fermare troppo, e quindi andiamo dritti verso il Restaurante Casa Pepe, trovato per caso sulle mappe, scelto per comodità e mancanza di alternative (nel raggio di poche centinaia di metri sembra essere l’unico aperto). Si rivela una splendida scoperta! Gianfranco, Lorena e Vergara optano per la paella mista, mentre io e il babbo andiamo di fideuà, mai assaggiata prima: si tratta di una versione “pasta” della paella, in cui l’ingrediente principale non è il riso, ma appunto i fideus, tipo dei capellini tagliati. Pesce fresco e antipasto compreso nel prezzo. Il personale è gentile, il titolare è un omone grosso e sorridente che alla fine del pasto ci offre anche un chupito di liquore alle erbe. Alla fine ce la caviamo cono una ventina di euro a testa e siamo felici. Ce ne andiamo al Mercadona poco distante per gli ultimi acquisti di cose buone, tipo le Marias al cioccolato, il queso con tre latti diversi a un prezzo super competitivo e il jamon serrano. Riprendiamo la marcia verso Barcellona, e passiamo gli ultimi duecento chilometri con paurose raffiche di vento che fanno sbandare il camper, e il nostro peggiore incubo (quello sul ritardo della nave causa mare mosso) si concretizza sempre più. Con il sole che declina, raggiungiamo la Colonia Guell e ci fermiamo un paio d’ore per sistemare le ultime cose, e verso le 21 ce ne andiamo lentamente giù al porto.
Ci imbarchiamo alle 23.
La nave salpa all’1 di notte e sarà una traversata infinita.

Sabato 5 novembre – km 122421
Da Civitavecchia a Vitorchiano (65 km)
Dopo 23 ore di nave sotto costa per evitare il vento forte e il mare mosso, finalmente attracchiamo a Civitavecchia. La giornata è stata indicibilmente lunga, Gianfranco con una tosse da lupo, io con i problemi di stomaco, mamma con l’occhio arrossato. Diciamo che il viaggio, in generale, ha messo a dura prova tutti.
Sbarchiamo solo a mezzanotte e siamo stravolti, peraltro ci hanno infilati in fondo alla nave (noi al garage 3 e Gianfranco al garage 5, nemmeno sullo stesso piano!) perché siamo saliti tra i primi e dobbiamo aspettare che tutti i camion facciano manovra ed escano.
Quando arriviamo alla solita area di sosta di Vitorchiano è già l’1 di notte.

Domenica 6 novembre – km 122486
da Vitorchiano a Morico (163 km)
Stamattina, contrariamente a quanto questo viaggio ci ha abituati, alle 7 è giorno fatto. E la notte è stata gelida. Gianfranco e Lorena ci salutano, purtroppo, abbastanza presto perché hanno passato una notte insonne. Noi, ancora in pigiama e frastornati, realizziamo che questa è davvero la fine del viaggio. Ci rimettiamo in marcia poco dopo, e arriviamo a casa prima di pranzo. Tirando quasi un sospiro di sollievo. Le nostre aspettative in generale sono state di gran lunga deluse, purtroppo a causa della disorganizzazione e della negligenza di quello che sarebbe dovuto essere il nostro coordinatore. Il viaggio sarebbe potuto essere più breve, abbiamo avuto tempi morti infiniti e decisamente noiosi, ma non c'è dubbio che il Marocco sia un luogo affascinante, colmo di tradizioni, profumi e colori. Abbiamo capito molte cose questo luogo del mondo, in primis che i marocchini sono terribilmente ospitali e cortesi, e poi che è un posto molto più sicuro rispetto a ciò che, magari, potevamo immaginare. Il divario abissale tra città e zone rurali è difficile da comprendere, ci sono persone che vivono vicine a centri commerciali di stampo europeo e altre che non sono mai uscite dalla loro casa nel deserto. E ci chiediamo se, in qualche modo, queste due facce opposte della stessa medaglia si incontreranno mai a metà strada.

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