Da casa a Castepletroso (338 km)
Ci siamo: dopo un anno intero di stop, finalmente siamo pronti a ripartire per un viaggio in camper! Quest’anno è stato molto particolare, di certo nessuno si sarebbe mai immaginato di non poter organizzare neanche una piccola uscita primaverile. Del resto, l’estate è off limits perché il lavoro non mi permette ferie lunghe, perciò il nostro modo di ritrovarci, io e i miei super genitori, è sempre lo stesso: viaggi in camper in primavera o autunno. Peraltro, sono ben due anni che non metto piede sul nostro Arca, dato che lo scorso settembre abbiamo noleggiato un Ford negli Stati Uniti e la primavera precedente, essendo già a lavoro, mi sono persa l’Andalusia!
Imbocchiamo quindi l’autostrada e ci fermiamo da qualche parte in Abruzzo per il pranzo. Pianificando l’itinerario, ci balza all’occhio che siamo nei pressi di Roccascalegna e dell’omonima famosa fortezza medievale del XI Secolo, arroccata su uno spuntone di roccia che domina il borgo.
Riprendiamo la marcia e raggiungiamo, con una bellissima luna piena che sorge, Castelpetroso. Per l’esattezza, saliamo lungo una stradina circondata da boscaglia che porta al Santuario della Santissima Addolorata, una basilica in stile neogotico che ricorda, molto in piccolo, il Parlamento di Budapest (non a caso, quest’ultimo è una delle massime rappresentazioni del neogotico in Europa), ma con i tetti turchesi (verde rame, direi) anziché rosso porpora. E’ già illuminata quando ci fermiamo nel parcheggio adiacente (gratuito e consentito ai camper) e scendiamo per qualche foto in semi-notturna.
Il freddo è pungente e si infila nelle ossa (siamo a cica 800 metri sul livello del mare, ma molto nell’entroterra... praticamente a metà tra una costa e l’altra), quindi il giro è estremamente breve. Ci penseremo domani!
Giovedì 01 ottobre – km 107128
Da Castelpetroso a Matera (337 km)
Stamattina, dopo il gatto che ha iniziato a passeggiare alle 5.30 del mattino, siamo risvegliati dallo scampanaccio del santuario alle 6.45, una condanna! Per il resto, la notte è trascorsa abbastanza tranquilla.
Facciamo un giro mattutino del santuario, per ammirarlo sotto una luce nuova (non prima di aver fatto sgambare Mercurio con i dovuti problemi del caso!) ed entriamo: la struttura è essenziale, colonne larghe e lavorate con capitelli a sorreggere le volte.
Ci si aspetterebbe, forse, un interno più “carico”, mentre invece è molto semplice, privo di orpelli tipici del neogotico. Girarci attorno alla luce del sole, comunque, è un piacere per gli occhi!
Per stasera ci fermiamo, e domani torniamo in città.
Venerdì 02 ottobre - Km 107465
da Matera a Fardella (141 km)
Anche stamattina ci svegliamo all’alba, ma la nostra navetta per il centro di Matera (a/r incluso nella tariffa della sosta notturna) non parte prima delle 9.15. Sono molto cordiali da queste parti: le due sorelle che gestiscono l’area camper ci omaggiano anche di una pagnotta “di benvenuto” e sono molto gentili. Il babbo compra un pezzo di formaggio materano dall’omino che vende i caciocavalli con l’apetta e il direttore dell’area sosta, il signor Michele, è ormai un pensionato ma molto attento alle richieste e ai bisogni dei camperisti: si vede, insomma, che il suo lavoro lo fa con passione.
Lascio i miei per dedicarmi ad un paio di attività alternative con la scusa di gironzolare nei sassi: la ricerca delle altre installazioni di Salvador Dalì (la prima, l’Elefante Trampoliere, troneggia da un lato all’inizio di Via San Biagio) ed il Ponte Tibetano sul fiume Gravina, che collega le due sponde della Gola della Gravina nel Parco Nazionale delle Murge Materane.
La città infatti, che fino ai primi anni Cinquanta era equamente divisa tra i Sassi ed il piano, cioè la dorsale corrispondente all'attuale centro cittadino che corre lungo tutto il ciglio dei Sassi, a partire dal 1952, cominciò ad espandersi nei nuovi quartieri dopo l’approvazione della legge di sfollamento dei Sassi. Percorro Via Madonna delle Virtù (dove incontro l’installazione del famoso orologio “molle” basato sul quadro “La persistenza della Memoria” di Dalì) fino all’imbocco del sentiero che passa nel Parco Nazionale delle Murge Materane, giù nella gola scavata dal fiume Gravina dove si trova il Ponte Tibetano sospeso, che mette sostanzialmente in comunicazione i due fianchi della gola.
Mi ricorda la città di Cuenca (in Spagna), vista da qui.
Questo ponte andava fatto, ma ammetto che il senso di vertigine mi spezza le gambe, anche se l’altezza non era eccessiva! Risalgo dallo stesso lato dissestato dal quale sono scesa e riprendo il mio cammino. A causa del contingentamento per il covid, perdo la visita alla Casa Cava e la prossima è alle 12:30, ma non farei in tempo poiché ho la navetta alle 13:00.
Raggiungo i miei alla fermata del bus, e poco dopo arriva la navetta a riportarci all’area sosta. Sgambatella per Mercurio prima di pranzo e anche dopo. Il sole però è cocente nonostante l’arietta, quindi preferiamo non farlo accaldare più del dovuto. Lasciamo l'area di sosta pronti a proseguire la nostra marcia, estremamente soddisfatti del trattamento ricevuto e della giornata che stiamo trascorrendo, dell'ospitalità di questa gente, del calore dei loro modi e della loro estate che non vuole finire. Prima di lasciarci completamente Matera alle spalle, un'ultima scappatella al belvedere in cima alla strada di Contrada Murgia Timone, dal quale Matera si scorge dall’altro lato, quello meno comune, di Via Madonna delle Virtù.
Le case diroccate e franate danno però un senso di angoscia, come vedere i danni del terremoto, e obiettivamente ci lasciano un po’ di magone, quindi ci allontaniamo.
Lungo la strada che ci porta alla nostra meta ultima, ci fermiamo all’Eurospin per un mini rifornimento, ed è già buio quando raggiungiamo l’area di sosta camper di Fardella, nome che a noi fa tantissima simpatia. Soprattutto, ieri abbiamo chiamato casualmente il proprietario, Gennarino, con il numero trovato su internet e ci è sembrato talmente cortese che non potevamo non fermarci. Come volevasi dimostrare, appena parcheggiamo si palesa con una vaschetta di uva fragola e fichi bianchi come “benvenuto”. Qualche minuto di chiacchiere, poi si congeda e ci lascia alla nostra stanchezza.
Sabato 03 ottobre – km 107606
da Fardella a Paola (184 km)

Il caldo è indescrivibile ma non mi faccio mancare due passi lungo la ripida scalinata che porta al belvedere sull’Arcomagno e sul suo splendido mare turchese. Gli speroni rocciosi e le loro fessure dividono minuscole calette di sassi grigi e sabbiolina: qualcuno fa il bagno e qualcuno, seppur nuvoloso, se ne sta steso sul telo da mare a godersi gli ultimi raggi d’estate.
Tra l’altro, le calette di San Nicola Arcella sembrerebbero essere tra le più belle e selvagge della Calabria: direi che siamo stati fortunati, dunque!
Una ventina di chilometri più a sud, ci fermiamo un’oretta sul lungomare di Diamante, con le sue caratteristiche viuzze con prodotti tipici calabresi, peperoncini appesi ai balconi e soprattutto murales e disegni sui muri in ogni dove.
Si congeda, voltandosi un paio di volte ad augurarci buona serata e a ripeterci che, qualsiasi cosa ci serva, basta fare un fischio. Nell’area sosta non c’è nessuno, ma siamo tranquilli.
Peccato il caldo torrido che non ci dà tregua fino a tarda serata. I miei si schiaffano davanti al ventilatore, Mercurio boccheggia e lecca cubetti di ghiaccio.
Io mi rinfresco con una doccia.
Stanotte si dorme con le finestre aperte.
da Paola a Scilla (226 km)
Dopo una notte abbastanza calda, finalmente poco prima dell’alba l’aria inizia a rinfrescare. Ci svegliamo di buon’ora come sempre, e finalmente riusciamo a vedere l’area camper: non è enorme, c’è odore di fichi e di mare, un albero è praticamente dietro al nostro camper e a dieci metri c’è un minuscolo sottopasso che porta direttamente alla spiaggia rocciosa.
Le onde si infrangono potenti e lasciano una bruma sottile nella foschia del mattino, il cielo è velato ma la temperatura va aumentando. Io e Vergara ne approfittiamo per lavare i capelli ed utilizzare la piastra, mentre il babbo porta Mercurio a sgambare fuori. Dopo un rapido carico/scarico, ci intratteniamo qualche minuto in chiacchiere con Massimiliano, venuto a salutarci con un mazzetto di peperoncini pronti da utilizzare nella pasta o sulle bruschette. La cordialità di questa gente è impagabile, sono pieni di cuore e davvero disponibili. Alla fine, per la notte abbiamo speso € 15,00 (compresa elettricità, acqua ed utilizzo delle docce) e ne è valsa davvero la pena.
La leggenda vuole che il fondatore di questa loca
lità sia stato Ercole quando, di ritorno dalle Colonne d'Ercole (attuale Gibilterra), si fermò sulle coste del Sud Italia. Nelle zone limitrofe sono state rinvenute tombe di origine magno-greca.
E, per fortuna, il caldo è meno torrido di ieri!
da Scilla a Milazzo (72 km)
Stamattina, dopo una notte passata con il prurito di non so quali insetti di cui l’area camper è funestata (e abbiamo pure pagato gli stessi 15,00 € di Matera e di Massimiliano, con un quarto della qualità e della cortesia!), ci svegliamo di buon’ora. Mentre il babbo fa sgambare Mercurio, io e Vergara ci dedichiamo alla pulizia camper. Il tempo non promette nulla, pesanti nuvole coprono il cielo e la bruma fa il cappello alle montagne. Però, indubbiamente, l’area sosta con la luce del giorno ha una vista stupenda, un bellissimo panorama sul Tirreno e, finalmente, stamattina vediamo la costa della Sicilia!
Svuotiamo la cassetta wc e poi ritorniamo 4 km verso Scilla per un breve tour. Lungo la strada Nazionale appare un bel divieto di accesso ai camper, quindi ci fermiamo un attimo e scendo a chiedere al punto turistico (segnalato, ma rimediato in un hotel!) se ci sia un posto per parcheggiare un bestione un paio d’ore, forte anche del fatto che in bassa stagione siamo sempre agevolati. Il tipo alla reception, con marcato accento calabrese, mi fa un gesto come a dire di non preoccuparmi, e mi spiega: “Figurati, parcheggiate pure dove volete, siamo in bassa stagione!” si avvicina ed abbassa la voce “Questi cartelli li mettono per l’estate, perché c’è tanta gente... ma adesso chi ci viene!”
Martedì, 06 ottobre – km 108088
da Milazzo a Cefalù (164 km)
Stamattina ripartiamo in direzione Tindari ed il suo Santuario. Il cielo, seppur, nuvoloso, lascia intravedere qualche timido raggio di sole mentre costeggiamo il mare e ci infiliamo nelle viuzze che si avvitano lungo le rocce. Arriviamo con estrema calma verso le 9:45, riusciamo a parcheggiare sotto alla chiesa (elevata a Basilica Minore nel 2018 da Papa Francesco) e ci avviamo a piedi. Appena fuori dal parcheggio, conosciamo Nunziatina, con il suo piccolo negozietto di specialità artigianali siciliane, che non manca di offrirci uno sproposito di dolcetti di pasta di mandorle. Ci fa assaggiare frutta secca e bergamotto disidratato, troppo buoni per dire di no, quindi ci ripromettiamo di acquistare qualcosa al ritorno.
Riprendiamo la marcia verso Capo d’Orlando, dove ci fermiamo per il pranzo in un parcheggio vista mare di fronte ad un ristorante. Subito dopo, un breve tour al Laghetto di Capo d’Orlando (praticamente a 100 metri), minuscolo specchio d’acqua formatosi probabilmente in una depressione del terreno ed alimentato da falde acquifere sotterranee dolci e salate.
Poi raggiungo il belvedere del Monte della Madonna attraverso una scaletta che trovo nel parcheggio (a senso, mi rendo conto che può tornare utile come scorciatoia, l’unico inconveniente è passare dentro un boschetto di poche decine di metri). Salgo lungo una grossa scalinata in pietra che ripercorre le tappe della Via Crucis, e in cima trovo i ruderi del castello dei XII Secolo e il piccolo santuario, che dominano la città ed il golfo da cui, se fosse più limpido, si vedrebbero nitidamente le Eolie.
Decidiamo di restare qui e non cercare oltre... non fosse altro che per la fatica fatta per arrivarci!
Mercoledì 07 ottobre – km 108252
da Cefalù a Palermo (91 km)
Stamattina lasciamo 1,00 € l’ora al parcheggio della stazione (fino alle 12:15) ed andiamo in avanscoperta.
Dopo il castello, un blitz alla Chiesa Madre di San Giorgio Martire, che deve la sua dedicazione ai normanni posti sotto la protezione del santo guerriero a ricordo della vittoria sui Saraceni riportata nei pressi di Cerami nel 1090. Negli anni 1477 - 1480 la costruzione venne ingrandita ed arricchita di numerose opere d'arte, espressione del rinascimento siciliano, grazie alla munificenza ed al governo delle casate aragonesi. L’interno è maestoso e luminosissimo: l'impianto è a croce latina si articola in tre navate divise da colonne monolitiche in pietra locale che sorreggono arcate a tutto sesto. I dipinti delle volte e delle lunette laterali sono stati eseguiti solo secoli dopo (a metà del Secolo scorso per l’esattezza, ed è evidente lo stacco di stile), così come le decorazioni della volta e delle pareti in stile impero. Il pavimento della Chiesa lastricato con marmi grigi, neri e rosati di Carrara, è stato rifatto ed ha sostituito quello preesistente in mattonelle di maiolica. Nel complesso, molto bella.
Domattina la sveglia suonerà presto!
Giovedì 08 ottobre – km 108343
Palermo (circa 13 km a piedi!)
Buono a sapersi, insomma.
Lascio di nuovo il mio gruppo di “vecchietti” e vado rapida verso Piazza Villena (più nota come Quattro Canti), snodo cruciale nel centro storico di Palermo. L'architettura è molto semplice, rappresenta un perfetto ottagono formato da quattro edifici alternati da sbocchi viari. I famosi “Quattro Canti” sono le quattro facciate decorative che delimitano lo spazio dell'incrocio.
Torno indietro a Quattro Canti, e ritrovo per caso i miei e gli altri in Piazza Bellini, davanti alle chiese di San Cataldo e Santa Maria dell’Ammiraglio, conosciuta come “La Martorana”, che nasconde al suo interno un tesoro bizantino: l’armonica fusione di stili artistici che caratterizza le decorazioni della chiesa è una testimonianza delle diverse popolazioni che hanno vissuto e governato in Sicilia nel corso dei secoli.
Esco soddisfatta da questa chiesa (il cui ingresso costa solo 2,00 € e li vale tutti!) e proseguo il mio tour. Raggiungo la Chiesa di Sant’Anna (chiusa), passo rapidamente dentro il mercato di Vucciria, ma mi fa sentire a disagio il fatto che nelle viuzze attorno alla piazzetta centrale non ci sia quasi nessuno (in compenso, un forte odore di pescheria e frutta marcia).
Sono ai bordi del quartiere arabo di Kalsa, che poi è gran parte del centro di Palermo, ed incontro Porta Sant’Agata, edificata in periodo normanno, che prende il nome dalla limitrofa Chiesa di Sant'Agata la Pedata. Costituisce una delle più antiche testimonianze della cinta muraria medievale: a parte un recente restauro all’inizio degli anni Ottanta, non vi è traccia di modifiche o trasformazioni nel corso dei secoli. Insomma, mille anni e non sentirli.
Più avanti continuo su Via Torino e poi su Via Magione per una decina di minuti, ne approfitto per entrare nella Chiesa di Santa Maria dello Spasimo, l’incompiuta, utilizzata attualmente per spettacoli musicali (la navata centrale è infatti occupata da file di sedie e l’altare è adibito a piccolo palco).
“A Palermo nel cuore del centro c'è un'antica focacceria
Davanti alla Chiesa di San Francesco, si ritrovano sempre lì
Seduti al tavolo che fu di Sciascia a bere Heineken e caffè
Sono la banda del sogno interrotto di una Sicilia che non c'è”
In ogni caso, molto buoni: ho modo di verificarlo sotto la Chiesa di San Francesco Saverio, dove finalmente riesco a sedermi dopo ore che giro come una trottola. Peccato non aver calcolato bene le dimensioni del pranzo, e così mi ritrovo due arancine sullo stomaco fino a sera. Sperando di smaltire, mi sposto per raggiungere il Ponte dell’Ammiraglio, percorrendo un paio di chilometri, nell’unico momento in cui il sole è a picco senza una nuvola in cielo!
E' uno dei più insigni edifici medievali di Palermo e uno dei monumenti-simbolo della città, costruito in epoca normanna sotto il regno di Ruggero II, ma radicalmente restaurata a fine Ottocento. Presenta una pianta a croce e una volumetria compatta e regolare, quasi cubica, e comprende anche un bellissimo chiostro a pianta quadrata, costituito da una sequenza continua di arcate a volta che poggiano su colonnine doppie.
Rientro al camper poco dopo i miei, con un discreto mal di piedi (le ballerine non sono state proprio la scelta più azzeccata per pestare l’asfalto su e giù tutto il giorno!), ma una grossa soddisfazione per aver strizzato tutto ciò che volevo vedere in una giornata.
Venerdì 09 ottobre – km 108343
da Palermo a Terrasini (46 km)
La visita a Palermo prosegue con l’ultimo tassello: il Palazzo Reale (meglio noto come Palazzo dei Normanni) e la Cappella Palatina . Entro le 9 siamo già alla biglietteria (tralasciando che il gatto mi ha svegliata prima delle 5 e mi porterò dietro il mal di testa per tutto il giorno). Lo “sconto vecchietti” (over 65) porta ad un risparmio di ben 3,50 € sul totale del biglietto, che io pago ovviamente per intero (18,00 €).
Attualmente sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, questa monumentale residenza è la più visitata di tutta la Sicilia ed iscritta nella solita lista di patrimoni Unesco “Palermo arabo-normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale”.
Non vale, secondo noi, il costo elevato del biglietto.
Usciti dal Palazzo dei Normanni, optiamo per la comoda soluzione autobus che in mezz’oretta ci porta a Monreale. Il n.389 passa a Via Indipendenza, praticamente di fronte alla residenza reale. Alle 11.20 siamo in bus, e prima di mezzogiorno siamo già in Piazza Vittorio Emanuele, davanti ai giardini e alla fontana ma, soprattutto, davanti alla facciata laterale del Duomo. Detto anche Basilica Cattedrale di Santa Maria la Nuova, fu costruito nel XII Secolo da Guglielmo II sui fianchi scoscesi del Monte Caputo a dominare tutta la Conca d’Oro. Guglielmo II è passato alla storia con il soprannome “il Buono”.
Questa fama fu costituita dalla meravigliosa costruzione architettonica del Duomo di Monreale, che porta con sé una leggenda. Pare che re Guglielmo II fosse devotissimo alla Madonna e che ella gli volle fare un miracolo. Infatti un giorno mentre era a caccia a Monreale, stanco dalle fatiche si addormentò sotto un albero di carrubo. Nel sonno gli apparve la Madonna che gli disse: “Nello stesso posto dove stai dormendo c’è nascosto un grande tesoro: scava e quando lo trovi costruisci in questo stesso luogo un tempio“; detto questo la Madonna scomparve. Il re, svegliatosi ed impressionato dal sogno, chiamò i suoi uomini e ordinò di sradicare il carrubo. Fatta una buca profonda apparve veramente il tesoro, tanto che il re stesso rimase sbalordito. Fece perciò chiamare i migliori architetti, i più esperti muratori e i più bravi mosaicisti (“i mastri di l’oru”) e subito si diede inizio ai lavori realizzando così una meraviglia architettonica: il Duomo di Monreale. I Siciliani furono entusiasti dell’eccezionale bellezza del Duomo di Monreale, tanto da promuovere ad “imperatore” il buon re Guglielmo.
Ora, la Cattedrale riaprirà alle 14.15, quindi giusto qualche foto e con un briefing di ricognizione decidiamo di fermarci per pranzo in un ristorantino lì in piazza. Involtini di melanzane, due chiacchiere e spaghetti alla Norma, decisamente buoni per essere una cosetta da menù turistico.
Dopo pranzo, con calma, arriviamo alla biglietteria. Il nostro tour parte dal chiostro (il biglietto d’ingresso costa 6,00 €), molto particolare.
“Il meraviglioso Chiostro di Monreale suggerisce alla mente una tale sensazione di grazia che ci si vorrebbe restare quasi per sempre… e chi non l’ha visto non può immaginare cosa sia l’armonia di un colonnato... meravigliano lo sguardo, e poi lo affascinano, lo incantano, vi generano quella gioia artistica che le cose d’un gusto assoluto fanno penetrare nell’anima attraverso gli occhi.”
Ricorda molto l’Alhambra di Granada, nonostante sia una costruzione prettamente romanica. Nell’angolo sud-ovest c’è “un chiostro nel chiostro” (il Chiostrino), anch’esso a pianta quadrata con gli stessi archi a sesto acuto che si trovano tutti attorno al chiostro principale. Al centro, la Fontana del Re con la sua vasca rotonda dalla quale si innalza una colonna riccamente intagliata a forma di fusto di palma stilizzato.
Sabato 10 ottobre – km 108309
da Terrasini a Segesta (208 km)
Dopo una nottata un po’ insonne, la mattina inizia comunque presto. Faccio due passi lungo la costa, poi dopo la prima delle dieci sgambate giornaliere di Mercurio, facciamo un blitz all’Eurospin e ripartiamo. Tralasciamo il navigatore che ci porta a fratte lungo una stradina che definire aberrante è poco: stretta, sconnessa ma soprattutto piena di rifiuti, praticamente una discarica a cielo aperto. Giù per il dirupo c’è pure una macchina che avrà 40 anni “sospesa” su una roccia, senza ruote ed arrugginita. Con estremo rammarico, ci tocca ammettere che la Sicilia profonda si svela ai nostri occhi come la Grecia, che fuori dalle zone turistiche è purtroppo sporca e abbandonata a se stessa.
Pochi chilometri dopo, arriviamo alla piccola “Barcellona palermitana”. Si tratta di Borgo Parrini, minuscola contrada di 20 abitanti che attira turisti e curiosi provenienti da ogni parte della Sicilia, e non solo. Negli ultimi anni è stata sapientemente ristrutturata e rivalorizzata dai residenti, secondo uno stile artistico che ricorda Gaudì: per me, che adoro Gaudì e Barcellona, questo angolino è amore a prima vista! La storia di questo borgo inizia nel Cinquecento con l’ordine dei Gesuiti di Palermo, che acquistarono alcuni terreni agricoli nella zona di Partinico (proprio da qui nasce il nome “Parrini” che significa appunto preti) e si stabilirono qui costruendo inoltre alcune strutture, comprese abitazioni per coloni e braccianti ed una chiesetta.
Ammetto che, essendo sensibile all’argomento terremoto, mi viene il magone mentre cammino nelle vie, accanto a questi blocchi di detriti e cemento compattati, pensando alle vite strappate. Ciò che questo architetto ha fatto è stato riportare in vita una città, e restituirla alla memoria con un profondo atto d’amore, un omaggio “monumentale” a chi a Gibellina viveva: Burri ricopre le rovine della cittadina siciliana con una sorta di grande sudario in cemento, sulla mappa della vecchia città. I vicoli bianchi che oggi percorriamo, simili a delle profonde ferite del terreno, sono gli stessi del centro storico del paese prima del terremoto.
Ripartiamo con una deviazione dalla SP119 (su cui sembra presente un’interruzione della viabilità)... e ci ritroviamo lungo una mulattiera sterrata in mezzo alla campagna, così campagna che nell’ordine incontriamo:
- viti a perdita d’occhio
- un gregge di pecore
- un trattore
- calanchi sulla carreggiata
Il percorso sembra più un rally che una semplice trasferta, ma alla fine riusciamo a raggiungere la meta! Arriviamo nella zona del sito archeologico di Segesta, optiamo per il parcheggio poco distante dalla biglietteria e decidiamo il da farsi. Peccato che il sito sia già chiuso per orario invernale (dalle nostre fonti, risultava aperto fino alle 19:30, mentre invece chiude alle 17:30), quindi ci perdiamo in chiacchiere con vista Tempio (la parte principale dell’intera area archeologica visibile dal parcheggio!) e decidiamo di riprendere la marcia domani. Dopo cena, il buio ci regala una buona stellata con inclusa una bozza di via lattea e, ovviamente, il Tempio di Segesta illuminato.
da Segesta a Erice (128 km)
Ammetto che il colore del mare in questo punto è davvero trasparente, c’è gente in spiaggia e anche a fare il bagno mentre io cammino con il sole in faccia e l’arietta che mi rinfresca. Attraverso tutta la baia e finalmente, all’altro lato, la foto d’insieme all’acqua e al promontorio (“lo capo”) che dà il nome a questa rinomata località turistica.
La nostra ultima tappa è la Grotta Mangiapane, un antico insediamento preistorico e un geosito speleologico, che raggiungiamo attraverso una stradina quasi totalmente asfaltata ma molto stretta nell’ultimo chilometro. Un tratto sterrato porta invece proprio al parcheggio a fianco all’ingresso.
Si tratta, appunto, di un presepe vivente in cui rivivono le tradizioni contadine e artigianali di quel territorio, e che coinvolge tutti gli abitanti del paese, creando peraltro un'atmosfera decisamente suggestiva. Davvero molto particolare ed originale, tra l’altro la golden hour rende magnificamente dorate le rocce e le casette in pietra, ognuna dedicata ad un mestiere (dal fabbro al barbiere, dall’impagliatore di sedie al bottaio, dal decoratore di carretti siciliani, al “puparo”), mentre diversi animali razzolano allegri nell’ara.
Curiosità: nella grotta è stato girato l'episodio "Il ladro di merendine" della serie televisiva Il commissario Montalbano... anche se, ad essere sinceri, qualsiasi luogo siciliano è stato preso come riferimento cinematografico per la fortunata serie con Luca Zingaretti (non potrebbe essere altrimenti!). Altro dettaglio non trascurabile: il sito è ad offerta libera, perciò si prevede un contributo all’uscita. Non siamo spilorci: per quanto piccolino sia, è molto ben curato ed interessante, quindi qualche euro a testa li vale tutti. Meglio questo dei 5,00 € del parcheggio di stamattina a Scopello!
Tira vento, quindi meglio non alzare la parabola della tv.
Internet non prende quasi per niente.
Mai una gioia.
Lunedì 12 ottobre – km 108645
da Erice a Marsala (43 km)
La mattinata è molto fredda, perciò inauguro la felpona per un tour mattutino di Erice.
Poco più avanti ci fermiamo al Museo del Sale delle Saline di Nubia , i miei si lanciano nella visita guidata ed io resto a fare foto ai dintorni. Ripartiamo con il sole già basso sull’orizzonte, pochi chilometri ancora ed arriviamo a Marsala, davanti alle saline omonime, nell’area di parcheggio di “Oro Bianco”, un piccolo bar/bazar a bordo strada. SI avvicina quello che probabilmente è il titolare: “Dovete pernottare?” ci chiede, con marcato accento trapanese. Rispondiamo di sì, toglie la catenella all’ingresso e ci lascia entrare. L’area di parcheggio è gratuita, ci aiuta con la manovra e ci chiede che tipo di ripieno vogliamo nei cornetti domani mattina per la colazione. A questo punto pensiamo che la colazione ci costerà venti euro! Prima di cena e dopo cena, sgambatina con Mercurio fuori, al freddo e al vento, finché la pioggia non ci costringe a rientrare.
da Marsala a Selinunte (90 km)
Ancora qualche foto alle saline, illuminate da un sole che cerca di farsi spazio tra le nuvole spostate dal vento freddo, e poi ripartiamo verso Mazara del Vallo.

Mercurio sgamba felice (sempre al guinzaglio!) e tenta la socializzazione con gli altri gatti del campeggio, la serata termina sistemando le foto della giornata... con i capelli lavati e la pioggia fuori.
14 ottobre – km 108778
da Selinunte a San Leone (107 km)
Tolto il Tempio di Hera, infatti (del resto è l’angolo più fotografato dell’intero sito), il resto sono sassi che sembrano ammucchiati con la ruspa, senza alcun senso. Plance descrittive estremamente sommarie per non dire inesistenti, erbacce alte in ogni dove, senza contare la scortesia del personale alla biglietteria.
Complimenti per aver distrutto un sito di valore inestimabile.
Un po’ delusi, dopo la visita ce ne andiamo verso la costa e raggiungiamo la famosa Scala dei Turchi per l’ora di pranzo. Parcheggiamo nei pressi del Belvedere della Scala dei Turchi, in un’area a 5,00 € per le prime 4 ore. E’ anche fornita di docce e wc, all’occorrenza (a pagamento).
da San Leone a Caltagirone (152 km)
La Valle dei Templi quindi è fondamentalmente un’immensa città, con i resti di ben undici templi, tre santuari, una grande concentrazione di necropoli ed opere idrauliche come il Giardino della Kolymbetra, fortificazioni; parte di un quartiere ellenistico romano costruito su pianta greca, l’Agorà inferiore e l’Agorà superiore. Il sito è molto grande, noi ci accontentiamo della prima parte, quella più ricca di templi.
Qualche centinaio di metri oltre, costeggiando la necropoli paleocristiana tra mandorli ed ulivi, arriviamo al Tempio della Concordia, il cui nome deriva da un'iscrizione latina ritrovata nelle vicinanze dello stesso tempio, costruito anch'esso nel V secolo a.C. Attualmente è con ogni probabilità quello meglio conservato, grazie anche al fatto che fu trasformato in tempio cristiano e consacrato nel VI secolo d.C. Da qualche anno è anche uno dei templi più fotografati del sito per la presenza di una gigantesca statua mozza in bronzo di Icaro, coricata nel terreno a lato.
Proseguo il mio tour superando Villa Aurea, fatta erigere dal generale dell’esercito inglese Alexander Hardcastle negli anni Trenta all’interno di quello che sarebbe poi diventato il sito archeologico, e parte delle fondamenta inglobano la necropoli paleocristiana. Subito dopo trovo il Tempio di Ercole, il cui culto era molto importante nell'antica Akragas. Si tratta di una delle costruzioni più antiche, fu distrutto da un terremoto ed oggi restano in piedi otto colonne. Il Tempio di Zeus Olimpio, edificato invece dopo la vittoria sui Cartaginesi per onorare Zeus, era il tempio più grande di tutto l'occidente antico e unico nell'architettura del suo genere. Era caratterizzato dalla presenza dei telamoni, immense sculture alte otto metri, raffigurazioni di Atlante che sorregge la volta celeste. Ovviamente, di questi ne sono rimasti un paio “affettati” e stesi sul terreno, ma pur sempre affascinanti.
Inizia a piovigginare, ormai sono qui da quasi tre ore, perciò mi incammino di nuovo verso l’ingresso. Prima di mezzogiorno ripartiamo e all’ora di pranzo attraversiamo il famoso Canicattì (spesso nominato per essere un posto molto dimenticato da Dio in mezzo alla Sicilia!): ci fermiamo da Lidl per il pane, approfittandone per mangiare qualcosa.
Arriviamo nei pressi di Piazza Armerina intorno alle 15:30, più precisamente alla Villa romana del Casale, a circa 4 chilometri.
Noi, un po’ perplessi, ringraziamo (se fossimo un fumetto giapponese avremmo una goccia che scende dalla testa) e proseguiamo.
La serata finisce con assaggi di zibibbo e marsala!
Venerdì 16 ottobre – km 109037
da Caltagirone a Ragusa (152 km)
Dopo il caffè, partiamo alla scoperta di questa cittadina: gli operatori ecologici, molto cortesi, ci spiegano la strada più breve per arrivare in centro e ci dicono che il parcheggio è tranquillo e che ci saranno loro fino quasi a mezzogiorno, pertanto butteranno eventualmente anche un occhio ai camper. Saliamo una prima breve scalinata e ci infiliamo in un vicolo terribilmente fatiscente. Interessanti comunque le targhe dei monumenti, interamente realizzate in ceramica dipinta a mano, come quella del Palazzo dell’Aquila, sulla Piazza del Municipio. A brevissima distanza, la Basilica di San Giuliano, dall’aria più rinascimentale e barocca rispetto alle città fatte finora (del resto stiamo scendendo nel Ragusano, ovvero in quella parte di Sicilia che più si avvicina alla mia idea di architettura!).
Arrivo alla Basilica di San Giacomo, purtroppo chiusa, e scendo fino ai Giardini Pubblici. Il centro storico si gira bene, i punti di interesse sono abbastanza concentrati ma la pavimentazione è un po’ dissestata. La parte più bella comunque è quella dei Giardini Pubblici: una prima parte è ricca di vegetazione, tra cui spiccano palme e alcune specie di aloe.
Attraversando la parte alberata si arriva ad un grosso piazzale con un gazebo rivestito in ceramica colorata, estremamente fotogenico, e una bellissima fontana con piccole aiuolette rivestite in ceramica (anche se andrebbero un po’ sistemate)… e ci nuotano anche un paio di oche!
Sabato 17 ottobre – km 109105
da Ragusa a Marina di Ragusa (68 km)
Stamattina, con una bella aria fresca, andiamo alla scoperta di Ragusa, o meglio, Ragusa “nuova”. Lascio i miei alla fermata del bus a Piazza della Repubblica, subito sopra il nostro parcheggio, ed imbocco la lunga scalinata che mi porta fino alla Chiesa di Santa Maria alle Scale dopo circa 400 gradini!
Decisamente la parte nuova di Ragusa è meno “monumentale” del borgo antico, ma la conformazione stessa della città è davvero molto interessante: è appoggiata alla roccia, scivola giù dall’alto verso il basso, e nella parte alta ci sono ponti storici su una stretta vallata. Per raggiungere Ragusa Ibla ci sono sei tornanti che scendono, e per raggiungere Ragusa nuova ce ne sono altri cinque o sei che risalgono. Va da sé che i punti panoramici sono molteplici… e mozzafiato.
La prima costruzione del castello sembra dovuta ai Chiaramonte, conti di Modica nel XIV Secolo.. Nel XV Secolo potrebbe essere stata una delle residenze di tal Bernardo Cabrera, all'epoca gran giustiziere del Regno di Sicilia, ma bisogna comunque tenere presente che i dati precedenti al Settecento riguardanti il castello sono solo il frutto della leggenda quattrocentesca, quindi privi di riscontro storico. Il feudo fu acquistato nel 1648 dal barone di Serre, che ne fece una masseria fortificata. Nel corso del tempo si trasformò in una casina neoclassica e in castello neogotico, ma la maggior parte della costruzione si deve al discendente, il barone Corrado Arezzo, eclettico uomo di studi e politico che ne modificò la struttura nell’Ottocento. Dopo anni di incuria ed abbandono, nel 1982 venne acquistato dal Comune di Ragusa che, dopo lunghi lavori di restauro, lo ha reso nuovamente fruibile. Il biglietto d’ingresso costa 6,00 € (la metà per gli over 65), gli interni sono curati, non pacchiani, ma soprattutto i miei occhi apprezzano molto gli accostamenti cromatici (quasi sempre armonici).
Una bella terrazza illuminata dal sole circonda il castello su due lati, e a lato del giardino con grossi alberi c’è un piccolo labirinto in pietra, in cui tentiamo di addentrarci ma, onde evitare di perderci, non restiamo a lungo!
Con il sole che tramonta arriviamo a Marina di Ragusa e ci fermiamo presso l’area di sosta “Il Carrubo”, un bel piazzale pulito e molto ordinato, con carico e scarico ed eventuale allaccio elettrico. Il gestore è gentilissimo, sorridente e cortese, e noi siamo tranquilli perché la libera il weekend, memori della scorsa settimana, è abbastanza rischiosa dal punto di vista dei rumori molesti!
Sabato 18 ottobre – km 109157
da Marina di Ragusa a Modica (52 km)
Oggi la giornata si preannuncia tiepida e soleggiata. Dopo le operazioni di carico/scarico salutiamo i gentilissimi gestori e ci spostiamo a Scicli, comune ragusano di venticinquemila anime, parte dei patrimoni dell’umanità della Val di Noto, dove riusciamo a parcheggiare nei pressi di un Istituto Comprensorio in Via Vasco de Gama, all’incrocio con Corso Umberto I.
In fondo alla via, l’Antica Farmacia Cartia e la Chiesa di San Michele Arcangelo. Passiamo davanti al Palazzo Beneventano infilandoci nei vicoli color ocra adornati da piante e raggiungiamo la Chiesa Madre di Sant’Ignazio di Loyola. Ultima tappa, la Chiesa di San Bartolomeo, altro esempio di tardo-barocco con un interno a tre navate più neoclassico, con stucchi dipinti e molto armonico nella scelta dei colori (tra l’altro gli interni sono stati “ripuliti” una quindicina di anni fa, quindi i colori sono estremamente brillanti).
Lascio poi i miei e raggiungo il caratteristico Chiafura, un antico quartiere interamente scavato nella roccia. Anticamente l'area era adibita a necropoli, fu progressivamente trasformata in abitato trogloditico nel periodo attorno all’VIII Secolo d.C. ed occupata praticamente fino agli anni Cinquanta, in stile materano insomma. Il sito, diventato oggi un parco archeologico, è visitabile nell’ambito del circuito “La via dei Tesori” (monumenti aperti con un piccolo contributo alcuni weekend l’anno). Ne approfitto dunque per vedere, al costo di 3,00 € con visita guidata (tra l’altro la nostra guida è una ragazza graziosissima e molto simpatica), alcune delle 78 case-grotta, per capire un po' la vita in questi tuguri. Pare che riuscisseroa a stiparsi anche 10 persone e un paio di asini in uno spazio di 20 metri quadrati... e non stento acredere che le condizioni igieniche fossero disastrose.
Recupero i miei a pochi passi dal camper e ripartiamo.
Dieci chilometri più tardi, dopo aver guidato lungo alcuni tornanti che scoprono il belvedere su Scicli, siamo a Modica. Abbiamo selezionato un parcheggio di fronte alla CRAI, in Piazzale Falcone e Borsellino, vicino all’Hotel Principe d’Aragona, che rimane abbastanza comodo e a breve distanza dal centro storico. Iniziamo il tour dalla Chiesa di San Pietro, bella sia all’esterno che all’interno, e poco più avanti la Chiesa di Santa Maria del Soccorso.
Abbandono i miei che salgono sul trenino turistico e mi infilo in un negozio per fare scorta di cioccolato modicano.
E’ posto in cima ad una pittoresca scalinata di 260 gradini su più ripiani (simile alla scalinata di Trinità dei Monti), adornata di bouganvilles, dalla quale si scopre un bel panorama sulla città. Scendo la lunga scalinata un gradino alla volta, come per assaporarla, poi mi volto ancora, faccio cinquanta foto. Mi perdo nei vicoletti bianchi e ripeto a me stessa che adoro questa architettura. Risalgo Corso Umberto I e mi infilo in alcuni vicoletti per ammirare la città sull’altro lato, finché non ritrovo i miei nei pressi del camper che non è ancora buio. Per la notte ci spostiamo invece nel parcheggio adiacente alla stazione (un po’ più defilato rispetto al precedente) anche se non sarà la scelta migliore dato un discreto viavai… almeno fino a mezzanotte!
Lunedì 19 ottobre - Km 109198
da Modica a Marzamemi (41 km)
Oggi giornata dedicata alla costa e alle piccole soste per ammirare il mare, sperando che il tempo ci assista. Lasciamo quindi il parcheggio (che stanotte dopo una certa ora si è calmato!) in direzione Mediterraneo, non prima di aver fatto rifornimento al supermercato. Prima tappa Fornace Penna in Contrada Pisciotto, poco distante da Pozzallo.
Si tratta di una vecchia fornace dell’Ottocento, costruita in posizione strategica vicino al mare per favorire l’arrivo delle merci e vicino ad un corso d’acqua che all’epoca era abbondante. Fu abbandonata negli anni Venti, dopo che un incendio la danneggiò irrimediabilmente: da allora, da un secolo, la natura si è ripresa ciò che le apparteneva, rendendo il vecchio edificio estremamente suggestivo.
Tra l’altro, la pietra con cui è costruito appare luminosa, non è rimasta traccia del fumo, e ricorda molto le cattedrali diroccate che abbiamo visto durante il nostro viaggio in UK, infatti la chiamano “la cattedrale sul mare”. Abbiamo anche il privilegio di vedere lo yacht di un famoso magnate russo (che ha pochi soldi!) ormeggiato a largo della costa: da lontano sembra già enorme, un tipo che sta facendo delle foto presso la fornace mi racconta che si vede spesso da queste parti e che è un bolide di circa 350 milioni di euro. Poracci insomma. Seconda tappa, Punta di Ciriga, lungo la SP67, poco oltre Pozzallo. L’imbocco è proprio a bordo strada, un po’ nascosto e si sale a piedi poiché è stretto e dissestato, con grosse buche (sono comunque poche decine di metri). Camper quindi parcheggiato a bordo strada, qualche secondo e sono praticamente in cima a questa piccola scogliera di arenaria, che scopre un’acqua dalle mille sfumature. Sentierini sabbiosi in mezzo ad arbusti aridi mi accompagnano per un centinaio di metri mentre ammiro l’incontro di cielo e mare in una linea sottile all’orizzonte, e meno male che il sole illumina prepotentemente questo ocra splendido: mi ricorda quasi l’Algarve.
Dopo cena ancora due passi fuori per qualche scatto in notturna, ma l’aria è decisamente freddissima, quindi rientriamo abbastanza in fretta.
Martedì 20 ottobre – km 109293
da Marzamemi a Siracusa (84 km)
Subito di fronte troviamo l’isolotto di Vendicari e spostando lo sguardo ecco i resti dell’Antica Tonnara, affascinante sito di archeologia industriale che domina l’intero litorale, contornato dalle antiche case dei pescatori.
Prima di mezzogiorno siamo a Noto, capitale del barocco. Parcheggiamo presso un’ampia area di sosta gratuita in Via Tommaso Fazello, praticamente una sorta di circonvallazione attorno al nucleo storico. Poche centinaia di metri e, dopo aver superato Palazzo Castelluccio, siamo praticamente in centro, seguendo Via Cavour. La prima cosa degna di nota che vediamo, oltre le transenne per un film in costume che stanno girando all’interno dell’edificio, è la bella piazza su cui si affacciano i maggiori capolavori barocchi.

Riprendiamo poi a camminare sperando di digerire. Lungo Corso Vittorio Emanuele troviamo anche la Chiesa di San Francesco d’Assisi ed una piazzetta con una graziosa fontana. Il sole illumina gli edifici in pietra mentre raggiungiamo la Porta Ferdinandea (o Porta Reale), simbolo dell’ingresso alla città ed inaugurata nel 1841, in occasione della venuta di Ferdinando II di Borbone, sovrano dell’allora Regno delle Due Sicilie.
Torniamo al camper, ci spostiamo poco dopo le 16 e facciamo una piccola capatina ad Avola e anzi: troviamo anche un ampio parcheggio proprio di fronte alla tonnara diroccata, di fronte al molo. Il tempo di beccarci qualche minuto di sole in mezzo alle nuvole e di rumore del mare, e ripartiamo. Con il sole già basso sull’orizzonte arriviamo a Siracusa. Mentre cerchiamo un parcheggio tra le nostre alternative, valutiamo HippoCamper, dove però il gestore si pone in modo estremamente scortese, come se ci stesse facendo un favore, senza contare che ogni elettricità, navetta ma soprattutto docce hanno un costo aggiuntivo (e non è che il costo della sosta sia regalato, considerando anche gli spazi!). Quasi per caso telefoniamo al signor Claudio, dell’area sosta Claud Car, che per noi che siamo in 3 costa 20,00 € a notte. Docce calde ed elettricità incluse nel prezzo, più eventuale servizio navetta a/r per il centro a 2,50 € a persona. Arriviamo e ci conosciamo di persona. E’ un tipo gentile e disponibile, molto “imprenditore”, che si dedica alla sua area sosta con cuore ed idee. Decidiamo, quindi, di restare un paio di giorni almeno, e ci posizioniamo sotto una verandona con alcuni posti camper. Mai scelta fu più azzeccata: siamo vicini ai bagni e, soprattutto, il camper resterà fresco per tutto il tempo!
Mercoledì 21 ottobre – km 109377
Siracusa e Isola di Ortigia (by night)
Verso le 18 usciamo di nuovo per un tour all’Isola di Ortigia by night, che visiteremo poi meglio domani in giornata. Arriviamo con il tramonto, che tinge il cielo di rosa mentre si appoggia sull’acqua del porticciolo, e pian piano si fa buio. Si accendono le luci dei ristorantini che mantengono un tono soffuso dentro le viuzze, mentre arriviamo davanti alla Fontana di Diana e, poco più avanti, alla meravigliosa Piazza Duomo, ampia e circondata da edifici barocchi che si specchiano sulla pavimentazione di marmo.
Tra scaricare le foto, pappa a Mercurio e due chiacchiere, mezzanotte arriva fin troppo in fretta!
Giovedì 22 ottobre – km 109377
da Siracusa a Catania (84 km)
Oggi torniamo all’Isola di Ortigia per una nuova visita con la luce del giorno. Sicuramente di sera ha il suo fascino, e c’è anche meno gente, ma con una bella giornata soleggiata del genere è bellissimo costeggiare il mare.
Ripartiamo, passiamo davanti alla bella Fonte Aretusa e poi nei vicoli fino a tornare davanti alla signora Cattedrale, finalmente illuminata a giorno ed ammirabile in tutto il suo splendore. La facciata rappresenta una lavorazione molto complessa in quanto ricca di decorazioni e per questo considerata l'espressione barocca più alta che vi sia nell'intera Siracusa. I lavori vennero in realtà completati in due periodi diversi, per questo presenta due stili ornamentali: il barocco dei primi del Settecento ed il rococò, al quale il tardo-barocco lasciò spazio dalla seconda metà del secolo (periodo di fine dei lavori). Anche qui, con un biglietto di 2,00 € è possibile visitarne l’interno, che personalmente trovo molto armonico. Le sembianze del tempio greco sono altamente visibili e riconoscibili (varcato il portone centrale dell'atrio si possono anche ammirare due grandi colonne doriche), infatti il Duomo di Siracusa a differenza di molte altre eleganti chiese e cattedrali non mostra colonne lisce o fregi articolati: la sua navata è stata ottenuta aprendo dei varchi nelle spesse mura dell'antica cella del tempio greco, dunque li risultato che oggi vediamo è frutto di una struttura che sta lì da millenni ed è questo il motivo della sua austerità e del suo singolare aspetto.
Ci pare di capire che questa città sia incasinata.
Rassegnati al fatto che non sia una candid camera, ce ne restiamo mesti in camper.
Meno male che la fiction del giovedì ci tira su la serata.
Venerdì 23 ottobre – km 109442
da Catania al Rifugio Sapienza (65 km)

Con il sole che declina lento sull’orizzonte e dietro le colline, tingendo di rosa il fumarello dell’Etna, arriviamo a Nicolosi ed imbocchiamo la strada che si arrampica per una ventina di chilometri fino al Rifugio Sapienza a quota 1927 metri. Le luci tremolanti di Catania e del golfo sono meravigliose, e si estendono fin dove lo sguardo può arrivare. Arrivati finalmente a destinazione, parcheggiamo nell’ampio piazzale di fronte al rifugio, con vista panoramica. Dopo cena, nel freddo pungente amplificato da un bel vento a zaffate ripetute, scendo per alcune foto al golfo illuminato e tento di trovare la Via Lattea, senza grossi risultati a causa dei lampioni che illuminano il parcheggio.
Sabato 24 ottobre – km 109480
dal Rifugio Sapienza a Motta Camastra (60 km)
Ci lasciamo il rifugio alle spalle intorno alle 15:30, ripercorriamo la SP92 dell’Etna fino a valle, poi gpl, gasolio, Lidl per pane ed entro sera siamo praticamente di fronte all’ingresso principale per le Gole di Alcantara, sul lato opposto della strada, all’Area/azienda Gole dell’Alcantara di Motta Camastra. L’ingresso dell’area è angusto, con rami di alberi lungo il viottolo e, soprattutto, sembra praticamente chiuso. Qualcuno arriva dopo dieci minuti di attese e perplessità, e alla fine riusciamo a sistemarci.
Oggi siamo tutti abbastanza cotti.
Mi sa che iniziamo ad accusare la stanchezza del viaggio.
25 ottobre – km 109540
da Motta Camastra a Giardini Naxos (25 km)
Gli amanti degli sport e dell’avventura potranno provare diverse attività, come il canyoning, ovvero discese con funi e caschetto, oppure attraversare il parco con il quad o, ancora, il body rafting, un trekking immersi nelle acque del fiume per osservare da vicino le formazioni laviche. Insomma, un piccolo paradiso tutto da scoprire. Io non ho molto tempo, ma vediamo cosa riesco a fare stamattina. Gli itinerari proposti alla biglietteria sono tre, con tre differenti prezzi. Il tour con la navettina all’interno del parco costa 15,00 €, l’ingresso con discesa in ascensore alla spiaggetta d’accesso al canyon e percorso botanico costa 10,00 € e l’ingresso “basic”, per fare un giro autonomo nel fiume e dentro le gole, costa 6,00 €. Io sono già pronta con pantaloncini corti e scarpini da scoglio (consigliatissimi se si vuole camminare nell’acqua!) a prendere l’ascensore e scendere. Arrivata alla spiaggetta, mi trovo davanti il fiume freddo.
Lunedì 26 ottobre – km 109575
Taormina e Castelmola
Recupero i miei a Porta Messina, decisione last minute è di prendere un bus per arrampicarci fino a Castelmola, borgo di mille anime a 500 metri sul livello del mare, inserito nel circuito dei Borghi più Belli d’Italia. Il bus ci lascia in Piazza Sant’Antonio, con la sua terrazza panoramica sulla costa ionica siciliana, sulle baie del suo litorale e su Taormina.
Poiché il Castello di Mola (o meglio, i ruderi che ne restano) è chiuso e non visitabile, non resta che passeggiare e perdersi nei vicoli stretti in cui si assapora ancora oggi il fascino eterno della Sicilia più autentica. Nel cammino non si può non notare il Duomo di San Nicola di Bari, che si apre sulla piazzetta dell’eccentrico Bar Turrisi, ed una serie di stradine che si affacciano sulle colline circostanti, sul mare, sull’Etna.
I castelmolesi (o molesi) sono ben orgogliosi di far subito presente che il loro paese è la patria del vino alla mandorla, che può essere degustato praticamente ovunque in paese, ad esempio nel Bar San Giorgio di don Vincenzo Blandano (che ha il vanto di essere l’inventore di questo vino liquoroso dal sapore così aromatico, ed accadde “per caso”, quando buttò delle mandorle a macerare nel mosto durante la produzione del suo vino). Ci fermiamo in un baretto subito dietro Piazza Sant’Antonio, dove il babbo si mangia un arancino (dichiarerà “il più buono mai mangiato in tutta la Sicilia”) e noi prendiamo una granita. I nostri compagni di viaggio lasciano un rene per l’acquisto di alcune bottiglie di vino alla mandorla, ma mi lascio tentare anche io. Il simpatico barista ci tiene a precisare che “questo vino va a male solo quando finisce”, e che va servito freddo con una scorzetta di arancia e può essere usato ovunque.
Grandiosa testimonianza della Sicilia Antica, il Teatro Greco è il monumento più famoso di Taormina, e il secondo teatro più grande dell’isola dopo quello di Siracusa. Edificato dai greci nel III Secolo a.C. (che scelsero lo scenografico promontorio come ambientazione per le loro rappresentazioni drammatiche e musicali) il Teatro nel II secolo d.C. fu modificato e ampliato dai romani che lo trasformarono in un’arena dove avevano luogo i combattimenti tra i gladiatori e gli spettacoli di caccia. La scena è la parte più importante che rimane del Teatro e conserva, in parte, la sua forma originale. Nulla invece rimane dei suoi ornamenti e delle colonne. Si dice che queste arrivarono via mare, furono poi agganciate con funi e tirate da orde di schiavi fino al Teatro. Durante il medioevo gran parte di queste colonne vennero asportate per costruire palazzi ed abbellire luoghi di culto, tra cui la Cattedrale.
A questo punto, fuori dal Teatro Greco lascio i miei e gli altri e prendo la funivia per scendere sulla costa. Con un biglietto da 3,00 € ho diritto a cinque minuti di ansia appesa alla cabina, ma ne vale la pena! Poco oltre la stazione di arrivo della funivia (che per l’esattezza è Mazzarò), sulla sinistra si apre una scalinata di ben 135 gradini, chiusa tra due pareti addobbate con vestitini di cotone e pareo da mare: in fondo alle scale, un isolotto ricco di rigogliosa vegetazione unito alla terraferma da una sottile striscia di sabbia, che nel tratto centrale, il succedersi delle maree, fa affiorare o lascia coperta dalle acque cristalline della baia.
Martedì 27 ottobre – km 109575
da Giardini Naxos a Morano Calabro (km 347)
Mercoledì 28 ottobre – km 109922
da Morano Calabro a Porto Sant’Elpidio (580 km)

Arriveremo in zona costa marchigiana intorno alle 18, mentre Vito e Luciana arriveranno a Bordighera a mezzanotte, dopo un lunghissimo e coraggioso viaggio (percorreranno praticamente da sud a nord tutto lo stivale!).
Mercurio dorme praticamente h24. La giornata scorre pigra anche per me e, fondamentalmente, tutta uguale, sotto un cielo che già annuncia autunno. Quello che, fino all’altro ieri, nella terra del sole non avevamo ancora preso in considerazione.
“L'Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto […] La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l'unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita”
— Johann Wolfgang von Goethe
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