– da casa a Igoumenitsa
“Non serve una magia per sparire. Basta una destinazione.”
Ed eccoci infatti pronti a sparire di nuovo con uno dei nostri infiniti viaggi.
Ovviamente mamma lo ha progettato, io l’ho sognato.
Alcuni giorni sembravano non passare mai, guardando le foto e documentandomi sui paesi inseriti nell’itinerario, e poi finalmente, alla fine di una intensa stagione lavorativa, il giorno arriva: ci incontriamo con i nostri fidi compagni di viaggio al casello di Ancona sud, due chiacchiere e raggiungiamo gli imbarchi della Minoan Lines perché ci aspettano un po’ di ore di nave: domattina sbarchiamo a Igoumenitsa, e che il viaggio in Grecia abbia inizio!
Peccato che, giusto per iniziare, la partenza è posticipata alle 18 anziché alle 16: regalano a tutti i passeggeri “uno spuntino per scusarsi del disagio” e (grazie all’abilità dei nostri compagni di viaggio) a noi addirittura cambiano una cabina interna con una esterna (non che cambi molto in verità: il nostro oblò ha vista scialuppe di salvataggio. Era meglio il nulla). Nella formula all inclusive del biglietto è compreso l’allaccio elettrico per il camper, quindi noi saliamo a piedi e lasciamo gli “autisti” a parcheggiare ed attaccare la corrente. Spicciamo le pratiche del check-in alla reception ed inizia l’attesa. Alla fine riusciamo a partire solo intorno alle 19, quindi portiamo già un discreto ritardo sulla tabella di marcia.
15 settembre, km 98738
– da Igoumenitsa a Ioannina
Dopo una notte in cabina su letto simil basculante con un buon materasso (ma con il rollio continuo del motore), ci svegliamo con il fuso orario greco +1h. Colazione frugale con il 30% di sconto al ristorante/self service, nel lounge bar della nave i miei buttano su una bisca di burraco ed io passo tempo aspettando il momento di scendere. Ovviamente, le due ore di ritardo ammucchiate alla partenza si riversano sull’arrivo, infatti attracchiamo alle 11.30. Usciamo dalla nave solo dopo 40 minuti e, appena presa confidenza con navigatori, gps dei dispositivi e quant’altro, partiamo in direzione Parga, passando lungo il Lago di Kalodiki (poco più che una palude).
Cerchiamo un parcheggio consono e alla fine troviamo un’area sulle sponde del lago, a circa un chilometro ad est della cittadella. Un simpatico tizio greco ci dice che possiamo restare, e nel frattempo si fa ora di cena. Ammettiamo che nel parcheggio notiamo due o tre veicoli vagamente sospetti, con bambini a grappoli, e supponiamo siano rom. Tentenniamo, vorremmo cambiare posto ma la verità è che non sappiamo dove andare, tra l’altro sembrano poco chiassosi e molto sulle loro, quindi decidiamo di restare. Avevo dimenticato di menzionare una connessione wifi aperta, un po’ fluttuante, ma civile per quello che serve: dovrebbe essere la wifi di Ioannina. Subito dopo usciamo per quattro passi sul lungolago.
Il parco è buio da far paura, ma tutti sembrano orientarsi e contribuiscono a donare all’ambiente un’aria estremamente sicura: chi fa jogging, chi pesca, le coppiette a passeggio, i solitari con lo smartphone sul muretto e le famiglie con bambini. Sull’altro lato della strada, un brulicare di giovani nei locali con musica. Ne approfitto per qualche esperimento di foto con pose lunghe, avvisto anche un topo, poi rientro rapido alla base per la prima notte al mondo con le finestre aperte.
16 settembre, km 98909
– da Ioannina a Kalambaka
La giornata inizia presto, con un gallo starato che canta dalle 4 del mattino e la discoteca poco lontana che ha ancora musica alle 7. Dopo la colazione prendiamo le nostre fedeli fette e percorriamo il lungolago, costeggiando il piccolo promontorio. Il silenzio dei pescatori concentrati sulle loro canne da pesca e del sole che filtra tra i platani ci mette pace, l’aria alle 9 è ancora frizzantina ma si sente che sarà un’altra piacevole giornata di sole con 28°C. Arriviamo all’altro lato del promontorio, dove ci sarebbe la possibilità di fare un giretto su una barchetta (di quelle chiuse tipo autobus in cui stanno stipate buone 70 persone), che notiamo attraccata alla sponda del lago nel quale si riflettono tutti gli alberi e le montagne circostanti.
Sull’isolotto di Ioannina in realtà c’è sono un museo e non ci interessa, quindi optiamo per entrare invece nella Cittadella, dove visitiamo la piccola moschea di Aslan Pasha e, poco dopo, con un biglietto cumulativo di 4€, diamo un’occhiata anche alla moschea di Feitihié e al museo bizantino, nel prato sul quale sorgono la vecchia acropoli sud orientale di Its Kalè ed il castello di Ioannina. Camminiamo poi per le viuzze, uscendo dalle mura dal lato “interno” del promontorio, e per l’ora di pranzo siamo di nuovo al camper. Nel frattempo gli amici rom sono intenti a preparare il pranzo in un angolo all’entrata dell’ampio parcheggio, mentre i loro bimbi scorrazzano in bici: abbiamo avuto conferma che non sono molesti.
Sono le 15 quando, dopo un’aspra consulta su cosa fare/dove andare (i nostri itinerari incrociati non sono più sufficienti), imbocchiamo la E90 verso Kalambaka. La strada più comoda (che in seguito scopriremo essere semplicemente la meno sconnessa!!) è un susseguirsi di curve che si inerpicano fino a 1700 metri ed offre un bellissimo paesaggio. Alcuni punti hanno l’asfalto ceduto e piccoli massi staccati evidentemente dai crostoni di roccia a bordo strada. Certo, ci vuole un po’ per arrivare a destinazione, ma ne vale la pena. Sono appena le 18 quando all’improvviso, finalmente a fondo valle, svetta davanti a noi Meteora.
In cima a spettacolari torri e falesie di arenaria erose dal vento, montagne levigate dagli agenti atmosferici, sorge un complesso di monasteri che hanno ormai seicento anni. In greco, “meteora” significa letteralmente “sospeso in aria”, e non potrebbe esserci nome più azzeccato: questi luoghi di culto (eretti da monaci greco-ortodossi nel XIV Secolo sulle rovine di antiche chiesette) svettano infatti ad almeno quattrocento metri di quota, tutti in cima ad un pinnacolo di arenaria o addossati a pareti a strapiombo sulla cittadina di Kalambaka. Qualcosa che rapisce gli occhi e ti fa sentire immensamente piccolo.
E’ già tardi per visitare anche solo uno dei sei monasteri rimasti “utili” ed aperti, quindi ci arrampichiamo lungo la strada che circonda il massiccio montuoso e scopriamo l’immenso panorama (non a caso, ad ogni piccola rientranza della tortuosissima strada ci sono furgoncini, macchine, moto e gente appollaiata sul muretto e sulle rocce a bordo strada per scattare foto). Ci fermiamo nei pressi dei monasteri di Agios Stefanos, poi poco più avanti troviamo il monastero di Varlaam, e l’imponente Monastero di Gran Meteora, e restiamo fino al tramonto, incantati. Alla fine ci rendiamo conto che dobbiamo “accamparci” per la notte, quindi riscendiamo a valle, sapendo che domani riusciremo a visitarne almeno un paio.
E’ buio ma per fortuna troviamo immediatamente la Taverna Guesthouse Arsenis (una volta tanto!), con uno spiazzale con 4 posti per camper. C’è solo un furgoncino con una coppia di tedeschi, quindi ci parcheggiamo lì a fianco.
Fa un caldo al quale non siamo abituati… ma ce ne faremo una ragione.
E’ così bello aver imbottito il trolley di vestiti poco ingombranti.
17 settembre, km 99040
– da Kalambaka a Neraida (lago di Servia)
La notte scorre fresca e tranquilla, e subito dopo colazione siamo già pronti per visitare almeno un paio di monasteri. Vestiti tutti in pantaloni e gonne lunghe e foulard a coprire le spalle (come richiedono esplicitamente per la visita) decidiamo di andare con un solo camper, per evitare la congestione del parcheggio, dato che lo spazio è molto poco e pieno di autobus di pellegrini già di prima mattina. Fuori dal Monastero di Ognissanti (più comunemente detto di Varlaam), scelto come prima meta, ci sono turisti a frotte e anche un sacco di gatti. Il paradiso delle gattare! Sono mansueti, si lasciano accarezzare e mi si buttano ai piedi: come dire di no? Entriamo poi dalla lunga scalinata in pietra avviluppata alla roccia di arenaria, il cortile esterno è molto bello e ben curato, come del resto tutto l’edificio. All’interno, alcune nicchie (in cui è vietato fare foto) con le icone sacre incorniciate da preziosi intarsi, il coro e le incensiere. Indubbiamente migliore, comunque, l’esterno con le belle fioriere e la ringhiera a picco sulla vallata. Questo monastero sorge infatti su un’imponente guglia alla punta nord ovet della foresta rocciosa delle Meteore, e abbraccia dunque l'intero massiccio. La roccia di Varlaam è stata, secondo la tradizione, abitata per la prima volta nel corso della prima metà del XIV secolo dall’asceta eremita Varlaam, il cui nome è stato dato al monastero. Tuttavia, i primi fondatori del monastero sono stati due fratelli discendenti di una nobile famiglia bizantina di Ioannina, gli Apsarades.
Un’oretta più tardi siamo già al Monastero di Roussanou, poco più in basso, lungo la solita 4418 che scende tortuosa verso il fondo valle. Abbiamo scelto questo perché ci sembrava meno affollato degli altri,
vedendo i bus turistici e le macchine parcheggiate a bordo strada, ma in realtà è solo più piccolino del primo. Ha una lunga scalinata ombreggiata per arrivare all’ingresso e un bellissimo balconcino adornato di fiori e piante. Alla biglietteria, una suora vestita interamente di nero. Il biglietto dei monasteri costa 3€, e tra l’altro ci sono i bagni fruibili (con le turche, ovviamente!). Con questo prezzo, converrebbe visitarli tutti ma noi ci accontentiamo di un paio. Ci fermiamo ancora lungo la strada, ancora qualche foto ai punti panoramici, rimarrei qui per sempre. Sono meno di 600 metri di quota e sembra di stare sull’Himalaya.
Torniamo alla base, dove i nostri compagni di viaggio hanno lasciato il camper. Ci riforniamo di acqua (c’è la possibilità di carico acqua gratuito ed elettricità a 5€, anche se noi non ne abbiamo usufruito) senza comunque poter scaricare, ma intanto siamo pieni. Arriviamo al Lidl di Kalambaka prima di pranzo, spesa pane/latte e ci fermiamo a mangiare.
Promemoria: arrivare a Meteora a serbatoio pieno e cassetta wc vuota, perché nella Grecia centrale non c’è possibilità di scarico. Difficoltà pari solo a quelle riscontrate in Regno Unito! Perdiamo una buona ora cercando disperatamente un camping per svuotare le acque nere e grigie. Proviamo ad infilarci in una sorta di camping lungo la strada, che però sembrerebbe non avere alcun wc… anche se in realtà il padiglione dei bagni c’è eccome, essendoci roulottes! (la tipa alla reception ci dice che non hanno bagni, ma in realtà semplicemente non vuole farci scaricare. E dire che siamo puliti!). Arriviamo al Camping Kastraki, poco distante, l’unico decente nel raggio di decine di chilometri, e anche lì non possiamo scaricare le acque, nemmeno pagando. Per fortuna poco dopo, lungo la strada per Grevena, troviamo un benzinaio che ci fa scaricare le grigie nel tombino di scolo…e per quanto riguarda le nere, abbiamo ancora autonomia con il wc nautico, quindi sopravviviamo fino all’arrivo sulla costa. Volevamo fare un tour dei ponti in pietra (in zona dovrebbero essercene diversi sui fiumi), ma sono già le 17 e optiamo quindi per tirare fino al lago di Servia, le cui sponde sono collegate da un ponte lungo all’incirca un chilometro e mezzo. Il sole sta tramontando, troviamo un bar del circolo nautico, delimitato da un cancello azzurro, proprio sulla sponda del lago nei pressi di Neraida. Scendiamo per chiedere se possiamo restare per la notte, e il gentilissimo barista acconsente senza alcun problema, sorridendo. Ci becchiamo dunque uno splendido tramonto sul lago e perfino una birretta dopo cena: consumare qualcosa al bar, data la cortesia dimostrata, ci sembrava il minimo.
18 settembre, km 99215
– da Neraida (lago di Servia) a Litochoro
Ci svegliamo con l’arietta frizzantina del mattino, e dopo colazione ed operazioni rapide di pulizia camper ci dirigiamo verso Velvendos: superiamo il ponte sul lago, dove decine pescatori si litigano gli spazi. Ci chiediamo cosa faranno, quando il pesce abboccherà ad un amo anziché che ad un altro! Le stradine per raggiungere i sentieri per le cascate che cercavamo sono indubbiamente abbastanza strette, quindi rinunciamo. Insomma, le cascate non le troviamo, ma in compenso ci facciamo delle grasse risate infilandoci nelle stradine del centro, cercando l’uscita dal labirinto. Un furgoncino in mezzo al passo con un tizio cortese che ci fa cenno con la mano e lo sposta per farci largo, un vecchietto che ci indica che la direzione è corretta… e un sacco di gente che ci guarda. Buongiorno, insomma. Ripianifichiamo l’itinerario verso Dion, sotto il monte Olimpo, a metà strada tra Katerini e Litochoro, cercando però la strada più breve senza fare duecento chilometri. Le mappe ci indicano, chiaramente, strade avviluppate intorno alle montagne che la Trollstigen norvegese in confronto era zucchero, e il babbo vota sì con entusiasmo (non si può dire altrettanto dei compagni di viaggio, che però non prendono iniziative differenti). Costeggiamo l’ultimo tratto del lago lungo una bellissima stradina che si inerpica su un crostone di roccia (in alcuni punti pure franato!) e riscende allo sbarramento della diga. Per onor di cronaca, bisogna dire che la stradina è a tratti sterrata ma fattibile con un minimo di accortezza, è una strada di montagna a doppio senso di marcia in cui bisogna quindi prestare attenzione, ma in generale è comoda. In linea d’aria, siamo sulla direttrice di Dion, sono circa 75 km di curve in collina in mezzo ad una fitta vegetazione a 500 metri di quota. Il paesaggio è indubbiamente molto bello, sull’orizzonte se ne stanno appoggiati almeno 4 strati di montagne, il cielo è velato ma è comunque una bellissima giornata. Le rocce vive a bordo strada mostrano tutti i segni dell’erosione, sembrano fatte di ossa accostate le une alle altre. Graziose pinturette con chiesette in miniatura (grandi come una scatola di scarpe sono disseminate ovunque per le strade, e anche qui ne incontriamo diverse. Teniamo la folle velocità di 25 km/h quando il limite della strada 5308 sarebbe 90 km/h. Ma la vera domanda è: chi cavolo ci va, a 90 km/h su una strada del genere?! Incontriamo pezzi decisamente bruttini, ma non ci lasciamo scoraggiare (ormai tornare indietro sarebbe peggio!): oltrepassiamo il paesino di Daskio (quattro case, una strada larga 50 cm e una forma di vita che ci saluta) ed arriviamo a Rizomata, decisamente più grande ma non più popolato (forme di vita sui 75 anni di media). Anche qui la gente in macchina si accosta per farci passare. Finalmente all’ora di pranzo arriviamo alla meta, superando trattori e caprette, parcheggiamo in prossimità del teatro greco (seguendo le indicazioni marroni per il teatro antico e il parco archeologico) e da lontano vediamo anche le cime del Monte Olimpo, coperte da nuvolotti scuri ma non minacciosi. A conferma di ciò, subito dopo pranzo scendiamo per la visita del grosso sito archeologico ed il sole picchia forte. Per fortuna l’arietta ci aiuta mentre camminiamo sul selciato di tremila anni tra le rovine della villa di Dioniso, la basilica, il Teatro e le terme (la parte più bella). Se si tiene presente il metro-meteora (che 3€ è proprio un prezzaccio!), il biglietto non costa pochissimo, 8€ gli adulti e 4€ i senior.
Ci immergiamo un po’ tra storia antica e moscerini che mordono come tigri: il sito è molto grande, ma anche molto poco curato, con erbacce in ogni dove. Bisognerebbe valorizzarlo di più, considerando anche il costo del biglietto. Tenteremmo anche un giro del paese, ma Dion in sé, a parte il sito archeologico, non offre assolutamente nulla, quindi ci spostiamo a Litochoro, a dieci km. Parcheggiamo temporaneamente sotto una taverna a bordo strada per un giretto del paesino: la fontanella in piazza, una bella chiesa ortodossa (dove ci rimproverano, in greco, perché non possiamo fare foto!) e il belvedere sul massiccio del Monte Olimpo.
Rientriamo al camper e ci spostiamo 400 metri più in là, nei pressi di uno stadio/centro polivalente all’inizio della strada che porta al monastero di Dioniso. Noi resteremmo per la notte… Speriamo solo che non vengano a farci storie, perché qui si sta benissimo.
19 settembre, km 99322
– da Litochoro a Larissa
Stamattina a darci la sveglia ci pensa la fanfara di una probabile accademia militare poco distante, che un’oretta dopo chiama l’adunata per la colazione.
Prima delle 9 siamo già in marcia verso il monastero di San Dioniso, poco fuori Litochoro, sulla strada che prosegue dal parcheggio dello stadio (di fronte c’è anche il centro informazioni del parco nazionale del monte Olimpo).
Seguendo le indicazioni, arriviamo al grazioso monastero bizantino, troviamo un monaco che taglia l’erba e un negozio di souvenirs dove entriamo a chiedere (a gesti!) se possiamo dare una sbirciatina. Il chiostro è bellissimo, curato, con scalinate e fioriere. L’interno della chiesa è piccolo ma opulento, com’è solito per i luoghi di culto (siano essi cristiani, ortodossi o cosa, non fa differenza).
Continuiamo la scalata al monte Olimpo, tra la fitta vegetazione e le nuvole nere, per una dozzina di chilometri che salgono ripidi a quota 1100 metri e scendono poi verso un’area di parcheggio vicina alle rovine dell’antico monastero di San Dioniso (un altro!). Oltre le nuvole scure a metà del monte, riusciamo a ritrovare anche il sole che illumina le cime tutte attorno. La strada per arrivare al sito non è larga, è una stradina di montagna che comunque, in confronto a quella fatta ieri, è un gioiello, e ha un bel parcheggio in prossimità delle rovine. Il santuario è in via di ristrutturazione, ma all’interno ha un bel chiostro con una vecchia fontana avvolta nell’edera, ed una parete diroccata alle spalle: con il cielo grigio, ricorda quasi la Scozia dello scorso anno.
Il sentiero per uno dei salti delle cascate del fiume Enipeas è impossibile da percorrere, quindi torniamo indietro. Abbiamo indubbiamente perso una mattinata con questo giochetto delle stradine di montagna e dei santuari cadenti, ma sicuramente possiamo dire di esserci “parzialmente arrampicati” sul Monte Olimpo della famosissima Pollon.
Usciamo da Litochoro, mettiamo gasolio e ci fermiamo nella piccola località di Neos Panteleimonas. Qui, in cima ad un cocuzzolo, c’è la bella fortezza medievale di Platamonas.
Il biglietto costa appena 2€, ma in effetti è un prezzo onesto, dato che la fortezza è ormai in rovina. La pavimentazione all’entrata è originale, o perlomeno molto poco ristrutturata, la vista sull’Egeo è molto bella, ma per il resto, a parte il muro di cinta e la torre a pianta ottagonale, l’interno è un enorme accozzaglia di perimetri di pietra, sui quali non ci sono molte informazioni. Un’oretta più tardi, scendendo verso Platamonas alla ricerca di un campeggio a cui chiedere di scaricare nere/grigie (ovviamente a pagamento), subito sulla sinistra dietro una curva alberata troviamo un’area sosta camper attrezzata non segnalata in nessuno dei nostri dispositivi, molto mesta, quasi dismessa. Un cartello artigianale con il caravan disegnato e anche un grosso sasso con un camperino dipinto ci indica l’ingresso: è tutto estremamente rustico. Ci affacciamo, poco convinti, ma la signora ci sorride senza sapere una parola di inglese. Tra gesti, bestemmie in italiano e latrati in inglese, riusciamo a capirci: vogliamo solo scaricare la nostra cassetta wc e ricaricare, se possibile, l’acqua. Ci accordiamo su 5€ a veicolo per queste operazioni, e Angeliki (questo il suo nome) si dimostra disponibile e gentile. Alla fine rinuncio all’inglese e le dico “efcharisto” (grazie), che sicuramente non sbaglio. Data la sua cortesia, le regaliamo anche una bottiglia di verdicchio dei Castelli di Jesi, cercando di spiegarle che è un vino di un paese vicino ad Ancona (una volta tanto, da queste parti conoscono la nostra regione, dato che è uno dei maggiori porti di collegamento tra Grecia e Italia!). Riprendiamo la rotta, e a questo punto impostiamo Larissa sul navigatore. Percorriamo un tratto di autostrada (tariffa 4,10€ per i camper) ed arriviamo alla meta prima di cena, infilandoci a caso in uno spiazzale per fare il punto della situazione, e un cortese tizio ci segnala un grosso parcheggio poco più avanti (il primitivo inglese con cui lui ed il babbo comunicano è sufficiente). Il parcheggio è praticamente in centro, dietro al grande parco dell’Alcazar che circonda il fiume.
Di notte non è molto illuminato, ma la notte scorre senza problemi.
20 settembre, km 99430
– da Larissa a Molos
Stamattina usciamo per un rapido giretto del centro. Attraversiamo il Parco dell’Alcazar (in ristrutturazione, quindi malconcio) e ci buttiamo sul ponte che abbiamo attraversato ieri in camper.
Sull’altro lato del ponte, la chiesa bizantina di Agios Achillos, immensamente affrescata, e proseguendo le rovine della vecchia chiesa paleocristiana e del primo teatro greco di Larissa. Ci infiliamo nelle vie, caotiche e disordinate, piene di negozi e lavori in corso (troviamo anche un forno dove approfittiamo per comprare un pezzo di pane bizantino), riattraversiamo il ponte e vorremmo entrare in un’altra chiesa ma c‘è un funerale, quindi abbandoniamo l’idea. A posteriori, potevamo anche evitare di perdere due ore a spasso stamattina, ma almeno abbiamo fatto del moto. Torniamo al camper e prendiamo la E06 (praticamente una statale) in direzione Volos, attraversando un sacco di paesini dai nomi simpatici, tra cui Melissa (come la moglie di mio fratello), dove ovviamente ci fermiamo per una foto sotto al cartello direzionale verso il paese (le idiozie).
Arriviamo ad Agria, 5 km a sud di Volos, per vedere un’area sosta segnalata… che purtroppo non c’è più. Pranziamo vista mare, e subito dopo torniamo in centro a Volos per vedere la stazione ferroviaria, progettata dal padre del pittore Giorgio De Chirico. Peccato per il trenino del Pelio (un trenino a vapore a scartamento ridotto che scavalca la montagna in un itinerario molto suggestivo) che corre soltanto il fine settimana, quindi non riusciamo a prenderlo. Torniamo al camper, parcheggiato in fondo alla stazione, e riprendiamo la marcia in direzione Termopili. Vorremmo fermarci nella grande area di parcheggio davanti al memoriale della battaglia, di fronte ad una cascatella di acqua termale, ma gruppi di bambini e visi scuri poco rassicuranti ci fanno abbandonare subito l’idea e proseguiamo verso la spiaggetta di Molos. La riva in sé non è la migliore della Grecia, ma becchiamo un tramonto con sei strati di montagne sull’orizzonte e, cosa più importante, altri tre camper di olandesi che ci accolgono in modo molto cordiale. “Stiamo aspettando la pizza a domicilio!” ci dicono, raccontandoci un po’ il viaggio che stanno facendo.
Dopo due chiacchiere, arriva l’omino della pizza a domicilio e ci lasciamo tentare, quindi il poveraccio si rifà la strada altre due volte per portarci le pizze, che tra l’altro sono buonissime. Il sole sparisce, con il buio ed un faretto acceso stappiamo una bottiglia di verdicchio di Jesi in loro compagnia e poi nanna (almeno per me: i miei proseguono le loro bische clandestine di burraco con i compagni di viaggio!).
21 settembre, km 99653
– da Molos a Delphi
La prima settimana di viaggio è trascorsa.
Finora abbiamo visto poche località ma:
- abbiamo mangiato la feta (che comprata al supermercato è come quella che troviamo in Italia, quindi non fa testo)
- abbiamo conosciuto autoctoni abbastanza cordiali (e altri meno!)
- abbiamo imparato almeno 5 parole in greco (poi non ci capiamo lo stesso, ma intanto cerchiamo di fare bella figura)
- abbiamo scoperto che i limiti di velocità delle strade sono totalmente random
- abbiamo capito davvero che la Grecia non è solo mare, e che il paesaggio della zona centrale e settentrionale è incredibilmente aspro e montuoso
- abbiamo notato che molte cose funzionano esattamente come in Italia, tipo rispetto di regole e segnaletica stradale pari a zero
- abbiamo visto frotte di cani randagi in ogni dove, molto più numerosi dei gatti (sporadici… Inizio a pensare che li mangino!)
Stamattina ci si sposta a Delphi, seguendo l’itinerario della E027 che attraversa il massiccio montuoso del Parnaso. La strada passa per una prima tratta di autostrada (paghiamo all’ingresso 4,40€… ancora dobbiamo capire come funziona il sistema di autostrade, comunque carissime), si snoda poi lungo il pendio della montagna fino a quota 900 metri, ma è comunque larga e con un buon asfalto. Incontriamo poche macchine (iniziamo a pensare che la zona sia proprio spopolata a vantaggio del Peloponneso), gruppi di mucche che bivaccano a bordo strada ed un paesino quasi a fondo valle, Eleionas, che è una bomboniera arroccata su una costarella di roccia (dalla strada è molto suggestivo). Subito sotto, invece, nei pressi di Amfissa, un immenso campo rom, ma onestamente nelle zone interne e spopolate ne abbiamo notati diversi, di questi luoghi un po’ dismessi e abbandonati. Risaliamo lungo il crostone di roccia, per raggiungere i campeggi segnalati ci infiliamo per le stradine anguste di Chrissa (improponibili… occhio al navigatore!), poi riprendiamo la strada maestra ed raggiungiamo il Delphi Camping. Vasilis, uno dei proprietari, ci accoglie sorridente con una stretta di mano, parlando inglese. Ci dice di dare un’occhiata al campeggio e poi decidere dove metterci, poiché la bassa stagione aiuta e c’è molto spazio. Ebbene, dire che è spettacolare è poco! Il campeggio in sé ha una cinquantina di posti, è costruito su due livelli ed ha una splendida balconata sulla valle, da cui si vede anche il mare. Ci sono due ampi padiglioni con wc e docce, puliti e in ordine, e tutto il necessario per il carico/scarico. Il più bel campeggio in cui siamo stati in questi anni. La tariffa per la giornata è 23€ per il nostro equipaggio e 18€ per l’equipaggio da due persone (per via della bassa stagione, dice, ha uniformato i prezzi con quelli dello sconto ACSI), elettricità e wifi inclusi. Siamo entusiasti e ci sistemiamo per restare. Non solo, c’è anche il bus che porta a Delphi: sono solo tre o quattro durante la giornata, ma è comunque un comodo servizio in più. Per i più allenati c’è anche l’antico sentiero che porta in paese, 2,5 km… ed io ovviamente opto per quello!
Partiamo subito dopo pranzo, i miei con il bus delle 14:15 ed io a piedi qualche minuto prima, da uno stradello di fronte all’ingresso del campeggio. Costeggio un canale d’acqua per un tratto, e poi seguo alcune indicazioni pitturate su massi lungo il percorso. Il sole brucia, ma tira un venticello piacevole che alleggerisce il tragitto. Il paese è lì, in alto, attaccato alla roccia con i suoi alberghetti e le case a picco, di certo non ci si può perdere. Recupero infatti i miei poco dopo, e seguiamo i segnali per il sito archeologico di Delphi, a meno di un chilometro dal centro. L’ingresso costa 12€, non pochissimo ma indubbiamente li vale: un bel percorso (in parte ovviamente restaurato) ci porta dall’Agorà all’anfiteatro, passando per le tesorerie ed il Tempio di Apollo. La location è mozzafiato, sembra di stare in cima al mondo ed assaporiamo la storia.
Seguendo la strada che porta sopra al teatro greco, si ha una panoramica del sito archeologico: non sorprende che sia patrimonio Unesco: più bello credo ci sia solo sua maestà il Partenone di Atene. Non raggiungiamo lo Stadion, ancora più in alto, perché la strada è troppa, quindi ridiscendiamo ed io lascio i miei per correre a vedere il Tempio di Atena Pronaia, un buon chilometro oltre il sito appena visitato,
praticamente lungo la strada. Supero la zona del Gymnasium ed arrivo in prossimità di un camminamento pavimentato con il simbolo del patrimonio Unesco, scendo lungo la stradina (500 metri al massimo) e raggiungo il sito: la parte più affascinante (dato che il resto sono solo mattoni perimetrali e poco si capisce della struttura originale, senza leggere le plance apposite) è sicuramente il tholos, secondo dei quattro edifici del santuario dedicati alla dea: una struttura a pianta circolare con venti colonne doriche di cui solo tre rimaste in piedi (e restaurate negli anni Trenta). Il sole pomeridiano conferisce al sito un colore magnifico, e prima dell’arrivo del bus sono di nuovo allo stop da cui i miei riprenderanno la strada verso il campeggio, mentre io riscendo dal sentiero. Una volta arrivati alla base, iniziano le operazioni di restauro (eccezionalmente, dopo lo shampoo, faccio anche la piastra: c’era talmente tanto spazio nel mio trolley che ho provato a portarla!). Con il sole che scivola dietro le montagne e tinge di rosa la vallata, facciamo cena (abbiamo la pizza avanzata dalla consegna a domicilio di ieri!).
22 settembre, km 99742
– da Delphi al Pireo
Stamattina lasciamo il bellissimo campeggio poco prima delle 10, dopo tutte le operazioni di carico e scarico. Prossima meta Atene, la capitale. Regaliamo a Vasilis una bottiglia di Verdicchio, come ringraziamento della splendida ospitalità e dell’aperitivino offerto ieri (sta cosa di portare vino o un qualsiasi prodotto locale sarebbe da consigliare a tutti: ti fa fare sempre bella figura in modo semplice), e lui per sdebitarsi ci regala una lattina di olio extravergine di oliva (quello che ci ha fatto assaggiare ieri di loro produzione, in vendita al mini market). Siamo un po’ sorpresi, il nostro non voleva essere uno scambio ma proprio un gesto disinteressato, e invece lui insiste dicendo: “così avrete il sempre il sapore della Grecia durante il viaggio”.
Cordiale, questo popolo.
Iniziamo il tragitto perdendo tempo causa navigatore che ci fa infilare nella stradina parallela alla E048 che passa dentro Delphi: è piena di macchine parcheggiate e ci passiamo a filo (per fortuna le macchine in sosta hanno gli specchietti laterali chiusi!). Sono sempre sorpresa dall’abilità con cui il babbo guida e fa le manovre con il camper nemmeno fosse una macchina. Io, su per quella stradina, non ci sarei passata nemmeno con la Punto!
Oltrepassiamo la sinuosa via principale di Arachova, che dall’ampio belvedere poco più avanti si ammira nella sua totalità, adagiata al fianco della collina, con le casette tutte appiccicate le une alle altre e la sua torre civica incastrata sopra uno sperone di roccia. Ci fermiamo a fare gasolio e da Lidl per il pane e pranzo. Oltrepassiamo i paesi a nord-est di Atene fortemente colpiti dall’alluvione di fine giugno, che portano ancora i segni del fango sui marciapiedi divelti e sugli spiazzali, senza contare pezzi interi di strada franata con restringimenti di carreggiata e semafori per l’unica corsia buona. Insomma, tra morti e feriti arriviamo a Pirapoli (cioè incasinato come Napoli) intorno alle 15:30, e in mezzo al traffico congestionato ed ingarbugliato giungiamo finalmente a Parkopolis: è un semplice parcheggio custodito, con acqua potabile ma nessuna possibilità di scarico acque reflue né cassetta wc (poco male, noi stiamo tranquilli fino a lunedì almeno!). Ci sono anche altri camper, oltre alle vetture, ed il prezzo è onesto, 13€ per le 24 ore, a 5 minuti a piedi dal porto e a duecento metri dalla linea verde della metro/treno che porta direttamente in centro ad Atene in 25 minuti. Maria, la proprietaria, è gentile e disponibile, estremamente sorridente, e sa anche qualche parola in italiano. Per la verità, sa tre parole in ogni lingua del mondo, credo. Comunichiamo così in inglese, italiano, francese (che parla molto bene), ci dà ogni spiegazione su cosa fare e vedere e ci fornisce una mappa della capitale, nonché la password del wifi, (connessione buona e gratuita!).
Usciamo dunque per un giretto al Pireo, ma non riusciamo a vedere molto: l’aria appiccicosa del mare si fa sentire, è terribilmente caldo (sto pensando a come facciano quelli che vengono ad agosto!) e i giovanotti con me hanno una scarsa autonomia. Visitiamo però la Cattedrale della Santissima Trinità: esigono
sempre un certo decoro nell’abbigliamento dentro le chiese da queste parti, molto più che da noi, quindi magari sarebbe utile portare un foulard per coprire le spalle o le gambe, se sono molto scoperte… ed io chiaramente non lo porto mai, quindi anche stavolta resto sull’uscio e scatto un paio di foto allungando solo il collo all’interno, come le tartarughe. Arriviamo poi al Teatro Municipale, dalla struttura tipicamente greca, con le colonne ioniche a sorreggere l’ampio tetto. Imbocchiamo poi una via fino a Zeas Port, la baia “dei morti di fame”, come la ribattezzo io: lo yacht più pezzente attraccato qui presumo valga almeno un paio di milioni.
Proseguo la mia camminata fino a Votsalaka, la spiaggetta, un chilometro oltre, e poi fino alla baia di Mikrolimano. Torno indietro e recupero i miei al camper, si sta facendo buio. Cena e nanna… anche se l’aria appiccicosa del mare renderà la notte abbastanza complicata.
23 settembre, km 99911
– Atene
Ci svegliamo prestissimo, con il vociare degli immigrati del mercato delle pulci che viene allestito la domenica (che fortuna!) di fronte al parcheggio. Musica etnica ed araba arriva alle finestre del camper, aperte stanotte per il caldo. Insomma, noi siamo svegli da ore e sono solo le sette del mattino. Decidiamo comunque di uscire relativamente presto per la prima tappa del nostro tour della capitale greca: l’Acropoli. Speriamo di arrivare che non sia troppo caldo, quindi ci avvantaggiamo. Salutiamo Maria che ha appena aperto il cancello e ci infiliamo nella via più bruta e sporca della storia del mondo: quella che dal parcheggio, attraversando la marmaglia ed il ciarpame, arriva alla stazione metro del Pireo, linea verde. I vecchi fanno il biglietto giornaliero da 4,50€, mentre io mi accontento del multiplo con due tratte pagate. Arriviamo alla fermata di Thissio, quasi in centro, e scendiamo dal treno per seguire una strada meno ripida per l’Acropoli, che però non riusciamo a trovare. Costeggiamo così Odos Adrianos con il parco dell’Agorà ed il Tempio di Efesto alla nostra destra, e ci arrampichiamo verso l’Acropoli per stradine ripide ma non eccessivamente lunghe. Dopo un anno e mezzo torno a visitare il sito archeologico più famoso al mondo, peccato che stavolta la quantità di gente sia spropositata e ci voglia la ruspa per spostare le persone. Fila alla biglietteria (20€ di biglietto!), fila per entrare, fila nei punti più caratteristici, fila ovunque. Caldo, arietta piacevole ma caldo, gente che spintona sulle scale. Insomma, un carnaio. Ce la prendiamo comoda ma io spero solo che passi questa giornata, perché avendo visitato Atene in inverno (che era estremamente calma e piacevole, con una manciata di turisti in tutto) con questo caos estivo non riesco proprio a soffrirla.
Riscendiamo dall’Acropoli, la mamma è entusiasta, e ci ritroviamo, tra i negozietti che danno l’assalto ai turisti, nel cuore pulsante di Atene: Monastiraki. E’ l’ora di pranzo, e ci fermiamo alla catena Gregory’s (a lato della piazza) a mangiare qualcosa, sederci e sosta toilette. Hanno panini “componibili” come Subway ma anche tante zozzatelle di pasta sfoglia o pasta fillo, ripiene di spinaci e feta, formaggi vari, o più semplici con prosciutto e pomodoro. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Ci ritroviamo con i nostri compagni di viaggio un’oretta più tardi e raggiungiamo Piazza Syntagma, con la bella fontana, per il cambio della guardia davanti al Parlamento (ogni ora).
Lungo i settecento metri che portano da Monastiraki al Parlamento, immancabile lo stop per le foto a Panagia Kapnikarea, la piccola chiesa bizantina al centro dell’incrocio di strade pedonali, e poco più avanti in una traversa a destra la Metropolis, la cattedrale di Atene (che comunque nulla ha a che vedere con la chiesetta caratteristica). Davanti al Parlamento, pochi minuti alle 15, c’è già qualche irriducibile. Il caldo infuoca le piastrelle sotto le caratteristiche claquettes col pon pon delle guardie, che per il cambio si esibiscono in una strana marcia, estremamente lenta e, non me ne vogliano i greci, anche un po’ ridicola. E’ comunque una cosa che va vista: non ce la siamo fatta mancare in nessuna grande città. Torniamo a Monastraki e ci infiliamo a Plaka, il quartierino dietro la piazza, pieno di negozietti di souvenirs ed oggetti tipici in cuoio e legno d’ulivo. Compriamo frutta a prezzi modici dalle bancarelle davanti alla stazione metro, e riprendiamo la linea verde in direzione Pireo. Arriviamo alle 17:30 al camper, siamo distrutti dal caldo e ci laviamo alla meglio.
Io mi sento tanto zingara e sono felice.
Per non rischiare un’altra notte insonne, stasera apriamo tutte le finestre possibili (persino il tettino, mai aperto con la zanzariera in tanti anni di onorato servizio): finché siamo in luoghi “sicuri” o quantomeno protetti, conviene approfittarne e lasciare tutto aperto!
24 settembre, km 99911
– dal Pireo a Corinto
Stamattina alle 9 lasciamo Parkopolis, salutando calorosamente Maria, che è una persona squisita. Anche lei ci ringrazia della compagnia, dicendo che siamo socievoli e simpatici, e ci augura una buona continuazione. Usciamo a fatica dal groviglio di strade del Pireo e prendiamo la E08 verso Nea Peramos in direzione Corinto (evitando così il pedaggio autostradale), facendo bene attenzione al traffico che è particolarmente congestionato (e in questa zona guidano anche peggio che da noi, superando a destra su strade a quattro corsie). La litoranea è molto panoramica ed oltrepassiamo anche una nave “spiaggiata”, anzi, piegata su un fianco in acqua a mo’ di Costa Concordia. Sembrerebbe una vecchia nave cargo, indubbiamente affascinante: ce ne sono diversi, di relitti abbandonati, intorno alle coste greche. Arriviamo ad Isthmia, dove passa canale di Corinto.
C’è uno spiazzale in cui possiamo fermarci per attraversare i 30 metri di ponte sullo stretto e scattare foto, con altri cinquecento pellegrini che procedono in fila indiana (anzi, visto il luogo, diciamo in fila bizantina). La vista dall’alto è impressionante: oltre sei chilometri di roccia furono segati (da parte a parte) alla fine dell’Ottocento per agevolare i trasporti di merci, che data la morfologia della Grecia avevano tempi estremamente lunghi via terra. Il mare azzurro in fondo a questa specie di gola non è più profondo di 7-8 metri, e una signora al chioschetto dei souvenirs dove ci fermiamo ci spiega che, per regolamentare i due sensi di marcia delle navi che attraversano lo stretto, ci sono dei fari all’ingresso di entrambi i lati, come un semaforo. Poco più avanti ci fermiamo a fare spasa da Lidl, nel frattempo il camper tocca i centomila km, ed arriviamo alla nostra area di sosta segnalata (e segnalata anche abbastanza bene lungo la strada, basta fare attenzione poiché è abbastanza strettina): Camper Stop.
Area completa di tutto, carico/scarico, docce calde (non sono il top, c’è una sola doccia e un solo bagno, ma per lavarsi vanno più che bene!), discreta connessione wifi (soprattutto in giardino). 13€ a notte come al Pireo e, come al Pireo, anche qui i proprietari sono cordialissimi. Papou ha 83 anni, ci accoglie con un cappello di paglia e bermuda chiari, con una pancia tondeggiante in bella mostra, e ci stringe energicamente la mano. Suo nipote Vassilii ci dà tutte le spiegazioni del caso. Fa terribilmente caldo, e Papou ride, in uno stentato inglese: “Questa è la Grecia! Per il freddo, si può sempre andare in Germania o Svizzera!”
No, l’alternativa è peggio. Teniamo buona la Grecia.
Le prime tre ore passano pigre, tra il pranzo e le chiacchiere intorno ad un tavolo sotto un pino nell’ampio giardino. La casa di Papou è circondata da nanetti e statuette varie, alle piante sono attaccate pittoresche zucche vuote dipinte, c’è un frigo a disposizione per mettere in fresco qualche bottiglia, un lavabo da usare all’occorrenza per le proprie stoviglie. Riusciamo ad uscire alle 17, e percorriamo qualche centinaio di metri per arrivare in centro nell’Antica Corinto. Fa ancora abbastanza caldo, ma inizia a tirare l’arietta del pomeriggio. Il sito archeologico della città (sul quale avevamo trovato pareri assai discordanti riguardanti gli orari di apertura) è aperto oggi fino alle 19. Il biglietto d’ingresso costa 8€, i giovanotti non hanno interesse ad entrare… tranne il babbo: lui, a sorpresa, mi accompagna! Ci perdiamo così un’ora e mezza tra rovine e scavi di un’antica città di oltre duemila anni, un po’ greca e un po’ romana. Alcune parti non sono state mai interrate, tante altre sono state riportate alla luce tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Le plance descrivono abbastanza bene le costruzioni di una città romana sulle fondamenta della vecchia città greca, il Forum affiancato alla Stoa, il vecchio padiglione greco delle fontane poi abbellito con un tocco di romanità. Ed in cima alla collinetta, il Tempio di Apollo, mai cambiato: unica testimonianza, dal periodo classico alla decadenza, di due civiltà che confluirono nello stesso angolo di terra. E non dimentichiamo che qui, sulla Bema, il famoso San Paolo predicò agli altrettanto famosi corinzi!
Usciamo dal sito archeologico (il tizio aspetta solo noi per poter chiudere!) e ci fermiamo alla taverna vicina per cena. E’ presto, non ho molta fame ed opto per un delizioso yogurt greco con miele, molto buono e soffice, come montato a neve. Torniamo al camper, doccia, i vecchi alla bisca ed io, come sempre, al diario di bordo.
25 settembre, km 100004
– da Corinto a Galatas
Dopo le operazioni di carico/scarico supportate da un delizioso venticello, lasciamo il camper stop intorno alle 9:30 in direzione Acrocorinto, la collina che domina la vallata. Papou ci ringrazia e ci regala una lunga zucca vuota da dipingere come quelle che ha lui appese agli alberi. Che pensiero carino, gli avrei giusto chiesto se me ne regalava una da portare a casa!
Usciamo per la stradina ripida e stretta che scende e poi sale in centro, costeggiamo le rovine dell’Antica Corinto viste ieri e ci inerpichiamo lungo il pendio della montagna, con una strada panoramica da cui si ammira il golfo e si intravedono anche le sfumature di azzurro. Arriviamo in cima e parcheggiamo proprio sotto la fortezza, che deve avere una vista magnifica, peccato che non riusciamo quasi a tenere in mano la fotocamera: tira talmente tanto che ci ricorda le esperienze in Regno Unito, il terriccio che si solleva punge addosso e si infila nei capelli puliti, alcuni temerari si arrampicano lungo il ponte di pietra che porta all’ingresso della fortezza e noi riusciamo sì e no a scendere dal camper. Niente: ci tocca abbandonare l’idea. Perdiamo tempo ad uscire dal groviglio dell’antica Corinto, in prossimità delle rovine ci sono dieci autobus turistici e pellegrini ovunque in mezzo alla strada, poi perdiamo i nostri compagni di viaggio da qualche parte dietro di noi, quindi ci tocca aspettarli. Alla fine riusciamo a riprendere la strada ed arriviamo felicemente all’Antica Epidauro per dare un’occhiata al piccolo teatro greco, chiaramente ci infogniamo nelle viuzze strette e addirittura restiamo incastrati dietro una bici, una macchina e un camion perché una Micra ha parcheggiato all’angolo del bivio ed impedisce il transito. Dieci persone cercano di aprire la macchina, alla fine un altro tizio arriva e sposta la sua (parcheggiata sull’altro lato), sperando di fare largo. Una signora dall’aria simpatica viene al finestrino per dirci “Benvenuti in Grecia, buone vacanze!” – non sappiamo se sia scherzosa o seria, dato l’imprevisto, resta il fatto che qui ci sembrano tutti molto cordiali. Il piccolo teatro di Epidauro è davvero… piccolo, quindi il tempo di fare due foto e ci dirigiamo verso l’entroterra, verso la “vera” Epidauro, quella con il teatro grande, quello più famoso (a 15 km). Una volta arrivati all’ampio parcheggio a cento metri dall’ingresso del sito, è ora di pranzo. Subito dopo, visita alle rovine greche considerate la culla della medicina, con biglietto d’ingresso 12€ e il babbo che ci accompagna alla biglietteria e poi torna al camper a riposare. Tira un bel vento che sposta la sabbiolina e si sente che sta cambiando il tempo.
La visita inizia dal maestoso teatro di Epidauro, con la sua meravigliosa acustica: è possibile anche entrare nella platea e salire i gradini di marmo fino in cima al teatro, da cui si ha una bella vista.
Il sito è molto grande ed in restauro (non sappiamo esattamente cosa faranno, ma notiamo blocchi di marmo bianchissimi – evidentemente nuovi – vicino alle fondamenta dei templi e colonne sabbiate sul tholos e sulla stoa). Il vento incessante ammucchia le nuvole sopra le nostre teste, il cielo nero mette in risalto il Propylon (anche questo evidentemente sabbiato), la porta d’ingresso a sei colonne. Ancora qualche decina di metri “tra i sassi”, e rientriamo al camper. Ci muoviamo in direzione Galatas, di fronte all’isoletta di Poros, seguendo una litoranea in manutenzione che si snoda (tanto per cambiare) lungo il fianco roccioso di una montagna. Peccato che il cielo sia nuvoloso e quindi non illumini i colori del mare, perché indubbiamente questo tratto meritava qualche bella foto. Arriviamo alla meta, nei pressi dell’area di sosta “Galatas” (che fantasia), gratuita giorno e notte: troviamo altri camper e ci fermiamo senza problemi. Davanti a noi, la cittadina dell’isola di Poros, talmente grande e vicina da sembrare una semplice insenatura che prosegue dalla nostra lingua di terra. La cittadina mostra il suo profilo buono, le barchette attraccate galleggiano sul pelo dell’acqua, cullate dal vento.
Ci manca solo un bel tramonto, che stasera non vedremo causa maltempo.
Si passa dal costume da bagno al cappotto.
Speriamo duri poco.
26 settembre, km 100141
– da Galatas a Nauplia
La giornata si preannuncia ventosa e decisamente più fredda rispetto ai giorni scorsi, ma non ci lasciamo abbattere: maglia a maniche lunghe e pashmina al collo, decidiamo di “imbarcarci” per attraversare il braccetto di mare che separa Galatas dall’isolotto di Poròs e dare un’occhiata alla cittadina. A duecento metri dal nostro parcheggio gratuito c’è un piccolissimo porticato in pietra, dove una mini barchetta/taxi fa la spola nei 50 metri tra le due coste. Al prezzo di 1€ a tratta, saliamo a bordo: il marinaio mette in moto come fosse un’auto e in un minuto e mezzo siamo già sull’altra sponda. Il sole non accenna a uscire e noi ci infiliamo nelle viuzze strette dei negozi, salendo lungo scalette in cemento e calce che si aggrovigliano in un labirinto di bouganvilles, persiane pastello e gatti.
Qualche accenno di isole greche, insomma. Il paesino in alcuni scorci è molto pittoresco e val bene una visita, senza contare la graziosa mini barchetta che effettua i trasporti. Prima di pranzo, con il solito vento ad accompagnarci, siamo di nuovo al camper: le nuvole si sono parzialmente diradate e un timido sole sembra voler fare capolino. Seguiamo la litoranea A158 per fare il periplo di questo spigoletto di terra, ed il sole finalmente torna ad illuminare il mare, ancora mosso dal vento. Le onde si infrangono contro una manciata di isolotti vicini alla costa arida e selvaggia, e noi navighiamo praticamente a vista. In alcuni punti la strada è talmente vicina al mare che sembra correre sulla spiaggia. Ci fermiamo per pranzo tra gli ulivi in uno spiazzale a bordo strada, poco oltre la laguna di Thermesia e l’imbarco per l’isola di Hydra.
Ancora 80 km e nel pomeriggio, in tutta calma, siamo a Nafplio. O Nauplia, che dir si voglia.
Arriviamo nell’ampio parcheggio del porto cittadino (anche qui ci sono attraccati yacth di ogni sorta, e quello del più morto di fame vale forse svariati milioni di euro), e a farci compagnia troviamo parecchi camper, alcuni dei quali già incontrati durante la strada. Non c’è carico/scarico, né acqua: è un semplice parcheggio di poche pretese, ma spaziosissimo e gratuito, ottimo per visitare la città e la Fortezza Palamidi (che svetta imponente sul suo sperone roccioso a duecento metri di altezza). La prima cosa che ci salta agli occhi è il castello di Bourtzi (in greco Μπούρτζι), su un piccolo isolotto proprio al centro del porto. I Veneziani completarono la sua fortificazione nel 1473 per proteggere la città dai pirati e dagli invasori del mare. Fino al 1865 fungeva da fortezza, poi fu trasformato in residenza dei carnefici dei condannati della Fortezza Palamidi. Dal 1970 è principalmente un'attrazione turistica.
Sono appena le 17, quindi scendiamo per un giro di ricognizione nella città vecchia. Io mi allontano e costeggio il molo, risalendo dentro le mura che conducono all’Acronafplio, ex fortezza ora adibita a complesso ricettivo. Nafplia è un borgo di pescatori, costruito “a terrazza”,
ricco di scalinate ripide e pensioncine colorate infilate in vicoli stretti, con vasi di fiori e piante ad entrambi i lati. Nella zona inferiore, i negozietti di souvenirs ed accessori di ogni genere danno il benvenuto ai (troppi) turisti che affollano le vie pavimentate, le bouganvilles si aggrovigliano ai balconi e dai vicoli arriva il profumo dolce di baklava e kataifi, mentre poco più in là si mescola all’odore della gyros.
Io non mi faccio mancare una puntatina a Paralia Arbanitia, la spiaggia, a poche centinaia di metri dalla Fortezza Palamidi (che noi visiteremo domani). Uno stradello pavimentato, fiancheggiato da grossi cactus di fichi d’india, conduce giù dove le onde si infrangono piano a riva. Niente di che, è una spiaggia stretta e vuota, ma per vedere il mare si fa di tutto, tanto più che il sole prova ancora a farsi strada tra le nuvole mosse da un vento incessante. Torniamo al camper per l’ora di cena, e accanto a noi troviamo affiancati altri camper, perlopiù tedeschi e francesi.
Il parcheggio è immenso, e anche il numero di camperisti, a quanto sembra.
27 settembre, km 100265
– da Nauplia a Gefyra
Il tempo non ci assiste nemmeno oggi, e sembra che la perturbazione nuvolosa resterà almeno fino a domenica. La temperatura è drasticamente calata, ma per fortuna la giornata non inizia piovendo.
Dopo colazione, esco a piedi per raggiungere la lunga scalinata della Fortezza Palamidi, mentre i miei arriveranno in camper all’altro lato (la fortezza ha due biglietterie e due ingressi, uno “comodo” con parcheggio e uno “per gli sportivi”, ovvero quello con le scale!). Percorro gli innumerevoli gradini in pietra che si avviluppano lungo duecento metri di sperone roccioso. Sul numero di gradini ci sono pareri discordanti, ma la gente di Nafplio dirà che sono 999 (il millesimo sarebbe stato distrutto dal patriota greco Kolokotronis, fatto incarcerare dai suoi rivali politici in una cella della fortezza durante la guerra civile). Io non li ho contati, ma la vista dall’alto merita sicuramente la fatica.
Per quanto, i gradini sono bassi e abbastanza buoni, quindi la “scalata” è niente di più che una passeggiatina. Il biglietto costa 8€ e li vale tutti: una delle più belle fortezze mai viste, molto particolareggiata, costruita nel Settecento durante il secondo dominio veneziano, con otto bastioni ed un perimetro di almeno tre chilometri. Scalinate in pietra conducono alle prigioni, archi lungo le pareti conservano nicchie nelle quali venivano immagazzinati viveri e munizioni. Gran parte del percorso è poi sterrato, in mezzo a grosse pietre, per raggiungere il muro di cinta da cui ammirare il mare, la spiaggia di Arbanitia, gli yacht e tutta la città di Nafplio, compreso il castelletto di Bourtzi. Decisamente una bella tappa del nostro itinerario.
Per gli amanti del genere, l’intera zona è disseminata di fichi d’india che vanno sprecati (sia all’interno della fortezza Palamidi che lungo il viale della spiaggia, per non parlare di quelli a bordo strada): magari è utile avere un sacchetto per raccoglierne un po’, facendo attenzione alle spine (non come me, che me ne sono infilata centinaia nei polpastrelli per raccoglierli). Recuperati i miei, torniamo al camper parcheggiato fuori, sul “lato comodo”, e riscendiamo. La nostra prossima tappa, da raggiungere in tutta calma (dato che fa brutto), è Monemvasia, anzi per l’esattezza Gefyra. Percorriamo la litoranea 1214, che corre praticamente dentro l’acqua, e sarebbe magnifica se il cielo non fosse nuvoloso. Qualche ombrellone di paglia resiste, mosso dal vento (per fortuna più calmo rispetto a ieri), mentre le goccioline di pioggia bagnano appena il parabrezza. Ci fermiamo per il pranzo lungo la strada, poco sotto Kiveri, vista spiaggetta, e per un attimo il cielo sembra anche schiarirsi appena. Ovviamente ci ripensa subito.
Passiamo un paio di campeggi e già che ci siamo chiediamo la possibilità di effettuare carico/scarico, previo pagamento ovviamente, ma i gestori (tra l’altro sempre abbastanza ammusoniti) ce lo vietano. Proseguiamo la strada costiera, ci fermiamo per alcune foto dal belvedere, e poco dopo arriviamo a Leonidio, dove abbandoniamo la litoranea per salire di nuovo tra i paesini a 600 metri di altitudine. Incredibile questo paesaggio, così variegato, che in un attimo passa dalle montagne al mare attraverso stradine strette e tortuose lungo i fianchi rocciosi. Raggiungiamo quasi mille metri di quota, incontriamo poche forme di vita, paesini con tre case e una chiesa (notevole quella di Agion Apostolon a Peleta), capre e pioggerellina sottile che ci scorta come nelle highlands scozzesi. Impieghiamo praticamente tutto il pomeriggio per attraversare i 150 km tra Nafplio e la nostra meta, e quando arriviamo è ormai buio. Con la nostra fortuna immensa, abbiamo beccato l’unica perturbazione temporalesca della Grecia di tutta l’estate: il vento dondola il camper in movimento, il mare schiaffeggia i frangiflutti e allaga i parcheggi papabili. Al parcheggio del porto c’è fin troppo spazio ma è buio, quindi tentiamo il parcheggio a ridosso del ponte che collega Gefyra all’isolotto di fronte: ci sono altri camper parcheggiati e speriamo di stare in buona compagnia, ma in realtà non c’è posto. In aggiunta, mentre facciamo manovra per uscire, la città va in black out probabilmente a causa del vento. Buio pesto, non c’è più un lampione, non c’è una luce nemmeno a pagarla. Dopo un tentennamento iniziale, decidiamo per il parcheggio del porto (dove ci sarebbe persino la wifi aperta, se il black out non avesse mandato a rotoli tutto). Vento fortissimo che sfida solo l’isola di Skye dello scorso anno, onde alte come a Brighton. E meno male che eravamo venuti al caldo!
Stasera mi arrendo alla felpa.
Comunque a me la temperatura dell’altro ieri e quel cielo pulito piacevano un sacco.
Verso le 22 viene ripristinata l’elettricità a Gefyra, ritorna il lampione della banchina del porto e anche la connessione wifi aperta. Meno male, almeno quella.
Il vento, invece, ne avrà per tutta la notte.
28 settembre, km 100459
– da Gefyra a Neapolis
Dopo una notte semi insonne causa vento fortissimo, stamattina ce la prendiamo comoda. Il cielo è ancora nuvoloso, la temperatura è accettabile ma il vento non accenna a placarsi e soffia sorprendentemente “solo” a 40 km/h (nel camper la percezione è sempre maggiore). I nostri compagni di viaggio ci “abbandonano” per cercare lidi più caldi e meno ventosi, quindi si sposteranno sul secondo “ditino” del Peloponneso mentre noi facciamo il punto della situazione con estrema calma. Penso che nella storia delle vacanze in Grecia nessuno abbia mai trovato un tempo da lupi del genere, cerchiamo di ripianificare il programma, anche se con estrema fatica. Il vento rende insopportabile qualunque visita, ma ormai siamo qui e non ci lasciamo scoraggiare, né abbiamo intenzione di buttare una giornata. Un cielo soleggiato renderebbe di certo le cose più semplici, ma attraversiamo comunque il ponte che collega la cittadina di Gefyra al piccolo promontorio di fronte a noi. Lo chiamano “la Gibilterra greca” e nasconde, lì dietro verso nord, invisibile dalla strada, una rocca costruita nel periodo bizantino: è Monemvasia, un mucchietto di case in mattoni rossicci e malta color nocciola, con tre vie principali acciottolate che si aggrovigliano su più livelli in un labirinto di scalette in pietra, armonica nella sua costruzione, bella quanto Albarracìn (il gioiello della regione di Teruel, in Spagna). Il promontorio roccioso era unito alla terraferma dove sorge Gefyra fino al 375 d.C., quando un violento terremoto la separò dal continente: il nome di Monemvasia significa infatti “unico ingresso”. E’ costituita da due porte principali, una a sud (con un minuscolo parcheggino davanti, giusto per fare manovra con i bus di pellegrini) e una al lato opposto, dove si trovano diversi hotel diffusi oltre i quali, comunque, partono solo sentieri a piedi.
E’ un paesino gettonatissimo, si vede dalla cura dei dettagli, con piante ad ogni angolo, bellissimo da fotografare.
Passiamo un po’ di tempo all’arco di entrata a guardare gruppi di vacanzieri che ripartono, aiutati con i bagagli dal personale degli hotel che va avanti e indietro con cariole cariche di valigie. Idem per i ristoratori, che arrivano all’ingresso con i carrellini a prendere le merci scaricate dai fornitori. Pittoresco. Vale davvero una visita, e soprattutto con il bel tempo la vista sul mare dev’essere sensazionale, senza contare i vari percorsi che arrivano in cima alla rocca. Purtroppo la nostra visita è invece funestata dalle violente raffiche di vento e dalla pioggerellina che imperversa. L’unico vantaggio riscontrabile da questa giornata da lupi è la quasi totale assenza di turisti.
Torniamo al parcheggio del porto per il pranzo, e subito dopo ricarichiamo il serbatoio dell’acqua e svuotiamo le grigie con la bacinella in zona Lira, quattro case in cima ad una stradina di montagna con uno slarghetto a bordo strada ed una fontanella con griglia a terra. Chiaramente il tempo in queste situazioni non ci assiste mai, quindi ci facciamo la doccia con l’acqua piovana.
Riscendiamo a Gefyra, il vento imperversa ed il mare grosso si infrange ancora a riva, sulla spiaggia a sud della cittadina. Ci fermiamo per qualche foto ancora alle onde e al promontorio di Monemvasia, sempre più immerso nella nebbiolina, con l’orizzonte sempre più confuso. Decidiamo di spostarci sull’altro versante, tagliando fuori Capo Malea (che comunque presenterebbe un percorso a piedi piuttosto lungo, ed impostiamo Neapolis al navigatore. I primi chilometri costieri sarebbero stupendi, ma piove talmente tanto che quasi non si vede nemmeno il mare. Meno male che i chilometri alla meta sono pochi e che il fondo stradale è molto buono e i guardrail sono nuovi, perché la pioggia battente corrode la roccia rossa a vista d’occhio e la scioglie creando impressionanti fiumi rossi: corre più acqua ai lati della strada che nei fiumiciattoli che abbiamo visto in secca lungo il tragitto. Piove senza dignità, l’acqua scorre anche sulla strada, i campi sono alluvionati e nel primo agglomerato di case vicino a Neapoli i vigili del fuoco sembrano contare anche qualche danno. Arriviamo finalmente in paese e superiamo il piccolo molo con l’imbarco per Elafonisos e Kithira, e ci fermiamo alla fine della strada del lungomare. Troviamo altri 4 camper nel raggio di cinquanta metri e proviamo a fermarci, anche solo per rigenerarci dalla faticata dell’attraversare una perturbazione così ostica. C’è anche una rete wifi aperta, e i miei fanno i dissociati cercando notizie utili.
Un timido raggio di sole prova ad affacciarsi.
Dopo 48 ore fa quasi male agli occhi.
29 settembre, km 100521
– da Neapolis a Mystras
Dopo una notte con raffiche di pioggia ma relativamente calma dal punto di vista del vento, cullati dal fragore delle onde incessanti, anche stamattina il tempo non promette nulla di buono. Ci muoviamo con poca convinzione verso Pounta (pochi chilometri oltre Neapolis), solo per un giro di ricognizione all’imbarco del traghetto per Elafonisos. Attraversiamo strade che costeggiano campi allagati, in cui i danni di quello che sembra essere (secondo le previsioni meteo) un ciclone mediterraneo (fenomeno guarda caso rarissimo!) sono già visibili: gli ulivi galleggiano in un palmo di fango, rami secchi ovunque. Un po’ smarriti dall’acqua marrone che troviamo all’imbarco, sperando che in un paio di giorni il meteo si sistemi, pianifichiamo l’alternativa: ci allontaniamo e saliamo verso Sparta, comunque fuori dall’itinerario originale.
Nel solito saliscendi di stradine, bypassiamo Archangelos, minuscola località marittima molto graziosa, nonostante il solito mare in burrasca e gli ombrelloni praticamente in acqua. Seguendo la costa, troviamo un pantano d’acqua sulla strada che preferiamo non attraversare e siamo costretti a tornare indietro di qualche chilometro e deviare. Il vantaggio è che ci sono mille strade per raggiungere qualsiasi punto, e non sono poi così brutte. O almeno, non peggio delle nostre di montagna. Da segnalare, a pochi chilometri da Skala (lungo la E086 per Sparta), il mio paesino: Stefania.
Ovvio che deviamo per la foto scema di rito sotto al cartello, e già che ci siamo non ci facciamo mancare la raccolta di fichi d’india da una pianta a bordo strada. Ci fermiamo poco prima di Sparta per il pranzo (non c’è niente di interessante, nonostante sia stata protagonista antagonista di Atene in tutti i libri di storia). Sotto un cielo che, se possibile, è ancora più scuro di quando siamo partiti, arriviamo invece a Mystras. Continua a piovere senza ritegno e tira vento, giusto per non farci mancare nulla. Il temporale di questi giorni ha trascinato pietre e detriti lungo la strada, e fiumi d’acqua continuano a scorrere ai lati. Saliamo verso la città vecchia, la parte bella ed interessante, e parcheggiamo nello spiazzale poco distante dalla biglietteria accanto ad un camper olandese che, a giudicare dalle zeppe sotto le ruote, ha pernottato qui. Chiaramente, causa maltempo, non possiamo scendere in visita.
Dopo un paio d’ore, in cui per ammazzare il tempo tentiamo di pianificare i prossimi giorni, ci spostiamo in uno spiazzale dietro al nucleo della città nuova di Mystras in cui, benché sia specificato “no parking” dalle 22 alle 7, ci sono altri camper stazionati. Piove troppo per andare in qualsiasi altro posto o fare qualsiasi altra cosa, e alla fine decidiamo di restare, sperando che nessuno ci faccia storie.
30 settembre, km 100671
– da Mystras a Neapolis
Finalmente stamattina ha smesso di piovere e il tempo sembra essersi sistemato appena: è nuvoloso ma civile, non fa freddo e, mentre il mondo parla dell’uragano in Grecia (che noi abbiamo praticamente attraversato due volte), i lavori di ripristino strade e drenaggio acqua sono già iniziati. Gran parte dei detriti sono stati portati già via quando passiamo, poco prima delle 9, verso il parcheggio della città antica. Ci posizioniamo a fianco al camper olandese di ieri (che sta ancora qui!) e siamo tra i primi ad entrare dalla porta principale. Colpo gobbo della giornata, l’ingresso è gratuito poiché è l’ultimo weekend di settembre. Alla biglietteria ci danno una mappa del sito in inglese, ben scritta e dettagliata. La vecchia città è meravigliosa, una chiara testimonianza di architettura tardo-bizantina, grande come estensione ma appassionante al tempo stesso. Il castello in cima allo sperone roccioso (di cui ora rimane il rudere del perimetro) fu la prima parte della città fortificata che si espanse poi dalla seconda metà del XIII Secolo.
Le strade acciottolate scoprono, passo dopo passo, chiese e monasteri con gli affreschi consumati dai secoli, e vecchi ruderi ricoperti di edera. I gatti sono tutto fuorché randagi: si lasciano avvicinare ed accarezzare, e fanno più fusa della mia gatta a casa. La cura messa nella conservazione di questo sito archeologico patrimonio dell’UNESCO dal 1989 è maniacale ma al tempo stesso fedele, le plance descrittive lo abbelliscono senza deturparlo. Lungo il percorso incontriamo un camperista francese che sta viaggiando da solo e facciamo quattro chiacchiere (e per fortuna mi becco i complimenti per il mio francese che non esercito da un po’!), inizia a piovere e ci ripariamo nella chiesa di Santa Sophia, quasi alla sommità del sito. Per fortuna sono pioggerelle residue di pochi minuti e possiamo proseguire la visita (in mezzo a cento pellegrini asiatici). Una menzione particolare va dedicata al Palazzo dei Despoti, che domina la città alta di Mystras. È un grande complesso di edifici appartenenti a diversi periodi di costruzione, dall'epoca franca a quella bizantina (e proprio di quest'ultima ha conservato i tratti peculiari). Il palazzo dei Despoti è anche noto come palazzo Palataki, che significa il piccolo palazzo, in contrasto con il grande palazzo di Costantinopoli. La parte più bella, però è sicuramente la Pantanassa, un monastero tutt’oggi abitato da suore, adornato da un bellissimo cortile pieno di fiori e bouganvilles che hanno resistito al ciclone di queste ultime ore come se fosse stato niente. Davvero uno spettacolare sito bizantino, che ci porta via un’intera mattinata.
Il nostro viaggio di ritorno a Neapoli, iniziato dopo pranzo, scorre pacifico: ripercorriamo gran parte della strada fatta ieri in senso opposto ma d’improvviso scopriamo un paesaggio inaspettato, poiché con una bavettina di sole le montagne riprendono i colori, si intravedono case sui cocuzzoli e il turchese del mare riaffiora piano. Un altro mondo. E gli operai stradali si sono dati estremamente da fare, perché se non fossimo passati ieri per questo stesso tracciato non diremmo mai che 24 ore fa i fiumi di pioggia scorrevano incessanti ai lati delle strade, tra i detriti trascinati giù dalle rocce, e gli uliveti erano ridotti a risaie. Chissà quanto tempo sarebbe servito, in Italia, per ripristinare la viabilità.
Ci fermiamo un paio di volte lungo la strada per fare le foto ai primi colori ritrovati, finché non arriviamo direttamente sulla spiaggia di Mpozas, a fianco ad un ristorante al momento chiuso. Contro ogni previsione (dato il posto), il camper stop indicato da CamperContact pare esserci, dato che ci sono ameno cinque o sei camper di danesi ed inglesi fermi al bivacco nella pinetina, zingarando con filo dei panni stesi e sedie sotto il patio manco fossero a casa loro. L’acqua comunque è potabile ed è al lato del ristorante, è lo scarico delle nere è attaccato al muro sul lato posteriore del ristorante, con un comodo bocchettone ed un rubinetto per pulire la cassetta wc. Rigenerati e pieni d’acqua, ci fermiamo a Pounta, all’imbarco dei traghetti per Elafonisos, ma riusciamo a leggere solo gli orari delle corse per l’isolotto, poiché i biglietti si fanno a bordo. La prima cosa che sorprende, ancora una volta, è vedere finalmente il mare che ha ripreso il suo colore naturale: sono passate 36 ore da quando lo abbiamo visto marrone, e stasera è calmo e con un bellissimo tramonto a lato della baia. Vorremmo fermarci lì al parcheggio degli imbarchi per la notte, ma notiamo gruppi di gente sospetta (probabilmente zingari) e decidiamo di tornare bellamente a Neapoli, parcheggiando nuovamente al posto da cui siamo partiti ieri mattina. Anche stasera, comunque, siamo in buona compagnia: un camper francese con gavone-rimorchio e il solito Itineo dell’altra sera parcheggiato in fondo alla strada.
01 ottobre, km 100805
– Da Neapolis a Kokkinogia
Stamattina il sole torna a splendere ufficialmente, con qualche residuo nuvoloso ma non preoccupante all’orizzonte, e gli operai sono a lavoro per spalare i sassi che la mareggiata ha portato sul ciglio della strada in questi ultimi giorni. Prima delle 9 siamo già in marcia verso Capo Malea e la foresta fossile, tagliati fuori l’altro giorno causa maltempo: sono appena 16 km ma le strade strettine e in salita rendono difficoltoso il percorso. Arrivati nei pressi di Valtaki scopriamo che per la foresta fossile c’è una minuscola strada sterrata di almeno 5 km, che chiaramente è improponibile fare in camper (ed io a piedi ci metterei troppo tra andata e ritorno), quindi siamo costretti a tornare indietro.
E niente, in dodici ore abbiamo segato via l’isola di Elafonisos (perché non ci fidiamo a lasciare il camper al parcheggio di Pounta una giornata intera con la gente sospetta che gira lì intorno) e Capo Malea e la foresta fossile. Risaliamo seguendo la strada che in questi giorni abbiamo fatto avanti e indietro ed abbiamo imparato a memoria!), ci fermiamo da Lidl nei pressi di Skala per una rapida spesa e finalmente, poco oltre, scopriamo la costa sopra la spiaggia di Trinesa, lungo la 1626. Ci fermiamo su uno spiazzaletto vista mare, che finalmente ha ripreso il suo bel colore blu, accodati ad un altro camper italiano, fermo per lo stesso motivo. Due chiacchiere con la coppia bresciana a bordo, e scopriamo che stanno facendo il nostro stesso giro e che erano nei nostri luoghi i nostri stessi giorni, compresa la mattina a Monemvasia.
Dopo il caffè ed aver salutato i camperisti, scendiamo poco oltre, a Glyfada beach, dove la strada finisce in spiaggia (e infatti anche qui, come ieri, c’è un campeggio libero tra gli alberi occupato da diversi camper. Ad un centinaio di metri, lì sulla spiaggia, il relitto della nave Dimitrios, forse il più famoso della costa greca.
La nave, ormai un ammasso di ruggine che fatico a pensare come faccia a stare in piedi, è arenata qui dal Natale del 1981, quando fu fatta salpare dal porto di Neapoli e data alle fiamme, probabilmente per nascondere traffici loschi. Noi ne approfittiamo per mettere i piedini nell’acqua e fare due passi sulla sabbia, c’è pochissima gente e quasi nessuno prende il sole, nonostante la temperatura si sia ormai, per fortuna, ripristinata.
Poco dopo ci fermiamo a Gythio e parcheggiamo lungo il porticciolo vicino all’isolotto di Kranaes. Ci incamminiamo lungo la linguetta di terra (costruita alla fine del XIX Secolo) che collega l'isolotto alla terraferma.
Secondo la leggenda, quando Paride di Troia rapì Elena da Sparta, trascorsero la loro prima notte a Kranaes. Quando Gythio divenne il principale porto dell'antica Sparta, Kranaes divenne un luogo di riposo per i commercianti. A parte la chiesetta ed il fato proteso verso il mare, non c'è molto, ma ci serviva fare due passi. La strada fino a Kotronas scorre poi abbastanza bene, fiancheggiata dagli ulivi che graffiano il camper (chiaramente niente di preoccupante, solo graffietti che vanno via con la pasta abrasiva) e resti del terriccio dell’alluvione. Un paio di calette, saliscendi e panorami bellissimi tra montagna e mare.
La caratteristica della penisola del Mani (il “dito medio” del Peloponneso) è la presenza, nei paesini arroccati al fianco delle colline, delle cosiddette case-torre, ovvero abitazioni in mattoni tendenzialmente grigi (o comunque molto chiari e luminosi), che nella struttura ricordano le fortezze medievali, con i muri quasi a secco ed una torre centrale o una parte a pianta quadrata) con i merli visibilmente “in rovina".
Kokkala, Spira e Dimaristika, lungo la strada, sono paesini che contano spesso poche decine di abitanti e nei quali questo tipo di costruzione è estremamente evidente, e molto armonica nel paesaggio aspro e roccioso che circonda i gruppi di case. Ci si passa semplicemente attraverso, sono semplici mucchietti di abitazioni caratteristiche di questo angolo di paradiso, dove la vista si tuffa nel mare cristallino e la vegetazione è bruciata dal sole.
Lagia, poco più avanti, è un gioiellino che sembra aver ripreso vita dal medioevo. Ma c’è il trucco: i muri sono in realtà bianchi ed intonacati, poi rivestiti con uno “strato” di mattoni a vista! Percorriamo tutta la 1623 finché non ci separiamo e scendiamo lungo la meravigliosa stradina panoramica della punta del Mani con il tramonto ormai avviato: siamo talmente immersi nelle montagne che non vediamo il sole, ma solo le sue striature rosa. La discesa è ripidissima ed offre un panorama grandioso, la strada ed i tornanti sono abbastanza stretti ma il fondo stradale è ottimo, molti tratti sono rifatti di recente. Peccato soltanto non riuscire a fermarsi per fare delle foto, poiché non c’è spazio, ma comunque la luce crepuscolare non aiuterebbe. Superiamo Porto Kagio e Marmari ed arriviamo a Kokkinogia, ultimo agglomerato di case, dove la strada termina praticamente in un parcheggio poco distante da una taverna, sullo sperone roccioso
più a sud dell'intera penisola del Mani. E’ già buio, e nel parcheggio c’è già un camper: sono gli italiani incontrati oggi a pranzo! Ci posizioniamo lì a fianco, facendo molta attenzione ai massi sporgenti dal terreno, esposti alle raffiche di vento. Che miracolosamente, per fortuna, scemano fino a sparire prima di andare a letto. La cosa più bella, comunque, la regala la notte: scendo per caso per cercare un po’ di arietta fresca fuori dal camper, e nel buio, appena alzo gli occhi, una stellata meravigliosa, con tanto di via lattea in bella mostra, e Marte grosso come un acino d’uva.
Mai viste così tante stelle.
Nemmeno in campagna a casa mia.
02 ottobre, km 101007
– Da Kokkinogia a Kalamata
La mattinata inizia con una sgambatella fino al faro di Capo Tanaro Matapan, seguendo l’abbozzo di sentiero che parte dal piazzale roccioso dove siamo parcheggiati. Due chilometri di sterrato con il mare di fronte. Fattibile, prestando comunque molta attenzione alle rocce erose dall’aria salmastra, che si incastrano in alcuni punti bloccano il passaggio e bisogna un po’ arrangiarsi e crearsi spazi. L’aria è fresca e aiuta il cammino, funestato però da formiche volanti. Per raggiungere il faro mi arrampico su una crestina rocciosa. Sono nel punto più a sud del Peloponneso, mantenendo così la tradizione del cercare sempre i punti più estremi, da Capo Nord a Tarifa, da Cabo da Roca a John O’Groats.
Torno alla base dopo un’oretta, risaliamo la strada impervia che improvvisamente con la luce diurna è più bella e più “semplice” e ci fermiamo a fare foto su tutti i belvedere possibili.
Scendiamo a Porto Kagio per dare un’occhiata, e troviamo un angolino all’inizio della spiaggia (ci entrano giusto un paio di camper)… il vantaggio principale della bassa stagione è sicuramente la minore affluenza di turisti e di conseguenza la diminuzione del traffico. Mettiamoci anche che se ci fermiamo in posti non propriamente autorizzati per camper, in questo periodo (a differenza di agosto) è molto difficile che facciano storie. Non è comunque un vero paesello: è una baia con barchette attraccate ai pontili in legno, ma praticamente a riva, una spiaggetta di un paio di metri di larghezza con quattro ombrelloni e quattro tavolini con sedie della vicina taverna.
Incontriamo una coppia di camperisti che si sono fermati qui, al parcheggio accanto alla taverna, per la notte, e ci dicono che le previsioni hanno messo brutto nei prossimi giorni. Intanto qui si annuvola di nuovo, ma per fortuna dura poco. Iniziamo la lenta risalita della costa verso Kalamata: la giornata sarà dedicata alla navigazione a vista, ai paesaggi e a fermarci ogni volta che vogliamo scattare foto a qualcosa che ci piace. A bocca aperta, dalla strada che sale, guardiamo in giù, verso calette dall’acqua turchese, incontriamo anche Vathia, il simbolo delle case-torre della penisola del Mani, e riusciamo anche a fermarci nei pressi di un punto panoramico da cui si ammira, bella sulla collinetta, come Civita di Bagnoregio, ma con le torri squadrate tutte in mattoni: un paesello che sembra una cittadella medievale in rovina, particolarmente suggestivo, forse anche per la posizione con il mare alle spalle.
Ci passiamo attraverso, superiamo alcune calette e riprendiamo infine la 1619 fino al parcheggio delle grotte di Diros, dove ci fermiamo per il pranzo. L’acqua della caletta a riva è celeste con sfumature turchesi e ci sono bagnanti che spaperano.
Vediamo passare una delle barchette a motore che conducono dentro le grotte: il biglietto costa 13€ per la visita… non lo regalano affatto, senza contare che dovrei andare sola, quindi rinuncio. Dopo il caffè riprendiamo la marcia verso nord, e ci fermiamo a fare rifornimento acqua (solo bottiglie) ad una fontanella in pietra lungo la strada. Ci fermiamo qualche minuto nei pressi di Limeni, graziosissimo borgo in pietra (evidentemente ristrutturato) costruito sulla roccia a picco sull’acqua azzurrissima. Cinquecento metri per attraversarlo, bouganvilles agli angoli delle taverne da cui arriva odore di cibo alla griglia.
Non ci tratteniamo molto perché il caldo appiccicoso delle due di pomeriggio si fa sentire subito (ma meglio questo che il tifone!), ma abbastanza da imprimerci nella mente quest’acqua cristallina su cui gli edifici in pietra si affacciano. Risaliamo lungo la strada e di nuovo scendiamo ad Agios Nikolaos, che ci sembra grazioso. C’è un ampio parcheggio al lato del porticciolo, ideale per fermarsi una mezz’oretta.
Il paesino in sé è il solito mucchietto di taverne, come se ne incontrano diversi in questa zona, tre bar sulla piccola piazzetta in bocca al molo, ma nel complesso molto caratteristico e pittoresco.
Un giretto lungo il molo e poi tra le case, una foto rubata in cima alla scala a chiocciola arrugginita della malmessa torre campanaria (il cancellino era aperto…), una terrazzina in calce bianca sul mare, e poi ripartiamo, mentre il cielo diventa grigio e inizia a gocciolare. Vabè... è già tanto che ci abbia graziati in queste ultime 36 ore, direi.
Arriviamo alla meta ultima che ha smesso di piovere e l’orizzonte sembra schiarirsi appena. L’area camper attrezzata “Marina Kalamata” è praticamente sul porto, alla fine di un bel lungomare, e comprende tutti i servizi. Bisogna solo andare all’ufficio della marina per fare una sorta di registrazione, al momento non c’è nessuno ma l’accounter dell’ufficio a fianco ci manda l’incaricato della security che ci dà le chiavi del wc (su cauzione) e ci spiega dove si trovano il carico/scarico e ci aiuta con l’elettricità (compresa nel prezzo). La cosa migliore dell’area sosta, scopriremo, è l’erogatore dell’acqua, nella stessa colonnina dell’elettricità, particolarmente rapido nel refill del serbatoio. Per altro, i bagni sono un po’ fatiscenti, con piatti doccia sbeccati e tavolette del wc cadenti, ma più che sufficienti per lavarsi (meglio che in camper, comunque!). La connessione wifi è discreta (e tra l’altro prende in tutta la città). Il mercato e la città vecchia sono a tre km dal porticciolo, e qui siamo comunque in compagnia, “appaninati” tra due camper tedeschi. La sera, poi, il porticciolo poco illuminato offre splendidi scorci e pose per le foto, che chiaramente non me le faccio mancare.
Nel frattempo i nostri compagni di viaggio, che ci hanno lasciati venerdì a Monemvasia, meditano di rientrare in Italia prima del previsto “perché sono abbastanza vicini a Patrasso”.
Se avessero evitato di affrettarsi tanto, abbandonandoci nel bel mezzo dell’uragano, non sarebbero così vicini.
03 ottobre, km 101148
– Kalamata
La mattinata inizia piovigginosa, per cui ci tocca scendere tutti bardati, con kway e scarpe chiuse. Neanche il tempo di costeggiare il porto per uscire sulla strada, ed esce il sole.
Quindi, da un lato, meno male, ma dall’altro… tutti i kway in una busta e via con il primo fardello da portare a spasso. Il primo step è il museo ferroviario all’aperto, praticamente un’area verde, che accusa la pioggia della notte e delle prime ore del mattino, con due belle fontane all’ingresso e alcune locomotive e vagoni treno su binari. L’edificio della vecchia stazione ferroviaria è adesso un bar che si affaccia sul parco, dove passeggiano bambini e… meno bambini (come il babbo, che sale sulla locomotiva e simula di essere un ferroviere ai comandi). Percorriamo tutto il parco nel senso della lunghezza, fino a sbucare su Aristomenous, una delle vie principali della città, fiancheggiata da negozi di abbigliamento e scarpe a prezzi buoni. Il nostro secondo step è il Kentrike Laike Agora Kalamatas, il famoso mercato cittadino in cui i piccoli agricoltori espongono la merce. Ci sbuchiamo praticamente dalla via principale e ci troviamo davanti un susseguirsi di banchetti ortofrutticoli e prodotti locali, marmellate di fichi d’india, miele, olio extravergine, olive e fichi secchi. Tutto a km zero, praticamente il regno del bio! Chiaramente, immancabile il negozietto dei formaggi (feta in ogni dove) e l’angolo del pesce. La verdura ha ottimi prezzi, e anche la frutta secca, che normalmente ha dei costi proibitivi. Dopo l’acquisto di uva e pomodori verdi per la caprese, ci fermiamo in una sorta di tavola calda molto approssimata per pranzare con pita gyros e souvlaki (anche perché sembrerebbero gli unici piatti del locale, dato che tutti li mangiano). Il cameriere non parla inglese, noi non parliamo greco, e ci esprimiamo a gesti in un contesto assai pittoresco. La mamma resta entusiasta sia della gyros che degli spiedini di pork, il babbo invece non si azzarda e si spara una porzione di patatine fritte.
Mangiamo discretamente e spendiamo due spicci, se non fosse che all’uscita, avendo per le mani diverse buste, dimentichiamo la pesantissima busta di pomodori chissà dove.
Ce ne accorgeremo la sera.
Il castello sarebbe il terzo step, ma è poco più che una fortezza in rovina e rinunciamo. Ancora un giretto per le viuzze della città vecchia, pavimentate, con tavernette caratteristiche, poi rientriamo lento pede al camper e ce la prendiamo comoda, mentre fuori inizia a piovere sabbia, ma solo per arrecare disturbo.
04 ottobre, km 101148
– da Kalamata a Koroni
La discreta mattinata che si preannuncia alle 8 ci guida nelle operazioni di carico e scarico e pulizia camper (che ne ha bisogno!), e poi andiamo all’ufficio della marina a pagare la sosta e rendere le chiavi del wc. Non sappiamo per quale motivo, ma il calcolo della receptionist fa risultare una notte sola per un totale di 12,40€. Più che buono, direi.
Un’ora più tardi siamo in partenza verso le cascate di Polilimnio, in zona Charavgi, che dista 35 km appena da Kalamata. Arriviamo in mezzo al verde che, tra una cosa e l’altra, è praticamente mezzogiorno: il parcheggio è sterrato, in fondo ad una stradina ben segnalata ma stretta, ripida e piena di buche, quindi perdiamo anche un po’ di tempo ad attraversare i punti più impervi. Di certo, con un fuoristrada sarebbe molto più semplice. Dal parcheggio, pieno di macchine, parte un sentiero che conduce al sottobosco.
Premettendo che i primi cinquecento metri sono normali (solo un po’ in discesa), il percorso tra gli alberi lungo i laghetti e le cascate non è per tutti: io vedo passare gente di ogni età, vestita non propriamente per questo genere di escursioni, che indossa calzature miste, dall’infradito ai sandali, e persino la ballerina con un po’ di zeppa… e magari mi superano anche (sono perlopiù russi e tedeschi, quelli impavidi), ma io per queste avventure consiglio scarpe da ginnastica sempre e comunque. O, ancora meglio, scarpini da scoglio, così ci si possono anche bagnare i piedi nell’acqua fresca, sempre prestando attenzione a dove si mettono! Chiaramente il driver e l’interfaccia di navigazione non mi accompagnano in questa impresa (a loro abbastanza inaccessibile), quindi li lascio in relax e a fare pranzo e mi avventuro tra gli alberi. Alcuni scorci sono decisamente belli, i laghetti sono tutti formati dai salti dello stesso fiume che forma cascate in più punti, ma mi aspettavo un’acqua cristallina, e invece credo che le piogge torrenziali delle scorse settimane abbiano contribuito a renderla torbida. Torno in tempo per il caffè (in realtà mi hanno aspettata per prenderlo tutti insieme) e poi riprendiamo la E082 verso Koroni. Il litorale è tranquillo, la strada è ampia ma senza alcun belvedere di rilievo, comunque il tempo ci assiste e speriamo soltanto che duri. A Koroni ancora una volta la strada passa a fianco ai tavolini delle taverne al porto, dove la gente fa le lastre a tutto e tutti.
Arriviamo al parcheggio e, non essendo congestionato, troviamo posto vicino ad un altro camper (sono anche italiani!). Facciamo un giretto fino al castello, di cui in realtà rimane solo perimetro fortificato di una cittadella, appoggiato su uno sperone di roccia con un bel panorama.
Scendiamo le scalette che ci conducono ad una balconata con una chiesetta affacciata sulla spiaggia di Zaga, dove il mare è più mosso poiché esposto ai venti del Mediterraneo.
Nonostante tutto, fa caldo e in spiaggia c’è gente a prendere il sole e anche in acqua. Ci infiliamo poi nelle viuzze del centro, pittoresche con le solite bouganvilles e le scalette in calce, le sedie in legno pitturate… e fauna locale (tre anziani umarells che guardano tutti quelli che passano) davanti al bar.
Torniamo al camper e dopo cena, con l’arietta frizzantina della sera non perdo l’occasione di fare un po’ di foto al porto illuminato.
05 ottobre, km 101224
– da Koroni a Pylos
Trenta chilometri appena ci separano dalla prossima tappa, Methoni. Le distanze sono talmente minime in questo ultimo “ditino” che abbiamo tutto il tempo di coccolarci con il paesaggio… se non fosse che anche ieri sera ha fatto due gocce d’acqua e stamattina è di nuovo nuvoloso, ma gli squarci di azzurro tra il grigiume delle nubi ci lasciano ben sperare. Ci fermiamo per quattro passi a Finikounda, adagiata su tre lingue di sabbia delimitate da un porticciolo. Dopo vari giri dentro le viuzze strette (come sempre!), parcheggiamo in fondo alla spiaggia: c’è in realtà il divieto per caravan, ma solo per caravan. Un po’ perplessi, sappiamo che non resteremo comunque più di un’oretta, quindi scendiamo per un giretto rapidissimo, tanto che alle 10.30 siamo già di nuovo a bordo, mentre inizia a piovere (ma solo per arrecare disturbo).
Semmai mi chiederanno “Cosa ricordi della Grecia?” dirò i gatti e la loro coccolosità: non c’è un angolo in cui non se ne incontri uno in vena di grattini, sono più affettuosi della mia gatta che ormai sta con noi da 12 anni!
Poco dopo arriviamo a Methoni per la visita della bella fortezza protesa sul mare, la sentinella greca dello Ionio. Fondata nel XIII Secolo sopra un promontorio delimitato su tre lati dal mare, è legata alla terra ferma da un ponte in pietra che attraversa un fossato profondo.
La fortezza di Methoni era gli occhi di Venezia nella zona: dopo averla occupata, la Repubblica marinara la trasformò in due secoli in una vera e propria città. L’ingresso costa appena 2€. Superata l’entrata centrale, ci troviamo davanti una distesa incolta d’erbacce e resti antichi, ma proviamo ad immaginare la vecchia glorie di secoli andati: i veneziani trasformarono questo luogo in una sentinella attenta all’imbocco dell’Adriatico:
occupato per la prima volta nel 1125, il doge fece radere al suolo la struttura bizantina preesistente, e abbandonò la zona. Un centinaio di anni più tardi la Repubblica ristabilì il proprio dominio sulla cittadella. Per quasi trecento anni, la fortezza di Methoni fu sotto il controllo di Venezia, poi fu rimbalzata come la pallina di un flipper tra Veneziani e Turchi fino al 1718. All’interno del perimetro delle mura, infatti, ci sono i resti di una cattedrale, di un bagno turco, le fondamenta di dozzine di case.
Ma la vera perla è il limite sud, dove il mare schiaffeggia le mura. Lì c’è una porta aperta su una strada rialzata che finisce in un isolotto fortificato, il Bourtzi. È stata costruita dai turchi nel XVI Secolo per rimpiazzare la precedente fortificazione veneziana. In quel tempo veniva usata come prigione e luogo di esecuzione. E solo quella, vale ben più dei 2€ di biglietto! Tra l’altro è una bella giornata ed il mare illumina le mille sfumature dello Ionio. Resterei qui per sempre, ma rientriamo al camper dopo una bella passeggiatina nel perimetro della torretta e pranziamo. In venti minuti di viaggio, poi, arriviamo al porto di Pylos, per gli amici Navarino. Anche qui, un cartello di divieto per caravan ci fa riflettere, ma ci sono almeno dieci camper parcheggiati. Riteniamo che, per via della bassa stagione, si possa stare, ma al momento preferiamo tirare dritti alla laguna di Gialova, pochi chilometri oltre. La strada corre su una lingua di terra che divide la baia di Pylos dalla laguna, molto pittoresca. I miei parcheggiano nell’ultimo spazio sterrato accessibile prima dei sentieri sabbiosi che portano alla spiaggia e al panorama del Paleokastro, in cima al promontorio, e si prendono un paio d’ore di relax. Io imbocco invece, con l’infradito ed il costume sotto ad un abbigliamento leggerissimo, il sentiero per il Paleokastro. Un paio di chilometri, di cui il primo in piano, alternando la spiaggia alla stradina sterrata, e il secondo tutto in salita, tra rocce appuntite ed arbusti. Non è stata una genialata, quella di mettere l’infradito, ma di certo non prevedevo questo percorso impervio. Affrontabile anche senza le calzature adeguate, ma prestando molta attenzione, e lungo la strada è impossibile non fermarsi (con la scusa di riprendere fiato!) a guardare il panorama alle spalle e scattare qualche foto. Il Paleokastro in cima allo sperone roccioso non è altro che una vecchia fortezza, ormai ridotta ad un cumulo di pietre, e solo il muro esterno a delimitarne il perimetro. Per raggiungere le mura di confine passo tra pietre franate, sterpaglie ed erba, ma la vista, a 270 gradi, è suprema: dallo Ionio alla famosa Voidokilia Beach, a forma di omega greca (o di funghetto), la boscaglia tra le dune di sabbia, la laguna di Gialova e di nuovo, più a destra, lo Ionio nella baia di Pylos.
Questa sì che è una vista. Forse un pochino faticosa con il caldo nell’ultimo tratto, ma indubbiamente ben ripagata. Mi riempio gli occhi di azzurro, blu, celeste e turchese e ridiscendo fino alla spiaggia, dove non perso l’occasione per immergermi cinque minuti. L’ultimo tratto della baia (o il primo, tornando indietro) è decisamente il più pulito, proprio di fronte all’isola di Sphakteria, rocciosa e selvaggia. Arrivo al parcheggio dove i miei se ne stanno seduti all’ombra con un leggerissimo venticello, sono già le 18.30 quasi.
Tolgo il sale di dosso con una bottiglia d’acqua mentre decidiamo di tornare al porto di Navarino: meditiamo infatti di entrare in campeggio domattina per farci una giornata di mare, arriviamo in tempo per il tramonto ma la vista mare è ostruita da una fila infinita di camper francesi e tedeschi che hanno anche aperto i tendalini. Mi sembra un po’ esagerato. Fatto sta che, dopo cena quando siamo tutti belli rilassati a goderci l’arietta fresca della sera, poco prima delle 22 la polizia fa una “retata” bella e buona e manda tutti via, dicendo che non si può pernottare. Strano però: CamperContact lo segnalava “parcheggio fantastico per la notte”, fino a prima dell’estate, ed è anche segnalato in molti diari di viaggio. Pensiamo sia un gomblotto con lo zampino dei gestori dei campeggi, e comunque sia sloggiamo. A questo punto, onde evitare di girare a vuoto, tentiamo di raggiungere il Campsite Navarino Beach stasera anziché domani, ma apparentemente è chiuso. Mentre ragioniamo, a motore acceso, sul da farsi, un tizio si avvicina e ci dice qualcosa in greco, a cui il babbo risponde in italiano. Della serie, ognuno parla la sua lingua e facciamo finta di capirci. Arriva poco dopo il guardiano notturno e ci chiarisce tutto, si trattiene un documento fino a domattina, dato che la reception riapre alle 8, e ci dà la password del wifi. Al babbo sta simpatico a priori, quindi decide di regalargli una bottiglia di verdicchio. Sperando non se la scoli durante il turno di lavoro.
06 ottobre, km 101306
– La baia di Pylos
La giornata è dedicata al mare e al relax.
Prima di tutto, passiamo in reception a pagare: spendiamo 26€ per la notte senza elettricità e 30€ per la giornata di oggi, in cui invece ne usufruiamo, e considerando che è bassa stagione non è economico. C’è anche il mini market, dove prendiamo il pane fresco. Il vantaggio più grande è che il nostro posto è vicino ai bagni, allo scarico della cassetta wc, al mini market/reception, ma soprattutto in venti passi sono in spiaggia. Meraviglia pura! Verso le 9 lascio dunque i miei per raggiungere Voidokilia Beach, la baia “a funghetto” sul lato opposto della baia di Navarino (Pylos), oltre la laguna. Cammino lungo la spiaggia (un po’ accidentata, tra sassi e alghe delle scorse mareggiate) con gli immancabili scarpini da scoglio, e alla fine della baia taglio nel sentiero interno: ieri proseguendo a sinistra sono arrivata al Paleokastro, oggi a destra raggiungo una delle spiagge più famose della costa di Navarino. La parte peggiore è costeggiare la laguna, su un sentierino largo 30 cm, un po’ fangoso, alla mercé di insetti e zanzarine, senza contare l’odore di acqua stagnante. Meno male che la vista è bella e non ci vogliono più di 20 minuti per attraversarla, quindi mi faccio forza. Il sentierino finisce in mezzo alle dune di sabbia, disseminate di arbusti bassi, ed ecco che già l’arietta del mare inizia a soffiare di nuovo. Pochi passi ancora, arrampicandomi sulla sabbia, e dall’altro lato si apre la baia di Voidokilia. Dal campeggio sono giusto sei chilometri, considerando il tempo perso a scattare foto direi che si raggiunge in un’ora a passo svelto. Finalmente una striscia di sabbia in grazia di dio!
Selvaggia, ampia, libera, e tra l’altro ci sono 20 persone in tutto. Lo sperone di roccia ocra e rossa a lato sinistro della baia mi ricorda il mio Conero, la mattinata è splendida, l’acqua è trasparente ed i colori vividi. Un bagnetto ci sta tutto, ma avendo promesso di essere a casa per pranzo, mi fermo giusto fino a mezzogiorno, poi riparto e torno al campeggio (ovviamente, altri 6 km!). Subito dopo pranzo mi preparo ad un bel pomeriggio di sole, peccato che non passa mezz’ora che si annuvola e si alza un venticello affatto caldo.
Non vedremo più il sole fino al tramonto, in cui riapparirà per farsi beffa di noi.
Nel frattempo chiacchiere, tentativi di utilizzare internet fluttuante, doccia e shampoo.
Il pomeriggio scorre pigro ma ci fa meditare un possibile ritorno in Grecia, magari per visitare la parte rimasta fuori in questo tour.
07 ottobre, km 101306
– da Pylos a Killini
Stamattina a colazione cornettoni dal mini market della reception, poi solita manutenzione carico/scarico ecc ed usciamo dal campeggio alle 10, con una bellissima mattinata di sole (che comunque durerà poco). Saliamo lungo la E09 e, all’ingresso della cittadina di Filiatra, il navigatore ci porta dentro le stradine strette del paese (le indicazioni per proseguire sulla E09 non collimano nemmeno con la segnalertica stradale). Più avanti, non perdiamo invece occasione di fare le foto ad una riproduzione della Torre Eiffel lungo la strada principale. A parte che anche davanti al ristorante di Oscar e Amorina (a Piane di Montegiorgio, Fermo) c’è una specie di mini Torre Eiffel, ma suppongo che nessuno abbia mai fatto le corse per fotografarla. Ci fermiamo poi a Kyparissia per dare un’occhiata al castello in cima al cocuzzolo, ma la stradina è stretta e ripida e rinunciamo. Dopo un po’ di manovre, scendiamo verso la spiaggia per un paio di foto, ma tiriamo poi dritto verso Katakolo per vistare il museo dell’antica tecnologia greca. Poiché abbiamo scoperto che chiude alle 15 abbiamo i tempi un po’ stretti ma arriviamo comunque entro l’ora di pranzo. I miei preparano un paninazzo al volo, io esco a fare due passi sperando di trovare qualcosa di interessante da fotografare, o magari un angolino di spiaggia. La zona attorno al porto è un nugolo di taverne piene di gente che fa le lastre al passaggio di “forestieri”, mentre sull’altro lato la spiaggia è piena di alghe, sempre dovute alle recenti mareggiate. Per la disperazione raggiungo i miei al museo, subito a lato del parcheggio del porticciolo. L’edificio da fuori è poco più che una casetta, ma dentro è molto curato: ci sono tutte le “invenzioni” meccaniche ed idrauliche degli antichi greci, dalla “pietra filosofale” al servo meccanico dall’orologio idraulico di Csetibio a quello anaforico. Tutti congegni che sfruttano leve, pesi, acqua e pressione per funzionare. Ovviamente nelle teche in plexiglass sono racchiuse anche le riproduzioni del funzionamento dei vecchi telai, delle prime gru utilizzate per costruire i colonnati dei templi più famosi dell’antica Grecia. Per gli appassionati del genere, come il babbo, questo posto è una piccola Disneyland. Io invece, per quanto mi sforzi, non ci capisco niente. Le spiegazioni (tra l’altro abbastanza curate e dettagliate in diverse lingue, italiano compreso!) sono per me incomprensibili. Rinuncio: i musei tecnologici non sono per me. A chiusura, i miei escono e si decide di tirare fino a Killini. Il porto è una babele, arriviamo nel momento dell’imbarco di una delle navi della Ionian Lines in mezzo al caos delle macchine e parcheggiamo in un angolino. Andiamo alla biglietteria per chiedere info sui traghetti per Zante o Cefalonia: chiaramente il prillo di traghettare è venuto a me, e altrettanto chiaramente pensiamo di andare a piedi, perché imbarcare il camper sembra un’operazione costosa. Il simpatico bigliettaio della Kefalonian Lines ci conteggia un viaggio a/r tre adulti + camper per Zakyntos a 118€… Io sono già sull’isola con la testa, e stranamente anche il babbo si lascia tentare, e crepi l’avarizia. Il bello del viaggio in camper è sempre la possibilità di cambi improvvisi di rotta, e considerando che abbiamo guadagnato un paio di giorni, acquistiamo il biglietto e domattina ci imbarchiamo prestissimo! Alla biglietteria ci dicono che possiamo restare a dormire nei pressi del porto o nello spiazzaletto sterrato attiguo alla spiaggia, infatti troviamo posto a fianco ad un altro camper ed iniziamo a programmare un itinerario di massima per i prossimi due giorni. Sperando nel bel tempo!
– Zakynthos (Zante) – giorno estemporaneo 1
Dopo la levataccia delle 5.30, stamattina al molo siamo in compagnia di camion, furgoncini e macchine pronti a salpare (io personalmente sono anche molto emozionata: un viaggio nel viaggio).. La nave Alexandra L della Kefalonian Lines arriva alle 6 con le sue luci blu e, dopo aver imbarcato tutti con precisione e solerzia, parte puntuale. Il viaggio dura circa 75 minuti, alle 8 sbarchiamo al porto di Zante, dopo una bella alba in mezzo alle nuvole.
Prima tappa, la bakery per il pane e la seconda colazione, poi un giro nella chiesa di Agios Dimitrios, di fronte al porto, e una mezz’ora in un negozio di souvenirs, dove il commesso ci regala anche una mappa dell’isola, dicendo che le strade principali sono due, una sul versante orientale e una sul versante occidentale, e da lì partono centinaia di altre piccole strade.
Cercando di sfuggire alle nuvole che incombono, iniziamo il tour verso sud, dalla penisola di Vasilikos, con le spiagge di Porto Zoro (molto panoramica, con acqua cristallina e rocce che spuntano dall’acqua), per approdare poi ad Agios Nikolaos, dove ci fermiamo per due foto alla chiesetta su un piccolo sperone roccioso. Ci riposiamo guardando quest'acqua trasparente da sembrare finta e ci lasciamo staccare le orecchie prendendo tre granite al bar della spiaggia, come dei veri vip.
Riprendiamo la marcia ed arriviamo, pochi chilometri oltre, e Gerakas, una delle spiagge dove le tartarughe vengono a deporre le uova (l’accesso è infatti dal tramonto alle 7 del mattino per permettere la schiusa indisturbata). La spiaggia è racchiusa tra un peduncolo roccioso inaccessibile proteso verso il mare e un piccolo canyon di arenaria bianca. Qui, l'erosione dei venti e dell'acqua ha dato origine a montagne "lamellate" particolarmente suggestive, ammirabili da un belvedere raggiungibile lungo un sentiero di poche centinaia di metri.
E’ già mezzogiorno, riprendiamo il cammino verso Laganas, ma dobbiamo ripercorrere la strada in senso opposto poiché non c’è una litoranea. Sono distanze brevi, ma strade perlopiù molto tortuose, e l’eccessiva prudenza del babbo ci fa procedere a 30 km/h, quindi ci impieghiamo una vita! Incappiamo in una perturbazione piovosa (guarda caso!) dentro Laganas, proprio un secondo dopo che la vergara, controllando il meteo sul tablet, ha annunciato “mah, comunque non dovrebbe piovere…” e ad un tratto scorre acqua a fiumi lungo la strada e a secchi dal cielo. Ci fermiamo, dunque, lungo la strada a fianco al McDonald’s chiuso per il pranzo (io già pregustavo il pranzo vista mare, invece col cavolo, perché l’invidia che ci tira la gente è sempre in agguato).
Per fortuna si schiarisce giusto dopo il caffè e ci dirigiamo giù al porto, dove parcheggiamo pochi minuti davanti alla minuscola Cameo Island (o isola di Agios Sostis), un cocuzzoletto di arenaria unito alla costa fino al 1633, quando fu diviso da un devastante terremoto. Adesso è collegato alla terraferma da un ponticello in legno, ahimé chiuso. Tentiamo di raggiungere Capo Keri, passando nel paesino omonimo, ma una volta in cima ci rendiamo conto che la strada è sbarrata da una recinzione. Dentro, un ampio piazzale di una probabile taverna (ora chiusa) che ha evidente monopolizzato l’appezzamento di terreno: non riusciamo a vedere il panorama né il faro, il babbo bestemmia per fare manovra (percorso strettissimo!) e alla fine decidiamo di tirare dritto e raggiungere Porto Limnionas. In fondo ad una strada abbastanza in pendenza ed un pochino sconnessa (seppur asfaltata) c’è un parcheggio buono con l’ingresso ad un bar con ombrelloni in paglia.
L’insenatura rocciosa sotto di noi svela un’acqua bellissima in cui gente spapera, fa snorkeling e si tuffa dagli scogli. Il sole ormai splende ed illumina i colori del mare, ma non rimaniamo a lungo e per il bagnetto aspettiamo le spiagge “comode” sul lato orientale.
Ci addentriamo lungo stradine non nelle migliori condizioni, circondate da bucolici campi di ulivo e vigneti, fino a raggiungere Exo Chora. Questa minuscola località è famosa per il suo antico ulivo, presente nel centro del paese che si stima abbia circa 2000 anni. La pianta ha un tronco molto cavo e i rami principali sono sostenuti da rinforzi per evitare che la pianta crolli sotto il suo stesso peso.
Prossima tappa della giornata è la spiaggia più popolare di Zante ed in generale una delle più popolari di tutta la Grecia, quella di Navagio. Agli inizi degli anni ’80 il fotografo Stavros Marmatakis si trovò in una casa della zona dove notò molte scatole di sigarette in un ripostiglio. proprietario della casa gli spiegò che provenivano dalla nave contrabbandiera Panagiotis che era naufragata in quel periodo, la cui carcassa era stata restituita dal mare e se ne stava arenata sulla spiaggia nella baia di Spirlì. Marmatakis fu guidato sulla montagna sopra la baia e fu il primo a scattare e diffondere le foto di quella che anni dopo, grazie a lui, diventò la spiaggia più gettonata di Zante. Adesso orde di visitatori ogni giorno ci arrivano esclusivamente via mare, ma in cima alla falesia c’è un parcheggio (ovviamente per accogliere anche bus turistici) dove è stata costruita una sorta di pedana da cui si vede la baia. I colori del mare e della sabbia sono stupendi, ma ammetto che forse hanno gonfiato un po’ la cosa…
Il relitto si intravede appena, bisogna sporgersi dalla pedana (circondata da una ringhiera che sembra di essere in gabbia) per vederlo, e fare foto diventa sport estremo. Proseguendo a destra c’è un sentiero che arriva Per fino in cima ad un’altra falesia, ma al momento è molto fangoso. Per la verità c’è un altro sentiero che condurrebbe ad un view point, sulla sinistra rispetto alla pedana ingabbiata, ma dopo i primi duecento metri affrontabili di sconnesso con pietre franate dalle rocce, il percorso diventa obiettivamente pericolosissimo: non è nemmeno un sentiero, sono pietre a cui ci si aggrappa per non cadere nel vuoto. Stavolta la saggezza della vecchiaia mi evita di fare qualche cretinata, quindi risalgo verso il camper e addio panorama bellissimo.
Arriva il tramonto, il babbo non vuole restare a picco sul nulla, quindi ci spostiamo in uno dei minuscoli paesini nell’entroterra sperando di trovare spazio. A Volimes c’è un parcheggio a fianco ad uno snack bar, quindi chiediamo se possiamo restare. La signora è gentilissima e ci dice che non ci sono problemi, vorremmo comprare la pita gyros per sdebitarci ma non hanno disponibile quella arrotolata, quindi ci accontentiamo di due Mythos. Saranno dieci anni che non ne bevo una!
La serata finisce qui, con birra e friselle per cena.
09 ottobre, km 101603
– Zakynthos (Zante) – giorno estemporaneo 2
Stamattina siamo pronti almeno mezz’ora prima del solito, abbiamo dormito tantissimo ma siamo anche stati svegliati ad un’ora improponibile dal gallo del paese. Passiamo dentro le viuzze di Volimes, davanti a mini market, campanili di chiesette, snack bar all’angolo. Ci chiediamo come possa essere tutto strizzato nello stesso perimetro. I negozietti di artigianato, tappeti e ceramiche dipinte a mano sono già aperti ed anziane signore ci salutano mentre passiamo. Loro non sanno che stiamo ancora cercando di capire come uscire dal groviglio di strade!
Un paio di chilometri oltre, immerso nella natura (anche Zante ha una discreta vegetazione) passiamo davanti a Elies Park, nella località omonima: un sito ad ingresso libero che mostra la vita dell’inizio del secolo, in cui il tempo sembra infatti essersi fermato: nella “casa del nonno” ci sono gli oggetti utilizzati nel 1940, le anfore sul patio ed i tronchi di ulivi millenari. Seguendo la stradina sterrata si raggiunge anche una piazzetta con macchina d’epoca, trattore, barchetta e varie totalmente corrosi dal tempo, che creano un affascinante effetto “urban decay” inserito in un contesto rurale.
I quattro passi nell’aria mattutina mi permettono di scaldarmi, dato che il fresco frizzantino di fa sentire. Teniamo comunque presente che questo lato dell’isola si becca il tramonto più bello, quindi il sole, anche a causa dei rilievi, lo vede più tardi degli altri punti.
Raggiungiamo Skinari (la strada è tortuosa, ma sono appena 10 km, ed il parcheggio in cima è ampio ed accessibile, sotto pini ed eucalipti). Ci fermiamo per vedere il grazioso mulino a vento. A fianco, un tipico mulino a vento bianco con il cappellino azzurro, come le migliori tradizioni delle isole greche, vicino ad una bella una taverna. Poco oltre, una splendida serie di terrazze panoramiche prendisole: la vista sul mare e sulle rocce è davvero meravigliosa, inoltre, per chi non vuole accontentarsi, il terrazzamento scende (con una lunga scalinata in cemento e calce) fino al mare. Ci sono lettini fruibili gratuitamente, ma rimaniamo giusto per un pochino di relax e poi, dopo aver dato un’occhiata anche al faro, proteso sullo Ionio, seguiamo un pezzettino di litoranea fino a Makris Gialos, superando una balconata panoramica sul piccolo agglomerato di Mikro Nisi.
Il nostro prepotente mezzo ci impedisce di scendere lungo la stradina ripida di Csigia Beach, che sembrerebbe molto pittoresca, quindi parcheggiamo qualche minuto nei pressi del ristorante in cima alla strada ed io scendo a piedi per vedere di cosa si tratta. In fondo alla stradina, proprio sopra la spiaggia, c’è uno snack bar, e giù sulla sabbia un ammasso di gente. Sarebbe sicuramente bellissima, se in quei venti metri quadrati non ci fossero cinquanta persone. Proseguiamo ancora verso Alykes, che almeno ha la spiaggia di sabbia ed è ampia, e finalmente riusciamo a fermarci… non prima di esserci incastrati con un bus, un furgoncino e una macchina nel chilometro di stradina che attraversa la laguna per raggiungere la costa. Approfittiamo di un parcheggio in bocca alla spiaggia, e passiamo il pomeriggio tra un bagnetto e un po’ di relax al sole. Proprio una vita da non morire mai! Due passi nel piccolo centro del paese per dare un’occhiata ai negozi e alle taverne splendidamente addobbate con fiori, chincaglierie e piante, poi rientriamo. Abbiamo deciso che stasera per cena ce ne andiamo a mangiare la pita gyros da Pita Break, un ristorantino/take away food che abbiamo visto passando e ci ha ispirati. Poca gente seduta (lavorano molto di più con il take away), personale cortese, prezzi ottimi e la pita gyros è sempre una garanzia.
10 ottobre, km 101648
– da Zakynthos a Killini
Ultimo giorno sull’isola di Zante.
Stamattina ce ne andiamo con calma verso la città di Zakynthos, passando per il belvedere di Akrotiri,
punto proteso sullo Ionio (chiaramente prima ci perdiamo nell’immenso groviglio di stradelli piccolissimi).
Il parcheggio poco distante ci permette di fermarci qualche minuto senza problemi, poi ripartiamo per cercare di raggiungere il castello che domina la città. Purtroppo, seguendo i percorsi fantasia del navigatore, finiamo per imbottigliarci clamorosamente nelle vie: intasiamo letteralmente il traffico, con signore che già scommettono sul fatto che passa/non passa e sfidano i migliori umarell da cantiere, gente che scende dalle proprie auto e ci aiuta nelle manovre (non è questione di imbranataggine, ma di spazi veri e propri!), auto in coda bloccate, e in più di una via, ad essere sinceri. Il grave problema è anche il parcheggio selvaggio di cui soffre la città (e un po’ tutta la Grecia): macchine parcheggiate davvero dove capita che ostruiscono il passaggio, furgoncini con le quattro frecce in doppia fila, e chi più ne ha più ne metta. Questo certo non agevola. Dopo lunga e penosa malattia che dura almeno un’ora, comunque, veniamo fuori dal caos con una bella sudata (soprattutto il driver) e tanti nervi a fior di pelle. Non è facile guidare in un caos simile. Ci fermiamo al porto ed io decido di raggiungere le rovine del castello, in zona Bochali, a piedi (circa 3 km). Ho così l’occasione di camminare lungo il porto fino a Piazza Solomon, colma di gente e negozietti di souvenirs.
Dopo essermi persa un po' nelle vie, arrivo all’ingresso del castello attraverso una specie di “sentiero” che passa dentro una pinetina. Una notevole scorciatoia (solo molto ripida), ma tutte io le trovo?! Il biglietto costa 4€, se si ha un po' di tempo da perdere si può approfittare di questo angolo fresco di pineta tra le mura, dove c'è rimasto ben poco: i resti delle chiese e le rovine delle case, i magazzini di polvere da sparo del periodo veneziano (conservati discretamente rispetto al resto) e soprattutto il bastione da cui si ammira il bel panorama della città di Zante (che da solo vale il biglietto).
Con calma, verso le 14 torno lungo il porto, e con uno yogurt soft comprato da Dodoni (una sorte di gelato fai-da-te, un franchising in cui yogurt e gelato vanno a peso e possono essere decorati a proprio piacimento) mi siedo sulla panchina ad ammirare le barchette che dondolano. Il porto di Zante è moderato, tranquillo, non uno di quelli brutti e giganteschi con traffico marino fastidioso. L’acqua è mossa appena dal vento, il sole picchia ed io penso che quando rientreremo ad Ancona sarà davvero autunno ed io non sono pronta ad affrontarlo!
Recupero i miei, è ancora presto ed optiamo per la spesa da Lidl (ne scopriamo uno a tre km dal porto), prevista invece per domani, così ce la ritroveremo fatta. Torniamo dopo un’oretta, giusto in tempo per l’arrivo della Alexandra L che ci riporterà a Killini, e i due simpaticissimi incaricati dell’imbarco mezzi guidano il babbo nelle manovre all’interno del traghetto.
E’ evidente che ci abbiano preso in simpatia, poiché durante il destra/sinistra/dritto eccetera scherzano e ci facciamo battute, e poi si fermano anche a parlare. Ovviamente, al rientro a Killini, prima di scendere immortalo il babbo assieme a loro in una foto ricordo, chiediamo il permesso per restare a dormire solo per stanotte nel perimetro del porto (che almeno è illuminato) e ovviamente ci viene accordato… e così le nostre due ultime bottiglie di Verdicchio vengono cedute come ringraziamento per la simpatia e la gentilezza.
Di certo, tra le cose che ricorderemo con piacere di questa ricca esperienza greca ci sono la disponibilità della gente nel dare informazioni, la loro cortesia durante le manovre nelle vie più strette (non tutti, ma tantissimi), il sorriso degli anziani che ci salutano dal bordo della strada. Poi, certo… alcuni itinerari, soprattutto montagna ed isole, magari è meglio farli in quad o in motorino: non sono proprio adatti al camper (poi magari si fanno, il nostro eccezionale driver li ha fatti, ma di certo a fatica!).
11 ottobre, km 101694
– da Killini a Diakoftò
Stamattina troviamo una busta con una bottiglia d’olio di oliva (evidentemente fatto in casa) attaccata allo specchietto del camper: i due simpatici coordinatori degli imbarchi hanno voluto probabilmente sdebitarsi del vino. Ancora una volta, confermiamo la tesi che questo popolo è davvero gentile.
Le alternative per la giornata sono diverse: 130 km ci separano da Diakoftò (oltre Patrasso), dove c’è il famoso trenino a scartamento ridotto che passa in mezzo a gole e cascate in un percorso paesaggistico fino a Kalavryta. Non abbiamo i biglietti, vorremmo arrivare stasera con calma e salire a bordo del trenino domattina, ma lungo la strada non c’è molto da vedere, ed essendo larga scorre bene, quindi tentiamo di raggiungere la stazione oggi in mattinata per prendere la corsa delle 11.30. Il babbo recupera anche minuti preziosi lungo il tragitto, ed arriviamo in perfetto orario. Vado in biglietteria biglietti sono ancora disponibili. Se non fosse che non c’è spazio nel parcheggio adiacente alla stazione, e le stradine sono come sempre piccole. Acquistiamo quindi i biglietti per domani mattina, per la corsa delle 9.05 (sono solo tre corse al giorno) con rientro alle 15.30 da Kalavryta. A questo punto siamo con mezza giornata di anticipo, spiccia e senza sapere cosa fare, ma sappiamo di un camper service in zona direttamente sulla spiaggia, quindi impostiamo le coordinate al navigatore e ci avviamo. Incredibilmente, ad un tratto ci troviamo il tracciato stradale sbarrato da una ferrovia in costruzione (con tanto di stazione e sottopassi chiusi), e nessuno dei nostri navigatori sa come farci attraversare i binari, poiché è un’infrastruttura troppo recente e non ha percorsi alternativi. Giriamo un po’ in tondo in modo tragicomico finché non ci troviamo un sottopasso abbastanza alto (ma strettino) che conduce alla parallela della spiaggia, sull’altro lato della ferrovia. Provati da questi assurdi giri, ancora increduli per la novità che ha interrotto i nostri percorsi, raggiungiamo il Camper Stop En Plo Beach Café. Ioannis, il gestore del bar/ristorante a 30 metri dalla spiaggia, ci dà il benvenuto. Con 10€ abbiamo camper service e wifi, mentre il servizio bagni è a parte (ma irrisorio come cifra: 0,50€ a persona per l’utilizzo della doccia e 0,50€ a persona per il wc). Dopo pranzo ci crogioliamo tra la spiaggia ed il prato, peccato che l’acqua sia subito alta a riva, che la spiaggia sia di sassi enormi e che tiri un vento a tratti anche fresco, quindi alle 17 siamo costretti a rientrare. Ne approfittiamo per la doccia (carico/scarico fatto all’arrivo) e poi, dato che il pomeriggio al mare è stato più breve di quel che immaginavamo, lasciamo l’area (mi accorgo tra l’altro che il fido Google Maps ha “area di sosta camper” in corrispondenza di En Plo Beach Café, quindi, nonostante il posto sia un po’ scomodo da raggiungere, una speranza di evitare il caos della ferrovia in costruzione l’avremmo avuta!). Torniamo dunque a Diakoftò con la speranza di trovare posto al parcheggio della stazione, e stavolta siamo fortunati perché c’è abbastanza spazio anche per noi. Tra l’altro, il piccolo parcheggio è dotato di omini di sorveglianza h24 e riusciamo anche a scroccare una connessione wifi. Fluttuante, ma sufficiente.
12 ottobre, km 101852
– da Diakoftò a Patrasso
Sotto un cielo nuvoloso, stamattina siamo pronti prima delle 9 sul binario del trenino a scartamento ridotto.
Partiamo in orario, complice anche la bassa stagione il vagone non è affollato, e in un’ora attraversiamo 25 km circa tra crostoni rocciosi a picco sulle rotaie e gole profonde in fondo alle quali scorre il fiume che dà origine alle piccole cascate, coperte ahimé da una fitta vegetazione che impedisce gran parte delle foto. Salendo di altitudine, il trenino si aggancia alla cremagliera nella rotaia e si arrampica piano piano. Alla stazione di Zachlorou, circa metà strada, effettua l’unica fermata del tragitto. A sinistra, la piccola stazioncina, poco più avanti un hotel e sulla destra un ristorantino con tavolini. Dev’essere uno spettacolo passare di qua in estate, quando brulica di gente seduta a mangiare! Una volta arrivati a Kalavryta, alle 10.20 circa, subito fuori dalla stazione ci rendiamo conto che cinque ore in questa cittadina sono una follia, quindi andiamo alla biglietteria e chiediamo la possibilità di cambiare il biglietto, che ci viene accordata (santa bassa stagione!): torneremo a Diakoftò con il treno che parte alle 12.45. Verremo relegati nel vagone dei “pentiti”, assieme ad una coppia svizzera che come noi ha deciso di anticipare il biglietto di ritorno. Ma lo scopriremo solo in seguito.
La via principale è evidentemente la… principale: è una viuzza pavimentata e pedonale con un susseguirsi di bar, caffè, ristorantini, negozietti e soprattutto negozi di prodotti artigianali locali: marmellate di petali di rosa (buonissima, e non perdo occasione per comprarne un barattolo), loukoumi (caramelle morbide e gommose in vari gusti ricoperte di zucchero a velo), e poi miele, spezie, frutta secca. Lento pede arriviamo all’ora della partenza del treno, e rientriamo in un’oretta. Pranziamo e poi torniamo verso Patrasso.
Dopo l’ultima spesa da Lidl e le foto alla particolarissima chiesa di Agios Anasthassios in località Kouloura, ci imbuchiamo in un paio di parcheggi papabili a bordo spiaggia (ma fin troppo isolati), quindi, benché l’acqua sia immobile e limpidissima, optiamo per proseguire. Arriviamo sotto l’imponente ponte di Rio, a ridosso del forte veneziano (poco più che una fortezzuola in rovina) che protende verso il mare.
Decidiamo di basarci nell’ampio parcheggio attiguo all’imbarco dei traghetti (nonostante il ponte colleghi le due sponde in pochissimi minuti, i traghetti fanno ancora le spole per i turisti che vogliono ammirare la suggestiva opera ingegneristica da un punto di vista diverso). Scendiamo per una rapida occhiata del forte (chiuso) e per fare le foto al ponte, e becchiamo anche un suggestivo tramonto).
Scopriamo inoltre che i traghetti che salpano dal porticciolo per raggiungere Antirrio (la sponda opposta) imbarcano gratuitamente i passeggeri a piedi.
Idea interessante per iniziare la giornata di domani.
13 ottobre, km 101909
- da Patrasso a casa
Eccoci.
Ufficialmente l’ultima mezza giornata in Grecia.
Stamattina dopo colazione ci avviciniamo ai traghetti che portano sulla riva opposta del braccio di mare e saliamo a bordo della Nikolaos. I traghetti partono ogni mezz’ora, ci sono tariffe differenziate per i mezzi di trasporto ma i passeggeri a piedi viaggiano gratis. Ci sembra ancora assurdo, eppure possiamo fare una mini crocierina da una sponda all’altra gratis.
Ad Antirrio visitiamo una chiesetta al porticciolo e diamo una rapida occhiata esterna al forte gemello di Rio, poi a bordo della Kaptan Stavros ritorniamo dal lato del camper. Dopo un’ora di giri per trovare parcheggio sotto al Kastro Patras (il castello di Patrasso) il babbo opta per rimanere al camper, non sapendo dove metterlo, mentre io e la vergara andiamo in visita. Il sito è bello, tenendo conto del fatto che è anche gratuito. Il lato nord è in ristrutturazione, ma ciò non ci impedisce di salire tutti i gradini di tutti gli angoli, da cui si ammira il panorama della città. Non il massimo come città, ad essere sinceri: un mucchio di palazzoni, la classica città portuale, ma questo angolo dell’Acropoli ha conservato l’antichità della vecchia Patrasso.
Più tardi pranziamo nei parcheggi del grande parco verde adiacente al porto, all’ombra, con un po’ di fastidio di zingari che a turno vengono a chiedere l’elemosina, e prima delle 15 siamo al porto. Un po’ di lungaggini tra check-in e attese nell’immenso terminal, dove navi di ogni compagnia vanno e vengono ed imbarcano. Nessuno ci dice da che parte dobbiamo andare, quindi alla fine ci ritroviamo a spostarci due o tre volte, sbagliando le file di mezzi fermi. Una grande Babele, questo porto: piccolissimo rispetto a quello di Ancona, ma confusionario. La nave tra l’altro arriva con mezz’ora di ritardo, scarica gli ultimi passeggeri e per quando ci imbarchiamo e riusciamo a lasciare il porto sono le 19.
Era prevedibile: un’ora di ritardo e altre due perse durante lo scalo ad Igoumenitsa.
Il viaggio eterno si concluderà soltanto domani pomeriggio alle 17.
Nonostante tutto, che dire… anche stavolta si torna a casa con ricordi negli occhi, aneddoti più o meno divertenti, souvenirs e prodotti locali… e almeno 10 gb di fotografie!
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Numeri
19 ore della tratta di andata Ancona-Igoumenitsa
30 giorni in giro (traversata inclusa)
3360 km percorsi
1500 € spesi in totale
900 € soltanto di gasolio
37 litri di acqua gassata bevuti dalla vergara
100 litri di acqua naturale bevuti da me e il babbo
53 strade pessime in cui ci siamo infilati (la media di un paio al giorno!)
79 mini graffietti di ulivi (tutti sistemati con pasta abrasiva, tranne uno)
438 bestemmie del babbo per i graffietti degli ulivi
2 litri di olio extravergine di oliva che ci sono stati regalati
6 bottiglie di vino che abbiamo regalato noi
23 ore della tratta di ritorno Patrasso-Ancona!
Clicca qui per visualizzare l'itinerario!
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