Lunedì 20 settembre – km 110634
da casa a Tuscania (208 km)
Ci siamo, anche quest’anno.
Anzi, dopo un anno intero, direi!
Da che parte di mondo andremo non importa molto, l’importante è partire. E
lo stiamo facendo. E anche stavolta, Mercurio il nostro gatto (altrimenti
detto bestiaccia di Satana) sarà con noi, con una pettorina nuova e le sue
unghie sempre pronte ad affondare nelle nostre braccia!
La prima tappa del nostro viaggio ci porta a Bomarzo, al Parco dei Mostri, dove arriviamo intorno all’ora di pranzo.
Optiamo per un giro del parco prima di mangiare, facciamo il biglietto sul
posto (dove arriviamo, ovviamente, greenpassmuniti come da richieste del sito)
ed entriamo, con una graziosa quanto minimal mappa alla mano, dopo aver pagato
€ 11,00 di biglietto, senza riduzioni per i vecchietti. Si tratta di un
giardino quasi labirintico fatto costruire dal Principe di Bomarzo Vicino
Orsini nella seconda metà del Cinquecento. Le statue, raffiguranti animali
mitologici e mostruosi, draghi e dei sono state scolpite nel peperino (roccia
magmatica tipica della zona) che ormai è ricoperto da un sottile strato di
muschio che lo rende ancor più suggestivo, donando una connotazione vagamente
fantasy.
Bisogna ammettere che il giardino nel complesso è un po’ trascurato, troppe
piante ed un sentiero completamente sterrato, anche se sicuramente merita una
visita. Poco giustificato, però, il costo del biglietto: dato lo stato di
conservazione, basterebbe pure qualche euro in meno!
Un frugale pranzo nel parcheggio e ci avventuriamo verso la
Torre di Chia e le adiacenti
cascatelle. Chiamate anche Cascate di Fosso Castello, poiché formatesi in
modo naturale proprio dal torrente Castello, sono raggiungibili comodamente in
auto, benché siano poco (o affatto!) segnalate.
Parcheggiamo il camper in uno spiazzaletto che, supponiamo, in estate possa
essere più affollato: è uno dei due fantasiosi ingressi al sentiero che
conduce in mezzo alla natura, e così io e la Vergara intrepide ci
avventuriamo, mentre il driver scende per una passeggiata con la bestiaccia
(che però è poco convinta). In realtà all’ingresso del sentiero c’è un grosso
divieto di accesso che indica una proprietà privata, ma dalle nostre
documentazioni non risulta nulla. Ergo… mettiamo in moto i piedi. Il terreno è
un po’ accidentato ma fattibilissimo e soprattutto breve. Chia è collocata in
una classica posizione etrusca, sulla cima di un altipiano circondato da forre
da cui sale l’impeto del torrente Castello. Passiamo davanti alla Torre di
Chia, ultima dimora e luogo del cuore di Pierpaolo Pasolini (che qui vicino
girò alcune scene del suo “Il Vangelo secondo Matteo” negli anni
Sessanta), e grazie ad una
deviazione raggiungiamo le cascate. Nonostante lo sconnesso, la Vergara mi
segue con un po’ di aiuto fino a giungere, in pochi minuti, a questo angolo
incantato.
Una radura, a tratti fatata, circondata da felci, alberi caduti, massi
giganteschi e muschio, accompagnata dal rumore fragoroso dell’acqua che scorre
tra i salti del fiume e che si accumula tra le spaccature delle rocce in piccole
pozzanghere verdissime. Pare che questa meraviglia sia spesso dimenticata dalla
maggior parte sia di turisti che di abitanti nativi, probabilmente per un’errata
politica di diffusione e per la mancanza di segnalazioni sui principali canali
di sponsorizzazione turistica.
Dopo le dovute mille foto con esposizioni lunghe e due chiacchiere nel fresco
delle fronde degli alberi, ci riavviamo verso il camper. Ripartiamo alla volta
di Tuscania, dove arriviamo verso
le 17. Ci fermiamo nei pressi di un’area sosta gratuita a 240 metri dalla porta
d’ingresso del centro storico, in Via Nazario Sauro. Un po’ dismessa, ma
gratuita e comoda per una visita della cittadina etrusca. Infatti, in 300 metri,
raggiungiamo la cinta muraria di tufo, come tutto il borgo. Un giro per i vicoli
fino ad arrivare alla Fontana delle Sette Cannelle, chiamata anche
Fontana del Butinale per l’acqua che fuoriesce dalla bocca dei sette mascheroni
che decorano il muro. La fontana, classico esempio etrusco-romano del XII
Secolo, è la più antica della cittadina viterbese.
Anche qui, mi diletto con le esposizioni lunghe, poi torniamo al camper. Ora
di cena arrivata, passeggiatina fuori con Mercurio, e nanna.
Martedì 21 settembre - km 110842
da Tuscania a Pitigliano (121 km)
La giornata inizia presto come sempre, tanto che alle 7.30 siamo svegli.
Ciononostante, partiamo comodamente alle 9 del mattino: ogni volta è la
stessa storia, dopo la prima notte in camper ci si guarda smarriti perché
nessuno si ricorda l’ordine in cui ci si muove per evitare intralci l’uno
agli altri, e ogni volta mi ricordo troppo tardi che io sono l’ultima ad
andare in bagno perché devo rifare i letti!
Arriviamo a
Capalbio un’oretta più tardi
e parcheggiamo a 500 metri (benché in salita!) dal centro. Appena entrati
dalla porta principale, ci troviamo davanti la Torre dell’Orologio ed una
serie di vicoli graziosi adornati da fiori e piante in ogni dove: non a
caso, è insignita della Bandiera Arancione come uno dei Borghi più belli
d’Italia. Un paesino delizioso ed inaspettato, con una torre
(quella della Rocca Aldobrandesca) risalente al Trecento ed
una piazzetta in mattoncini che sembra un dipinto impressionista: Piazza
Magenta, seppur minuscola, è circondata dal camminamento di ronda e da
immancabili ristorantini dai muri decorati con bouganvilles e altre piante
rampicanti.
La visita, a volerla tirare per le lunghe, dura poco più di un’oretta,
dopodiché torniamo al camper. Dopo pranzo, gasatissimi, arriviamo al parcheggio sterrato del Giardino dei Tarocchi, a pochi chilometri da Capalbio.
Ebbene, ci torno dopo tre anni: si tratta di un parco sicuramente unico
nel suo genere, realizzato ed autofinanziato dall’artista contemporanea
Niki de Saint-Phalle, che si innamorò di Barcellona e dell’architettura
visionaria di Antoni Gaudi alla fine degli anni Settanta.
Per completare il progetto furono necessari 17 anni, ceramica, maioliche,
specchi e vetri per creare uno strato di mosaico attorno a sculture giganti
in calce e cemento: queste statue rappresentano gli arcani maggiori delle
carte dei tarocchi, ed ecco che troviamo la Papessa, l’Imperatrice, il Mago,
la Ruota della Fortuna e tante altre, fino alla splendida piazzetta con le
coloratissime colonne ed il porticato di specchi. La piccola “piscina”
centrale ospita quattro Nanas che fanno il bagno, le tipiche sculture di
donne formose e tettone che sono state un marchio di fabbrica di Niki, morta
nel 2002 all’inizio del successo del suo Giardino.
Niki, se potessi vedere gli occhi estasiati da tanti colori, le bocche
spalancate di fronte a tanto sbrilluccichio. Ti piacerebbe? Tu che pensavi
che sarebbe stato un luogo di meditazione, di pace e di tranquillità, cosa
penseresti di tutti i visitatori che si riversano giornalmente nello spazio
da te creato? Spero tu possa essere felice di ciò che ci hai donato, anche da dove sei
ora.
Dopo il nostro momento “meditazione” finale davanti alla piscina del Mago e
della Papessa, all’ingresso del coloratissimo sito, anche noi riprendiamo la
via. Arriviamo a Pitigliano
intorno alle 18, nel pieno della golden hour che ci regala, tra le nuvole,
un bel tramonto che schiaffeggia l’ocra delle case e del blocco tufico su
cui il paese si appoggia silenzioso. La strada si inerpica incerta fino al
centro storico, che costeggiamo fino al parcheggio di Piazza Nenni, dove non
siamo certo gli unici: tutti i camper, infatti, sono radunati qui, e anche
tantissimi stranieri, come non ne vedevamo da molto! Il parchimetro non è
economico, ma è l’unica soluzione disponibile: 2,00 € l’ora, ma poi gratis
dalle 20 alle 8 del mattino, quindi ci si rassegna! Il belvedere è a un
chilometro circa, ed optiamo dunque per quattro passi a piedi. Aspettiamo il
tramonto e le luci che si accendono piano piano, dopodiché rientriamo alla
base.
Un frugale pasto e poi le solite operazioni serali: foto, diario di viaggio
da aggiornare, quattro passetti con Mercurio, letture e nanna!
Mercoledì 22 settembre – km 110953
da Pitigliano a San Galgano (155 km)
Dopo una nottata decisamente impegnativa causa gatto, ci svegliamo con una
bona dose di rincoglionimento ma ci mettiamo in moto prima delle 9.
L’arietta è ancora frizzantina e noi percorriamo la stressa strada di ieri
pomeriggio per raggiungere il belvedere e di seguito il grazioso centro
storico.
Pitigliano è un borgo di nemmeno 4 mila abitanti, curato e pulito. La sua
caratteristica, come già detto, è il fatto di essere situato su uno sperone
tufaceo, che per tre lati scende a strapiombo sulle vallate circostanti. Le
case raccolte intorno al Castello Orsini, il dedalo di vicoli in
mattoni di tufo, le scalette e gli affacci che si aprono su piazzette e
panorama, creano un’atmosfera suggestiva ed incantevole, e noi ci perdiamo
felicemente nelle foto.
Pitigliano è anche detta “la piccola Gerusalemme” per via
dell’insediamento ebraico risalente al Cinquecento, che ancora oggi
caratterizza il borgo con il suo quartiere ed i negozi di specialità
tipiche. Dovendo raggiungere Prato domani pomeriggio, optiamo per sfoltire qualcosa
lungo il percorso, costellato di tappe (aggiunte posticce) nella zona delle
terme e della Val d’Orcia. Ci viene incontro in tal senso Sorano, altro borgo tufico in cui vorremmo fermarci ma che, dato il poco posto
per parcheggiare e le viuzze anguste per le manovre, tagliamo bellamente
fuori. Attraversiamo cave di tufo lungo una strada statale piuttosto
ombreggiata grazie a filari infiniti di alberi, ma dal fondo pessimo.
Passano via così circa 25 km, fino alla SR2, ovvero la strada statale
Cassia, meglio nota come Via Francigena. Siamo in Val d’Orcia! Deviamo pochi
chilometri più avanti per la
Fortezza di Radicofani. Si tratta di un castello di chiaro stampo medievale, edificato nel X
Secolo a scopo difensivo (e restaurato più volte nel corso dei secoli), che
domina il paese sottostante e la splendida vallata.
Peccato che sia un enorme cantiere e meno interessante di quanto sembri.
Ergo… scendiamo a valle! Ci fermiamo per pranzo nel piccolo paese di
Radicofani, nell’area attrezzata in Via De Gasperi, dove espletiamo le prime
operazioni di scarico/carico del nostro viaggio, poi riprendiamo la Val
d’Orcia. Prossima tappa, dunque,Bagni San Filippo, famosa, oltre che per le sue acque terme ad ingresso libero, per
la Balena Bianca, una formazione calcarea che sovrasta il sito termale.
La giornata è bella
e tiepida, c’è parecchia gente in giro. L’odore di zolfo delle acque termali
è già insopportabile da dentro l’abitacolo del camper, ma scendo comunque al
volo per buttare un occhio al sito e percorro il breve sentiero sterrato che
conduce al fiume. Ammetto: forse avevo le aspettative alte dalle tante foto viste in rete di
questa zona (come Saturnia, del resto), o forse immaginavo un luogo più
tranquillo, ma sta di fatto che bisogna spostare la gente con la pala: troppe
persone ammassate nelle turchesi piscine naturali, per i miei gusti, e per
questo mi dà l’idea di un posto poco pulito. Ne approfitto giusto il tempo di
qualche foto (perché il sito meriterebbe, se non fosse così pieno) e filo
via. A Bagno Vignoni
non riusciamo a fermarci per la congestione nel parcheggio a un chilometro
di distanza dal centro (e perché in centro c’è un parcheggio ampio ma con
divieto per i camper, tra l’altro!), quindi tiriamo verso San Quirico D’Orcia, dove ci fermiamo presso un parcheggio in Via Dante Alighieri, a poche
centinaia di metri dal centro storico (che, dopo duecento metri di salita, è
in piano!). Ci troviamo subito davanti la Chiesa di Santa Maria, di stampo
romanico, e poco più avanti l’ingresso degli Horti Leonini con i bossi
puzzolenti ma molto ordinati, in fondo al vecchio insediamento di San
Quirico. Graziosa la Chiesa di San Francesco, anche se la vera chicca è la
Collegiata, la Pieve dei Santi Quirico e Giulitta, che si erge su una
piazzetta con il pannello di segnalazione della Via Francigena.
Il bello di questi borghi è che si girano davvero in poco tempo, a meno che
uno non si infili in ogni museo o negozietto, e comunque siamo in perfetto
orario sulla nostra tabella di marcia, che ci riporta lungo la SR2 vero
l’Abbazia di San Galgano. Attraversiamo i punti panoramici dei Cipressini di
San Quirico, i più instagrammati e fotografasti alberi della Toscana, mentre
i miei si chiedono cosa ci sia di speciale nel fotografare una serie di
alberi in cerchio in mezzo alle colline brulle. Che, comunque, non hanno
tutti i torti.
Sono già le 19.40 quando, dopo una strada sconquassata e sconquassante che
avrebbe dovuto essere scorrevole, arriviamo esausti a San Galgano, al parcheggio dell’Eremo di Montesiepi e dell’Abbazia di San Galgano: è un
bel parcheggio su asfalto, ampio e pulito, costruito su più livelli, dove
trascorriamo la notte insieme a parecchi camper.
Domani penseremo al resto.
Considerazione dei primi tre giorni di viaggio: la Toscana è ancora piena
zeppa di turisti, soprattutto tedeschi e francesi!
Giovedì 23 settembre – km 111108
da San Galgano a Anchiano (214 km)
La giornata inizia presto ma dà i suoi frutti: prima delle 9 siamo già al
parcheggio dell’Eremo di Montesiepi, che raggiungiamo in camper data la salita e le ginocchia andate di mamma.
Contiamo in realtà di scaricare la Vergara e riportare il camper al parcheggio
a 700 metri dal sito, ma l’omino del negozietto all’interno del complesso ci
dice che possiamo lasciarlo lì, anche perché la visita porta via davvero una
ventina di minuti. L’Eremo di Montesiepi e l’abbazia di San Galgano fanno
parte di un unico grosso complesso, collegati da un sentierino in un bosco
oltre che dalla strada principale (e decisamente più agibile). Di San Galgano,
a cui il luogo è intitolato, si sa che morì nel 1180 circa e che, convertitosi
dopo una giovinezza disordinata, si ritirò a vita eremitica per darsi alla
penitenza, con la stessa intensità con cui si era prima dato alla
dissolutezza. Il momento culminante della conversione avvenne in realtà pochi
mesi prima della sua morte, quando, giunto sul colle di Montesiepi, infisse
nel terreno la sua spada, allo scopo di trasformare l'arma in una croce; in
effetti nella Rotonda (la parte centrale dell’eremo) c'è un masso dalle cui
fessure spuntano un'elsa e un segmento di una spada corrosa dagli anni e dalla
ruggine, ora protetto da una teca. Evidente è, qui, il richiamo al mito di Re
Artù, cosa che ha sollevato curiosità e qualche ipotesi (sebbene molto
azzardata!) su possibili relazioni fra la mitologia della Tavola Rotonda e la
storia di Galgano. Qualche foto agli interni e alla spada nella roccia simbolo
della rinuncia del cavaliere alla vita mondana, ed usciamo. Io imbocco poi il
sentierino che dall’eremo conduce direttamente all’abbazia di San Galgano, e
ci rivediamo con i miei (che hanno riportato il camper al parcheggio ed
arrivano per un’altra strada) davanti all’abbazia ancora chiusa.
Alle 10, con una manciata di visitatori, il portone della biglietteria si
apre. L’ingresso costa 4,00 € ed include la visita al museo di Chiusdino (che
però salteremo a piè pari). Che dire… per me che in Regno Unito ho inseguito
chiese diroccate è una gioia vederla! La mancanza del tetto, che evidenzia
l'articolazione della struttura architettonica, accomuna questa abbazia
proprio a quelle di Melrose e Jedburgh, in Scozia, o alla Igreja do Carmo di
Lisbona (viste ovviamente tutte!).
Negli ultimi anni della sua vita, Galgano era entrato in contatto con i monaci
cistercensi, e furono proprio loro a essere chiamati a fondare la prima
comunità di monaci. Sotto l'impulso di questo primitivo nucleo monastico,
nel 1218 si iniziarono i lavori di costruzione dell'abbazia, che fu
terminata solo qualche decennio più tardi. Le carestie, la peste ed i
saccheggiamenti, dopo un primo fiorente secolo, la danneggiarono in più
riprese, ma fu il fulmine che colpì il campanile nel 1786 a darle il colpo di
grazia: il tetto, infatti, crollò sotto il peso della torre campanaria, e da
quel momento fu sconsacrata ed usata come stalla, fino agli anni Venti dello
scorso secolo, quando lo Stato Italiano ne riconobbe il valore culturale,
tutelandola. E meno male, aggiungerei.
In perfetto orario sulla tabella di marcia, ci mettiamo in movimento per
raggiungere la frazione di
Comeana
(vicino Prato) per aggiustare le sospensioni presso OMA, l’officina meccanica
specializzata. Perderemo tutto il pomeriggio, quindi niente da segnalare
finché, poco dopo le 18, non riusciamo a ripartire alla volta di Lucca.
Arriviamo un’oretta più tardi, pronti per fermarci nel parcheggio comunale, ma
una volta sul posto scopriamo con sgomento che lo spazio è stato preso dalle
giostre per il settembre lucchese. Addio pure Lucca: tiriamo verso nord e ci
fermiamo al parcheggio comunale gratuito di
Anchiano, in Via Norvegia (giustamente Via Norvegia, dato che
questa frazione è gemellata con la città norvegese di Ålesund!), dall’entrata a gomito talmente
angusta ed in salita che ci tocca fare manovra un chilometro oltre per poter
entrare a mano di strada.
Finalmente, la giornata è finita. Anche il gatto sembra finalmente stanco!
Venerdì, 24 settembre – km 111322
da Anchiano a La Spezia (km 121)
Stamattina l’aria è particolarmente frizzante, mentre scopriamo che
Borgo a Mozzano, con il
famoso Ponte della Maddalena, dista appena 4 chilometri da dove ci siamo
fermati per la notte.
Il Ponte della Maddalena (o Ponte del Diavolo) attraversa il fiume
Serchio. A seguito della sua forma e del suo arco più alto (quasi
inumano), questa perla dell'ingegneria è oggetto di molti racconti, e una
volta visto con i nostri occhi, non fatichiamo a capire perché.
La costruzione di un ponte che mettesse in collegamento la due sponde del
fiume si deve alla volontà della contessa Matilde di Canossa intorno
all’anno Mille, ma le fattezze attuali si devono al rifacimento di
Castruccio Castracani, signore di Lucca all'inizio del XIV Secolo. Il
ponte, pur con vari rimaneggiamenti, rimase intatto almeno fino al 1836
quando una violenta piena del arrecò gravi danni. Durante il suo periodo
più fiorente, era fatto divieto di passare con mezzi pesanti e macine per
evitare di danneggiare la pavimentazione, interamente in pietra. Raggiungiamo Bagni di Lucca, due chilometri oltre, per dare un’occhiata anche al Ponte delle Catene,
il primo ponte in ferro e legno realizzato in Italia. Onestamente,
passarci sopra fa quasi impressione, ma è un mio limite! Dato poi che per raggiungere La Spezia l’itinerario più breve sembra
essere quello che ripassa per Lucca stessa, torniamo indietro ed optiamo per una visita alla città. La Vergara,
durante il tragitto, cerca un paio di parcheggi papabili per fermarci
qualche ora, anche se l’unico che fa al caso nostro è il
parking Luporini. La cifra è di 10,00 € per le 24 ore, ma un’ora di parcheggio costa
3,00 €, quindi con tre ore ci saremmo già fumati l’importo dell’intera
giornata. Ergo, parcheggiamo e ce la prendiamo comoda per la visita. Lucca
è una città di circa 90 mila abitanti, racchiusa in una cinta muraria
tanto famosa quanto caratteristica, con un ampio camminamento. Tanti sono
gli edifici storici ed i campanili delle chiese realizzate in marmo di
carrara, con l’inconfondibile stile romanico toscano, e non vedo l’ora di
esplorare un po’. I miei prendono il bus, che ha la fermata proprio fuori
dal parcheggio: la LAM rossa, in dieci minuti, porta in centro. Io vado a
piedi per accumulare passi (dato che in questi giorni non ho camminato
molto) e dopo un blitz all’ufficio turistico da Porta Sant’Anna raggiungo il cuore di Lucca, Piazza San Michele con l’omonima Cattedrale ad ingresso gratuito, dove
recupero i miei pochi minuti più tardi.
Dopo una breve visita, un frugale pranzo con pizza al taglio (maglietta
impadellata di olio inclusa nel prezzo!) e via verso Piazza Napoleone dove
troneggiano un mercato di vestiti e cianfrusaglie e un bellissimo
Carosello a lato. Risaliamo poi la strada verso la
Torre Guinigi, la più famosa
di Lucca per le sue particolari “aiuole” sul tetto: infatti, in cima ai
230 gradini (che non mi lascio ovviamente sfuggire a fronte di un
biglietto da 5,00 €) ci sono piantati alcuni alberelli che donano alla
torre una connotazione indubbiamente molto originale! La vista, poi, è
senza pari! Dalle viuzze strette raggiungiamo la splendida Piazza
dell'Anfiteatro, edificata sui resti dell'antico anfiteatro romano che ne
determinarono la forma ellittica chiusa.
La piazza nacque nel Medioevo e fu progressivamente riempita di
costruzioni, variamente utilizzate come deposito di sale, polveriera,
carcere. Solo nell'Ottocento, per opera dell'architetto lucchese Lorenzo
Nottolini, fu decisa una ripresa urbanistica dell'antica struttura,
creando un’armonia con gli edifici attorno alla piazza. Ultime tappe,
riscendendo verso l’uscita delle mura, la Chiesa di San Martino e la
Chiesa dei Santi Giovanni e Reparata. I miei riprendono il bus, io torno a
piedi dopo un breve tour lungo parte della cinta muraria. Decidiamo, dato
che sono da poco passate le 17, di spostarci verso la Liguria. E così,
dopo aver assistito ad un elisoccorso, esserci imbottigliati nel traffico
toscano ed aver strappato il biglietto del casello autostradale, prima
delle 18.30 siamo già a La Spezia e ne approfittiamo per un salto da Lidl
per pane e viveri prima di arrivare al parcheggio. Dopo una mezz’ora siamo
fuori dall’area camper di
Via delle Casermette, pronti a
parcheggiare all’interno. C’è un po’ di congestione nonostante l’ampio
spazio sterrato con zone erbose, e leggendo le recensioni il posto sembra
fare schifo e scoraggerebbe chiunque. Ma alla fine non è affatto male: in
primis, 6,00 € al giorno con carico/scarico, poi fermata del bus a breve
distanza che porta direttamente alla stazione ferroviaria da cui partono i
treni per le Cinque Terre (che speriamo, salvo imprevisti, di iniziare a
visitare domani), e non ultimo, prende benissimo la parabola. Nota
negativa: un caldo soffocante per l’umidità del mare.
Sabato 25 settembre - km 111443
Cinque Terre
Stamattina, dopo aver fatto il biglietto per il bus linea L
direttamente al gabbiottino dell’area camper, raggiungiamo la fermata
Cantieri San Marco (di fronte al cantiere San Lorenzo… valli a capire, i
nomi delle fermate!), a 300 metri dalla nostra base. Il bus passa ogni
20 minuti circa, e dopo una breve attesa, nello stesso tempo siamo alla
stazione ferroviaria di La Spezia. Un carnaio, gente in ogni dove, e noi
ci mettiamo un po’ per renderci conto che la fila di duecento metri
lungo la banchina che divide l’ingresso dal primo binario della stazione
è composta da persone che aspettano il proprio turno allo Iat per fare
la CinqueTerre Card, ovvero
il biglietto giornaliero per il treno che ferma in tutte le stazioni dei
famosi borghi liguri al costo di 16,00 €. Praticamente, in una sola
giornata si può utilizzare come un bus hop on-hop off, scendendo e
salendo a qualsiasi fermata delle Cinque Terre. Se il fatto che ci siano
solo due incaricati agli sportelli dello Iat crea un disservizio (ci
mettiamo 40 minuti per far arrivare il nostro turno!), bisogna anche
ammettere che l’impiegata è precisa e competente e ci dà anche un buon
suggerimento per domani, poiché difficilmente riusciremo a fare tutto il
giro in giornata.
Ok, facciamo un passo indietro.
Chi non è mai stato alle Cinque Terre (me compresa fino a ieri!)
probabilmente non ha bene idea di come sia strutturata questa parte di
costa, cosa che io ho di fatto scoperto ufficialmente oggi: la linea
ferroviaria mette in comunicazione i cinque paesini che distano pochi
minuti di viaggio gli uni dagli altri. La stazione in ogni paesello si
trova a breve distanza dal nucleo abitato che è, dunque,
raggiungibilissimo a piedi (persino da mia mamma, che con i suoi
acciacchi cammina poco!). L’alternativa per la visita è il battello dal
porto di La Spezia, il cui tour (che costa il doppio) si sviluppa più o
meno allo stesso modo, con partenze ogni ora da un porticciolo
all’altro: sicuramente, qui la visita vale per la vista panoramica che
si ha da mare. Ultimo ma non ultimo, i paesi sono messi in comunicazione
da sentieri aspri annodati lungo le coltivazioni a terrazzo e i vigneti
tipici di questa zona (queste sono reminiscenze delle scuole elementari!), ovviamente
non sono proprio sentieri per tutti, data la forte inclinazione del
terreno, ma regalano panorami mozzafiato. Si consigliano scarpe da
trekking (o da ginnastica con una buona gomma!) e, finalmente, “zeppi”
da camminata nordica, che possono aiutare!
Il cosiddetto Sentiero Azzurro ha una lunghezza complessiva di circa 12
chilometri e congiunge tra loro tutti e cinque i paesini. Purtroppo, a
causa delle frane del 2011, diversi tratti sono attualmente chiusi e non
è permesso percorrerli. Gli unici tratti aperti del sentiero Azzurro
sono quelli che collegano Monterosso al Mare a Vernazza e Vernazza a
Corniglia, niente da fare per le altre due terre poste più a sud.
L’accesso al sentiero azzurro sarebbe a pagamento, mentre è un servizio
incluso con la Cinque Terre Card.
Insomma, finalmente siamo sul binario e prendiamo il treno in direzione Levanto
e decidiamo di scendere a
Monterosso al Mare, la più
ad ovest delle Cinque Terre, per poi fermarci a ritroso. Facciamo dunque tutto il viaggio in treno, che alterna gallerie e
scorci sulla costa selvaggia in prossimità delle piccole stazioni
ferroviarie, e quando arriviamo a Monterosso (dopo una mezz’oretta)
scendiamo. Le prime due cose che respiriamo: l’afa terrificante manco
fosse agosto, ed uno splendido odore di salsedine, di mare misto a
sabbia. La passeggiata lungomare apre una lingua di sabbia granellosa e
scura, e si nota il grande scoglio posto a pochissimi passi dalla fine
della spiaggia (dove la gente se ne sta ancora a pancia all’aria).
Questo scoglio, a causa della sua posizione, è conosciuto come Scoglio
di Fegina ed è vietato scalarlo o utilizzarlo per fare tuffi nell’acqua.
Monterosso è il borgo più popoloso (nonché il più commerciale, forse)
della riviera, ed è diviso in due parti: zona moderna di Fegina, con la
stazione praticamente inglobata nelle case e gli stabilimenti balneari,
ed il borgo antico: è proprio qui il grande poeta Eugenio Montale aveva
il suo porto sicuro, una casa di famiglia in cui amava rifugiarsi. Per
accedere al borgo antico è necessario passare sotto al ponte giallo dei
binari del treno e, proprio oltre questa infrastruttura, ci si apre la
vista sugli edifici storici.
Monterosso vive di turismo e di certo non mancano bar, ristoranti e
negozi di souvenir e prodotti tipici.
L’intero centro storico è spesso invaso dai turisti attratti da quest’angolo
di Liguria, e oggi ce ne sono talmente tanti da doverli scansare con la
pala. Sulla stessa piazzetta Don Minzoni c’è la cattedrale di Monterosso al
Mare, la piccola Chiesa di San Giovanni Battista. Questa è anche una delle
chiese più antiche di tutta la zona: la sua costruzione cominciò nella
seconda metà del XIII Secolo e si concluse in circa venticinque anni. Ancora
una volta la facciata della chiesa è decorata da linee orizzontali bianche e
nere e il portone di ingresso è sormontato da un piccolo affresco che
rappresenta il battesimo di Cristo. Sopra, nella parte alta della facciata,
si trova un grande rosone. Questi borghi marinari strappati al mare hanno le
loro caratteristiche case arroccate sulla scogliera e viuzze strette divise
da scalinate in pietra scura. Una gioia per i miei occhi. Soprattutto,
passerò la giornata a perdermi tra i vicoli e salire scale e sentierini che
mi portano a panorami mozzafiato, come Punta Corone, già fuori dal
borgo, in mezzo alla natura a strapiombo sul mare, lungo un sentiero che
ricorda blandamente l’anello del Conero. Una magnifica vista sulla costa
selvaggia, gli occhi che si riempiono di azzurro, e poi torno indietro per
riprendere il treno per la seconda tappa.
Vernazza conta appena 850 abitanti, nonostante la sua popolazione cresca
incredibilmente durante il periodo estivo. Tutto il centro storico è
raccolto sugli scogli che si affacciano sul mar Ligure e fanno da
splendida cornice al borgo di case colorate che si arrampicano su per la
montagna. Da Via Roma, la principale del centro storico si nota una
piccola area sbarrata da un paio di transenne: è l’ingresso alla grotta di
Vernazza, situata proprio sotto alcune case, che dà accesso a una piccola
spiaggetta di sassi. Via Roma fu inoltre vittima di una massiccia colata
di fango e detriti che si creò a causa di massicce piogge nel 2011. In
alcuni cartelli si possono vedere le fotografie del centro storico subito
dopo l’emergenza, dove i piani bassi delle case furono duramente colpiti e
inondati. Ci fermiamo proprio lungo la via principale a mangiare una
focaccetta per pranzo sotto un cielo nuvoloso ma che ancora non minaccia
pioggia, poi scendiamo al molo, da cui abbracciamo con lo sguardo tutto il
borgo, addormentato sulle barchette. Dopo una visione d'insieme, decido di
salutare i miei e rivederci a Corniglia: loro andranno in treno, io salirò
per il Sentiero Azzurro.
La bellezza di Vernazza la si può apprezzare veramente camminando tra i
vicoli del suo centro storico. Da via Roma, la via principale del borgo che
si congiunge fino al porticciolo, scendendo verso il mare si possono
prendere le strade che a sinistra si arrampicano verso il castello. Salendo
lungo una ripida scalinata, in men che non si dica sono fuori dal paese.
Sono circa 3 i chilometri che si snodano sulla montagna e che permettono di
avere anche degli ottimi punti di osservazione sui borghi. Spesso il
sentiero Azzurro si fa stretto, tanto da non permettere di passare a due
persone contemporaneamente. In alcuni tratti la strada si scopre ed è a
strapiombo sul crinale della montagna, altre volte ci si ritrova invece
immersi nella vegetazione. Ammetto che i gradoni in pietra (che ricoprono
gran parte del percorso) sono molto faticosi poiché tutti in salita, ma il
percorso si
affronta anche con una comune scarpa da ginnastica, se proprio non si ha
nulla di meglio a disposizione. L’importante è avere fiato nei polmoni!
Lungo il sentiero, il punto panoramico di Prevo, a poco più di 200
metri sul livello del mare che però sembrano duemila, scopre un primo
panorama sul borgo di
Corniglia, borgo centrale delle
Cinque Terre. Si tratta anche dell’unico dei cinque a non nascere
direttamente sul mare. Il suo centro storico è infatti arroccato su uno
sperone a circa novanta metri di altitudine ed è circondato dai
terrazzamenti che vengono coltivati a uva.
Corniglia è in realtà una frazione del comune di Vernazza, ma è
anche un borgo cittadino totalmente separato. Dopo un'ora abbondante di
camminata lungo il Sentiero Azzurro (e grondante di sudore come un
pellegrino del cammino di Santiago) arrivo in paese e recupero i miei,
appena arrivati con la navetta che collega la stazione sul livello del mare
con il borgo, proprio lì sulla piccola Piazzetta Ciapara sulla quale si
affaccia un modesto supermercato. Alla nostra sinistra si allarga la parte
più grande di case, vicoli e servizi commerciali, tra cui Largo Taragio, una
seconda piccola piazza, dove svetta il monumento ai Caduti, mentre al di
sopra si affaccia l’oratorio della disciplinata di Santa Caterina.
Anche qui le vie sono piene di turisti e persone del luogo abituate a
spendere il loro tempo libero fuori dalle case, affacciati in strada
chiacchierando con i propri vicini. Mi concedo ancora qualche passeggiatina
nei vicoli, veri e propri capolavori, e scendiamo poi con la navetta per
riprendere i treno in direzione Manarola.
Il borgo di Manarola, insieme a quello di Vernazza è tra i più fotografati e iconici di tutte le Cinque Terre. Questo borgo è una
frazione del comune di Riomaggiore, e nasce sulla vallata del torrente
Groppo allungandosi fino al mare, con un abitato che si estende
principalmente sul lato sinistro. Il lato destro è invece occupato
principalmente da terrazzamenti e coltivazione di uva. I miei sono un po'
cotti, ergo, io mi butto lungo le scalinate per riempirmi ancora un po'
gli occhi di tutti questi colori. Arrivo in Piazza Innocenzo IV, sulla
quale si affaccia la Chiesa di San Lorenzo, la principale di tutta
Manarola. Venne costruita durante il XIV secolo in stile gotico ligure,
utilizzando la pietra arenaria locale. Sulla facciata è presente un grosso
rosone in marmo bianco, che illumina gli interni ed è posto sopra
all’ingresso decorato da un arco. In posizione panoramica rispetto a tutto
il centro storico di Manarola, si trova la torre Campanaria della chiesa
di San Lorenzo, insolitamente separata dalla chiesa a cui si trova
davanti. La torre campanaria di Manarola venne costruita nel XIV secolo
nella stessa posizione in cui era prima presente una torre di vedetta
utilizzata per prevenire ed annientare i frequenti attacchi dei
saraceni.
Dalla sua posizione si apre un bellissimo panorama che spazia fino al
mare, mentre vari camminamenti offrono la possibilità di vedere il borgo
da più angolazioni. Dalla piazza si dipana una strada che porta ad un
sentiero lungo i terrazzamenti, mentre la via Belvedere si raggiunge dalla
parte più bassa del paese di Manarola: una volta arrivati nei dintorni del
porticciolo, è ben visibile dove imboccare la breve strada che sale e che
conduce fino alla piazzetta Eugenio Montale, da cui ammirare il borgo
nella sua veste migliore (e più fotografata!). Insomma, diciamo che è
stata una corsa contro il tempo ma ne è valsa la pena, poiché domani ha
messo brutto tempo. Ovviamente speriamo che non sia così malaccio e ci
permetta di stare in giro, ma intanto ci siamo guadagnati 4/5 di Terre.
Domenica 26 settembre - km 111443
Portovenere
Stamattina, con un cielo che promette pioggia da una settimana, ci
dedichiamo con calma alle operazioni di carico/scarico (dato che presso
l’area camper stanno facendo dei lavori agli impianti idrici e fognari e
oggi, essendo domenica, gli operai non lavorano e gli scarichi sono
fruibili) in attesa di decidere come muoverci, sperando di fregare il meteo
che insiste con pesanti nuvoloni neri. Prendiamo dunque il bus della linea S (sia la linea L che la linea S passano
per la fermata Cantieri San Marco a 300 metri dall’area camper, con la
differenza che la domenica passano solo ogni mezz’ora) e raggiungiamo la
stazione centrale, come ieri. Scopriamo con disappunto che i paesi di
Riomaggiore e Manarola hanno allerta arancione meteo fino almeno alle 15, e
che per lo stesso motivo sarebbero vietate ai turisti, anche perché ogni
ristorante, bar ed esercizio commerciale è chiuso. A questo punto optiamo
per Portovenere (dove non
sembra ci sia allerta meteo, poiché rimane sul peduncolo opposto alle Cinque
Terre), raggiungibile con il comodo bus della linea P o 11 (2,50 € ogni
tratta) in Via Garibaldi, a 500 metri dalla stazione. Arriviamo in circa
mezz’ora sotto un cielo grigio che minaccia di scatenare l’inferno a breve.
Questa bellissima città portuale, che si trova sulla punta di un lembo di
terra che va a formare il golfo di La Spezia, anche conosciuto con il nome
di Golfo dei Poeti, non ha niente da invidiare alle Cinque Terre,
tanto che potrebbe essere considerata "la Sesta Terra". Oltre ad essere
estremamente meglio conservata, offre anche qualche attrazione in più da
visitare. Inoltre è ben servita da bus e traghetti. Portovenere (il cui nome
in realtà andrebbe scritto staccato, Porto Venere) nasce come borgo di
pescatori in tempi molto antichi. La città originaria, di cui non ci sono
più resti, sorgeva nel piazzale Spallanzani, proprio ai piedi della chiesa
di San Pietro. Già dal I Secolo, a causa della sua posizione molto esposta,
iniziò a subire incursioni ed invasioni, da parte di Longobardi e poi
Normanni e Saraceni. Arriviamo con il bus praticamente all'inizio del paese,
da cui già è chiara la bellezza di ciò che sarà. Davanti al centro storico
di Portovenere ci sono le tre isole Palmaria, del Tino e del Tinetto. Nel
1997 la città e le sue isole sono state inserite tra i Patrimoni
dell’Umanità dell’UNESCO insieme alle Cinque Terre.
L’ingresso al cuore del centro storico è segnato dalla Torre o dalla Porta
del Borgo, che si affaccia sull’esterna piazza Bastreri, dove ci fiondiamo a
fare foto. Affiancata a questo ingresso si trova la torre del XII secolo che
con finestre trifore e bifore a decorazione dei suoi lati completa la cinta
muraria che gira intorno al centro storico. Prima di salire al castello,
essendo orario di pranzo, decidiamo di prendere qualcosa di veloce per le
vie del centro medievale di Portovenere. Sulla via principale, Via Giovanni
Capellini, si affacciano numerose botteghe che vendono oggetti tipici del
luogo e cibo tipico. Tra le varie oggettistiche ci si rifà piuttosto spesso
ad uno dei simboli della Liguria: le aringhe, che diventano vassoietti e
complementi di arredo. Pochi minuti e le prime gocce ci costringono a ripararci sotto l’arco di
ingresso. I miei sfoderano il poncho impermeabile, appena acquistato da
bravi turisti alla stazione di La Spezia, avendo dimenticato i loro! Io ed
il mio fedele k-way, insieme, ci siamo corazzati da casa. Sotto una pioggia
battente ci infiliamo comunque in una friggitoria gestita da due
sudamericane gentilissime, ed aspettiamo che spiova un po’ approfittandone
per fare pranzo. Usciamo un’oretta più tardi cercando di infilarci tra una
goccia e l’altra senza toppo successo. Ormai sono qui, ergo… non mi lascio
spaventare e metto in moto i piedi.
Imbocco una lunga scalinata in pietra dalla Porta del Borgo e, tra le
pozzanghere, arrivo al grande Castello Doria. La sua forma è insolita, si
tratta di una pianta pentagonale con il bastione sud che si protrae verso il
mare. La costruzione del Castello Doria avvenne tra il XII e il XV Secolo da
parte della repubblica genovese per motivi di sorveglianza del territorio e
anche per questo si spiega la sua fortificazione, che si collega alle mura
che cingono la città. Da qui, scendendo dei gradoni in pietra, si raggiunge
la Chiesa di San Pietro in cima alla Scalinata Lazzaro
Spallanzani.
Si tratta di una piccola chiesa cattolica restaurata, risalente al 1198 e
situata in cima ad un promontorio roccioso circondato da un mare che sarebbe
turchese, se non fosse per il grigiore del cielo. È la chiesa vestigiale più
antica del Golfo e costituisce una delle più famose attrazioni turistiche
del luogo. Tra l’altro, da questo sperone roccioso si possono ammirare le coste
frastagliate del peduncolo di Portovenere e anche la Grotta di Byron. La
gente si ripara come può nelle nicchie attorno alla chiesetta, e ammetto che
anche con questo tempaccio è una gioia per gli occhi. Tornando indietro, in
fondo ad una viuzza apparentemente scialba, si apre una piazzetta con la
Chiesa di San Lorenzo, simile nello stile alla precedente. Per pochi minuti
sembra voler smettere di piovere ed il cielo prende fiato, così ne
approfitto per tornare, passando all’esterno del centro storico, sull'area fronte mare.
Qui si trova la nota Palazzata a Mare, ovvero un insieme di
edifici disomogenei, stretti gli uni agli altri, eretti come soldatini che, alti, si affacciano
verso l’orizzonte. Lo spettacolo di queste case è molto suggestivo: le
differenti larghezze ed altezze delle facciate e i colori pastello che si
alternano tra di loro, creano uno spettacolo insolito. La costruzione della
Palazzata a Mare (nota anche come case-torre) fu voluta dalla Repubblica di
Genova che, attraverso questo muro di edifici riusciva a proteggere la parte
più interna dell’abitato di Portovenere. Le fondamenta delle case sono
saldamente ancorate nelle rocce e le finestre sono numerose ma piccole, in
maniera tale da impedire un accesso massiccio di persone tramite questi
pertugi.
Ad aumentare ulteriormente la sicurezza c’è la mancanza di orpelli sulle
facciate delle case che, di fatto, impedivano la possibilità di arrampicarsi
sui muri esterni. Questa tecnica costruttiva di protezione venne valutata estremamente
efficace, tanto da essere replicata in altri insediamenti della Repubblica
Genovese lungo il mar Mediterraneo.
Torniamo alla fermata del bus che ci riporta in centro a La Spezia sotto
una pioggia talmente feroce che abbandoniamo definitivamente l’idea di
Riomaggiore e, con la coda fradicia tra le gambe, rientriamo alla base. E
meno male che quando scendiamo alla fermata dei Cantieri, a 300 metri
dall’area camper, non piove!
Comunque, io a questo posto ho promesso di tornare.
Lunedì 27 settembre - km 111443
Da La Spezia a Magenta (km 240)
La stanchezza inizia a farsi sentire: stamattina nessuno si sveglia prima
delle 7.30, ma con estrema calma. Il vantaggio è che abbiamo una giornata
abbastanza “di navigazione” senza grosse pretese ed abbiamo sfoltito le
operazioni di carico/scarico, ergo... l’unica sosta della giornata prima
dell’arrivo serale sarà
Lomello, paese a me sconosciuto
fino a quando, attraverso Instagram, non ho conosciuto una “collega” autrice
emergente come me. In questi mesi di percorso social per promuovere il mio
romanzo che uscirà (spero!) per Natale, la cosa positiva è stata infatti quella di
confrontarmi con tantissimi autori come me e creare degli splendidi legami
che, in qualche modo, vorrei rendere concreti. Quando conosci gente sui
social, questa sembra diventare reale solo nel momento in cui riesci a
vederla in carne ed ossa. È quello che ho intenzione di fare in questi giorni prima di lasciare l'Italia.
La mattinata scorre tranquilla, a parte l’intoppo iniziale al casello appena
entrati in autostrada: il biglietto non esce malgrado i tentativi di
schiacciare i bottoni, e quando manifestiamo il problema all’assistenza, ci
sentiamo rispondere: “ha provato a schiacciare il bottone?” – ma và.
Arriviamo in paese all’ora di pranzo, poi raggiungo la mia “collega” Maida a
casa, e porto anche i miei perché sono stati invitati ufficialmente dai suoi
genitori. Non è questa la sede per raccontare della sensazione strana che si
prova ad incontrare realmente qualcuno con cui ci si è confrontati solo
attraverso uno schermo, soprattutto non è la sede per parlare della persona
straordinaria che Maida è, ma trascorriamo uno splendido pomeriggio di
chiacchiere e ci congediamo senza mettere a posto le sedie, perché “se metti
a posto le sedie vuol dire che non hai gradito e che non tornerai”. Mi firma
il suo libro, le regalo un segnalibro del mio che lei ha già preordinato
(insieme alle copie per le sue amiche) ed il tempo scorre via veloce.
Riprendiamo la marcia. Un’oretta ci separa dall’area camping Magenta, dove
ci fermiamo per questa notte, e domattina andremo direttamente all’area
designata dentro Milano. Prima delle 19 siamo a
Magenta, al parcheggio del
Campingsport Magenta, un rivenditore di accessori per camper che fa
rimessaggio e sosta gratuita… e c’è persino carico e scarico!
Martedì 28 settembre - km 111683
Da Magenta a Milano (30 km)
Come da programma, stamattina una spessa coltre di nebbia ci accompagna fin
dentro Milano nel caos delle 9 del mattino, della gente che va a lavoro, del
traffico. Costeggiamo il Naviglio Grande lungo la stradina angusta in comodato
d’uso con ciclisti, cantieri, scooter, macchine in senso contrario e furgoncini
di lavori stradali. Stanchi come se avessimo fatto la mille miglia, arriviamo a
Fontanesi Leontina, area rimessaggio camper in pieno centro, a ridosso
del Naviglio Grande. Fantastico essere così vicini ad ogni mezzo di trasporto
del capoluogo milanese!
Il ragazzo che ci accompagna al parcheggio designato è molto gentile, e di
fronte all’area, il tabaccaio per acquistare i biglietti (facciamo un
biglietto per 72 ore al costo di 12,00 €), ed in poche fermate siamo in
centro, a cento metri da Piazza Duomo con il tram n.2.
Il babbo prende il tram n.16 per raggiungere il Museo della Scienza e della
Tecnologia, mentre io e la mamma ce ne andiamo al Duomo con la
sua Madunina che svetta felice a quota 108 metri circa.
Il Duomo di Santa Maria Nascente (questo il suo nome completo), simbolo della città di Milano, è stato edificato
su un territorio che in origine ospitava il tempio di Minerva, e fu costruito
in cinquecento anni, con svariati rimaneggiamenti nel corso dei secoli,
dovuti anche ai cambiamenti architettonici e stilistici, rimanendo però
fedele al suo gotico. Nel 1386 l’arcivescovo Antonio da Saluzzo diede inizio
alla costruzione della cattedrale, e nel frattempo salì al potere a Milano
il cugino Gian Galeazzo Visconti, che raccolse ingenti donazioni per la
costruzione della cattedrale. Il biglietto d’ingresso, tra interni e
terrazza, costa 19,00 € con la salita in ascensore, e 15,00 € prendendo la
scalinata da 230 gradini. Indovinare chi delle due sale per le scale non
sarà difficile.
Le terrazze sono certamente affascinanti, benché la vista su una città
caotica e “di lavoro” sia alquanto scadente (bisogna ammetterlo!).
L’interno invece è tipico delle cattedrali gotiche, con volte altissime
e colonne in pietra (stavolta rossiccia). Tante sarebbero le cose da
approfondire all’interno, ma non vorremmo nemmeno passare tutta la
giornata nel duomo, benché la temperatura sia più gradevole che
all’esterno.
Un giro nell’imponente Galleria Vittorio Emanuele II, con il suo
pavimento splendido e costellata dei negozi più “in” (in…
avvicinabili!), nonché del famoso ristorante di Cracco. Io e la mamma
optiamo comunque per qualcosa di più sobrio, come la pizza napoletana
all’angolo con la via che conduce a Piazza San Babila! Recuperiamo il
babbo che sono già le 15.30 e ci dividiamo: io rifaccio la strada fino
alle Colonne di San Lorenzo, con l’omonima chiesa, e cammino un po’
lungo il Naviglio Pavese, fino all’arrivo di Silvia, una collega autrice
con cui ci prendiamo una birretta sulla Darsena, chiacchierando come se
ci conoscessimo da sempre e confrontandoci sulle nostre reciproche case
editrici, e mi porta anche il suo libro con dedica! Prima del
crepuscolo, la mia nuova amica riprende i mezzi per avventurarsi verso
casa, mentre io imbocco il Naviglio Grande fino a tornare all’area
camper a piedi. Ne approfitto per una lunga doccia e per lavarmi i
capelli nel container adibito a padiglione bagno, spartanissimo. A parte
le turche (non c’è il classico wc), la porta in plastica a soffietto
delle docce non si chiude, non c’è praticamente spazio per appendere gli
asciugamani o lasciare cose, e delle tre docce, solo una ha il soffione.
Ma c’è acqua calda e soprattutto tanta, e c’è la corrente per phon e
piastra. Quindi ok, me lo faccio andare bene. Una rinfrescata a questo
container non guasterebbe, viste anche le millemila recensioni negative,
ma del resto per la posizione che ha, così ben servita dai mezzi in una
città caotica come Milano, non possiamo lamentarci e, anzi, noi ci
sentiremmo di consigliarla.
La serata scorre strana, con Mercurio fuggiasco che rientrerà per cena
solo dopo ore e zanzare che, appena ci addormentiamo, banchettano.
Mercoledì 29 settembre - km 111713
Milano
Questa luminosa giornata di sole inizia con un altro incontro
meraviglioso: Francesca e Chantal, altre due autrici conosciute
attraverso Instagram. Sapevo che il mio sesto senso non si sbagliava
già appena abbiamo iniziato a parlare via social, ma incontrarle dal
vivo le ha rese “vere”. Tante chiacchiere, tanti sorrisi e si fa in
fretta l’ora di pranzo e dobbiamo salutarci, con la promessa di
rivederci prima o poi.
Raggiungo i miei al Castello Sforzesco per un giretto, la giornata
è limpida e calda, la bellissima fontana che adorna la piazza di
fronte al castello zampilla e i vecchi mi aspettano con le derrate
alimentari all’ombra del piccolo parco adiacente.
Chi non conosce il Castello Sforzesco? Probabilmente è più famoso
di nome che per la sua storia: fu eretto nel XV secolo da Francesco
Sforza, divenuto da poco Duca di Milano, sui resti di una precedente
fortificazione medievale del secolo precedente, nota come Castello
di Porta Giovia. Demolita, nel corso dell'Ottocento, la cinta di
fortificazioni più esterna, detta "Ghirlanda", ciò che oggi si vede
del castello è la parte più antica, di edificazione trecentesca e
quattrocentesca. Questa struttura ha pianta quadrata, ed i quattro
angoli sono costituiti da torri, ciascuna orientata secondo uno dei
punti cardinali.
Simbolo di Milano per il suo profilo immediatamente riconoscibile, è
anche la Torre del Filarete, ovvero la torre al centro del muro del
castello, elegante, con delicati inserti marmorei e stemmi araldici,
ma questi furono eseguiti da architetti lombardi meno fantasiosi del
toscano. Neanche un secolo dopo la sua realizzazione, la torre,
divenuta deposito di polvere da sparo, crollò. Quella attuale è il
risultato di un’appassionata ricerca dell’architetto Luca Beltrami
sui documenti e sulle fonti iconografiche, per ricostruirne
l’aspetto rinascimentale.
Ovviamente tutti gli interni del castello sono adibiti a polo
museale, pertanto passeggiamo per chiostri e giardinetti, fino ad
uscire sull’altro lato e sbucare su Parco Sempione, il polmoncino
verde del centro.
Un laghetto con paperelle e tartarughe cattura la nostra attenzione per
qualche minuto, così come le panchine all’ombra degli alberi, poi
raggiungiamo l’Arco della Pace, da cui decidiamo di prendere il tram n.1 per
raggiungere la metro lilla (io, dato il colore come la mia famosa Punto, già
l’adoro!) fino alla fermata Isola per vedere il Bosco Verticale, un
complesso di due palazzi residenziali a torre. Peculiarità di queste
costruzioni, inaugurate pochi anni fa, è la presenza di più di duemila
specie arboree, tra arbusti e alberi ad alto fusto, distribuite sui
prospetti. Si tratta di un ambizioso progetto di riforestazione
metropolitana che attraverso la densificazione verticale del verde si
propone di incrementare la biodiversità vegetale e animale del capoluogo
lombardo, riducendone l'espansione urbana e contribuendo anche alla
mitigazione del microclima. A testimonianza del suo riconoscimento
architettonico, il Bosco Verticale è risultato vincitore di numerose
competizioni e anche il premio come «grattacielo più bello e innovativo del
mondo» nel 2015 e come parte dei «cinquanta grattacieli più iconici del
mondo» nel 2019. Sorvolerò sui commenti dei miei, che non hanno apprezzato.
Io la trovo un’idea originale invece. La giornata finisce più o meno così:
torniamo al camper in piena golden hour, mentre Mercurio, scappato al
controllo, innesca una rissa con due gatti dell’area sosta e sparisce
completamente dalla nostra vista per tre ore. Nel frattempo, spicciamo le
operazioni di pulizia necessarie, poi doccia e cena. È a questo punto che il
figliol prodigo, evidentemente affamato, torna all’ovile e ne approfittiamo
per chiudere la porta del camper. Crollerà come una pera cotta poco dopo.
Come, del resto, anche noi.
Giovedì 30 settembre - km 111713
da Milano a Ivrea (192 km)
La giornata inizia più presto del solito: ho organizzato la mattinata con un
treno per Monza, dedico un paio d’ore di visita alla città con un’altra collega
autrice con cui parlare si rivela un piacere ed una grossa scoperta: si parla di
editing, di arte ed architettura, di scrittura. Una mattinata particolarmente
piacevole, condita da una colazione sulla piazza del Duomo, che ha anche una
bella storia.
Sorge sul luogo dove intorno all'anno 595 la regina Teodolinda costruì
una basilica che sopravvisse sino al 1300, quando si sentì l'esigenza di
rinnovare la struttura. La facciata del Duomo di Monza è caratterizzata dalla
bicromia del suo marmo, che è oggi possibile ammirare così come appariva fino
alla fine dell'Ottocento. Allora, precisamente a partire dal 1890, infatti,
partì un lavoro di restauro condotto da Luca Beltrami, che decise di
sostituire il marmo nero di Varenna con serpentino verde d'Oira, per
sottolineare l'origine toscana dell'arte di Matteo da Campione. La torre
campanaria, con i suoi 78 metri, è invece un'evidente aggiunta posticcia,
risalente alla fine del Cinquecento. Laura, la mia “collega” autrice, tra
l’altro è anche un’ottima guida turistica all’interno del Duomo!
Riprendo poi un treno che, in sole tre fermate, mi porta a Seregno prima di
mezzogiorno, dove recupero i miei che, nel frattempo, sono passati a salutare
un amico tornitore del babbo e hanno fatto anche loro la mattinata di
chiacchiere e relax. Ci dirigiamo così verso Ivrea, destinazione ultima della
giornata, non senza aver fatto prima rifornimento al supermercato. Verso le 16
arriviamo al parcheggio camper in Piazza Croce Rossa, così chiamata per il
padiglione della Croce Rossa subito a fianco. Essendo una piccola area gestita
da volontari, non è a pagamento ma ad offerta, ed è la stessa in cui ci siamo
fermati qualche anno fa, di passaggio qui. Io e i miei ci dividiamo di nuovo:
loro raggiungono Pino e Giusi, amici che vedono una volta ogni tre anni, ed io
recupero una ragazza sempre della scuderia di Instagram che è arrivata apposta
da Torino per passare un pomeriggio insieme! Una settimana decisamente
particolare, in cui ho riempito le giornate di nuove conoscenze, non direi
neanche piacevoli sorprese perché ero sicura, sin da subito, che le persone
che avrei incontrato sarebbero state fantastiche. Per cena raggiungo poi i
miei a casa di Pino e Giusy, con cui ci intratteniamo in chiacchiere fino a
tardi prima di rientrare alla base ed affrontare una nottata semi insonne
causa gatto esagitato.
Venerdì 01 ottobre - km 111905
da Ivrea a Chamonix Mont-Blanc (190 km)
Stamattina, sotto un cielo piovoso, ce la prendiamo estremamente comoda. Ieri
siamo andati a dormire più tardi del solito, e Mercurio irrequieto non ci ha
fatti dormire molto! Accuseremo la stanchezza nel corso della giornata, almeno
io, che mi addormenterò sul tavolino della dinette rischiando di scivolare due
volte.
Ci fermiamo da Lidl per due cose che ci sono mancate nella spesa di ieri, poi
prendiamo la strada verso
Pont Saint-Martin, dove il bel
ponte romano visibile anche a bordo strada ci permette di scendere un attimo,
anche se pioviggina tipo novembre.
Una grandiosa testimonianza dell’antichità, poiché questo ponte romano ad arco
costruito nel I Secolo a.C. è da allora è stato adibito al transito fino alla
seconda guerra mondiale. Con la sua campata unica di 36 metri, insomma, questo
ponte ha duemila anni e non li sente neanche un po’. Alla faccia
dell’ingegneria moderna. Tiè. Certo, purtroppo il panorama con questo
tempaccio non è dei migliori, ed è un vero peccato perché siamo circondati da
Alpi che non ho mai visto, ma sono immerse nella nebbia. Deviamo poco dopo
Saint-Vincent verso la Valtournanche, ai piedi del Cervino, attraversando
paesini caratteristici arrampicati lungo la strada, come
>Paquier, un gioiello di legno e fiori. Con le dovute bestemmiucce del babbo causa
strada tutta in salita e un’inenarrabile quantità di tempo perso per deviare
appena 25 km dall’itinerario, finalmente arriviamo al Lac Bleu: è un
piccolo bacino idrico di origine naturale, alimentato da falde acquifere
sotterranee, a quota quasi duemila metri.
È sufficiente parcheggiare la macchina a bordo strada (poco più avanti c’è anche
un grosso parcheggio camper, ma dato che non c’è nessuno, approfittiamo del
posto più vicino al cartello che segnala li lago), e grazie a 20 metri di
sentiero siamo sulle sponde di uno specchio cristallino benché minuscolo. Il
babbo, ovviamente, smadonna perché la deviazione non vale tutto il tempo
perso, ma di certo il lago, con i riflessi verde smeraldo e la punta del
Cervino che ci si specchia dentro, merita una visita.
Riscendendo qualche chilometro, troviamo
Les Perreres Centrale, con la sua
centrale idroelettrica ed una diga che sbarra un lago dalle acque turchesi
(complici anche le conifere attorno) e ci fermiamo per pranzo nello spiazzo
adiacente.
Un barlume di sole sembra illuminare il cielo, stranamente il tempo si va
sistemando, e noi speriamo solo che regga anche domani. Si fa tardi in
fretta e sono quasi le 16 quando arriviamo a Nus per visitare il
Castello di Fénis, un bellissimo
esempio di architettura medievale completamente restaurato in modo
fedelissimo all’inizio del secolo scorso. L’ingresso costa 7,00 € con la
guida (che troviamo anche estremamente competente… e poi ha dei capelli
viola stupendi!) e la visita porta via meno di un’ora. Gli ambienti sono
curati, così come le torri (alcune a pianta tonda e altre a pianta quadrata)
ed il doppio muro di cinta: il restauro è evidente (essendo un edificio di
700 anni fa!), ma studiato ad arte per essere il più fedele possibile,
quindi resta molto armonico nella sua complessità progettuale.
Ecco, questi sono i restauri che mi piacciono! Verso le 17 riprendiamo la
marcia in autostrada, con tipo 40 km di gallerie che si susseguono tanto da
sembrare la nostra SS 77var: nello stesso tempo, saremmo arrivati da casa a
Foligno, ma questa è un’altra storia. All’ingresso del Traforo del Monte
Bianco ci salassano 63,00 € per la sola andata: ancora 11 km di tunnel ci
separano dalla Francia e da Chamonix Mont-Blanc, e li percorriamo con
estrema cautela (come richiesto dalla segnaletica) a tipo 30 km/h. Arriviamo
in terra francese e parcheggiamo, per la notte, presso un Carrefour che
permette il pernotto gratuito dei camper e ha anche delle griglie di
scarico.
Purtroppo la parabola non funziona causa alberi, perciò niente tv.
Concludiamo la serata scaricando le foto di questo ultimo giorno in terra
italiana.
Sabato 02 ottobre - km 112095
da Chamonix Mont-Blanc a La Balme de Sillingy (136 km)
Stamattina ci dividiamo felicemente in due gruppi di poche persone
ciascuno: i miei mi accompagnano alla base della funivia
La Flegère, da dove raggiungerò le vette e tenterò il trekking
verso alcuni laghetti. Loro faranno il tour con in trenino di Montenvers,
un trenino turistico a cremagliera che percorre un fianco della montagna
fino ad arrivare nei pressi della Mer de Glace con ampie terrazze
panoramiche. Scendo nell’ampio parcheggio della Téléphérique, c’è
già qualcuno in attesa che apra, finché non sento una signora che, in
francese, dice che la funivia è chiusa. Cadiamo tutti dal pero, risalgo
mesta in camper e vado a chiedere informazioni per i miei al trenino di
Montenvers. Scopro così che le funivie sul versante opposto sono chiuse da
metà settembre, e che l’unica operativa è quella per
Aiguilles du Midi. Su questo versante non ci sono laghetti, ma
decido di salire lo stesso e vedere un po’ di panorama dall’alto, sperando
di trovare un itinerario escursionistico. La funivia si divide in due
tappe con due prezzi: Plan d’Aiguilles e Aiguilles du Midi,
la sommità a 3840 metri circa, da cui si gode il magnifico panorama sul
Monte Bianco e qualsiasi altra cosa. L’unico inconveniente non calcolato è
il costo: 67,00 € per raggiungere la vetta. Al grido maccheronico di “Je
ne le zappe pas” (“non li zappo”, riferito ai soldi!), opto per la
soluzione meno drammatica: 35,00 € per il Plan, a 2300 metri circa
di quota (praticamente metà percorso). Appena scesa dopo un viaggio di
qualche minuto sembrato infinito (la funivia mi mette panico), stipati
nella funivia come sardine, si scopre un paesaggio buio: il versante del
Monte Bianco, proprio davanti ai miei occhi, infatti, copre il sole.
L’aria è decisamente fresca, decido intanto di raggiungere un laghetto a
15 minuti di distanza dall’uscita della funivia (segnalato), anche se non
si rivela gran cosa e alla fine perdo quasi due ore arrampicandomi qua e
là sui sassi.
Il panorama è comunque incantevole, tanto che si scorge un’immensa vallata
con quello che ha tutta l’aria di essere il lago di Ginevra. Il lato
illuminato già dal sole, invece, apre il panorama su Chamonix.
Una vista comunque a 360°, un paesaggio puro e silenzioso dove riesco a vedere
persino due grassissime marmotte. Alla fine, verso mezzogiorno, ridiscendo a
valle ed arrivo alla piccola stazione di Montenvers appena i miei arrivano con
il trenino. Optiamo quindi per riprendere la marcia e raggiungere due piccoli
bacini idrici pochi chilometri fuori Chamonix, dove trovare parcheggio si rivela
un’impresa, benché i camper siano ammessi (infatti a bordo strada ce ne sono
diversi!). Riusciamo a parcheggiare in modo parzialmente creativo, anche perché
intenzione di restare giusto il tempo del pranzo e di qualche foto. A destra
della strada principale c’è il Lac des Gaillands, che riflette tutta la
cresta montuosa e parzialmente innevata nelle sue acque. Il prato intorno
permette pic nic, passeggiate con il cane e relax sulle panchine o con i plaid
direttamente sull’erba. A sinistra invece troviamo il Lac à l’Anglais, con la sua suggestiva minuscola chiesetta diroccata ad un angolo delle
sponde. L’acqua verde smeraldo, nonostante il sottile strato di fogliame
colorato in superficie, è circondata dalla folta vegetazione e rende il posto
quasi incantato: e sembra che da un momento all’altro possano spuntare elfi e
fate!
Alle 15 ci rimettiamo in marcia per l’impresa: raggiungere le
Gorges du Fier, tappa obbligata se si passa da queste parti. Peccato
che sembra chiuda alle 17, quindi siamo decisamente tirati con i tempi, e come
se non bastasse la lunga statale è un infinito susseguirsi di rotonde e
deviazioni. Una volta parcheggiato al volo nello spiazzale adiacente, io e la
Vergara scendiamo: in 300 metri arriviamo alla biglietteria e scopriamo che
l’ultimo ingresso è alle 17.15 perché la chiusura è un’ora più tardi. Sono le
17.13, che culo! (si può dire?) Prendiamo dunque due biglietti e ci
incamminiamo lungo la passerella aggrappata all’immensa parete rocciosa. Dopo
qualche passo ci troviamo davanti a due enormi colonne calcaree che
costituiscono a tutti gli effetti il “portale” d’’ingresso. Siamo su una
passerella di legno e ferro, progettata nella seconda metà dell’Ottocento e
terminata nel 1869, sospesa a circa 20 metri sul letto del fiume Fier, che
scorre dentro la gola che lui stesso ha creato. Circa 20 mila anni fa, il
ghiacciaio che sarebbe poi diventato il Lago di Annecy ricopriva una
superficie particolarmente ampia, e quando iniziò a sciogliersi, il fiume che
ne scaturì creò il suo corso erodendo le rocce più friabili. Il fiume nasce a
oltre duemila metri di quota ed attraversa un dislivello importante lungo il
suo corso, fino a toccare quota 300 metri sul livello del mare. In prossimità
di Lovagny, ha creato le Marmitte dei Giganti e questa gola che oggi
ammiriamo. Nelle giornate di piogge consistenti, in cui il livello dell’acqua
arriva anche a 25 metri, inondando la gola. Lungo il nostro percorso troviamo,
infatti, anche un enorme “righello” con le inondazioni che si sono susseguite
nel corso degli anni. Nei punti più bui, le rocce sono rivestite di un sottile
e verdissimo strato di muschio, resto incantata e cerco di riempirmi gli occhi
di tanta bellezza per non pensare che la passerella in legno, con i suoi 140
anni abbondanti, se ne sta a sbalzo sul fiume, ed io con le mie vertigini da
instabilità non salgo nemmeno sulla scala. Per dire. Il percorso è
relativamente breve, tagliamo fuori la parte della Mer des Rocher perché le
ginocchia della mamma non affrontano i gradini e parte della salita, ma in
realtà la parte più bella è senza dubbio la prima, che passa in mezzo alle
gole.
Risaliti a bordo, buttiamo un occhio al Castello di Montrottier, ma solo
rapidamente all’’esterno: non sappiamo nulla della sua storia, ma ha tutta
l’aria di essere un bel castello di epoca tardo medievale e ben restaurato,
sembra quasi un castello delle fiabe.
Ancora una decina di chilometri e poi ci fermiamo presso l’area camper a
La Balme de Sillingy, trovata su Park4night. Parcheggio molto ampio, su sterrato, circondato da
spazi erbosi che danno un po’ di respiro, e prende anche la parabola. Il costo
è di 7,00 € compreso carico/scarico per le 24 ore, pagamento accettato con
carta Visa alla macchinina automatica all’ingresso. La sbarra è chiusa e noi
crediamo di dover pagare per farla aprire, fatichiamo un po’ e facciamo coda,
dopo qualche minuto arriva un tizio con aria spocchiosa (evidentemente
francese, anche senza parlare!) e solleva la sbarra, come a dire di
spicciarci, a dimostrazione evidente che, se questo è l’iter, la metà dei
camper che sono all’interno di certo non hanno nemmeno pagato (mentre noi
smadonniamo gloriosamente alla macchinina). Comunque ce ne sono già molti, e
gli unici italiani siamo noi.
L’area camper piace anche a Mercurio, che durante il giro serale di
ricognizione la esplora in lungo e in largo.
Domenica 03 ottobre - km 112231
da La Balme de Sillingy a Guebviller (343 km)
Oggi tappa di trasferimento per noi, e questo significa svegliarsi con
calma, benché entro le 9 siamo operativi come sempre. Procediamo alle
operazioni di carico e scarico e lasciamo l’area con destinazione
Murbach, a circa 350 km dal punto di partenza. Viaggiamo praticamente
tutto il giorno sotto ad un cielo nuvoloso che lascia cadere qualche
gocciolina di poggia di tanto in tanto, dapprima attraverso paesini e poi in
mezzo al nulla, come sempre accade, perché prendiamo una deviazione
sbagliata.
Mi mancava questo episodio.
Niente da segnalare: dopo un viaggio infinito raggiungiamo l’Alsazia e
Guebviller, a pochissimi chilometri dall’Abbazia di Murbach (che
visiteremo domani) poco dopo le 18.
Pioviggina, ma qualcuno dovrà immolarsi per portare Mercurio a passeggio.
In realtà il parcheggio, enorme e illuminato proprio in centro città, è poco
frequentato e il nostro camper è l’unico. Ergo, dopocena mi faccio prendere
dalla paranoia della solitudine e propongo di spostarci al parcheggio
proprio sotto l’abbazia, buio e sterrato, ma almeno avevamo visto che c’era
un camper!
Non è il massimo dei parcheggi, tra l’altro non c’è neanche campo ed il
telefono è inutilizzabile, ma almeno siamo in due!
Lunedì 04 ottobre - km 112574
Da Guebviller a Kayserberg (87 km)
Dopo una notte in cui non ha mai smesso di piovere, arriva una giornata in
cui non smetterà mai di piovere!
Scendiamo dal camper dopo colazione, coperti fino ai denti con giacche a vento
e similari, e percorriamo i cinquanta metri per l’Abbazia di Murbach,
con il grosso portone pesantissimo da aprire (ci viene in soccorso l’omino del
comune che si occupa della manutenzione dei bagni e la raccolta il fogliame).
All’interno è abbastanza scarna, e ben più piccola di quanto sembrasse da
fuori: pare che i frati avessero finito i fondi, pertanto non è affrescata e
“orpellata” come ci si aspetterebbe.
Un’oretta più tardi, che nel mondo corrisponde a due ore (noi andiamo piano,
dobbiamo pianificare, gira di qua e gira di là e ci perdiamo nel paesello),
passiamo davanti al posto più bello del mondo: il parco tematico del Piccolo
Principe, il mio libro preferito. Peccato che apra solo il sabato, quindi ci
allontaniamo, con una me estremamente sconsolata. Raggiungiamo il primo
paesino dell’Alsazia (dopo Mulhouse), eletto nel 2017 tra i paesi più belli al
mondo: Eguisheim. Il parcheggio camper è perfetto, a due minuti a piedi dall’ingresso del paese,
e ha pure la rete wifi gratuita. Tra l’altro, per un problema del weekend, fino
alle 14 il parcheggio è gratuito, e noi abbiamo giusto un paio d’ore libere per
riempire il tempo fino all’ora di pranzo!
Uno dei borghi più caratteristici immersi nei vigneti dell’alto Reno, il paese
di Eguisheim è piccolo, tondo, una vera bomboniera di case a graticcio, colori e
fiori in ogni dove. Le Rues des Remparts Sud e Nord girano attorno all’agglomerato di case, lungo una viuzza acciottolata su
cui si affacciano casette che sembrano fatte di marzapane e biscotti. Numerose
le fontane che si aprono su graziose piazzette fiorite, tra le quali spicca
quella in Piazza del Mercato, proprio davanti al Castello di San Leone,
risalente al VIII Secolo e passeggiando tra gli stretti vicoli si scoprono
alcune case con iscrizioni alle pareti che indicano le botteghe di antichi
mestieri. E quante cantine in Alsazia! Mi sa che mi toccherà fare una tappa da
qualche parte, prima di oltrepassare il confine.
Torniamo al parcheggio e verso le 14, corazzati di bretzel per pranzo, siamo
a Colmar, a Rue de la Cavalerie. Il parcheggio a bordo strada è riservato ai camper,
con parchimetro a tariffa oraria. Mettiamo 4,00 € ed il bigliettino ci vale
per 3 ore, quindi la cifra è piuttosto abbordabile.
A poche centinaia di metri, l’Office du Tourisme, dove recupero una piantina della città e si apre una piazzetta con Quai de la Sinn (il primo abbozzo di canale) e l’Eglise des Dominicains.
DaRue des Clefs partono alcune vie pedonali che conducono allaCollégiale de St.Martin, il luogo di culto più importante della città. Una interessante ed incantevole cittadina ai piedi del massiccio dei Vosgi, questa Colmar, con il suo cuore più profondo che prende il nome di Petite Venise, la piccola Venezia, attraversata dal fiume Lauch e da un canale in grado di creare scorci davvero suggestivi.
Alla fine, dalla Petite Venise prendiamo La
Navette, un servizio di mini navetta elettrica gratuito che fa il giro della
città ogni 15 minuti fino a sera, e torniamo a
Lacarre, la fermata che si butta
sulla Rue de la Cavalerie, dove abbiamo parcheggiato il camper. Prossima
tappa, il centro commerciale Shop’in Houssen poco distante: i nostri
gigabyte da utilizzare all’estero sono pochi, razionati come in Afghanistan
e ci stanno dando filo da torcere, perché la connessione internet se li
aspira via in un soffio. Giriamo per la zona industriale di Houssen almeno
mezz’ora, tra i labirinti di strade che sembrano non sbucare da nessuna
parte, poi finalmente appare il grosso centro commerciale. Tentiamo un blitz
per recuperare dunque una scheda sim con un numero di GB tale da impedirci
di elemosinare connessioni wifi aperte come i tossici. Buco nell’acqua,
comunque (scopriremo solo in tarda serata nuove soluzioni, e decideremo di
tornare domani). Arriviamo a Kayserberg sul
finire della luce (che di fatto “luce” non è mai stata, dato il tempo di
merda!) e ci sistemiamo in mezzo a parecchi camper nell’area dedicata a
poche centinaia di metri dal centro storico, 10,00 € per le 24 ore, e ci
sono anche i bagni!
La serata finisce con avanzi di bretzel, Mercurio che protesta perché il
tempo fuori non gli basta mai (chissà poi perché di giorno se ne sta così
buono!)… e la poggia. Ma ancora?!
Martedì 05 ottobre - km 112661
Da Kayserberg a Ribeauvillé (35 km)
Stamattina, benché partiamo entro le 8.45, non rientriamo al camper prima
delle 11 passate. Kayserberg,
città imperiale dal 1227, è stata eletta dai francesi “villaggio più
bello” (anche se finora Eguisheim per me non si batte). In tedesco, il
nome di questo borgo significa "Collina dell'imperatore": nel XIII Secolo
la collina infatti fu comprata da Federico II di Svevia che vi costruì la
sua personale cittadina. Kayserberg è stata inoltre insignita del titolo
di “città fiorita” alla fine degli anni Ottanta, e di fatto da allora
accoglie turisti da ogni dove. Ci concediamo una bella passeggiata, che
inizia con un tempo grigio dopo l’ennesima notte piovosa ma si schiarisce
via via, con il sole che fa capolino. Anche qui, le bellissime case a
graticcio colorate si affacciano su viottoli acciottolati e pieni di
fiori, anche davanti all’Hotel de Ville, il Municipio in stile
rinascimentale del Seicento, dove troviamo anche l’ufficio turistico.
Poco più avanti, la Fonte dell’imperatore Costantino abbellisce la splendida
piazzetta della Cattedrale, sulla quale si affacciano deliziose case a
graticcio e la Cattedrale con il suo meraviglioso interno gotico. Le rovine
della fortezza sorgono a circa 800 metri sul livello del mare, mentre
dalle vie arrivano profumi di spezie e cannella, pasticcini e dolcetti in
un delizioso turbinio da mal di testa. Sembra Natale fuori stagione. Arriviamo al
Pont Fortifié, dove scorre il
fiume Weiss crea, ancora una volta, degli angoli tutti da fotografare!
Bisogna ammettere che in questa zona della Francia sono organizzatissimi,
tanto materiale informativo gratuito e parcheggi per camper abbastanza
comodi, a brevissima distanza dai centri urbani.
Deviazione obbligata al centro commerciale di Houssen, dove siamo stati
ieri sera e dove abbiamo scoperto essere presenti tutti e 4 i negozi degli
altrettanti gestori telefonici francesi. Optiamo, supportate dall’omino
delle vendite, per Free.mobile, una sim acquistabile al distributore
automatico (come la nostra Iliad), con 150 GB di cui 25 da utilizzare
all’estero. Sembra una soluzione congeniale, anche se la connessione in
alcuni punti risulta fluttuante (magari è la zona). 20,00 € e passa la
paura. Sì, la paura di rimanere senza connessione!
Pochi chilometri a nord lungo questo bell’itinerario, ecco finalmente un altro dei gioielli dell’Alsazia: Riquewhir. Parcheggiamo per il pranzo a 50 metri dall’Hotel de Ville, ingresso al paesino. Il parcheggio per camper e auto costa 8,00 € per 3 ore: siamo ben consci della follia della tariffa, ma immaginiamo che siano una sorta di biglietto d’ingresso. Dopo pranzo, scendiamo in avanscoperta proprio dall’arco dell’Hotel de Ville. Costruito nel 1809 nel punto dove un tempo si trovava l’antica porta inferiore della Città Vecchia di Riquewihr, oggi il municipio è il punto di partenza per visitare il villaggio. Dopo aver attraversato l’arco al centro del palazzo comunale, si capisce subito che l’edificio fungeva sia da difesa che dà accesso principale alla città. All’interno di una doppia cerchia muraria, si nasconde questo affascinante borgo che sembra uscito da un libro di favole... e non è un modo di dire.
Se le sue viuzze strette e acciottolate, le pittoresche e
colorate case a graticcio, la torre e la fontana ricordano le fiabe, non è
un caso. Riquewihr ha ispirato gli illustratori Disney per disegnare il
villaggio di Belle, la protagonista del lungometraggio Disney “La Bella e
la Bestia” (tra l’altro, il mio film Disney preferito!). A pochi passi
dall’entrata dell’Hotel de Ville infatti si trova la fontana immortalata
nel film: qui la protagonista Belle si ferma a leggere un libro circondata
da un meraviglioso villaggio.
Questo minuscolo borgo di appena 1200
abitanti è uno scrigno di meraviglia e bellezza, immerso in un incantevole
paesaggio collinare ricoperto di vigneti. Al suo interno racchiude tutte
le caratteristiche dei paesini alsaziani medievali, ed è un piacere
perdersi tra i ciottoli ed i colori: fontane gorgoglianti, casette dai
tetti spioventi e facciate a graticcio dalle infinite tonalità pastello,
botteghe di artigiani e molte cantine, in cui si producono vini pregiati.
In fondo alla via principale si erge la Torre Dodler: con i suoi 25 metri
di altezza l’antica torre domina e protegge la città, infatti un tempo
serviva come punto di avvistamento dei nemici e luogo strategico per la
difesa del borgo. La torre possiede un’insolita peculiarità: dall’esterno
della cinta muraria ha tutte le caratteristiche di un’imponente struttura
difensiva con una facciata massiccia e strette feritoie mentre
dall’interno del paese, assume l’aspetto di un’abitazione alta quattro
piani con finestre fiorite e decorazioni in legno. Oggi la torre ospita il
museo storico di arte e tradizione popolare, dove è possibile ammirare
armi e attrezzi risalenti al XV Secolo.
Ancora un giro e tante foto,
incontriamo pure una coppia di italiani di ritorno dal Belgio, e poi
risaliamo a bordo diretti ad
Hunawhir, dove però non riusciamo a fermarci e tiriamo verso
Ribeauvillé. In realtà, il parcheggio di fronte
all’ingresso del centro storico è vietato ai camper, così i miei decidono
di prendersi un’oretta di tregua e restare a bordo a presidiare il mezzo,
mentre io vado in esplorazione. Questo è sicuramente un villaggio molto suggestivo: grazie alle sue meravigliose strade medievali, alle stupende case a graticcio dai colori pastello e alle botteghe di artigiani, il borgo è una tappa imperdibile di un viaggio in Alsazia. Immerso in una valle bucolica ricoperta di vigneti rigogliosi, Ribeauvillé incanta i visitatori ad ogni angolo: cii sono un sacco di scorci pittoreschi da fotografare, come la veduta della seicentensca Pfifferhus, la casa dei menestrelli, che sembra uscita da una favola dei fratelli Grimm.
La Grand Rue è l’arteria principale, e su questa lunga via si affacciano gli
edifici più interessanti e le piazzette più caratteristiche, ognuna
corredata da una fontana pittoresca, come la Fontana del Vignaiolo,
costruita per celebrare l’arte vinicola della zona. Il centro storico è un
gioiello di arte e architettura, interamente visitabile a piedi,
circondato da una cinta muraria parzialmente conservata e caratterizzato
da una serie incredibile di edifici medievali intatti. La Piazza del
Municipio è il cuore nevralgico della cittadina e rappresenta il confine
naturale tra la parte alta e bassa della città. Attorno alla piazza si
affacciano alcuni dei più importanti edifici di epoca rinascimentale come
il Municipio e la fontana dei Cervi, del 1536. La pittoresca Tour des
Bouchers per secoli ha svolto il ruolo di accesso difensivo fra la parte
alta e bassa della città: infatti nel Medioevo il borgo fu diviso in
quattro zone fortificate, collegate da torri e porte che consentivano un
passaggio controllato da un distretto all’altro. Questa torre in
particolare, oltre che da punto di avvistamento, fungeva anche da
campanile e da prigione. Il suo nome, Torre dei Macellai, deriva
ovviamente dall’attività della congregazione dei macellai che svolgeva
l’attività in questa zona. La parte inferiore venne realizzata Alla fine
del XIII Secolo, mentre nel Cinquecento si decise di proseguire fino a
un’altezza di 29 metri. Imperdibile una sosta nella piccola ma
caratteristica piccola Place de la Sinne: questo angolo pittoresco della
città è circondato da meravigliosi palazzi a graticcio con tenui colori
pastello.
Tra una goccia e l’altra, rientro al camper e ci spostiamo ad un vicino
Leclerc, dove pare si possa sostare anche la notte. Peccato che dopo il
calare del buio non ci ispiri più fiducia, perciò preferiamo spendere
qualcosina ed approdiamo all’Aire de Camping Car di Ribeauvillé, 15,00 € per le 24 ore, corrente
inclusa. Ci sono diversi camper, l’area è illuminata, su asfalto, e
decisamente tranquilla grazie anche alla sbarra all’ingresso. Anche
Mercurio approva, se non fosse che alle 22, complice forse un black out
(le luci si spengono completamente in tutto il piazzale!), riesce a
sfuggire al nostro controllo da cecchini e scappa.
Tornerà dopo un’oretta, affamato.
Mercoledì 06 ottobre - km 112696
da Ribeauvillé a Rosheim (45 km)
Stamattina, da una parte il sole, dall’altra nuvoloni scuri, tanto che
confondono le idee anche a noi. Dopo le operazioni di carico e scarico (2,00 € per 12 minuti d’acqua un
po’ furtarello, però ci stiamo bene con i tempi) e raggiungiamo
Bergheim, altro paesino in
coda sulla via alsaziana. Parcheggiamo subito fuori delle mura: i
parcheggi gratuiti non sono grandi, ma non è nemmeno affollato, quindi ci sentiamo meno in colpa di
sistemarci occupando due spazi.
Bergheim è l'unico paese dell'Alsazia ad avere ancora intatte le sue mura
medievali. I giardini e le vie fiorite sono sparsi in tutte le viuzze, ma
ci che ci sorprende è la sua bellezza, paragonabile a quella dei più
famosi Colmar e Riquewhir, con la differenza che stamattina ci avvolge il
silenzio e non c’è quasi nessuno in giro, salvo qualche autoctono a
passeggio e 4 persone contate, in giro come noi a fare foto.
La città è costruita sul sito di un ex campo militare romano. Inoltre si legge che ha spesso cambiato governatore, ma divenne una città libera all’inizio del Trecento, abolendo i dazi doganali e permettendo il diritto di asilo.
Le fortificazioni risalenti a questo periodo sono ben conservate, come tutto il centro storico, curato e fiorito. Tutta l’Alazia è famosissima per i mercatimi natalizi, quando l’atmosfera e le lucine rendono i paesi vere e proprie chicche. Tra l’altro, anche adesso che è ottobre si respira odore di Natale: le varie pasticcerie di cui le vie sono disseminate buttano fuori cannella e miele, le vetrine sono addobbate con dolcetti ed omini di panpepato, lucine circondano le porte d’ingresso dei negozi. Insomma, se non fosse che manca l’albero con le palle ad invadere la piazza, sarebbe già Natale!
Ripartiamo da questo grazioso gioiellino e, inerpicandoci lungo la stada
che in pochi chilometri conduce allo
Chateau Koenigsbourg.
Acquistiamo il biglietto online come da richiesta (9,00 € intero e 7,00 €
ridotto) e parcheggiamo a bordo strada, in fila tra camper e macchine.
Sembra la domenica della castagnata a Smerillo, con la differenza che
troviamo parcheggio abbastanza vicino all’ingresso.
La visita porta via
una buona ora e mezza, passando per trecento gradini tra salite e discese,
ma ne vale decisamente la pena. Di proprietà degli Asburgo, passò
Tierstein come feudo Alla fine del Quattrocento. Questi lo ricostruirono e
lo munirono di artiglieria per un adeguato sistema difensivo. Durante la
Guerra dei Trent'anni il castello resistette per oltre un mese all'assedio
degli svedesi ma, alla fine, cadde, venendo saccheggiato ed incendiato.
Dopo oltre due secoli di abbandono, l'imperatore tedesco Guglielmo II di
Hohenzollern (dal 1871 l'Alsazia era infatti parte dell'Impero tedesco) lo
ricevette dalla città di Séléstat e lo restaurò con l’aiuto di un esperto
di fortificazioni e studioso del medioevo.
L'aspetto finale del castello è il risultato di un'opera di recupero architettonico secondo le indicazioni dell'imperatore che intendeva fare del castello un museo del medioevo oltre che un simbolo della potenza dell'impero. Tra l’altro, dal bastione principale, si gode una vista bellissima da cui si nota anche tutta l’imponenza di questa struttura.
Sono le 16.45 quando arriviamo a
Rosheim mentre fuori piove.
Attraversiamo il grazioso centro storico fino al parcheggio in
Avenue Clemenceau, adibito a
sosta camper (ce ne sono già un paio), senza servizi ma comodissimo per
raggiungere il centro in pochi minuti. Temporeggiamo in attesa che la
pioggia smetta e usciamo in ricognizione, come sempre. I numerosi resti trovati sul sito testimoniano che questa zona sia stata occupata da diverse migliaia di anni. Il villaggio (che adesso conta circa cinquemila abitanti) è nato nel corso dell'ottavo secolo ed è stato distrutto da un incendio nel XII Secolo. In seguito, è stato completamente ricostruito grazie alle generose donazioni dei futuri imperatori del Sacro Romano Impero, gli Hohenstaufen. Libera città dell'impero all'inizio del XIV Secolo, Rosheim formò fino alla fine del diciassettesimo secolo la Decapoli, un'alleanza di mutuo soccorso di dieci città libere. È alla fine di questo periodo che venne poi annessa al regno di Francia.
Questa città alsaziana piena di fascino, Rosheim ha conservato molte vestigia di questo passato glorioso e ricco di eventi, rivelando un bellissimo patrimonio architettonico: è infatti abbastanza popolare per la bella chiesa romanica di San Pietro e San Paolo, e per una delle case più antiche dell'Alsazia, romanica, recentemente restaurata. Ma anche sul resto del villaggio vale la pena soffermarsi, ha belle case e 4 porte che si susseguono lungo la via principale, resti dei bastioni della vecchia cinta muraria. La sua vicinanza a Strasburgo, la Mecca del turismo in Oriente, la rende anche una popolare località turistica.
Al calar del sole, con l’aria fresca della sera che arriva, ci rintaniamo
anche noi.
Giovedì 07 ottobre - km 112761
Da Rosheim a Strasburgo (28 km)
Stamattina cerchiamo di partire ad un’ora ragionevole per essere al
Camping Strasbourg appena
possibile. Per fortuna riusciamo a fare il check-in anche se è mattina,
l’addetto all’immensa reception è cortese e disponibile. Il campeggio è
praticamente ineccepibile, molto ecologico all’apparenza: i due padiglioni
dei bagni sono grandi e ben curati, hanno anche la sezione bebè e quella
per lavare i piatti molto ampia. Le piazzole sono su sterrato, piene di
erba e verde intorno (Mercurio approverà anche questo spazio!), divise
dalla stradina asfaltata.
Poco dopo prendiamo il tram (la fermata Montagne Verte è a poche centinaia
di metri, e possiamo optare per un biglietto TRIO che ci consente di
utilizzare bus e tram per 24 ore ed è valido per 3 persone al costo di
7,00 €) che ci porta in centro in 10 minuti. Capoluogo dell’Alsazia e
capitale europea, Strasburgo ha vissuto una storia tribolata come città di
confine, oggetto di contese territoriali, politiche e militari per secoli.
La città è stata annessa e ceduta molte volte, passando in maniera
alternata sotto il dominio della Germania e della Francia. E’ stata scelta
come sede del Parlamento poiché per molto tempo è stata il simbolo di
un’Europa divisa e instabile. Arriviamo a Homme de Fer e in pochi minuti
raggiungiamo Place Klébert: la
nostra visita prettamente turistica parte proprio da qui.
Ci perdiamo nei
vicoletti ed in pochi minuti raggiungiamo la piazza della Cattedrale. La
visita della città di Strasburgo non può che iniziare ufficialmente da
qui: costruita con la pietra rosa proveniente dal Massiccio dei Vosgi, la
Cattedrale di Notre Dame risale al 1220 ed è un capolavoro assoluto di
architettura gotica. Victor Hugo la definì “prodigio di grandezza e
leggiadria”. Ed è davvero immensa, ricorda molto quella di Colonia, benché
questa sembra essere stata (nel Quattrocento) l’edificio più alto
d’Europa. Sul suo portale riccamente decorato sono scolpiti alcuni episodi
della Vita di Gesù e le figure di Re Salomone con 14 leoni, l’enorme
rosone della facciata e la torre campanaria che svetta sulla città con i
suoi 143 metri di altezza.
Ci vorrebbe una giornata solo per ammirare ogni dettaglio della facciata, che può essere paragonata al più grande libro
illustrato di tutto il Medioevo, grazie alle centinaia di statue scolpite
che raccontano pagine della Bibbia e del Vangelo. Inoltre la pietra rosa
cambia sfumatura a seconda della luce, del momento della giornata e del
colore del cielo: con la calda luce dei tramonti estivi, la cattedrale si
ammanta di un’atmosfera incantevole. Ovviamente noi la becchiamo con una
giornata nuvolosa, ma quando il sole illumina per qualche minuto la
piazza, si avvolge di colore! Imperdibile è anche la visita degli interni
(gratuita). Qui, oltre alle stupende vetrate, che creano intensi giochi di
luce e di colore, si può ammirare un incredibile orologio astronomico di
epoca rinascimentale. Mi concedo ovviamente una salita alla terrazza,
attraverso una scala a chiocciola di 330 gradini (il costo del biglietto è
8,00 €), per ammirare Strasburgo dall’alto in un susseguirsi di tetti
bellissimi che donano alla città un aspetto ottocentesco e bohémien
(sebbene la terrazza in sé lascia meno vista di quello che potrebbe
sembrare).
Per arrivare al quartiere della
Petite France mettiamo in
azione le motofette e costeggiamo il fiume. All’edificio della Vecchia
Dogana compriamo una focaccia alle olive che mangiamo per pranzo una volta
a destinazione: lo scorcio suggestivo ci offre i
Ponts couverts, i ponti
coperti che hanno mantenuto il nome pur non avendo più la copertura dal
Settecento: sono ormai rimaste le tre torri dei piccoli lembi di terra tra
i canali. All’altro lato, il
Barrage Vauban. Il comandante
Vauban, famoso un po’ ovunque in Francia per le sue opere di ingegneria
militare a scopo difensivo, progettò anche questo
barrage, una diga vera e
propria a delimitazione ufficiale del confine cittadino, che aveva lo
scopo di proteggere da eventuali attacchi via fiume, utilizzando l’acqua
per inondare tutta la parte sud di Strasburgo in caso di attacco nemico.
Più che una diga, per noi ha l’aspetto di un lungo ponte coperto, e anzi, salendo due rampe di scale ci affacciamo sulla terrazza panoramica.
Ce ne andiamo poi camminando nei vicoli della Petite France, quartiere ormai caratteristico di un tempo andato, apprezzato e bucolico, con le casette a graticcio dalle tinte accese che si affacciano sull’acqua silenziosa. Le case, peraltro, sono rimaste quelle originali del Seicento, con tetti spioventi, finestre a filo d’acqua e davanzali colmi di fiori. I fenili e le antiche botteghe sono ormai ristorantini e negozietti di souvenirs, ma ciò non toglie nulla al fascino del luogo.
Ma questo angolo di Strasburgo non è certo stato sempre così: le categorie di mestieri che avevano bisogno di molta acqua per lavorare si erano insediati qui, intorno al fiume Ill e ai suoi quattro canali. Conciatori, mugnai e pescatori vivevano dunque in questa zona, in case perlopiù economiche (le case a graticcio, con intelaiatura in legno che oggi, sono certa, valgono una fortuna). Quartiere povero e malfrequentato, non era nemmeno attrattivo
perché la lavorazione delle pelli e l’umidità dei suoli lo rendevano
maleodoranti. Nonostante tutto, il quartiere era chiamato “la piccola
Venezia” fino alla fine del Quattrocento, quando un’epidemia si diffuse a
causa dei mercenari alsaziani di ritorno dalle guerre d’Italia. Ci fu
dunque la necessità di costruire un ospedale all’esterno della città,
nella zona reietta. Il luogo dove veniva curato questo “male francese”
prese il nome di
“Piccola Francia”,
soppiantando il grazioso nome precedente.
Torniamo verso il centro, compriamo un paio di cosette da portare agli
amici e rientriamo alla base: con il tempo che avanza, ci dedichiamo a
sistemare il camper e alla doccia. Finalmente i capelli tornano
puliti.
Venerdì 08 ottobre - km 112790
da Strasburgo a Saarbrücken (168 km)
Stamattina inizia con il sole, e con noi che, subito dopo colazione,
puliamo il camper mentre cerchiamo di tener buono il gatto che passeggia
sul cruscotto. Espletato lo scarico della cassetta wc ripartiamo verso
l’ultimo baluardo francese del nostro tour:
Wissembourg. Parcheggiamo in
Boulevard de Clemenceau (area adibita a camper) giusto un paio d’ore, il
tempo di dare uno sguardo d’insieme. Questa città nel nord dell'Alsazia
trabocca di fascino, grazie al fiume Lauter, ai bastioni e alle dimore
antiche. Il canale che taglia in due la breve camminata fino al centro
storico, l’Altenstadt, gioca a
riflettere le casette a graticcio.
La Chiesa di
Saint-Pierre-et-Saint-Paul fa capolino dal fondo della via,
costeggiata da uno splendido spazio verde e curato, con fiori, piante ed
una fontana. Facciamo un giro attorno: è decorata con splendide vetrate
colorate. L'Abbazia si trova tra due bracci del fiume Lauter, un tempo collegati da un canale, ed è la più grande chiesa gotica in Alsazia, dopo cattedrale di Strasburgo: è stata costruita a metà del XIII Secolo sul sito del primo edificio risalente agli inizi del XI Secolo, di cui rimane il campanile romanico a ovest.
Non è immensa, ma è estremamente caratteristica e
rappresentativa dello stile gotico.
Altri due passi fino a Place de la
Republique ed in farmacia per uno sciroppo per la tose del babbo che non
dà tregua. Un flacone di carbocisteina 4,00 €… talmente economico che
decidiamo di prenderne due. Scorta, visto che in Italia il prezzo è almeno
il doppio! Pane alla boulangerie e rientriamo al camper. Dopo pranzo, facciamo una deviazione indietro di una dozzina di
chilometri per raggiungere
Drachenbronn-Birlenbach,
paese dal nome impronunciabile, per vedere Les Chemin des Cimes d’Alsace,
un percorso che si snoda lungo una passerella in legno e poi su per una
struttura circolare a spirale di circa 30 metri di altezza con una vista
panoramica a 360° sui Vosgi e la Foresta Nera.
Ci risulta strano, poiché
le nostre mappe geolocalizzavano questa struttura da tutt’altra parte, in
Germania vicino Stoccarda, sempre nei confini della
Schwarzwald. Ci mettiamo un
po’ a capire che in realtà si tratta di due strutture diverse! Molto
simili, ma diverse! Optiamo dunque per questa, che sta abbastanza di
strada, e poi entro sera saremo oltre confine. Arriviamo nel comodo
parcheggio dell’attrazione, nuova e fresca di apertura (è stata infatti
inaugurata a maggio del 2021), dove la navetta/trenino gratuita ci porta
fino alla biglietteria (in alternativa, un percorso a piedi di un’oretta e
mezza nel bosco).
Intero 15,00 € e ridotto vecchietti “solo” 13,00 €.
Scopriamo, attraverso pannelli esplicativi, che ci sono almeno una decina
di strutture sopraelevate sulla Foresta Nera molto simili (solo con
diverse forme, e c’è un sito dedicato che le raggruppa tutte) disseminate
in tutto il territorio, addirittura fino alla Repubblica Ceca. Ci
avventuriamo lungo la passerella in legno, dapprima in piano e poi
lievemente in pendenza. Un’ottima occasione di studio anche per i più
piccoli, con pannelli educativi che descrivono flora e fauna e dei mini
percorsi avventura accessibili davvero a tutti... anche se io ho un po’ di
vertigini! La vista dall’alto è molto bella e spazia dai margini della
foresta alle montagne che dividono Francia e Germania, quasi una corona
che delimita le pianure verdi in fondo a dove lo guardo riesce ad
arrivare.
Ho omesso di menzionare i 2,00 € aggiuntivi per la discesa con
il toboggan, lo scivolo,
anziché utilizzare la passerella: immancabile per me. I miei scendono e mi
fanno anche il video mentre esco dallo scivolo... proprio come i bambini!
Riprendiamo poi la marcia con l’intento di attraversare il confine tedesco
entro breve. Ovviamente le mappe ci portano per stradine abbastanza
dubbie, di cui una di circa 30 km che divide la foresta. Ci imbottigliamo
poi dentro
Bitche
per trovare un benzinaio. Prima che il sole rosso acceso cali
completamente dietro le colline e faccia sparire i vigneti alsaziani alle
nostre spalle, attraversiamo il confine tedesco. Ci fermiamo a
Saarbrücken, che è già notte
(causa un paio di errori ed il tablet con le mappe che improvvisamente
muore lasciandoci nel bel mezzo della bretella stradale!). Troviamo un
parcheggio per camper poco distante dal centro città, non troppo
illuminato ma circondato da prato (Mercurio approva!) e molto tranquillo.
Sono quasi le 20 ed iniziamo, prima di cena, a darci il cambio per portare
a spasso il gatto.
Serata con tv e nanna. Domani ci aspetta una bella traversata.
Sabato 09 ottobre - km 112958
Da Saarbrücken a Han-sur-Lesse (237 km)
Stamattina entro le 9 siamo già in autostrada (gratuita!) in direzione
Belgio e Grotte di Han,
patrimonio Unesco scavate dal fiume che, unicamente nel suo genere, entra
da una cavità ed esce due chilometri oltre. Finalmente il tragitto liscio e senza deviazioni assurde fa scorrere
veloce il camper, e in un attimo entriamo ed usciamo anche dal
Lussemburgo. Incontriamo un lieve tappo poco dopo l’ingresso in Belgio che
ci fa perdere un quarto d’ora sull’arrivo previsto, ma poco dopo le 11.30
arriviamo Ad Han-sur-Lesse,
uno sghignazzante villaggio vallone nel cuore delle Ardenne belghe. Il
parcheggio dedicato alla visita delle grotte è l’unico in tutto il
paesino: la zona camper con 40 posti ha diverse tariffe, a seconda della
stagione, ma tento di chiedere consulto a due olandesi un po’ “datati”,
che non parlano molto bene inglese. Mi fanno sapere che verso sera arriva
l’omino con i biglietti per chi resta
overnight, ma noi non vorremmo
certo restare qui per la notte, quindi gradiremmo delle info su eventuali
tariffe orarie, che sembrano comunque non essere pervenute. Alla fine
decidiamo di “appoggiare” il camper ed andiamo in avanscoperta.
Passiamo
davanti all’evidente deposito del trenino che, secondo i nostri
brogliacci, porta alle grotte, e seguiamo una massa di gente e le
indicazioni per
Accueil/départ, a 300 metri.
Finalmente raggiungiamo la biglietteria, scomodissima rispetto ai
parcheggi, lontana anni luce, dove ci fanno sapere che il tour che include
il trenino parte solo una volta al giorno, alle ore 16, e la visita nelle
grotte dura poi due ore. Ovviamente, anche per far contento il babbo
appassionato di treni, optiamo per la prenotazione dei biglietti per il
pomeriggio e addio piani di raggiungere Dinant in serata. Tornando al
parcheggio, intavoliamo anche una conversazione con il macchinista del
famoso trenino per le grotte, di guardia lì al deposito, che ci spiega che
inizialmente la biglietteria era proprio nel padiglione a fianco, e a
fianco dei parcheggi. Peccato però che con questo sistema nessuno visitava
il paese, ed i commercianti hanno fatto una rivolta. Ergo, per raggiungere
la biglietteria, come già notato, ora si passa davanti alla via con i
negozi, così “i turisti guardano e magari fanno girare l’economia”, ci
spiega. Insomma, a forza di chiacchierare del sistema ibrido del trenino, di come inizialmente fosse a tutti gli effetti un treno di una linea ferroviaria che portava all’ingresso delle grotte e di come il gasolio sia meglio dell’elettrico, il babbo si fa amico il simpatico macchinista e riesce a scroccare pure una foto al posto di guida della locomotiva. Ci allontaniamo poi momentaneamente dall’area di parcheggio solo per raggiungere, a pochi chilometri di distanza, Lavaux Sainte-Anne e il suo grazioso castello, che però è a pagamento ed oltretutto c’è un matrimonio (quindi i giardini non sono nemmeno visitabili). Dopo pranzo
ritorniamo dunque mestamente all’area parcheggio delle grotte, rassegnati
a restare fino a domani, tanto che il babbo si attacca anche la corrente.
Del resto, a livello di comodità non c’è nulla da eccepire: carico/scarico
ed elettricità sono molto comodi, ed inclusi nei 9,00 € che pagheremo in
serata all’omino che verrà a fare la questua. Alle 15.30 ci incamminiamo
nuovamente dal parcheggio alla biglietteria e seguiamo le approssimate
indicazioni per il binario per la partenza del trenino, perplessi nello
scoprire che per raggiungere la fermata dobbiamo passare praticamente
nell’erba e nel fango. Diciamo che per 25,00 € di biglietto ci aspettavamo
delle indicazioni segnalate con un minimo di criterio ed un percorso più
accessibile. Anche l’incaricato del controllo biglietti e di dare info,
ammettiamolo, è un ragazzotto non molto sveglio che sembra essere lì per caso. Il trenino parte, e il
macchinista conosciuto prima, che ci riconosce, fa sedere il babbo con lui
nella locomotiva, con buona pace degli altri, che sono costretti a salire
nelle altre carrozze: “Lui è appassionato di treni e sta davanti con me
per guardare. Voi dietro!”. Le comiche.
Arrivati all’ingresso delle grotte incontriamo Sabine, la nostra guida per
il tour. Ovviamente ci racconta di come il fiume Lasse, in 130 milioni di
anni, abbia scavato la roccia calcarea delle Ardenne infiltrandosi poco a
poco nelle faglie aperte tra le placche tettoniche. Il precorso attraverso
la pancia della terra si snoda per due chilometri, gli unici visitabili
tra gli oltre 14 totali, scoperti dagli speleologi nel corso di due o tre
secoli. La storia delle grotte in sé è molto movimentata, il fiume
continua ad erodere e l’acqua piovana a formare concrezioni, e le nuove
illuminazioni al led realizzate pochi anni fa mettono in risalto i colori
naturali.
La Grotta di Han è il primo Geoparco globale belga dell'UNESCO.
Nel suo cuore, si osserva da vicino il fiume mentre svolge il suo
incessante lavoro di sviluppo e di abbellimento di un mondo sotterraneo.
Questa divina cattedrale sotterranea (come la gente del posto ama chiamare
la grotta premiata con 3 stelle verdi Michelin) ha impressionato 30
milionidi visitatori con le sue gallerie naturali, piene di stalattiti,
stalagmiti e drappeggi. La Sala della Cupola è la più grande e la più
fredda galleria del complesso, con un diametro di 150 metri, poi c’è
addirittura un segmento del percorso cui è possibile vedere fossili di
conchiglie e coralli poiché in questa zona, “solo” 390 milioni di anni fa,
sorgeva un mare tropicale. La Sala delle Armi offre invece un grandioso
spettacolo di suoni e luci, chiamato Origin, creato da Luc Petit: lo
spettacolo, come suggerisce il nome, racconta la suggestiva storia
dell'universo e del pianeta Terra, viaggiando attraverso i secoli fino ai
giorni nostri, proiettando immagini sulle pareti della grotta.
Usciamo
dopo ennesimi gradini ed un ultimo scorcio al laghetto formato dal fiume,
nel quale si riflettono le concrezioni calcaree. Due ore di visita guidata
è quasi un sequestro di persona comunque. Molto belle, non c’è che dire:
decisamente monumentali, immense, come quelle di Postumia, ma nonostante
tutto meno curate (e meno belle) delle nostre Grotte di Frasassi.
Adesso scrivo all’Unesco e chiedo di inserirle nel patrimonio, visto che
mancano solo loro.
In serata, subito dopo cena, passa l’omina con i biglietti per i camper
che restano overnight. 9,00 € e passa la paura.
Domenica 10 ottobre - km 113195
Da Han-sur-Lasse a Chastre (149 km)
Stamattina, dopo una notte bella fresca (meno male che ero abbozzolata in
un plaid sotto la coperta) siamo pronti a partire alla volta di
Dinant con una nebbiolina
guazzosa che ci avvolge. Ho le mani congelate e sono estremamente
sofferente per la temperatura. Aspettando che la nebbia si dissolva,
poiché non si vede ad un palmo dal naso, entriamo in un Carrefour con la
scusa del pane e un po’ di frutta, ed io cerco birre belga a prezzo buono.
Le birre le trovo tutte e anche di più. I prezzi, invece, tali e quali a
casa mia. Con buona pace dell’idea, già assaporata, di rientrare in Italia
con due cartoni di birre belga pagate la metà. Nel frattempo la nebbia si dirada ed iniziamo a vedere qualcosa: adagiata
sulle rive del fiume Mosella, ai piedi di imponenti colline, la città di
Dinant è inusuale sia per il contesto naturale che per le attrazioni che
offre. Attrazione di punta, però, è forse la Cittadella, costruita a scopo
difensivo nel Cinquecento, benché il suo aspetto attuale risalga
all’Ottocento. La si vede arroccata in cima ad una collina, raggiungibile
attraverso 400 ripidi scalini, oppure comodamente via teleferica.
Noi, in
realtà, né l’uno né l’altro: parcheggiamo sulla sponda sud del fiume, un
po’ defilati, da dove abbiamo la prima meravigliosa prospettiva d’insieme
delle coloratissime casine della
Croisette (la
promenade lungofiume), la Collegiata di Notre Dame con il suo particolarissimo “cipollotto” nero (la cupola a bulbo),
ed il Ponte Charles de Gaulle, adornato da sassofoni giganti su entrambi i
lati: questi, bellissimi e coloratissimi, sono l’omaggio della città ad
Adolphe Sax, inventore, appunto, del sassofono! Costruttore di strumenti musicali, egli brevettò il sassofono come risultato del tentativo di migliorare il timbro di un altro strumento, il clarinetto basso. E chi se lo sarebbe mai aspettato che questo strumento diventato famosissimo negli Stati Uniti fosse stato inventato, nientemeno, che da un europeo?
Ma non solo: Dinant è famosa anche
per la birra Leffe, una delle birre d’abbazia più famosa in tutto il
mondo, che proprio qui iniziò la sua produzione nel 1260 circa. Ci
concediamo una passeggiata rilassante nelle vie, non manchiamo di visitare
la Collegiata di Notre Dame e
la sua vetrata più grande d’Europa, soffermandoci sulla sua particolare
architettura: una chiesa gotica con un tetto nero a forma di cipolla,
molto in voga nel Cinquecento. Peraltro, all’inizio del secolo scorso pare
che ad un architetto olandese fu affidato il progetto di “svecchiare” la
chiesa e rimuovere il cipollotto, ma date le forti opposizioni si decise
di lasciare tutto com’era. Arriviamo poi alla
Mairie, il Municipio, adornato di piante
rampicanti, passiamo poi lungo il fiume, brulicante di gente, ristorantini
e anche un mercatino artigianale. Camminiamo fino all’originale
Abbaye de Leffe, che però è
chiusa, e quindi torniamo al camper, passando per l’altro ponte sulla
Mosella. Avendo mangiato tardi, ripartiamo tardi, e per fortuna
Namur non è molto lontano. Costeggiamo la Mosella ed i suoi paesini che offrono scorci incantevoli con mille riflessi nell’acqua ferma, come Hun, dove accostiamo anche un istante per immortalare la riva opposta, o Wepion, presa d’assalto come il lungomare la domenica (qui hanno il lungofiume), gite in barca e casette in pietra lungo la strada.
Arriviamo nella capitale della Vallonia poco dopo le 16 e ci inerpichiamo verso la Cittadella alla ricerca folle del parcheggio. Gente da scansare con la pala, complice anche il bel tempo e il fatto, non secondario, che è domenica. Salendo verso la Esplanade de la Citadelle, oltre ad avere una splendida vista sulla Mosella, il Pont de Jambes e l’omonima cittadina sul lato opposto del fiume), ci accorgiamo dei duecento cantieri nei vari punti.
La Cittadella di Namur è immensa, anche qui c’è una
teleferica che porta a valle ma chiude alle 17 (manca giusto mezz’ora e
non ha senso fare le corse). La città, peraltro, è molto dispersiva, così
decidiamo di restare a fare un giro all’interno delle mura della
Cittadella ammirando il panorama.
Questa è una delle più grandi d'Europa ed è classificata come Patrimonio maggiore di Vallonia, tra l'altro di grande valore storico, basti pensare che le prime tracce di insediamenti umani sul sito, risalgono a circa 6.000 anni avanti la nascita di Gesù Cristo. Alcune monete ritrovate attestano che Namur intrattenne delle relazioni commerciali col resto dell'impero romano, quindi ha una storia molto antica. L'evoluzione del borgo andò aumentando e l'importanza del porto si intensificò dal V al IX Secolo. Le prime fortificazioni sullo sperone roccioso che diventerà la cittadella si datano intorno a quest'epoca.
Alle 17 o poco più, con estrema calma, ripartiamo.
Raggiungiamo
Sombreffe, dove ci appropinquiamo all’area camper, che dai nostri brogliacci
risulta dietro un club automobilistico, ma il gentile omino che gestisce
l’area ci dice che è impraticabile a causa del fango dovuto alle piogge
dei giorni scorsi. Ci indirizza molto cortesemente a
Villers-La Ville, presso il parcheggio della vecchia abbazia, che ci dice essere un posto
molto tranquillo con tre posti per camper. Una volta arrivati on spot, ci
troviamo al cospetto di un’immensa abbazia cistercense diroccata, caduta
in rovina ed abbandonata nel Settecento. Uno di quei siti che io tanto
amo! Il babbo smusa, non è convinto di stare da solo in mezzo al nulla,
perché in effetti non ci sono molte forme di vita, quindi ci spostiamo
verso
Chastre, dove sembra ci sia un parcheggio tranquillo messo a disposizione da un
privato, che in realtà è occupato e siamo a ridosso dell’ora di cena,
ergo… non è proprio il caso di bussare alla porta. Smadonnati il giusto,
dopo mezz’ora fermi in briefing, in cui non riusciamo minimamente a
trovare una soluzione idonea, optiamo per arrivare a Gand. Come prima
cosa, ci fermiamo presso un distributore Q8 aperto h24 per fare
rifornimento di gasolio, e scendo senza convinzione a chiedere,
all’interno dell’autogrill, se per caso possiamo fermarci per la notte,
risparmiandoci così la traversata a quest’ora, dato che i parcheggi per
camper sembrano tutti deserti e preferiremmo non restare. Trovo due
giovani simpatici e alla mano, che mi dicono che, sebbene il bar chiuda
alle 22 e riapra alle 5, è videosorvegliato e tranquillo e che ci danno
l’autorizzazione a restare. Ci guidano la manovra, avvisandoci poi che lì
non daremo fastidio e che lasceranno un appunto per il proprietario, che
aprirà l’indomani alle 5. Regaliamo loro una bottiglia di vino rosso per
ringraziarli della gentilezza, e ci congediamo.
Lunedì 11 ottobre - km 113344
Da Chastre a Gand (114 km)
La nottata scorre tranquilla e nemmeno troppo fredda, e persino Mercurio
se ne sta buono praticamente tutto il tempo! Il tempo di vestirmi, di buon mattino, ed entro nel bar per prendere
dei cornetti per la colazione e ringraziare per la possibilità che ci è stata concessa di rimanere per la notte. Contro ogni pronostico incontro una tipa
particolarmente acida (sono le 8 del mattino per tutti, evidentemente) che
mi dice che lo spazio è privato e non potevamo restare a dormire. Le
faccio notare che i collaboratori di ieri sera ci hanno dato
l’autorizzazione a restare dicendo che avrebbero scritto un appunto per il
proprietario e che non c’erano problemi, e quella ripete solo che è
privato e che non ci si può stare. Gentilmente le ripeto che non abbiamo preso noi l'iniziativa ma ci è stato dato il consenso,
ma al suo terzo “sì, però
è privato e non ci si può stare” mi chiedo cosa non sia chiaro o chi delle
due non parli francese. Giro i tacchi, ciao cornetti e ciao acidona.
Torniamo, come prima tappa, a
Villers-la Ville per visitare
la bellissima abbazia del XIII Secolo che abbiamo visto ieri sera. Il
babbo non è interessato pertanto io scendo con la vergara.
Il centro visitatori dell’Abbaye de Villers apre alle 10, mancano 20 minuti e in fila c’è già una scolaresca di almeno un centinaio di adolescenti esagitati che solo a vederli mi danno l’urticaria, con i rispettivi cinque o sei professori con evidente aria del “chi me lo ha fatto fare”, che adesso capisco i nostri prof al liceo che non volevano accompagnarci in gita neanche mezza giornata. Facciamo defluire la massa ed entriamo alla biglietteria. (biglietto 9,00 €, ridotti 7,00 €).
Il sito è bello e ben curato, con plance esplicative... e dire che l’abbiamo scoperto per caso! Nessun portale di “cosa fare e vedere in Belgio” ne parla, eppure siamo sicuri che sia abbastanza popolare, a giudicare dalla conservazione e dalla manutenzione. L’abbazia, fondata dai monaci cistercensi come moltissime in Europa nel 1200, è un enorme complesso rimaneggiato nel corso dei secoli. La sua parte più bella è di certo la chiesa, con una navata di ben 92 metri, quindi colossale, e molti padiglioni attorno, tra cui l’ostello, l’atelier dei mestieri, le scuderie, i refettori. Tutto questo, alla fine del Settecento fu praticamente abbandonato, e adesso la natura scopre il suo lato migliore attorno ai lavori di riconsolidamento che sono andati avanti dagli anni Ottanta in poi.
Ci perdiamo nei meandri e nei giardini dell’abate, fotografiamo prospettive, e mezzogiorno arriva in fretta. Riprendiamo dunque la marcia. Usciamo dall’autostrada nei pressi di Anderlecht, sobborgo di Bruxelles, per passare da Lidl per un paio di cose che non avevamo preso ieri (trovo anche la meravigliosa Hoegaarden in lattina e ne prendo un piccolo brick da 6) e restiamo per pranzo nel parcheggio adiacente, essendo già sufficientemente tardi. Ripartiamo per Gand (o Gent, che dir si voglia), dove arriviamo verso le 16.30 presso l’area camper dedicata nel quartiere di Gentbrugge, a Braemkastelstraat, subito dietro al deposito dei bus. A tal proposito, prima di entrare chiediamo informazioni per i biglietti del bus ad un autista di Lijn, la linea di trasporti urbani della città, che uno stentato inglese ci dice che i biglietti non si possono fare a bordo, che forse la macchinetta sul bus legge la Visa qualora si volessero pagare a bordo, e che i biglietti vanno comprati forse in qualche tabaccheria. Alla mia domanda, scherzosa ma sarcastica, se lui lavori o meno per la compagnia di trasporti di cui non sa una mazza, fa spallucce ridendo. Non capisco se ci è o ci fa. In ogni caso, per pura fortuna, a una tabaccheria a 700 metri dall’area camper riesco a prendere un biglietto per 10 corse. Il bus n.3 porta in centro, la fermata è a brevissima distanza. Vista la situazione, optiamo per buttarci finalmente da Primark e domani andremo alla scoperta di questa magnifica città. Io e Vergara andiamo dunque in centro, il bus ci scarica alla cattedrale di Sint-Jacobs a 300 metri dal nostro negozio di fiducia, che per noi ormai rappresenta lo shopping all’estero. Non siamo soliti fare turismo enogastronomico o grosso shopping, ma Primark non manca mai!
Torniamo con soddisfazione al camper e finalmente entriamo nell’area, dopo notevoli difficoltà poiché la macchinina per pagare il parcheggio (12,00 € le 24 ore) fa le bizze. Dopo 15 minuti, tante madonne ed una telefonata al numero dell’assistenza parlando in 3 lingue diverse con un tizio che non ne conosceva bene manco una, riusciamo ad entrare.
Martedì 12 ottobre - km 113477
Gand
Stamattina, come da programma, alle 9 siamo alla fermata del bus n.3 ed in poco meno di 20 minuti siamo in centro. Capitale culturale delle Fiandre e sede di una delle più importanti università al mondo (i poli universitari a and contano circa 45 mila iscritti), la città di Gand era abitata già in epoca celtica. È da lì che deriva il nome “Ganda”, che in gaelico significa “confluenza”: la città si trova, infatti, all’incontro dei due fiumi, il Lys e la Schelda, da cui derivano i canali che movimentano il centro storico. Noi superiamo la fermata di ieri pomeriggio e scendiamo nei pressi di Sint-Michielskerk, da cui il tram n.4 ci scarica giusto davanti al Castello dei Conti di Fiandra (e all’ufficio turistico nell’ex padiglione del mercato del pesce) in due fermate.
Il castello, in pietra grigia, tipicamente medievale, sembra uscito da una favola, tanto più che questo cielo grigio lo rende ancora più suggestivo. Optiamo però per non visitarne gli interni che ci porterebbero via decisamente troppo tempo, e ce ne andiamo verso Graslei, la parte più antica, il cuore storico della città di Gand, che gira attorno ad un frammento di canale. Questo angolo caratteristico è delimitato dall’edificio della Vecchia Macelleria, dal Korenlei (la casa dove si pagava il dazio sul grano nel Cinquecento), dal Ponte in pietra di Sint-Michiel con l’adiacente immensa chiesa (che però non è aperta) e la Sint-Niklaaskerk, che peraltro abbiamo modo di visitare poco dopo.
Ci sorprende l’altezza delle volte e la luminosità delle vetrate, un chiaro esempio di architettura gotica integrato in elementi medievali. All’interno, oltre ad un bel “concerto” di organo (in realtà sono le prove per il concerto d’organo che si tiene la terza domenica di ogni mese), una mostra di un fotografo belga con degli scatti semplicemente sublimi, tanto che cerco il suo profilo su Instagram solo per fargli i complimenti.
Nel frattempo, il cielo cambia continuamente e si passa dal freddo al sole, al vento, alla pioggerellina. E di nuovo, da capo. Recuperiamo un Pizza Hut (uno stravizio da “italiani fuori sede” che ci concediamo in vacanza una volta ogni tanto) e ci sediamo a pranzo con estrema calma: la pizza è buona, ma la digeriremo domani per sicurezza. Riprendiamo Limburgstraat, una delle vie principali, verso lo Stadshal, il padiglione municipale utilizzato per eventi e concerti (la cui architettura moderna in mezzo ad edifici cinquecenteschi è decisamente un cazzottino in un occhio), e l’adiacente beffroi di Belfort, ora adibito a museo.
La sua Torre civica, alta 95 metri, fa parte del “trittico” di torri medievali che si stagliano lungo la via ed è in realtà visitabile (vorrei salire, solo che non sembra “abbastanza alta”, e nel frattempo inizia a piovigginare). Sull’altro lato della piazza, di fronte ad una fontana dal taglio particolare, la Sint-Baafskathedraal, la cattedrale tardo-gotica di San Bavone, che conserva alcune famose opere d’arte, come il Polittico dell’agnello mistico di Jan Van Eyck e La Conversione di San Bavone di Rubens. Rappresenta uno dei migliori esempi dell'architettura gotica secondo l'interpretazione del locale stile gotico brabantino. L’ingresso è gratuito (si paga solo per vedere le opere) e l’interno merita decisamente una visita: l'accostamento dei diversi materiali impiegati nella costruzione, come la pietra bianca per l'ossatura strutturale e i mattoni rossi per le pareti e le volte, insieme alle vetrate da cui filtra la luce colorata, crea nell'insieme un particolare effetto cromatico. Il pulpito riccamente lavorato (riferimento al barocco) è diviso dal deambulatorio da un recinto marmoreo seicentesco dalla caratteristica bicromia bianco-nero. Riprendiamo la via lungo la Schelda inferiore (un ramo del fiume principale che attraversa la città) e superiamo il castello di Gherardo il Diavolo, un'antica residenza medievale fortificata (oggi è sede degli archivi di Stato). Il castello venne costruito all’inizio del Duecento come difesa e come residenza: lo scopo difensivo si rileva dalle spesse murature e la presenza di un mastio con torrette; quello residenziale, dal corpo principale con la sfilza di tredici bifore d'epoca feudale, chiaro esempio della volontà di dare ricevimenti. Nel frattempo comincia a piovere e ci tocca ripararci in una rientranza di un edificio, dove restiamo almeno 20 minuti. Siccome non accenna a smettere, ci infiliamo da Bidon, una sorta di caffetteria all’apparenza spaziosa sull’altro lato del canale, dove ci sediamo e prendiamo un caffè con la scusa di ripararci dalla pioggia e fare il punto della situazione. Avrei dovuto già immaginarlo dal nome del locale, che avremmo preso un bidone: due caffè 5,00 €, manco a Venezia, perdipiù fa schifo persino a me che bevo le sbobbe americane. Come se non bastasse, si paga solo con carta. Ciao.
Appena la pioggia diminuisce fino a smettere, fuggiamo dall’ignobile caffetteria ed arriviamo a Sint-Jacobskerke, dove il bus ci ha fermate ieri, e da lì risaliamo trecento metri fino a Vrijdagmarkt, la piazza del mercato del venerdì (chissà se ancora oggi il giorno del mercato è lo stesso). L’imponente statua di Van Artevelde si trova al centro della piazza, con il braccio teso verso l'Inghilterra. Ricordando una grande epoca, sembra quasi indicare ai passanti la via della prosperità. Ma, vista da un’altra prospettiva, il nostro amico di bronzo indica semplicemente uno dei tanti ristoranti che adornano la piazza! Nel corso dei secoli qui si sono svolte innumerevoli feste, vi sono stati solennemente salutati monarchi e, purtroppo, hanno avuto luogo anche esecuzioni capitali.
L'ultima esecuzione pubblica risale al 1863. Il Toreken, che risale al XV secolo, è l'ultima testimonianza di queste pratiche barbare. Qui saluto i miei e faccio un giro per Werregarenstraat , la via dei murales, ormai famosa: è una viuzza stretta di circa 100 metri, e il suo aspetto cambia spesso poiché i nuovi murales coprono di volta in volta quelli vecchi... Io ne becco di veramente brutti. Mi toccherà tornare per vedere se la prossima volta sono più belli! Dalle vie del centro raggiungo il polo universitario, non prima di aver beccato dopo uno scroscio d’acqua dal quale mi riparo sotto al Padiglione municipale ed aver ammirato un bellissimo arcobaleno. All’università mi vedo con una collega autrice che qui fa il suo dottorato di ricerca in storia dell’arte e ci prendiamo una bella Kwak, birra rossa belga dai sentori di miele. Si fa buio in fretta e ritorno verso il centro, dove riprendo il bus n.3 davanti alla chiesa di Sint-Niklaas e torno a Gentbrugge, dove il bus fa capolinea. Stasera all’area camper ci sono due nuovi ospiti.
Mercoledì 13 ottobre - km 113477
Bruxelles
Nei nostri viaggi abbiamo utilizzato due formule collaudate per evitare il caos delle grandi città:
- il “metodo Partille” (adottato per andare a Göteborg nel 2012) consiste nel lasciare il mezzo in una qualsiasi località piccola, con stazione ferroviaria, a pochi chilometri dalla città grande, e raggiungerla con un treno
- il ”metodo Capodistria” (adottato nel 2018 per raggiungere Piran ed Izola) consiste nel lasciare il camper nell’area sosta di una città in cui si è in visita, e utilizzare i mezzi per raggiungere un’altra città grande, che risulterebbe scomoda da fare in camper.
Ecco, noi oggi utilizziamo il metodo "Capodistria": infatti abbiamo deciso di andare da Gand a Bruxelles con il treno, ancora traumatizzati dalla nostra esperienza pessima del 2010, durante il nostro battesimo a camperisti, in cui tentammo di attraversare la città e trovare un'area sosta senza successo alcuno. Gli spostamenti dall’area sosta camper di Gentbrugge prevedono un bus ed un treno, e una volta arrivati nella capitale belga ci sposteremo con i mezzi pubblici. Stamattina ci svegliamo qualche minuto prima e, sotto una sottilissima pioggerellina che smette e ricomincia in continuazione, partiamo carichi alla fermata del bus Dienstencentrum, per prendere il n.9 verso la stazione ferroviaria di Sint-Pieters. Una volta in stazione, alla biglietteria automatica riesco pure a fare i biglietti a/r per Bruxelles senza nemmeno cambiare la lingua: leggo le istruzioni in questa sorta di fiammingo e mi oriento a senso. In pochi minuti saliamo a bordo del treno che ci porta a Bruxelles in circa mezz’ora
Scendiamo a Bruxelles Centrale e, come prima cosa, un soffitto adornato di Puffi ci accoglie all'uscita: non dimentichiamo che questa città ha dato i natali al fumettista Peyo, che ideò i simpatici omini blu alla fine degli anni Cinquanta! Facciamo subito un biglietto giornaliero per i mezzi (bus, metro e tram) al costo di 8,00 €, che entro l’ora di pranzo sarà già ammortizzato. Iniziamo la nostra visita scendendo lungo le vie pedonali del cento storico, che si apre appena fuori dalla stazione, e dopo qualche viuzza e la Galerie de la Reine (molto simile alla nostra galleria Vittorio Emanuele II di Milano), raggiungiamo Grand Place.
Si tratta della piazza più importante della città, fiancheggiata dalle case delle corporazioni, dall’Hotel de Ville (il Municipio) e dalla Maison du Roi. Un tripudio di architettura gotica e fiamminga considerata tra le più belle piazze al mondo ed inserita nella lista dei patrimoni Unesco dal 1998. Dal mio punto di vista, benché innegabile che sia meravigliosa, è fin tropo opulenta.Percorriamo 300 metri in direzione di Rue des Etuves per vedere, nascosta dietro un angolo, la fontana del Manneken Pis, più deludente della Sirenetta di Copenhagen. La statuetta del famoso bambino nudo è addirittura più piccola di quelle che vendono nei negozi di souvenirs, e non mi spiego perché sia diventata così tanto popolare. La leggenda vuole che, nel XIV Secolo, un bambino di nome Juliaanske riuscì a salvare la città dall’aggressore straniero facendo pipì su una miccia accesa lungo le mura difensive. Storia più stupida non avrebbero potuto inventarla. Ma tant'è, che l'enfant qui pisse è uno dei simboli di questa città. È vero che all’estero rendono famose pure le mosche.
Facciamo due passi, prendiamo la metro e raggiungiamo anche la Cattedrale di Saint-Parvis et Sainte Gudule, una bella cattedrale gotica che ricorda Notre Dame, dove incontriamo anche una coppia di Matera in visita alla figlia che lavora qui. Poveraccia. Tra una goccia e l’altra, ci rispostiamo nelle vie pedonali. Bruxelles, contro ogni previsione, è famosa per le moules (le cozze), che vengono servite generalmente con patatine fritte. Troviamo un ristorantino (fatiscente come tutti quelli della zona del centro, fatti apposta per turisti in effetti), la “padrona di casa” è abbastanza gentile e ne approfittiamo per assaggiare dunque queste famose moules di Bruxelles… che nulla hanno da invidiare a quelle mangiate da altre parti! Ovvio: bisogna sempre considerare che quando si arriva in una grossa città sconosciuta, a meno che non si vada su un ristorante particolarmente rinomato, si va un po’ a caso. E noi non siamo nemmeno avvezzi ai turismi enogastronomici, quindi ancora peggio! Dopo pranzo, optiamo per un giro all’Atomium, fermata Heysel della metro (quell’Heysel del tristemente famoso stadio e dell’omonima tragedia del 1985). Ci mettiamo un po’ ad arrivare, perché si tratta della zona periferica della città, ma una volta scesi dalla metro non si possono non notare le enormi palle della costruzione, forse, più famosa del capoluogo. Un’imponente quanto moderna struttura in acciaio, alta un centinaio di metri e visitabile in alcune sezioni. Gli interni dell’Atomium ospitano infatti alcune mostre ed esposizioni, ed i vari piani sono collegati tra loro con delle scale mobili. Inoltre, un ascensore conduce alla palla più alta, con la terrazza panoramica. L’ingresso costerebbe 16,00 €... Decidiamo quindi per la visita al parco Mini Europa (allo stesso prezzo!), una genialata in stile Italia in Miniatura, con riproduzioni di famosi edifici e monumenti dei paesi della Comunità Europea. Una bella brochure illustrativa li descrive attraverso il percorso, ed è divertente ricordare quelli che abbiamo già visto nei nostri viaggi in Europa e magari indovinarli. Buffa anche la dogana che dallo scorso anno divide l’House of Parliament di Londra dal resto, poiché il Regno Unito è ufficialmente fuori dall’Europa e smantellare il parco è improponibile! Andiamo decisamente lunghi, tanto che alle 18 siamo ancora a Bruxelles. Il tram ci riporta fino alla stazione centrale, dove perdiamo due treni per Gand in pochi minuti, e finalmente riusciamo a salire su quello utile che arriva alle 19.35 circa. Da lì, perdiamo pure la coincidenza con il bus per Gentbrugge per una manciata di minuti e aspettiamo fino alle 20 l’arrivo del bus che, finalmente, ci riporta al camper.
Conclusioni: Bruxelles secondo me è una delle capitali europee meno attraenti.
Giovedì 14 ottobre - km 113477
da Gand ad Anversa (60 km)
Stamattina, dopo la lunga giornata di ieri ed una zanzara particolarmente rompiballe durante la notte, ci svegliamo con calma. Sistemiamo la cassetta, buttiamo la spazzatura, e alle 9.30 siamo in viaggio per Anversa. Parcheggiamo all’area camper di Vogelzanglaan, nella zona di Antwerpen Expo. Il posto è spazioso, sterrato, pavimentato e con ampie zone erbose, Mercurio approva. Il tipo che gestisce l’area è un po’ sui generis, un personaggione di poche parole, a cui diamo 10,00 € per la notte che passeremo qui. Senza por tempo in mezzo, saltiamo giù dal camper e andiamo dunque alla scoperta della città. Abbiamo, a breve distanza dall’area sosta, sia il bus n.17 che il tram n.6 che possono portarci in centro, ma optiamo per il tram, convinti di poter acquistare un biglietto giornaliero ad un’ipotetica macchinetta che però alla fermata non è pervenuta. Saliamo così a bordo come i clandestini e raggiungiamo Opera, fermata di snodo, dove troviamo finalmente una macchinina automatica e riusciamo a fare i biglietti giornalieri (7,50 € e strisciamo carta tutto il giorno!). Percorriamo circa un chilometro tra gallerie e scale, e finalmente risaliamo a Centraal Station dall’interno, restando a bocca aperta: la stazione centrale di Anversa è da rimanerci secchi! Un magnifico edificio neoclassico in pietra scura, finemente decorato con inserti dorati, non pacchiani come Bruxelles, ma con quel tocco di austerità che caratterizza le fiandre. Ovviamente, dentro è stata rimodernata e “scavata” per rendere fruibile lo spazio su più livelli, tanto che conta 24 binari e non si direbbe! Restiamo in ammirazione almeno un’ora, il babbo (contento come i bambini a Natale) guarda tutti i treni che partono. Mangiamo qualcosina in una focacceria e poi usciamo. Ci troviamo così su Koningin Astridplein, da dove prendiamo un tram a caso (il n.24 che porta ai docks) solo perché ha un’aria vintage ed il babbo vuole fare un giro. Ci troviamo così davanti ad uno dei bracci del porticciolo e al cospetto del futurista edificio che ospita il Museum aan de Stroom. L’aria è frizzante, sembra voglia piovere, e noi facciamo in giro dell’isolato per tornare a prendere il tram. Scendiamo a Roosevelt e ci troviamo davanti Lange Nieuwstraat, una delle vie principali di Anversa in cui gli edifici storici in stile neoclassico sono diventati sede di importanti boutiques.
Ne percorriamo una parte, poi tentiamo di prendere il tram n.11 per arrivare a Grote Markt, la piazza principale (che si chiama come tutte le piazze principali di Olanda e Belgio), ma sembra ci siano dei rallentamenti, forse dovuti ai tanti cantieri in giro per la città (la più impalcata che abbiamo mai visto, insieme a Copenhagen), quindi optiamo per le motofette, con buona pace della vergara che ci sta tirando tanti accidenti. Lento pede, finalmente appare lo Stadhuis, il municipio, ad un lato della piazza su cui svettano anche una meravigliosa fontana e tanti edifici con il classico stile fiammingo: siamo finalmente a Grote Markt, di certo più “verace” rispetto ad altre. Ma la nostra attrazione di punta di Anversa è senza dubbio la piazza della Cattedrale, e stavolta non per visitare l’edificio di culto. Proprio lì, sulla piccola piazza della cattedrale gotica, nel cuore del centro storico, si trova una delle opere più belle al mondo, che celebra un legame indissolubile, l’amicizia immensa tra Nello e Patrasche, protagonisti di “Il cane delle Fiandre”, libro di Maria Louise Ramé del 1872. Nello è un bambino orfano che abita col nonno e che si guadagna da vivere vendendo latte. Un giorno, il bambino trova lungo la strada un bellissimo cane, ferito e bisognoso di cure, che chiamerà Patrasche. Il cane si dimostrerà sempre fedele e riconoscente con Nello e da quel momento lo aiuterà nel trasporto del latte dalla casetta del nonno alla città. Nello possiede un grande talento per la pittura, ammira i quadri di Rubens e desidererebbe tanto vedere l'opera del grande pittore esposta nella Cattedrale della città, osservabile però solo a pagamento. Ripone le sue speranze di una vita migliore in una gara di disegno ad Anversa, ma la giuria sceglie un altro vincitore, sicuramente meno meritevole di lui, ma figlio di un personaggio in vista della città. Dopo la morte del nonno, disperato e senza più una casa, si rifugia insieme a Patrasche nella chiesa di Anversa per scampare al terribile rigore dell'inverno. Lì finalmente verrà esaudito il suo grande desiderio: dopo tanto tempo riuscirà a vedere come in un sogno le famose opere di Rubens (La discesa dalla Croce e L'erezione della Croce) esposte nella chiesa. Il mattino seguente, Nello e Patrasche verranno trovati entrambi morti congelati, stretti nello stesso abbraccio. Nel 2016, un artista ha voluto rendere omaggio a questa meravigliosa storia, realizzando la statua: il bambino e il suo cane, con un’espressione felice in viso, sembrano dormire abbracciati, con una coperta di pavé, come se la città avesse voluto avvolgerli un’ultima volta. Davvero commovente, inutile dire i lacrimoni, vedendo quest’opera dal vivo! Giriamo ancora qualche minuto in centro, poi ci dirigiamo verso Steenplein, con l’omonimo castelletto medievale, che però non è visitabile. Poco distante, la ruota panoramica: non ci saliamo dai tempi del Prater a Vienna, ergo decidiamo che è il momento per un giro, anche per fare una cosa diversa. Il biglietto, 8,00 €, costa come l’ingresso alla Cattedrale che abbiamo bellamente boicottato. Tra l’altro, era completamente impalcata: chissà, magari quando tornerò nel 2035 i lavori saranno finiti! Per la prima volta, non l’abbiamo filata di striscio, benché abbia accarezzato l’idea di entrare per vedere i dipinti di Rubens. Anche dall’alto, comunque, Anversa spicca solo nel cuore del cento storico. La sua particolarità è proprio la capacità di essersi adattata a più stili e alla vivacità, la sua abilità di mescolare il nuovo ed il vecchio, in un contesto che può piacere ma anche no. Ma la statua di Nello e Patrasche, quella è valsa davvero tutta la giornata. Ma anche il Sint-Annastunnel, che vediamo poco dopo, ha un che di particolare: la città di Anversa non ha ponti che mettono in comunicazione le due sponde, per poter sfruttare tutta la superficie d’acqua nei canali del porto. Le uniche arterie di comunicazione sono, infatti, tunnel sotterranei, uno per ciascun sistema di trasporto. Il tunnel di Sant’Anna, il cui ingresso è sull’altro lato della ruota panoramica, è stato costruito negli anni Trenta ed è unicamente pedonale e ciclabile (anche troppo ciclabile: monopattini e bici sfrecciano ad una velocità impressionante!) e ha due rampe di scale mobili interamente in legno. Il cigolio degli ingranaggi dona loro un sapore antico, scendendo fino a 35 metri circa nella pancia del fiume. Fa strano pensare che all’esterno di questo lungo tunnel di piastrelle siamo ricoperti di acqua. Sbuchiamo sull’altro lato con le solite scale mobili in legno, ci accoglie un parco che probabilmente è una boccata d’aria nelle giornate di primavera. Il vento freddo però ci scoraggia, facciamo due foto alla città incantierata, riprendiamo la metro da Van Eeeden verso la stazione centrale, e da lì, proprio sulla via laterale, il bus n.17 che ci ferma davanti all’Expo, dove si trova la nostra area camper.
Venerdì 15 ottobre - km 113532
da Anversa a Barvaux (160 km)
Ci vegliamo che è ancora buio, ma non perché sia chissà quanto presto: è l’ora di sempre, solo che a queste latitudini il cielo si schiarisce decisamente più tardi. Risparmiamo almeno mezz’ora sulla tabella di marcia stamattina, tanto che alle 8.40 siamo fuori dall’area camper. Traversata brevissima per iniziare questo weekend: ci spostiamo di appena trenta km per arrivare a Mechelen. Il suo canale gira tutto intorno al nucleo vecchio, lo guardiamo volare dai finestrini del camper mentre cerchiamo di raggiungere un’area di parcheggio. Giriamo in lungo e in largo, e meno male che siamo partiti per tempo! Ci mettiamo un’ora a trovare un angolo decente, nonostante qui sembrino poco fiscali, e alla fine ci fermiamo lungo Ontvoeringsplein, strada che costeggia la ferrovia a poche centinaia di metri dalla stazione. Con un biglietto del parchimetro da 5,00 €, potremmo addirittura restare 3 giorni, ma ci accontentiamo di un paio d’ore. Il ponticello che attraversa il canale resta subito fuori dalla strada dove abbiamo parcheggiato, e da lì siamo su una delle vie principali che ci porta a Grote Markt in poche centinaia di metri. Mechelen (Malins in francese) è una città fiamminga che nulla ha da invidiare alle colleghe più blasonate, anzi: l’ampia piazza è molto armonica, non affollata e soprattutto non impalcata: nessun lavoro di manutenzione pervenuto, bar e ristorantini si affacciano sui due lati, mentre la facciata gotica dello Stadhuis si mostra in tutta la sua bellezza, nonostante il cielo nuvoloso che poco rende giustizia ai colori. L’attrazione principale della città è di certo Romboutskathedraal, impronunciabile nome per indicare la Cattedrale. Un colosso del XIII Secolo, rimaneggiata (come quasi tutti gli edifici religiosi) fino al Cinquecento. La sua torre alta 97 metri era stata progettata per diventare la torre campanaria più alta d’Europa (ancor più di quella di Colonia da 157 metri), ma non è stata mai terminata. Nel frattempo inizia a piovigginare, e ne approfittiamo per visitare i monumentali interni: tra l’altro l’ingresso è gratuito e permette anche una visita del coro, che generalmente è chiuso, le volte alte testimoniano tutto lo stile gotico del XV Secolo, ed un pulpito interamente realizzato in legno (“sobrio” proprio come altri visti in questi giorni!) si affaccia ad un lato della navata.
Per salire sulla terrazza panoramica della torre devo invece aspettare le 13, poiché è aperta solo nel pomeriggio. Usciamo dalla cattedrale bardati fino ai denti, con k-way e quant’altro per ripararci la testa (non piove molto, ma il minimo sindacale per rompere le balle!), e percorriamo una parte di una via perpendicolare per vedere ancora un po’ di architettura. Nel frattempo smette di piovere, scattiamo foto. Ricomincia a piovigginare e costeggiamo il canale e ci troviamo inspiegabilmente sul lato opposto della città. Poi smette di piovere ed inizia a graziarci mentre ci riaffacciamo sulla via che porta al camper. Ormai manca poco alle 13, quindi lascio andare avanti i miei ed io torno alla torre della cattedale, dove mi sparo questi 538 gradini di scala a chiocciola per la terrazza. Il biglietto per la salita costa 8,00 €, prezzo ragionevole se si tiene conto delle belle stanze visitabili, come quella del carillon e quella delle campane, ma un po’ deludente in cima: le sponde in vetro (così come il pavimento scivolosissimo!) coprono quasi totalmente la vista, e oltre quello ci sono i tiranti in ferro da un merlo della torre all’altro. Bello tutto, interessante anche l’opuscolo informativo con la storia delle varie stanze della torre... Ma sulla skywalk panoramica, non ci siamo proprio. Torno al camper in tempo per il caffè, e partiamo poco dopo in direzione Durbuy, definita “la più piccola città del mondo” (perché non hanno visto Morico!), dove arriviamo alle 16. Parcheggiamo nella zona adiacente al Topiary Park, il giardino topiario più grande al mondo: si tratta di un giardino di "sculture vegetali", abbastanza unico nel suo genere, dove si possono ammirare tassi ed agrifogli magicamente animati grazie ad una potatura artistica, ingegnosa e coinvolgente iniziata con Albert Navez. Il termine topiario deriva dal caro vecchio latino e significa “paesaggio dipinto, giardino ornamentale”. L’arte topiaria è dunque l’antica arte di creare figure con la potatura di cespugli, siepi e arbusti, nel caso del parco di Durbuy con la potatura delle piante di bosso. Riusciamo ad entrare al volo, anche se l’ultima ammissione era alle 16 perché il parco chiude alle 17. Con un piccolo sconto, paghiamo 4,00 a testa e stiamo dentro meno di tre quarti d’ora. Al Topiaires di Durbuy ci sono circa 40 aiuole con cuori, quadrifogli, animalini vari, da scoiattoli a pavoni e paperelle, tutti rigorosamente potate nei bossi.
E ancora, la coppia che prende il sole, pure Pamela Anderson ed il Manneken Pis di Bruxelles e anche un elefantone di 4 metri di altezza! Un posto divertente per fare foto, che si visita anche in un’oretta scarsa, come abbiamo dimostrato! Dal parco, in riva all'Ourthe, si ha un’eccezionale vista sul castello di Durbuy, ormai adibito a residenza privata. Facciamo un brevissimo giro per il minuscolo paesino, ci mettiamo appena 20 minuti foto incluse, poi torniamo al camper. In dieci minuti raggiungiamo l’area camper a Barvaux, un sobborgo del piccolo paese: 10,00 € compreso scarico (per il carico pare serva un gettone reperibile non si sa dove, ma non è indispensabile. Area su sterrato erboso, un po’ morbido causa piogge dei giorni scorsi, ma resistente. A pochi meri dal fiume, che in serata tira su una nebbia stratosferica.
Mercurio approva e scorrazza un’ora. Nonostante la nebbia.
E meno male che ci pensa lui ari portarmi al camper, che io non vedo niente e mi sono già persa.
Sabato 16 ottobre - km 113707
da Barvaux a Fellbach (475 km)
Contro ogni pronostico, anche stamattina siamo operativi per le 8.40. Ci aspetta una lunga giornata di trasferimento fino a Winterbach, in Germania. Nel mezzo, soltanto Lidl, un distributore di benzina, il pranzo e io che, ovviamente, nemmeno mi vesto (il solito sciopero fascista delle tappe di trasferimento, come la giornata del ritorno a casa!). Anche Mercurio sonnecchia annoiato tutto il giorno. Attraversiamo il confine tedesco in tarda mattinata e ci fermiamo per pranzo più o meno all’altezza di Coblenza. A Winterbach, poco sopra Stoccarda, il babbo si ferma a recuperare un registratore a bobine da un simpatico tedesco (per i suoi commerci di hi-fi) e prima delle 18 siamo all’area di sosta a Fellbach, poco distante. Carico a 0,50 € per 80 litri d’acqua, wifi gratuita (provvidenziale!). Tariffa, 5,00 € per le 24 ore: andiamo a cercare la macchinina e scopriamo che, essendo fuori servizio, il parcheggio è addirittura free fino a nuovo ordine.
La serata finisce con pizzette e foto da scaricare, e Mercurio che approva l’immenso parcheggio circondato da zone erbose per scorrazzare, ma sempre supervisionato!
Domenica 17 ottobre - km 114182
da Fellbach a Füssen (237 km)
Stamattina siamo pronti a partire convinti di fare una deviazione verso sud al Catello di Hoenzollern, considerato uno dei più belli della Germania, ma scopriamo che il biglietto è solo online e che l’ingresso regolamenta tutto (quindi non possiamo nemmeno affacciarci negli spazi esterni, e di vedere le varie stanze delle armi e delle torture non ce ne frega poi molto. Quindi saltiamo la meta a piè pari e ce ne andiamo verso Ulm. La strada scorre tranquilla tra filari di alberi colorati d’autunno, che il sole rende dorati e luminosi, e ci accompagna fino a Blauberen, circa 25 km prima della città. C’è un’area di sosta camper in mezzo agli alberi, molto bella, ma ovviamente dovendo stare giusto un’oretta non andiamo certo a pagare 15,00 €, quindi parcheggiamo poco oltre, nel parcheggio deserto di un liceo (essendo domenica, non siamo d’intralcio). Peccato che il fantastico sole che ci ha accompagnati fin qui sia magicamente sparito: secondo me sono stati quelli del castello di Hoenzollern che ce l’hanno tirata perché abbiamo bypassato la visita!
Scendiamo e percorriamo poche centinaia di metri in un’atmosfera da Halloween, immersi nella nebbia di questo piccolo borgo delle Alpi Sveve, costeggiando il fiume Blau, affluente del Danubio che lo raggiungerà nella città di Ulm. Un piccolo sentierino sterrato di un centinaio di metri ci porta al cospetto del Blautopf (“pentola blu” in tedesco), circondato da uno steccato in legno. Lo stupore! Si tratta di un laghetto generato dall’unica sorgente carsica della Germania che dà origine al fiume Blau, formando il drenaggio per il complesso di grotte del Blau. A causa della forte pressione dell'acqua, la sorgente ha assunto una conformazione ad imbuto, che nel suo punto più profondo raggiunge 21 metri. Il colore particolarmente blu dell'acqua, che varia di intensità in base alle condizioni climatiche e al flusso, è il risultato delle proprietà fisiche della densità su nanoscala delle particelle di calcare distribuite nell'acqua. Le particelle sono così piccole che ha luogo la cosiddetta dispersione della luce di Rayleigh, o per meglio dire la diffusione del colore blu nella luce visibile. Un effetto simile è osservabile nella Laguna Blu di Reykjavik, in Islanda. Facciamo il giro del lago, delimitato da un lato da una chiusa su cui si affaccia il complesso del monastero benedettino e da un mulino ad acqua inserito in quello che attualmente è un ristorante, ma che evidentemente nei decenni passati aveva tutt’altra funzione. Peraltro, sembra che le grotte fossero abitate 40 mila anni fa, prima delle ere glaciali insomma: a testimonianza, sono stati ritrovati monili, oggetti di uso comune ed una statuina di avorio di mammuth (attualmente conservata nel museo dedicato), la più vecchia attualmente conosciuta, con sembianze femminili. Facciamo anche un piccolo giro del borgo, davvero ben conservato, e torniamo al camper, dove restiamo per pranzo.
Verso le 14.30 siamo già arrivati a Ulm, dove parcheggiamo lungo il viale posteriore della stazione, abbastanza vicina al centro. Scendiamo e percorriamo il ponte sopra i binari per raggiungere l’altro lato, che di fatto è un enorme cantiere. La nebbia fa scomparire persino la guglia della torre della cattedrale che si intravedeva dal ponte, tutti i negozi sono chiusi ed è freddo. Appena arriviamo sulla piazza, che si fa largo nel bianco velo nebbioso, oltre a non trovare nulla che ci aggradi a livello visivo becchiamo pure la cattedrale completamente impalcata. Un enorme ammasso di ferraglia. Tristezza infinita, tanto che convinco i miei a fare dietro front a favore di qualcosa di lievemente migliore. Così, dopo essere tornati al camper ed aver rimesso gasolio, ci dirigiamo a Füssen! Arriviamo verso le 18 presso il paese e le sue tre aree camper che si susseguono. Anni fa, di ritorno dall’Olanda, ci eravamo fermati proprio da queste parti, ma sono l’unica a ricordarmene! Stavolta optiamo per l’unica che ha posti liberi: si paga di fronte, al centro sportivo. 17,50 € compreso carico e scarico, docce a monete. Pianifichiamo la giornata di domani e poco dopo ci lanciamo al padiglione dei bagni. Grazioso ma piccolino, e soprattutto c’è una sola doccia (capiente, moderna, con il sensore per fare uscire l’acqua, insomma una figata… ma una sola doccia non si può!), quindi ci mettiamo in fila. Considerando che l’erogazione di acqua si ferma quando ci si sposta dal sensore, due o tre monete da 50 centesimi bastano per la doccia.
Mercurio stasera è irrequieto, anche per via di un grosso gattone randagio che potrebbe fargli da custodia. Alla fine, provato dalle lunghe attese di posta alla finestra, si arrende e si addormenta.
E noi con lui.
Lunedì 18 ottobre - km 114419
Da Füssen a Trins (133 km)
Stamattina, dopo numerosi buchi nell’acqua cercando birre bianche a prezzi più competitivi che in Italia, ce ne andiamo con il sole verso Innsbruck. Poco dopo aver lasciato Füssen, entriamo in Austria e la strada scorre bene finché non ci infiliamo in un paesino a trenta chilometri dalla meta. Bestemmiazze a parte, il paesaggio alpino è incantevole, sa ancora d’estate benché all’esterno la quantità di gradi abbia una cifra sola! Arriviamo in centro, ma non troviamo parcheggi utili. Ci fermiamo per pranzo in un'area un po' improvvisata poco distante e, come ultima spiaggia, il babbo decide di prendersi un paio d'ore di relax pomeridiane, mentre io e la Vergara ci facciamo due passi per il centro. Rinomata città degli sport invernali e quinta città più popolosa dell'Austria, Innsbruck accosta architetture moderne ad architetture imperiali. Il cuore del centro storico, dagli evidenti segni dei passaggi dei vari regimi politici, è fiancheggiato dal fiume Inn, che riflette una schiera di casette colorate in fila sul greto come soldatini. Friedrichstrasse è la via principale che si snoda dalla piazza, ed è un tripudio di edifici molto diversi tra loro, caratteristici, finemente decorati, tipicamente tirolesi, che però creano armonia. La Casa Helbling ad esempio è una palazzina borghese famosa proprio per la bella facciata a stucchi rococò, di fronte al celebre Tettuccio d'oro (una specie di bay window tardogotico che sorge sulla facciata del Neuer Hof, l'antico palazzo dei conti del Tirolo, il cui tetto è appunto ricoperto da 2.657 "scaglie" di rame dorato. Pare sia addiriittura il simbolo della città!). La Stadtturm, ovvero la torre civica, è incastonata tra due edifici dai colori vivaci: è la torre di osservazione costruita nel XV Secolo con un ponte di osservazione e una cupola a cipollotto, in rame.
Facciamo altri due passi lungo Maria Theresienstrasse, fino alla fontana in fondo alla strada che riflette Annasäule, la Colonna di Sant'Anna, ovvero l'obelisco del 1703 con una sontuosa colonna in marmo rosso sormontata da statua della Vergine Maria.
Se proprio devo raccontarla tutta, ci ritagliamo anche un'oretta nel vicino Primark, ultimo baluardo prima di rientrare verso il confine italiano! Nel frattempo l'aria è davvero molto calda e iniziamo a toglierci strati di vestiti! Recuperiamo il babbo e ci apprestiamo a salutare anche la capitale tirolese. Arriviamo a Trins, 30 km a sud di Innsbruck, oltre il Ponte Europa, uscendo dalla strada principale ed arrampicandoci fino a 1200 metri di quota. Costeggiamo un torrente lungo una viuzza abbastanza stretta, sembra un posto dimenticato da Dio, ma quando arriviamo troviamo almeno sei o sette camper già parcheggiati. La cassa automatica prende sia monete che carta, ma mi libero di una caterva di soldi spicci e pago i 13,00 € per le 24 ore, ben sapendo che resteremo solo fino a domani mattina. Il carico e scarico, ovviamente, sono inclusi nella tariffa, e ci sono anche i bagni con le docce.
Mercurio approva il verde dei dintorni, il ponticello, l’argine del fiume ed il campo da calcetto, tanto che passiamo almeno un’ora al freddo e al gelo nei paesaggi tipici di Heidi, che mi tocca mettere i guanti da carpentiere (gli unici disponibili!) per evitare il congelamento delle mani. Anche l’odore di sterco di mucca contribuisce a donare all’ambiente un tocco agreste e bucolico. L’area peraltro non è molto illuminata, quindi mi dico che è la serata perfetta per fotografare le stelle con reflex, focale luminosa e cavalletto. La storia triste finisce non appena vedo spuntare la luna dietro il profilo delle montagne, come a dirmi: “con la mia luce, non vedrai un cavolo di nient’altro!”
Grazie, Luna.
Buonanotte.
Martedì 19 ottobre - km 114576
Da Trins a Mantova (280 km)
Stamattina, dopo lo scarico delle acque nere, l’ultima spazzata al camper e due foto a mani congelate al paesaggio circostante, si riparte alla volta di Mantova, dove abbiamo intenzione di fare un pit-stop per spezzare il lungo viaggio di ritorno. Attraversiamo il confine italo-austriaco poco dopo, e bentornati in Italia con una lunga fila di cantieri sulla A22, che dovrebbero durare 7 chilometri ma diventano almeno quaranta, con restrizioni di carreggiata e cartelli di lavori in corso. Arriviamo (provati e dopo 20,00 € di pedaggio autostradale) all’area sosta “Sparafucile” intorno alle 13, e mangiamo qualcosina prima di dare un’occhiata alla cittadina della Pianura Padana, che appare immersa nella nebbia. Percorriamo il sentiero che porta sul >Ponte San Giorgio e che lo costeggia fino alle porte della città. Ci troviamo così davanti al Castello di San Giorgio, un enorme complesso museale (evitiamo ovviamente di entrare a visitare tutte le sale) che, però, rispetto a tante cose viste nel corso del tempo manca un po’ di manutenzione ed avrebbe, forse, bisogno di una ripulita, una stuccatina magari, almeno all’esterno. Ci affacciamo su Piazza Sordello, traboccante di gru e cantieri, e ci fermiamo di fronte al Palazzo Ducale, unica cosa non impalcata.
“Mantua me genuit” (ovvero, “Mantova mi generò”), è scritto sulla tomba del poeta Virgilio, il più celebre cantore della “romanità”; e i suoi conterranei tuttora sono molto legati alla sua memoria. Ma non è l’unico figlio famoso di questa terra, ricca di testimonianze storiche immerse in un paesaggio naturale unico.
Gli imponenti palazzi rinascimentali del centro s’affacciano su tre laghi formati dal fiume Mincio, in parte naturali, in parte irreggimentati dall’uomo fin dal Medioevo per proteggere la città (che in origine era un’isola) senza permettere che diventasse una palude. La città, d’origine etrusca, nel XIV divenne la capitale del dominio dei Gonzaga, che ospitarono alla loro corte artisti del calibro di Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna e Giulio Romano, le cui opere hanno contribuito a far proclamare Mantova patrimonio mondiale dell’umanità Unesco. In anni più recenti la città non ha smesso di essere capitale d’arte e cultura: il suo Festival della letteratura, che si tiene ogni anno a settembre, è famoso a livello internazionale. Raggiungiamo poi Piazza delle Erbe, decisamente più armonica e respirabile, sulla quale si affacciano il Palazzo della Ragione, con un quantitativo abnorme di tavolini del vicino ristorante, la Rotonda di San Lorenzo e l’adiacente Torre dell’orologio di Bartolomeo Manfredi del XV Secolo. A lato, la bella Basilica di Sant’Andrea, dagli stupendi ed inaspettati affreschi, che sulla volta e lungo la navata sembrano stucchi in rilievo.
Saluto i miei, che tornano verso il camper con la navetta gratuita, mentre io passeggio per circa un chilometro e mezzo ancora fino a Palazzo Te, che non riesco nemmeno ad intravedere causa biglietteria subito all’entrata. Mi fermo su una delle innumerevoli panchine del parco ascoltando gli schiamazzi di un gruppo di bambini, poi ritorno verso il centro e da lì riattraverso il Ponte San Giorgio che mi riporta all’area camper. Stasera Mercurio è particolarmente irrequieto, mentre io sono in pace. Giunta alla fine di un nuovo viaggio, con il sole che tramonta dietro Mantova e lascia intravedere una bella skyline che si specchia nel lago.
Mercoledì 20 ottobre - km 114871
Da Mantova a Porto Sant’Elpidio (365 km)
Si fa giorno in fretta, all’area camper immersa nella nebbia della Via Padana Inferiore. Paghiamo 15,00 € alla macchinina, come da programma, la sbarra si apre e prima delle 9 siamo fuori.
Ce ne vorrebbero di più, di aree sosta così. Non troppo lontane dalla città, comode per parcheggiare all’ora di pranzo e stare in visita il pomeriggio.
Tappa di trasferimento infinita, oggi, da Mantova fino a casa.
Trenta giorni esatti. Tanto è durato il mio viaggio 2021 in camper.
Ancora una volta ci siamo rigenerati e abbiamo riempito gli occhi di posti nuovi, lo stomaco di assaggi, il cuore di pioggia e sole e di chilometri macinati sotto qualsiasi cielo. Ogni esperienza di viaggio è uguale eppure diversa da qualsiasi altra, e ci arricchisce pur svuotandoci le tasche.
E forse, in questa vita, ne vale davvero la pena.
Clicca qui per visualizzare l'itinerario!
Nessun commento:
Posta un commento